Teofania

Ciclo dei Dimenticati

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    “La Divinità è insieme informe e onniforme, e pervade tutte le cose
    mobili e immobili, come l'acqua o uno specchio”



    (4 Luglio 1934, New England, Lettere di Adam Armistead)
    Questa è la seconda notte che sogno la volta celeste. Non mi era mai capitato di vederla così vividamente durante il sonno; in fin dei conti sono un uomo di campagna, un contadino che lavora spesso all’aperto, e sono avvezzo alla compagnia delle stelle e dei pianeti, tanto che la loro presenza è divenuta abituale per me e il loro volto non comunica che banalità ormai. Tuttavia, ecco che d’improvviso, durante le ore in cui la mia fantasia solitamente vola, mi ritrovo, per tutta la notte, a dipingere con la mente il cielo notturno popolato dagli astri.
    Comunque, il fatto che il sonno di due notti sia stato completamente saturato dallo stesso sogno, il che basterebbe in ogni caso a far spazientire chiunque, non è l’unico fastidio che lamento. Infatti, non solo sono costretto a sopportare per ore la stessa identica visione, ma ciò che vedo non è solamente una mera immagine statica dell’arco celeste, è invece un turbinare, un continuo moto circolare dell’intero cielo notturno, nauseante e terribilmente estenuante. Spero di avere sonni più tranquilli le prossime notti.


    (5 Luglio 1934, New England, Lettere di Adam Armistead)
    Ringrazio il cielo di essere riuscito a trascorrere una notte tranquilla, priva di sogni fastidiosi e ripetitivi, completamente libera da qualsiasi traccia di stelle, pianeti o qualsivoglia altro corpo celeste. Mi sento, invero, fresco e riposato, pronto ad una nuova giornata di lavoro in mezzo ai campi. Il grano cresce abbondante; questa sembra una buona annata e sono sicuro che mi frutterà un buon ricavato, abbastanza forse per migliorare la mia fattoria, costruendo un nuovo deposito ad Est e consentendomi l’acquisto di qualche nuova macchina agricola.
    Purtroppo non posso dire lo stesso del mais. Ieri ho constatato con dispiacere che i campi coltivati a granturco non sembrano promettere un decente raccolto: le spighe appaiono rovinate, come in preda ad una malattia. Non so di cosa potrebbe trattarsi, proverò ad indagare a riguardo. È un vero peccato.


    (8 Luglio 1934, New England, Lettere di Adam Armistead)
    Stanotte ho fatto un sogno davvero bizzarro, reso ancora più strano dal momento che non ho mai avuto possibilità di osservare di persona, concretamente, un importante particolare che ha fatto parte della mia breve avventura onirica. Il sogno incominciava esattamente in questa stanza e mi era concesso vedere me stesso dall’esterno, cosa che capita raramente nel regno di Morfeo. Ero alla finestra e osservavo pensieroso il cielo serale, scrutando le prime stelle che brillano quando il sole tramonta. Non so per quale motivo stessi fissando la volta celeste, ma la mia attenzione sembrava focalizzarsi ad oriente: potevo scorgere Venere, bassa all’orizzonte, Altair poco più in alto e la bianca e luminosissima Vega della costellazione della Lira. Ma ciò che pareva aver catturato maggiormente i miei pensieri sembrava essere Deneb, l’azzurra testa del Cigno. Poi, dopo alcuni minuti di contemplazione che davano l’impressione di essere interminabili, avevo abbandonato quella postazione per muovermi verso le scale, scenderle e, con pochi passi, raggiungere l’esterno della mia abitazione. Così avevo incominciato a passeggiare per i campi, senza un’effettiva meta precisa. Mi ero inoltrato per le coltivazioni di mais e, anche se appare chiaro sia cosa impossibile non perdere il senso dell’orientamento tra piante tanto alte, mi sembrava di procedere come guidato da una forza superiore, verso una direzione a me ignota, ma dalla quale parevo essere attratto.
    Dopo un infinito viaggio tra mille pannocchie malconce e cadenti, il cui aspetto peggiorava mano a mano che mi addentravo per i campi, ero giunto in un punto dove il terreno era per lo più spoglio e le piante erano completamente marce e morenti.
    Lì, sopra il terriccio secco e malato, stava una stella marina. Non ne avevo mai vista una dal vivo; ne avevo solamente sentito parlare da alcuni uomini di mare che abitavano nel Massachusetts. E, se ben ricordo, la descrizione che quei signori mi diedero specificava la presenza di cinque arti. Io invece, nel mio sogno, avevo raccolto e osservato da vicino una dettagliatissima stella marina a nove punte. Ecco, questo è il curioso particolare che ha reso tanto bizzarro il mio sogno.


    (10 Luglio 1934, New England, Lettere di Adam Armistead)
    Credo che il mais sia completamente rovinato. Dopo alcuni controlli lungo il perimetro del campo coltivato a granturco ho notato che la malattia sembra essersi diffusa ovunque non lasciando intoccata alcuna porzione del terreno, da ciò che mi è stato possibile osservare almeno esternamente.
    Inoltre ho notato degli strani avvenimenti collegati al suddetto agro. Il primo riguarda il suolo, il quale si presenta estremamente arido, come se fosse a maggese riarso dal sole, nonostante le abbondanti piogge di questi ultimi giorni sommate alla continua irrigazione, e manifesta, solo in alcuni punti per il momento da come ho potuto notare, una sottile e bizzarra polvere dorata che farò analizzare senza dubbio.
    Il secondo, invece, ha a che vedere con gli uccelli: è da un po’ di tempo che effettivamente non ne vedo più volteggiare sopra il campo, anzi, potrei dire che sembrano proprio evitarlo. Nemmeno gli uccellini più piccoli, che solitamente nidificano tra le piante o sul terreno, svolazzano ormai tra le cadenti pannocchie.
    Gli animali, inoltre, hanno incominciato a bere l’acqua piovana conservata nella grande cisterna ad Est. Tale cisterna era in disuso da anni perché il serbatoio, interamente fatto di ferro, aveva le pareti interne ossidate, le quali rilasciavano ruggine rendendo l’acqua tossica. Invece, da alcuni giorni sembra che l’ossido di ferro sia sparito. Inoltre, l’abbandono di tale cisterna avrebbe dovuto permettere la prolificazione di batteri e altri organismi. Al contrario, ho notato le mucche usufruirne più volte senza riscontrare, ad ora, danni da parassiti o intossicazioni. Ho deciso così di assaggiarne un cucchiaio, lasciando prima bollire l’acqua, ed ho constatato che effettivamente il sapore ferroso è scomparso, mentre ho avvertito un leggero retrogusto di terracotta. Credo sia diventata alcalina. Non capisco come sia successo.


    (12 Luglio 1934, New England, Lettere di Adam Armistead)
    Ancora una volta, a prova della mia pazienza, ho viaggiato nel sonno per il vasto cielo stellato. Esso continuava a roteare incessantemente, provocandomi anche stanotte una costante e tremenda sensazione di nausea e lasciandomi tutt’altro che riposato. Ho tentato varie soluzioni: cambiare posizione nel letto, rinfrescarmi il viso, spostare la mia mente su altro, muovermi in un'altra stanza. Non ha funzionato nulla di tutto ciò, nulla è riuscito a deviare il mio cervello da quella monotona e tediosa immagine in movimento della volta celeste, come se il mio intelletto fosse stato meccanicamente tarato al vagabondaggio onirico nella stessa, identica e ripetitiva visione. Tuttavia, stanotte sono riuscito a notare un bizzarro particolare: normalmente, l’intero cielo gira su sé stesso, attorno ad un punto che l’uomo, da tempi immemori, ha identificato come la Stella Polare; la sfera celeste che osservavo io, invece, non roteava intorno a quella piccola stella dell’Orsa Minore, bensì sembrava farlo proprio circolarmente ad un punto ben definito nella costellazione del Cigno: la bianca Deneb.
    Stamattina, così, ripensando anche al sogno di quattro giorni fa, durante il quale riuscivo ad osservare una strana asteroidea a nove punte nel mio desolante campo di mais, ho deciso di avventurarmi per i miei terreni in cerca del punto, fantasticato, dove avevo trovato quel curioso esemplare marino.
    Dunque, dopo aver preso una bussola e le carte planimetriche dei miei terreni, mi sono messo in cammino in direzione del campo di mais. Mano a mano che mi inoltravo nel terreno, la condizione delle piante diventava ancora più pietosa rispetto a quella vista nel sogno: gli stecchi erano scuri, torti e deformi, le foglie sembravano ragnatele malsane sulle quali cadeva, dalle pannocchie nere e marce, la stessa polvere dorata vista qualche giorno fa. Osservando attentamente ho notato che i chicchi stessi sono ripieni di tale pulviscolo, e credo di dover giungere alla conclusione che la misteriosa polvere dorata sia prodotta dalla pianta stessa.
    Dopo diversi minuti, durante i quali sentivo crescere in me una repulsione ed un malessere asfissiante, contagiato da quell’agro in cui non mi ero voluto inoltrare da giorni, sono giunto infine in un punto in cui le piante sembravano aliene. Orribili, nere e scheletriche, nauseanti, parevano agitarsi spettrali al ritmo di una qualche musica inudibile, irrazionale. I pennacchi si muovevano lentamente, tirati da una brezza leggera, ma la loro vista mi disgustava; facevano affiorare al mio pensiero empietà di dimensioni recondite, fantasie che avrei preferito dimenticare, lette per curiosità giovanile su libri nefasti, come il maledetto De Daemonibus Vacuorum e i dissacranti Manoscritti di Mallok, ma più di tutti sul blasfemo e folle Ordonrìdion, il libro perduto degli oscuri sacerdoti atlantidei.
    Ed è stato lì, mentre ero tormentato da queste latenti paure, che ho visto per la prima volta qualcosa di completamente estraneo, una parvenza di oltre-terreno. Ero giunto nel punto finale del sogno, la mia meta; avevo riconosciuto la zona, non perché la ricordassi visivamente, ma perché tale certezza mi folgorò quando vidi dinanzi a me, a circa quattro metri sopra le spighe di mais, fluttuare in cielo una larga figura evanescente, la cui forma era quella di una stella marina a nove punte.


    (13 Luglio 1934, New England, Lettere di Adam Armistead)
    Dopo ciò che vidi ieri, nel mezzo del campo di granturco, tornai velocemente in casa. La sera non toccai cibo poiché il solo pensiero del marciume delle piante di mais mi procurava inappetenza e nausea. Tuttavia bevetti dell’acqua dal rubinetto, come solitamente faccio prima di andare a dormire. Credo che ci sia un problema alle tubature, poiché anche l’acqua corrente è divenuta alcalina.
    Ciò che mi preme maggiormente raccontare, tuttavia, non ha a che vedere con l’acqua o il cibo, ma riguarda i sogni notturni che ho fatto. Stanotte infatti credo che il mio cervello si sia spinto oltre lidi sicuri per acque nere, profonde e cariche di mistero. Ho visto ciò che nessuna mente umana potrebbe immaginare, nemmeno l’estro più creativo di un folle artista potrebbe riuscire a figurare ciò che il mio intelletto ha deciso di fantasticare stanotte. Ma ho il dubbio che sogni così esotici possano essere frutto di mera immaginazione mortale.
    Come l’ultima volta, potevo vedere me stesso contemplare il cielo stellato. La mia attenzione sembrava concentrarsi anche stavolta nei pressi della costellazione del Cigno. Le stelle pulsavano inquiete, proprio come il battito del mio cuore, che potevo distintamente avvertire ogni secondo. Ma c’era qualcosa di sgradevole in ciò; gli astri, così come il sangue nelle mie vene, palpitavano allo stesso malato ritmo dell’ondeggiare delle piante di mais. Quella musica inudibile, silenziosa, mi assordava.
    Poi, dopo un crescendo orripilante, un’inesistente ma insopportabile cacofonia che mi ricordava gli empi tamburi che risuonano sordi per i vuoti spazi di dimensioni aldilà del tempo, venni proiettato verso l’alto, nel cielo infinito. Seguii il mio corpo cadere come folgore nel cosmo aperto, viaggiando a velocità super-luminare in una direzione che conoscevo bene ormai: Deneb.
    Le pareti cosmiche sembravano torcersi e frantumarsi tutte intorno a me, rivelando scorci di paesaggi alieni e dimensioni extrasensoriali: sfrecciai sulle rive dei mari di Iskarcove, città dolente sotto pesanti lune nere, attraversai il pianeta Yha’grath e vidi le sue geometrie non-euclidee, scivolai per i bronzei templi di Scethus, addobbati con foschi drappi. Poi, incominciai a vedere colori mai visti, non presenti sulla terra; balenavano e sfumavano in sinistre aurore, per le quali si scoprivano galassie alla deriva e sconfinati ammassi di stelle.
    Infine caddi per le terribili valli d’ombra delle dimensioni remote, mentre venti di anime urlanti soffiavano spettrali per le tenebre siderali e mi trascinavano verso la fine dello spazio e del tempo. E mentre mi avvicinavo alla destinazione finale, nella mia mente avvertivo ancora una volta l’odiosa cacofonia; cresceva e rimbombava, affiancata da un canto più profondo dei neri abissi.
    A quel punto però, così vicino a lasciare i confini della realtà stessa, mi risvegliai dalla mia avventura onirica. Il viaggio astrale, così credo sia meglio definirlo, doveva avermi rapito con grande forza poiché quando riaprii gli occhi e osservai l’orologio, capii di essere rimasto a letto per tredici ore.


    (14 Luglio 1934, New England, Lettere di Adam Armistead)
    Ho paura di non essere pianamente in salute fisica e, dopo gli ultimi avvenimenti e visioni, neppure mentale. Ieri, dopo essermi risvegliato dall’assurda visione ero talmente stordito e dolente che sono riuscito ad appuntare solamente il sogno fatto, ma ho preferito rimandare ad oggi il resto. Ho trascorso l’intera giornata sulla vecchia poltrona in salotto, a bere del tè e mangiare qualche biscotto di tanto in tanto, poiché sapevo di non riuscire ad ingerire null’altro. Credo inoltre di aver preso freddo, perché sono stato colto da una fastidiosa tosse che mi accompagna anche adesso mentre scrivo.
    Questa notte non ricordo di aver avuto sogni agitati, mentre rammento bene di aver sognato un’enorme distesa dorata, sulla quale giacevo sdraiato allo stesso modo dei ragazzini sulla neve, con le braccia e le gambe aperte, rilassato e in piena sintonia con l’ambiente circostante. Il tutto mi comunicava una sensazione di pace e tranquillità mai avvertita prima, quasi come se fossi tutt’uno con la purezza stessa.

    Stamattina ho fatto una sostanziosa colazione e mi sono vestito per andare a sistemare il problema del campo di mais: avevo deciso che era meglio bruciare tutto e liberarmi della coltura rovinata.
    Non avrei mai potuto immaginare però che la situazione sarebbe degenerata tanto: il campo di mais, in condizioni terrificanti, completamente nero e degradato, era ammantato da un velo di polvere dorata. Ve n’era sul terreno e sulle piante, fuoriusciva dalle stesse e si sollevava in volo per piccole nubi.
    Ma ciò che mi ha dato più sgomento è stata la vista del campo di grano; con terrore ho constatato che la misteriosa malattia sembra aver contagiato alcune delle piante più esterne del terreno, quelle più vicine al campo di mais. Mi sono dunque armato più velocemente possibile di falcetto e sarchiatore per sradicare tutte le spighe colpite, creando anche una zona di sicurezza, estirpando perfino quelle sane in prossimità delle malate. Poi ho accatastato il tutto nel campo di mais e ho appiccato il fuoco, sperando in questo modo di liberarmi del dannato morbo.


    (18 Luglio 1934, New England, Lettere di Adam Armistead)
    Il campo di mais è andato completamente distrutto dal fuoco, liberando nell’aria enormi fumi neri e dorati, che per evitare mi son dovuto costringere in casa tutta la giornata, sbarrando porte e finestre e apponendo stracci bagnati negli interstizi. Per fortuna è andato tutto in cenere, salvo alcune sporadiche piante annerite o qualche cespuglio ancora in piedi. Non ho tuttavia avuto il coraggio di addentrarmi nel terreno per completare il lavoro, poiché ho sempre paura di essere assalito nuovamente da quella sensazione di vertigine e nausea che provai l’ultima volta. La polvere dorata, invece, si è sfortunatamente riversata per ogni dove, appannando le finestre e cadendo lunga la cappa fumaria. Ciò non aiuta di certo la mia tremenda tosse, anzi, sta di certo favorendo la comparsa di una fastidiosissima emicrania.
    L’unica cosa che mi ha rassicurato leggermente è che si tratta effettivamente di oro, quindi posso escludere che sia qualche altra sostanza sconosciuta. Rimane comunque il fatto che sia comparsa da chissà dove o che sia stata magicamente prodotta dalle piante, ma io, in vent’anni da contadino, non ho mai sentito parlare di piante capaci di creare polveri metalliche, figurarsi di oro puro.

    Ma le stranezze non finiscono qui: ho inoltre notato, con gran frustrazione, che il terreno stesso sembra essere stato colpito dallo strano morbo e che quest’aridità malsana stia avanzando lentamente ma inesorabilmente. Per questo problema tuttavia non ho potuto far nulla, almeno nell’immediato, se non salvare il salvabile e dunque falciare il grano in salute prima che potesse cadere preda della pestilenza. Così ho trascorso questi quattro giorni a mietere le spighe di grano, spostandolo nel deposito Ovest.
    Nonostante abbia evitato ogni contatto con il terreno bruciato, ho notato più volte, da lontano, l’evanescente figura a forma di asteroidea irregolare fluttuare nell’aria. Ho addirittura chiesto al mio vicino di terreno, il vecchio Greyson, attirato inevitabilmente dal falò, qualche parere sulla situazione e su cosa possa essere la strana forma sospesa sopra il campo. Ed egli, agricoltore ferrato nel suo campo da una vita di esperienza, mi ha detto che potrebbe trattarsi di una fuoriuscita di gas a creare tale effetto e che devo considerarmi fortunato, perché se così fosse la causa della distruzione del mio campo di mais potrebbe essere la mia fortuna. Penso dunque che chiamerò chi competente per fare analizzare il sottosuolo.


    (19 Luglio 1934, New England, Lettere di Adam Armistead)
    Ieri notte mi sono coricato presto, poiché il dolore alla testa era divenuto insopportabile e gli occhi mi bruciavano come se fossi preda di una febbre opprimente. Riuscivo a contare le pulsazioni delle tempie mentre, sfinito, tentavo di trovare conforto nel mio letto, al caldo delle coperte. Non so di preciso quanto io sia rimasto in attesa di essere colto dal sonno, ma non avrei mai immaginato che avrei rimpianto la veglia al dormire.
    Ad un tratto, infatti, ecco che sprofondai nel vuoto, ma invece di svegliarmi per l’incubo improvviso continuai a cadere nelle tenebre fino a che non avvertii nuovamente il gelo del cosmo e il lontano luccichio di stelle malate. Poi, come una secchiata d’acqua fredda, avvertii i dannati venti di anime soffiarmi sul viso e trascinarmi per gli spazi siderali delle regioni remote. Mi sembrava di cadere in un turbine di oscurità e blasfeme aurore vibranti, mentre nella mia mente si faceva strada pian piano il cupo e profondo canto già udito in precedenza; sembrava quasi il lontano lamento delle grandi creature sottomarine, ma più raggelante e abissale, poiché dava l’impressione di un’antichità infinita e al tempo stesso di una grandezza incomprensibile.
    Mentre scivolavo nel fiume del tempo e dello spazio, vidi che tutto appariva ruotare attorno ad un punto luminoso verso il quale si ammassava la materia e l’energia, come attratta dalla gravità di quella singolarità. E lì, quando fui vicino a quell’orizzonte degli eventi della realtà stessa, così luminoso e immenso, mi accorsi di trovarmi davanti alla superficie di uno specchio sul quale ruotava a gran velocità l’intera immagine del cosmo. Con una mano toccai la superficie.
    Mi risvegliai di soprassalto, pregno di sudore e colto da una forte tachicardia. Ero rimasto addormentato per tredici ore anche stavolta. Sprofondai in uno stato d’ansia incontrollato, ma ciò che mi terrorizzò maggiormente fu la vista di alcune macchie di sangue sul cuscino. Mi accorsi con spavento che la mia tosse doveva essersi aggravata e che dovevo soffrire qualche emorragia interna.
    Sono dunque rimasto a riposare anche oggi, sulla vecchia poltrona in salotto.


    (20 Luglio 1934, New England, Lettere di Adam Armistead)
    Quello che è accaduto oggi potrebbe essere giudicato troppo folle e insensato per essere raccontato, ma è ciò che ho effettivamente sperimentato e non mi importa di passare per pazzo o di essere tacciato di blasfemia per ciò che scriverò. Se quello da me ricevuto in visione fosse uno stralcio della realtà nascosta delle cose, allora è giusto che tutto il mondo sappia cosa si cela oltre la cortina delle dimensioni interne, nel piano infinito ed eterno. Ebbene, questo pomeriggio, in un momento di forze ho deciso di andare a controllare da vicino la spettrale figura sul campo bruciato.
    Con la coperta sulle spalle e un panno sul viso per proteggermi dalle polveri d’oro, mi sono avventurato per il nero terreno arido e morente. Lentamente mi sono avvicinato alla strana forma e passo dopo passo ho avvertito nuovamente quella sgradevole sensazione crescere in me. Con gli occhi in fiamme, la testa ed il petto che mi bruciavano constatai un’incredibile aumento delle dimensioni della figura. La prima volta che la vidi, infatti, era grande poco più di una grossa stella marina, ma attualmente potevo scorgerne le varie protuberanze insinuarsi nel terreno e perdersi nel cielo a diversi metri d’altezza.
    A quel punto, tra un colpo di tosse e gocce di sangue dal naso, forse in preda alla febbre o ad una qualche pazza voglia di conoscenza, toccai con mano l’evanescente asteroidea.
    So che in molti non crederanno a quanto segue, ma io sono fermamente convinto di aver vissuto ogni breve momento di quanto sto per raccontarvi. Sono certo, con ogni singolo lume di razionalità di essere stato partecipe di una vera ed effettiva Teofania.
    Come ho detto, posai una mano sulla figura, ma subito la mia coscienza venne scaraventata per le pieghe del tempo e dello spazio fino all’enorme superficie dell’orizzonte a specchio vista in sogno. Toccando l’evanescente forma nel mio campo avevo toccato le pareti ultime dell’universo, e nello stesso momento in cui le toccai, trovai accesso ad un altro luogo, una zona extra-dimensionale, pura nella sua intera essenza, perpetua e immortale. Sfiorando con mano quel confine, aprii la porta per la Corte di Dio. Ed Egli era lì, un grande occhio ardente, insonne, coronato da nove arti luminescenti… Sol’Pharazor, Signore del Cosmo.
    Non credo di essere riuscito a resistere il suo sguardo per più di qualche secondo. Poi è tutto divenuto scuro e mi sono sentito cadere.

    Mi sono risvegliato in mezzo al campo, ma la grande asteroidea evanescente era scomparsa. Non ne trovai più traccia, era sparita.
    Non avrei mai dovuto toccarla, poiché adesso so di cosa si trattava, ho ricevuto la maledizione della Conoscenza. Sfiorando con mano la Porta, sono caduto oltre le dimensioni, per le enormi distese della Valle delle Ombre, fino al cospetto del padre degli Dei.
    Sono rientrato a casa col petto in fiamme e la testa carica di vertigini. Ho scritto quest’ultima pagina di diario con le poche forze e gli ultimi stralci di lucidità che mi sono rimasti poiché ho un terribile sensazione e temo per la mia vita. Credo che le mie forze mi stiano abbandonando…


    (21 Luglio 1934, New England, Lettere di Adam Armistead)
    Non mi da pace! Quando mi sono risvegliato non c'era più... ma ora l’Occhio Folgorante dai Nove Arti è qui! Il Re dell’Universo, Signore delle Forze Fondamentali è qui! Diventa sempre più vivido nella mia mente… esponenzialmente. Lo vedo anche adesso, ad occhi aperti! Credo che la Sua immagine si stia imprimendo nella mia retina… a breve non vedrò altro che Lui ma… credo che entro domani Lo raggiungerò personalmente… con la mia anima. Ieri sera sono rimasto sulla poltrona del salotto… continuavo a tossire sangue fino a che non ho visto… dio mio… polvere d’oro colare dalla mia bocca. Lui trasforma tutto... ogni cosa intorno... muta la struttura stessa degli organismi.
    Le mie ossa! Le mie ossa… sono pesanti e non riesco a muoverle… mi viene difficile anche scrivere con la penna… Rhäò , ho paura…
    Non posso… non voglio… finire alla valle… la Valle delle Ombre.
    In camera mia… fucile… mi farò saltare le cervella… prima che radiazioni...
    Oddio… io… io… sono Perfezione adesso che sono Divinità


    (15 Agosto 1934, New England, Nota di Joseph Armistead)
    Scrivo quest’ultima lettera allegandola alle altre. Sono il fratello di Adam Armistead. Giunsi a casa sua dopo circa tre giorni dalla sua ultima lettera. Su tutte le sue terre giaceva un immenso manto dorato. Ho trascritto il suo diario per paura che la polizia non me lo lasciasse tenere. Paura che poi si è avverata, poiché sembra che le autorità abbiano deciso di non attirare l’attenzione su quanto accaduto, spiegando l’avvenimento come un’intossicazione da gas fuoriusciti dal suolo, i quali avrebbero condotto alla pazzia e alla morte mio fratello. Tuttavia io so qual è la verità e non intendo tenerla nascosta. La gente potrà dire che anche io sia impazzito, ma non posso tacere di fronte alla tremenda realtà delle cose.
    Perché oltre alle lettere, io ho visto qualcosa che la polizia ed i servizi segreti hanno voluto tenere nascosto. Perché quando sono giunto alla casa di mio fratello, tre giorni dopo la sua morte, ho visto qualcosa che non scorderò mai: nella stanza, carica di pulviscolo dorato, giacevano riverse al suolo le diverse pagine di un diario scritto a mano, tempestate da disegni frenetici di asteroidee a nove punte, e, sopra una vecchia poltrona, vi stava Adam Armistead, mutato e sfigurato da chissà cosa, mentre della polvere d’oro fuoriusciva dai suoi occhi e colava sulle sue guance e dalle sue labbra; il colore della sua stessa pelle era ocra e i suoi capelli parevano filamenti dorati, mentre i denti e le sue ossa, visibili a tratti oltre la carne mummificata, erano di autentico oro massiccio.

    Ma ad incutermi più sgomento, a raggelare la mia anima non furono solamente le mutazioni inspiegabili di ossa e tessuto fluido o le innumerevoli pagine cariche di figure a nove punte, furono invece due fatti: il primo è che mio fratello non giaceva morto in una posizione rilassata, con le braccia lungo i fianchi, ma con la sua ultima lettera sotto una mano, mentre con l’altra sfiorava la superficie di uno specchio, nel quale sembrava riflettersi sorridente; il secondo è che, dopo essermi preso la libertà di far analizzare un frammento dei suoi tessuti, il laboratorio di ricerca mi abbia comunicato che tale DNA non appartenga ad un uomo, bensì ad una stella marina.

    Edited by Annatar - 17/12/2018, 09:47
     
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    Sono Lady Cupcake, prima del suo nome. Madre dei Pennuti, distruttrice della mia autostima. Creatrice del ciclo del Disagio e stermimatrice di germi.

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