Il gioco della fiamma nera

Capitoli 1 - 7

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    Non tutti i giochi sono per bambini e ad alcuni sarebbe
    meglio non giocare, specialmente se non si
    capiscono le regole fino in fondo.

    KungFuTzo

    1


    Riccardo Pierini e Caterina Zei si stavano avvicinando alla macchina ridendo, la ragazza era sulle spalle del cugino e muoveva la mano in aria come se stesse cercando di prendere qualcosa al lazzo, lei era molto bassa e minuta, pallida con gli occhi azzurri e i capelli ricci biondi, sembrava quasi una bambola, lui invece era molto abbronzato con i capelli tinti di verde foresta. Nessuno riusciva a capire che erano parenti e i due si divertivano spesso a giocare su questa cosa confondendo le persone.

    «Il posto d’avanti è mio.» disse Caterina.
    «Non vale, non puoi farlo.» rispose il cugino.
    «E invece l’ho fatto.»
    «Guida Lina, quindi sta a lei decidere.»
    Lina Falchi, una ragazza dai capelli rossi e gli occhi verdi, sorrise e aprì lo sportello del suo “Jimmino” salendo al posto di guida, il sedile era stato tirato completamente avanti perché era piuttosto bassa e non arrivava ai pedali.
    «Nessuno dei due, mi dispiace. Il posto d’avanti è riservato a Rebecca, soffre la macchina. Se uno di voi sta davanti, poi deve anche ripulire dietro.»
    I due fecero una smorfia di disgusto e scossero la testa.
    «Ricevuto, il posto d’avanti è di Rebecca.»
    «Io non sto nel mezzo.» urlò Caterina colpendo da sopra una delle spalle del cugino.
    «E dai. Non posso starci io, sono più alto di te.»
    «Di pochissimo, comunque sei stato troppo lento.»
    «Ci può stare Antonio.»
    «Temo che non sia una buona idea cugi.»
    «E perché?»

    Da lontano videro Rebecca, era una ragazza mora con i capelli cortissimi e gli occhi marroni ingranditi dagli occhiali tondi molto spessi. Indossava dei lunghi orecchini d’argento a forma di piuma che ondeggiavano a destra e a sinistra a ogni passo. Si stava avvicinando con un giovane molto grasso vestito con una felpa di pile blu. Da lontano sembravano vagamente Stanlio e Ollio e i tre sorrisero guardandoli camminare.
    «Devo farti un disegnino, o ci arrivi da solo cuginetto?» sussurrò Caterina all’orecchio del ragazzo che continuava a tenerla in collo.
    I cinque si radunarono vicino all’auto e Rebecca si fece aiutare da Antonio per mettere la borsa frigo all’interno del bagagliaio.
    «Che hai portato da bere?» chiese Riccardo.
    «Le solite cose.» rispose Rebecca spingendosi gli occhiali che le erano scivolati sul naso. «Acqua, Coca, Fanta, Estathé.»
    «Lei mi delude signorina Vanni, non ha portato nemmeno una goccia di alcool.»
    «No, ve lo avevo detto da subito che non avrei portato niente di alcolico.»
    «Pensavo che scherzassi.»
    «Smettila di fare il bambino lagnoso cugi, Alina aveva previsto tutto, ha preso alcune cose dalla scorta personale di suo padre.»
    Riccardo sorrise con gli occhi che brillavano all’idea del liquore fatto in casa della famiglia della loro amica, era qualcosa che faceva nascere i peli sul petto da quanto era forte.
    «Per il cibo chi ci ha pensato?» chiese Antonio senza alzare lo sguardo verso i due rumorosi ragazzi.
    «Non ti preoccupare Antonio, non moriremo di fame.» gli disse Caterina piegando la testa di lato. «Partiamo. Giulio e gli altri ci stanno aspettando.»
    Era da poco che uscivano tutti insieme e inizialmente in auto ci fu un po’ d’imbarazzo che cercarono di mandare via con la musica, Lina decise di non voler rimanere in silenzio e dette il via all’autoradio facendo partire il cd che aveva lasciato dentro. Si trattava dell’album degli Evanescensce “Fallen” e le note di Going Under riempirono l’abitacolo. Appena Rebecca e Lina iniziarono a cantare, i due cugini si scambiarono un’occhiata cercando di soffocare le risate.

    La macchina sfrecciava sulla strada che usciva dalla città e arrivarono fino all’incrocio con la strada che portava in montagna, Lina si fermò vicino al cartello su cui erano segnati i chilometri da percorrere per raggiungere il paesino di Craccio e mise le quattro frecce.
    «Riuscite a vederli?» chiese stringendo gli occhi per mettere meglio a fuoco nella luce del tramonto.
    «Chiedi a una miope se riesce a vedere qualcosa? Sei messa male.»
    «Non ci sei solo tu in macchina Rebecca.» le rispose Lina e l’amica le fece una linguaccia.
    «Che macchina hanno?» chiese Antonio.
    «Dovrebbero essere partiti con quella di Giulio, quindi direi una Renegade arancione “ANAS”.»
    «Ok, allora non ci sono, non credo sia una macchina che si nasconde bene.»
    «Che ore sono?»
    «Sono le cinque e mezzo, siamo in ritardo.»
    «Dici che sono già andati?» chiese Lina voltandosi verso la ragazza dietro di lei.
    «Ne dubito. Stai a vedere che stanno per arrivare. Riccardo, dammi il cellulare.»
    «Perché non usi il tuo?»
    «Perché non voglio spendere troppo. Alina ha TIM e con la Vodafone mi parte uno stipendio.»
    «Anche io ho Vodafone.»
    «Sì, ma le tue ricariche non le pago io.» rispose la cugina facendogli un occhiolino mentre allungava la mano davanti ad Antonio per prendere il telefono.
    «Se è per questo, nemmeno le tue le paghi tu.»
    «Questi sono dettagli.»
    Caterina sorrise e si appoggiò completamente alla spalla di Antonio che era alla sua destra e rimase in attesa che la sua amica rispondesse. Il giovane sentì quasi una scossa appena lei lo toccò, era perso per quella ragazza e appena era entrato in macchina era rimasto inebetito dal profumo inebriante dei suoi capelli. Si asciugò i palmi sudati sui pantaloni cercando di rimanere completamente immobile, come se il minimo movimento potesse rompere quella situazione quasi perfetta.
    «Si può sapere dove siete?» chiese appena sentì la voce profonda di Alina.
    «Girati ossigenata, siamo proprio dietro di voi.»
    «Questa me la paghi.» sibilò Caterina con un sorriso prima di riattaccare. «Sono dietro di noi, possiamo andare.»
    «Lascio passare Giulio, non credo di conoscere la strada.»

    La Renegade passò molto vicino alla loro auto e si fermò, la ragazza al lato del passeggero abbassò il finestrino e così fece anche Lina.
    «Venite dietro a noi?»
    «Sì. Ma quanto è lontano? Altrimenti temo di dovermi fermare per fare rifornimento.»
    «Quanto hai?»
    «Mezzo serbatoio.»
    «Cazzo, e dove credi che dobbiamo andare?» sbottò Alina ridendo scomposta. «Non ti preoccupare, è più che sufficiente per andare, tornare e fare qualche giro domani.»
    La macchina arancione riprese a muoversi e si immise nella strada che si allontanava in direzione sud-ovest, stavano andando verso le scogliere e Caterina disse che era un viaggio di quasi un’ora.
    «Ma dove stiamo andando?» chiese Rebecca, era una ragazza a cui piaceva tenere tutto sotto controllo e non sopportava le sorprese o le decisioni troppo impulsive. Era estremamente intelligente e nonostante trovasse simpatico il gruppetto di punk a cui si erano avvicinati ultimamente, avrebbe di gran lunga preferito evitare tutta quella situazione. Era stato il suo fratellastro, Luigi, che l’aveva letteralmente corrotta per convincerla a non lasciarlo solo. Il ragazzo si era preso una cotta per Alina ed era sicuro che lei ricambiasse, per questo era andato in macchina con lei, ma aveva bisogno della sua intelligente sorellastra per non fare la figura dello scemo.
    «Dai, prova a resistere un po’. Ti ho detto che è una sorpresa.» disse Caterina con la voce squillante.
    «E io ti ho detto che odio le sorprese.»
    «Fammi felice.»
    «Va bene.» si arrese Rebecca. «Almeno datemi qualche indizio.»
    «Staremo al chiuso, in un luogo pieno di fascino storico.»
    Giulio era uno di quei ragazzi che guidavano all’attacco e Lina dovette premere sull’acceleratore più di quanto fosse solita fare, aveva piovuto fino a dopo pranzo, quindi la strada era ancora bagnata e alla ragazza non piaceva vedere dove si fermava la lancetta del contachilometri. Borbottava come una pentola di fagioli a ogni curva e dopo quasi un quarto d’ora decise di rallentare.

    «Così li perdiamo.» disse Antonio che continuava a guardare fuori per cercare di riconoscere qualche posto.
    «Quando noteranno che non gli sto più dietro rallenteranno.» rispose polemica Lina. «Io ho un “Jimmino”, non una macchina di formula uno.»
    «Sì, Giulio va un po’ troppo veloce forse.»
    «Togli il forse.»
    «Ok , va un po’ troppo veloce. Non ti preoccupare, comunque noi sappiamo la strada.»
    «Io conosco la strada, tu sei capace di perderti anche al multisala.»
    «Sempre a rivangare il passato.»
    Caterina si mise più comoda sul sedile e vide sul tappetino una borsa, riconobbe che era quella che Lina portava a lezione e la prese mettendosela sulle ginocchia. Le due frequentavano la facoltà di storia moderna insieme e si erano incontrate proprio a lezione.
    «Ti prego, dimmi che ti sei dimenticata di togliere gli appunti del prof Malaguti dalla macchina. Dimmi che non li hai portati volutamente.»
    Lina guardò lo specchietto retrovisore e rise.
    «No, non ti preoccupare, li ho lasciati lì oggi quando sono tornata a casa.»
    «Ok, così va bene. Altrimenti avrei dovuto mettere fine alle tue sofferenze e spingerti giù dalla scogliera.»
    «Dunque stiamo andando alla scogliera.» fece Rebecca voltandosi di scatto per guardare la reazione di Caterina.
    «Cazzo, Cate.» disse Riccardo tirandole un colpo sulla spalla passando dietro ad Antonio.
    «Scusa, mi è scappato. Sì, stiamo andando verso la scogliera.»
    «Allora ricapitoliamo, scogliera, posto al chiuso pieno di fascino storico...»
    «Secondo me lo capisce in meno di cinque minuti.» disse Ricardo prendendo il cellulare per impostare il cronometro.
    «Secondo me no.» rispose Antonio.
    «Nemmeno secondo me. Che ne dici di una scommessa cugi?»
    «Ci sto, qual è la posta in gioco?»
    «Se vinciamo noi, stasera sarai il nostro maggiordomo e se vinci tu...»
    «Se vinco io sarete voi a fare quello che dico io. Mi sembra onesto.»
    Caterina annuì e guardò Antonio mettendogli una mano sulla coscia poco sopra al ginocchio. «Ci stai anche tu?» gli chiese con un sorriso che illuminò l’interno della macchina come se fosse stato giorno. Antonio si limitò ad annuire perché sentiva la gola talmente secca che dubitava fortemente sarebbe riuscito a dire qualcosa.
    «Le rovine del castello.» disse improvvisamente Rebecca interrompendo quella scenetta.
    «Come hai detto?»
    «Stiamo andando al vecchio castello abbandonato.»
    «Meno di un minuto cugina. Mi sa che questa sera sarete i miei servitori.»
    «Cazzo, ma è pazzesco.» urlò Caterina ridendo sguaiata. «Come hai fatto?»
    «Non è che ci fossero troppe alternative. Gli indizi che mi avete dato erano abbastanza chiari.»
    «Per te che sei un genio forse.»
    Dopo quasi cinque chilometri videro la Renegade che stava procedendo molto lentamente, Giulio si era accorto di averli seminati, aveva finalmente dato uno sguardo al contachilometri e aveva rallentato un po’. Appena vide arrivare anche il vecchio fuoristrada, accelerò e le due macchine procedettero in fila indiana verso la costa prendendo una stradina che si immetteva in un bosco.

    2


    La luna era piena e il cielo terso le permetteva di illuminare tutto. La scogliera brillava e il rumore delle onde del mare che si infrangevano sulle rocce taglienti si sentiva a quasi un chilometro di distanza. Il vento era freddo e l’aria salmastra era inumidita anche dalla pioggia della giornata. L’atmosfera era cristallizzata: tutto sembrava immobile e tranquillo nonostante la vita che si manifestava in milioni di forme intorno ai resti del grande castello che dominava la scogliera. Era un’imponente costruzione in pietra grigia screziata di verde a causa del muschio e dei licheni che erano nati sulle mura. Era stato costruito nel medioevo dal signore del luogo e durante il suo massimo splendore, era circondato da un piccolo villaggio di poche centinaia di anime. Era un castello molto grande e nonostante fosse stato lasciato a se stesso da moltissimo tempo, alcune stanze avevano mantenuto la loro anima.

    Un gabbiano era appollaiato al limitare del precipizio e guardava verso il mare mentre la luna continuava a salire in alto, stava per addormentarsi quando un forte rumore si avvicinò disturbandolo e costringendolo a prendere il volo per allontanarsi. Due macchine stavano avanzando lungo la vecchia strada sterrata andando verso il castello abbandonato. Erano un vecchio Jimmy bianco e una Renegade arancione, faceva una buffa impressione vederli viaggiare insieme in fila indiana, le ruote non alzavano polvere perché il terreno era ancora bagnato e la ragazza all’interno del Renegade teneva il finestrino aperto per far uscire il fumo della Malboro rossa che teneva tra le dita.
    «Alina, puoi sbrigarti a finire quel bastoncino di cancro? Mi fa freddo.» la voce del giovane ragazzo era squillante e la bella giovane si voltò nella macchina per regalargli un largo sorriso mentre faceva cadere la sigaretta accesa dalla fessura del finestrino.
    «Basta chiedere.» rispose facendo l’occhiolino.
    Alla guida c’era Giulio che teneva una mano sul volante e una sul cambio mentre rubava rapidi sguardi alla strada per osservare la ragazza dietro di lui. Amanda sembrava spaventata da quella situazione, ma erano tutti molto eccitati e la macchina continuava spedita a serpeggiare per la strada che attraversava le distese d’erba verde che ondeggiava al vento.
    Giulio Torri era un ventiquattrenne alto un metro e novanta per circa novanta chili di muscoli. Era molto bello, con gli occhi verdi e i capelli neri a spazzola a cui aveva colorato le punte di azzurro. Ciò che lo caratterizzava maggiormente era il suo fascino e carisma con cui riusciva facilmente ad ammaliare chiunque parlasse con lui. Aveva l’aspetto del cattivo ragazzo, ma nonostante tutto, godeva di un’ottima reputazione. Era il leader indiscusso del suo gruppetto che contava altri quattro giovani punk, si erano conosciuti durante l’adolescenza e avevano passato gli anni insieme formando un legame molto stretto.

    «Quanto manca ancora?» chiese Luigi da dietro portando il viso in avanti tra Giulio e Alina.
    «Siamo quasi arrivati.» rispose calmo Giulio e guardò la sua amica che indicò il rudere sulla scogliera.
    «Il castello di Aburius. Quella è la nostra meta.»
    «Ma non è proibito andarci?» chiese Amanda con una voce leggermente insicura. Amanda Gemmi era una ragazza di ventidue anni, era bassa e in carne, ma aveva un viso meraviglioso con le guance rosa e un sorriso solare. Aveva i capelli marroni e gli occhi nocciola, era nel coro della chiesa e aveva una voce celestiale.
    «Proibito è una parola forte. Diciamo che non è ben visto, ma se ci trovano al massimo ci dicono di andare via. E poi non vogliamo rovinare nulla, non siamo vandali.» rispose Giulio fissandola dallo specchietto retrovisore alzando un sopracciglio. Il quinto ragazzo all’interno del Renegade stava dormendo e il suo respiro pesante si perdeva sotto le note forti dei Nargaroth, si trattava di Mattia Carti, il miglior amico di Giulio, un ragazzo molto alto e magro con i lisci capelli neri lunghi fino a metà schiena. Aveva un carattere forte e impulsivo e preferiva stare zitto nella maggior parte delle situazioni, in realtà era un po’ una testa calda che aveva rubato il cuore a molte ragazze con la sua aria da bello e dannato.
    Quando arrivarono vicini al castello, parcheggiarono in mezzo all’erba e scesero. Il terreno era fangoso e i ragazzi rabbrividirono con l’aria frizzante di dicembre; Luigi aveva bisogno di sgranchirsi dopo il lungo viaggio e si stiracchiò alzandosi sulle punte dei piedi portando le mani in alto, con quel movimento gli si alzò la maglietta lasciando visibile la parte della pancia con l’ombelico e Alina sorrise avvicinandosi. Avvicinò la mano e gli tirò il ciuffetto di peli biondi che sporgevano. Il ragazzo fece uno scatto e lanciò un gridolino ben poco mascolino colto di sorpresa e tutti risero della scena.
    «Devi stare attento a mostrare tutta quella pelle, con questo freddo rischi di prenderti un brutto raffreddore.» disse la ragazza avvicinandosi a Luigi mentre si mordeva il labbro inferiore.
    Giulio tornò alla macchina per svegliare il bell’addormentato e il resto dei ragazzi si radunò vicino all’ingresso.
    «Ci siamo tutti?» chiese guardando i suoi amici uno per uno.
    Il gruppo di punk conosceva bene quel luogo, ma per gli altri cinque era la prima volta e avevano i nervi tesi come corde di violino. Quei ragazzi avevano iniziato a frequentare Giulio e i suoi amici relativamente di recente, ma avevano stretto amicizia in fretta nonostante le evidenti differenze.

    Antonio fu l’ultimo ad arrivare, era un ragazzo di venti anni molto grasso con i capelli marroni e gli occhi piccoli azzurri, era sempre stato molto introverso e aveva passato l’adolescenza chiuso in un mondo di videogiochi e amici on-line, qualche mese prima aveva conosciuto Riccardo mentre giocavano a Call of Duty ed erano diventati amici. Gli ci erano volute alcune settimane, ma alla fine aveva trovato il coraggio di uscire dal suo guscio e aveva incontrato gli altri trovando per la prima volta degli amici in carne ed ossa.
    «Perché siamo qui?» chiese Luigi guardando il castello diroccato.
    «Perché è un posto molto bello, non ci sono sguardi indiscreti ed è il luogo perfetto per una festa.» rispose Riccardo mettendogli un braccio sulle spalle.
    «Qual è il piano?» chiese Rebecca incrociando le braccia sul petto.
    «Ragazzi. Godetevi il momento.» fece Giulio mettendosi davanti a tutti. «Guardate che sera spettacolare abbiamo.»
    «Il piano è entrare, accendere il fuoco in uno dei camini e fare cena, poi dare il via alla musica e fare festa finché ne abbiamo voglia. Vi piace come piano?»
    «Mi sembra un buon piano.» rispose Luigi.
    «Che storia ha questo posto?»
    «Alina è la nostra esperta. Professoressa Shaba, perché non illustra la storia del castello a questi curiosi giovani?»

    La bella ragazza vestita di pelle nera avanzò salendo su un sasso poco distante, era una di quelle donne che sarebbe sembrata giovane in eterno, con la pelle di alabastro e i capelli corvini che apparivano come una cascata di seta. Aveva le labbra rosse e carnose e gli occhi ghiacciati che faceva risaltare con un trucco rosso scuro pesante.
    «Il castello è stato costruito durante il medioevo dal signore di questa zona, un certo Aburius. Il castello sembra fosse stato fatto con un disegno preciso per permettere al suo padrone di praticare arcani riti e messe nere.»
    «Aburius era un satanista?» chiese Antonio con la voce che tremava.
    «Non esattamente, definirei Aburius una persona curiosa. Non era schizzinoso, cercava di evocare chiunque potesse aiutarlo ad accrescere i suoi poteri.»
    «I suoi poteri?» chiese Rebecca.
    «Sì, era convinto di avere poteri magici e di essere un potente evocatore. La sua fama si espanse in ogni direzione e persino la chiesa decise di non intervenire per paura di quello che avrebbe potuto fare.»
    «Che fine ha fatto?»
    «Per quasi trent’anni continuò a praticare ogni sorta di rituale e arrivò un punto in cui i cittadini del villaggio non potevano più sopportare le continue pretese di sacrifici umani. Una notte entrarono nel castello uccidendo la sua milizia e assassinarono Aburius dando fuoco al suo laboratorio. Alcune leggende dicono che lo spirito dell’evocatore non ha mai lasciato questo posto.»
    «Il suo spirito?»
    «Sì, sembra che Aburius si aggiri come uno spettro tra le mura di questo castello alla ricerca di vittime sacrificali per completare il rito interrotto.»

    Il vento riprese a soffiare e i giovani si ritrovarono scossi dai brividi, ma non sapevano quanto fosse per il freddo e quanto per la storia, Luigi si portò le mani alla bocca e soffiò cercando di scaldarsi, l’aria fredda gli entrava sotto i vestiti e sentiva la lama gelida dell’inverno. Appena era sceso dalla macchina si era messo un cappello di lana, ma aveva iniziato a tremare come una foglia e Giulio lo vide.
    «Bene ragazzi, che ne dite di continuare questa storia dentro? Magari accendiamo un fuoco nel camino e beviamo qualcosa.»
    «Mi sembra una buona idea, amico mio.» rispose Luigi continuando a sfregarsi le mani tra loro.
    «Tutti dentro allora.»

    I dieci ragazzi si mossero insieme, ma quando raggiunsero il portone d’ingresso chiuso con le transenne, cinque si fermarono e aspettarono che il gruppo punk entrasse per primo, poi si scambiarono un’occhiata tra loro e seguirono i loro amici. Si ritrovarono in un grande cortile interno costellato di archi da cui era possibile vedere l’interno della struttura, probabilmente quella parte veniva utilizzata dalle guardie del signore, per tenere gli animali delle cucine del castello e per i cavalli.
    I cinque punk si muovevano agilmente per le stanze di quel castello, era evidente che conoscessero quel luogo molto bene, non era certo la prima volta che andavano lì a fare festa. Guidarono i loro nuovi amici lungo le scale fino al piano superiore. Il secondo piano era messo molto meglio del pian terreno, le mura erano praticamente tutte intatte, alcuni mobili stavano ancora dove erano stati messi dal proprietario del castello e le finestre avevano i vetri.
    «Dove ci mettiamo?» chiese Lina con lo sguardo perso a fissare l’enorme salone, trascinava i piedi e quando sentì una pietra più liscia abbassò gli occhi vedendo che il pavimento non era uniforme. In mezzo alle pietre grigio scuro, c’erano stati messi dei blocchi di marmo bianco che formavano una figura geometrica. Era troppo grande per capire cosa fosse da quella posizione.
    Alina andò da lei prendendola sotto braccio e la ragazza provò esattamente quello che aveva provato Antonio in macchina stando vicino a Caterina. Non aveva mai detto a nessuno del suo orientamento, ma aveva paura che in presenza di quella ragazza, non sarebbe riuscita a controllarsi.

    «Quando siamo venuti qui la prima volta, abbiamo fatto una scoperta eccezionale.»
    «Che scoperta?» chiese la giovane con un filo di voce senza riuscire a distogliere lo sguardo dalle perfette labbra della sua compagna.
    «Non noti niente di strano in questo salone?»
    «Aspetta.» urlò Caterina e la sua voce rimbombò ovunque arrivando in saturazione e facendo chiudere gli occhi dei suoi amici dal fastidio.
    «Cazzo, Cate. Quante volte te lo devo dire? Abbassa la voce, ti sentiamo, non siamo sordi.» disse Giulio tenendo gli occhi stretti.
    «Scusate. Colpa mia.»
    «Cosa devo aspettare?»
    «Vediamo se Rebecca ci arriva.»
    «È da quando siamo in macchina che tu e tuo cugino mi trattate come una sorta di fenomeno da baraccone.»
    «Cosa c’è? Ti vergogni?»
    Tutti gli occhi furono per lei e la ragazza si sentì a disagio stando al centro dell’attenzione, scosse la testa e i suoi orecchini andarono a destra e a sinistra, si rimise a posto gli occhiali e sospirò.
    «Ok, cosa dovrei capire?»
    Caterina squittì e guardò i suoi compagni. Mattia fece un passo avanti e fece uno dei suoi rari sorrisi, aveva i denti bianchissimi e i canini sottili erano più lunghi del normale rendendo il suo volto quasi affilato.
    «Guarda questa stanza e dicci se noti qualcosa di strano. Facci vedere se sei veramente così intelligente come ti piace far credere.»
    A Rebecca non piaceva quella situazione, ma doveva ammettere che le sfide la stimolavano, quindi sbuffò e si arrese iniziando a osservare ogni particolare. La sala era un enorme rettangolo con i lati lunghi occupati dalle scale e da un soppalco che in origine doveva essere stato una sorta di matroneo. Anche lei aveva notato le strisce di marmo bianco, ma non riusciva a vedere il disegno completo, doveva salire più in alto per riuscirci, quindi si avviò verso le scale che conducevano al soppalco mentre tutti gli altri trattenevano il respiro. A sinistra c’era una parete aperta da quattro archi che immetteva in una stanza piena di arazzi e a destra c’era un muro di pietra liscio. Degli stemmi di grandezza diversa erano appesi a intervalli regolari, da quella distanza non era facile da dire, ma sembrava che fossero perfettamente allineati tra le due pareti.

    La ragazza salì le scale e stette attenta a dove metteva i piedi, le assi del matroneo scricchiolavano e si lamentavano sotto il suo peso, ma sembravano reggere senza problemi. Arrivò fino alla ringhiera e guardò sotto. Era al centro del soppalco e da lì dominava tutta la camera, vedeva le colonne alla fine della stanza e le statue messe in maniera simmetrica alle porte, c’era un enorme lampadario che pendeva dal soffitto, ma strizzando gli occhi, Rebecca notò che c’era l’aggancio per un secondo, messo in maniera speculare. Guardando a destra e a sinistra sembrava quasi che qualcuno avesse messo uno specchio in mezzo alla stanza.

    Le strisce di marmo formavano una stella a cinque punte, un pentacolo bianco in mezzo alle pietre scure che da lì sembravano nere. In effetti c’era qualcosa che non le tornava, una nota stonata in una complessa sinfonia. Ogni oggetto era stato messo in maniera speculare in quel salone, ma la struttura della stanza invece non lo era. Quella cosa non aveva senso. Perché fare una cosa così maniacale in una stanza non simmetrica? La risposta era anche troppo banale e Rebecca sorrise scendendo le scale del matroneo per tornare nel salone sotto gli sguardi attenti dei suoi amici. Chi sapeva già la soluzione a quell’indovinello aveva un sorriso divertito e a stento tratteneva l’eccitazione di vedere la ragazza muoversi nella direzione giusta. Gli altri invece trattenevano il respiro senza riuscire a capire cosa stesse succedendo.
    «Cosa c’è?» chiese Luigi alla sorellastra togliendosi il cappello di lana e passandosi una mano tra i capelli biondi arruffati. Luigi era un ragazzo allampanato con i capelli mossi biondi e gli occhi azzurri. Aveva le sopracciglia tanto chiare da sembrare senza e la barba gli cresceva con venature di rosso. Si avvicinò a Rebecca, ma lei gli fece segno di rimanere in silenzio.
    «Aspetta, credo di aver capito.»
    La ragazza raggiunse la parete che non la convinceva e si mise a passare una mano lungo il perimetro, scuoteva la testa e cercava qualsiasi indizio di qualcosa fuori posto.
    «Cosa sta cercando?» sussurrò Amanda a Lina.
    «Non lo so proprio.»

    Rebecca non riusciva a capire dove fosse il trucco, ma non aveva intenzione di arrendersi, continuò a sfiorare la superficie della roccia con le dita finché non toccò uno degli stemmi di metallo. Sorrise e si girò per controllare quelli che erano dall’altra parte. Erano abbastanza distanti e non riusciva a vederli nel dettaglio, ma riusciva comunque a vedere che non erano posti nello stesso ordine di quelli che aveva davanti.
    Provò a staccarne uno dal muro e vide che il gancio continuava all’interno della parete.
    «Banale.» sussurrò crogiolandosi negli sguardi brillanti dei suoi amici.
    Posizionò gli stemmi in modo che fossero speculari anche quelli e un fortissimo rumore sordo inondò il salone. Era il movimento di alcuni ingranaggi, evidentemente gli stemmi erano posizionati su un dispositivo meccanico che si metteva in funzione in base al loro ordine. Era una specie di combinazione data dal peso di ogni specifico stemma. Quando l’ingranaggio finì il suo giro, un suono assordante costrinse Rebecca ad allontanarsi mentre delle fessure si aprivano nel muro rivelando quattro ingressi uguali agli archi della sala degli arazzi.
    Le porte immettevano in una stanza segreta e adesso tutto era veramente e perfettamente speculare.
    Rebecca sorrise e si voltò verso i suoi compagni per godersi gli sguardi di ammirazione.
    «Sei stata spettacolare.» disse Giulio.
    Mattia non aveva creduto veramente che la ragazza potesse arrivare alla soluzione dell’indovinello, ma non solo ce l’aveva fatta, era stata anche molto veloce. Alzò le mani in aria e sorrise.
    «Le devo le mie scuse miss, credo di averla largamente sottovalutata.»
    Il ragazzo si avvicinò a Rebecca e le prese la mano facendo una specie di mezzo inchino dandole poi un bacio sul dorso. In qualsiasi altra situazione sarebbe stato fuori luogo e ridicolo, ma in quel momento riuscì a far arrossire la ragazza che abbassò lo sguardo.
    «Ma che stanza è questa?» chiese Antonio andando avanti.
    «Ragazzi, benvenuti nella biblioteca segreta di Aburius.»

    3



    La biblioteca poteva sembrare sigillata dai tempi di Aburius, ma quei ragazzi l’avevano scoperta ormai da più di un anno e avevano ripulito la stanza eleggendola a loro nascondiglio segreto, era molto pulita e vicino al caminetto c’era una catasta di legna pronta per il fuoco. Le pareti erano completamente rivestite di mensole e librerie ricolme di volumi e libroni di tutte le dimensioni e colori, una grande scrivania regnava vicino al caminetto con un calamaio da cui spuntava una lunga piuma rossa. Al centro c’erano due divani di velluto bordeaux e dietro alla sedia del tavolo c’era una bellissima pendola di legno alta quasi due metri. Il peso era rivestito d’oro e oscillava perfettamente a destra e a sinistra mentre le lancette d’argento segnavano l’ora con precisione. I ragazzi avevano rimesso a posto quell’orologio prestandogli particolare attenzione.
    Luigi prese il cellulare per fare un video e notò che non aveva campo.

    «Ragazzi, voi avete segnale?» chiese distratto.
    «No, qui sulla scogliera i cellulari non funzionano e ancora meno dentro queste mura.» rispose Riccardo annuendo mentre si avviava ad accendere il fuoco.
    «Non ti preoccupare, credo che non rimpiangerai quella diavoleria.» gli disse Alina prendendogli il telefono e mettendoglielo nella tasca dei pantaloni infilandoci anche la mano per meno di un secondo. Il ragazzo trattenne il respiro e fissò la dea che aveva davanti che si voltò dopo avergli fatto un mezzo sorriso. Giulio andò fino a un vecchio mobile di legno di ciliegio che era alla sinistra della scrivania, aprì le ante e mostrò al gruppo bottiglie moderne di alcolici.
    «Direi che possiamo dare il via alla festa.»
    Caterina accese il suo lettore mp3 che aveva collegato alle casse e i Rammstein gridarono nella biblioteca rimbombando nelle viscere del castello. Mattia portò i bicchieri all’amico che li riempì di vodka e poi li distribuì a tutti.
    «A noi ragazzi.»
    Tutti alzarono i bicchieri.
    «A noi.» dissero a voce alta all’unisono.

    Alina, Giulio e Mattia bevvero il loro drink alla goccia e Caterina li incitò esultando per loro, poi guardarono gli altri cinque che provarono a dare un piccolo sorso. Luigi voleva dimostrare di essere alla loro altezza e provò a mandare giù tutto d’un fiato, ma il liquido era come fuoco nella sua gola e il poveretto iniziò a tossire sputando la vodka accompagnato dalle risate di tutti.
    «Vacci piano samurai.» gli disse Rebecca prendendogli il bicchiere per evitare che buttasse in terra anche quel poco che era rimasto.
    «Mi è andata di traverso.» provò a giustificarsi.
    «Certo, lo sappiamo.» rispose Riccardo facendo un occhiolino ad Antonio che aveva iniziato a ridere sciogliendosi un po’.
    «Aspettate.» disse Giulio mandando giù un secondo bicchiere e fermando la musica. «C’è una cosa che volevo fare da quando siamo entrati.»
    Aveva attirato l’attenzione di tutto il gruppo e rimase in silenzio qualche secondo sorridendo malizioso.
    «Per l’amor del cielo Giulio, vuoi dirci cos’è?»
    «Avete sentito che acustica c’è nel salone?»
    «Sì, e allora?»
    «Vorrei chiedere ad Amanda se ci canta qualcosa.»
    Amanda arrossì visibilmente e fece un sorriso mentre scuoteva a destra e a sinistra la testa.
    «Sai cantare?» le chiese Riccardo sorpreso.
    «Canto nel coro della chiesa.»
    «L’ho sentita la prima volta durante il concerto di Natale: ha una voce a dir poco angelica.»
    «Davvero mi hai sentita?» chiese la giovane.
    «Certo e vorrei veramente sentirti ancora. Ci concedi un concerto solo per noi?»
    La pendola mandò i rintocchi e suonò le nove della sera cogliendo alla sprovvista i cinque ragazzi che sussultarono per poi sorridere della scena.
    «Non lo so... Non so se ce la faccio.»
    Giulio abbassò lo sguardo per poi alzarlo lentamente incontrando i suoi occhi, aveva qualcosa di magnetico e la giovane rimase come ipnotizzata. Fece due passi verso di lei e le strinse la mano in cui teneva il bicchiere, glielo portò alla bocca e strinse la mascella.
    «Bevi un sorso, se non avrai ancora il coraggio, non insisto oltre, ma mi piacerebbe davvero sentire la tua voce che rimbalza sulle pareti del salone.»

    Caterina era eccitata dalla scena e tirò una gomitata a Lina che le era vicino.
    Amanda dischiuse le labbra e mandò giù un sorso di vodka, poi due.
    «Vacci piano.» disse con la voce bassa Giulio mentre le allontanava il bicchiere con un sorriso. Era più alto di lei di quasi trenta centimetri, ma non la stava sovrastando.
    «Ok, ci provo.» disse alla fine la ragazza prendendo un profondo respiro.
    Alina fece un grido di esultanza e Luigi iniziò ad applaudire seguito anche dagli altri.
    Amanda camminò fuori dalla biblioteca e entrò nel salone, Giulio le arrivò da dietro e le prese la mano portandola fino al centro.
    «Cosa volete che canti?»
    «Hallelujah di Cohen.» disse Mattia senza lasciare agli altri il tempo di pensare.
    «Sì, mi sembra una bella richiesta, te la senti Amanda?»
    La ragazza sorrise annuendo e prese un profondo respiro cercando di calmarsi. Per un cantante l’ansia è la peggior nemica perché porta via ossigeno, inizi a respirare velocemente prendendo poca aria per volta e rischi di andare in iperventilazione. La voce salta e a quel punto è impossibile essere intonati. Giulio capì cosa stava succedendo e strinse le mani della giovane.
    «Non ti preoccupare, ci sono io qui. Canta per me.» le sussurrò. I suoi occhi erano come due smeraldi colpiti dalla luce e Amanda si concentrò su quelli dimenticandosi tutto il resto. Aprì la bocca e iniziò a cantare dando i brividi a tutti i presenti. Il ragazzo aveva detto il vero, Amanda aveva davvero una voce celestiale, con la capacità di entrarti sotto pelle. L’acustica della stanza lo rendeva ancora più meraviglioso, vedevano la ragazza davanti a loro, ma sentivano la sua voce in ogni direzione, arrivava da dietro e di lato. Quando chiudevano gli occhi sembrava quasi che fosse un suono naturale che usciva spontaneamente dall’aria. La passione che ci metteva Amanda dava ancora più potenza alla canzone e quando finì Giulio la guardò negli occhi, le accarezzò il volto e si chinò per darle un bacio. Il gruppo li prese in giro iniziando a ridere, ma alla coppia non importava nulla, non esisteva niente all’infuori di quel momento.

    Gli altri otto decisero di lasciare loro qualche secondo e ritornarono sghignazzando nella biblioteca dove Alina riaccese la musica. Le note di Benzin, soprattutto dopo la canzone di Amanda, lasciarono storditi i giovani, ma si ripresero in fretta e iniziarono a ballare vicino al fuoco con un nuovo bicchiere di vodka in mano. Quando Giulio si allontanò dal bacio Amanda aveva lo sguardo perso, stava veramente vivendo un sogno, era lì con il più bel ragazzo che avesse mai visto e lui aveva scelto lei, solo lei.
    «Grazie per la canzone.» le disse sfiorandole ancora il volto e mettendole un ciuffo di capelli dietro l’orecchio. Lei aveva una mano appoggiata al suo petto e sentiva il cuore che batteva, avrebbe voluto che quel momento potesse durare per sempre. «Torniamo dagli altri.»
    Antonio era seduto sulla poltrona e stava mangiando un pezzo di pizza che Mattia aveva messo sulla scrivania insieme alle altre cose da mangiare che avevano portato. Rebecca non era più molto interessata alla festa in sé, era girata verso il muro di tomi che ricopriva la parete e leggeva velocemente i titoli affascinata da tutto quel sapere dimenticato. Da dietro le si avvicinò Mattia e attirò la sua attenzione per poi indicare una bottiglia.
    «No, grazie. Per adesso ho bevuto anche troppo.»
    Il ragazzo si umettò le labbra e sorrise capovolgendo la bottiglia mostrando che era vuota.
    «Ragazzi, chi vuole fare il gioco della bottiglia?»

    Rebecca rimase di sasso a quella frase, doveva ammettere che la situazione la incuriosiva, non si era mai trovata in una cosa del genere e il non avere il controllo la spaventava e eccitava allo stesso tempo.
    «No grazie, passo. Non l’ho fatto quando avevo quattordici anni, non lo farò ora.»
    «E dai, hai paura di qualche bacetto?»
    «Scambio di saliva e batteri con persone che conosco da poco e che potrebbero avere Dio solo sa cosa? No, perché dovrei temere una cosa del genere?» Mattia iniziò a ridere e fu un suono più scomposto di quello che si sarebbe aspettata.
    «Potrebbero avere Dio solo sa cosa? Devi ammettere perfino tu che qui hai un po’ esagerato.»
    «Dai Rebecca non fare la pallosa.» le urlò scherzando il fratellastro che le fece un cenno verso Alina appena incontrò il suo sguardo.
    «Se lei non gioca, non gioco nemmeno io.» disse Caterina facendo di no con la testa.
    In quel momento anche Antonio si voltò verso Rebecca e ancora una volta, la pressione del gruppo ebbe la meglio.
    «E va bene, viviamo una seconda adolescenza però non fumerò marijuana, sia chiaro.»
    Tutti iniziarono a ridere a quelle parole e Mattia alzò le sopracciglia. «Non ti preoccupare genietto, non potrei mai permettere di farti perdere anche solo uno di quei tuoi meravigliosi neuroni, non contro la tua volontà, comunque.»
    Le allungò la mano, ma lei ammiccò e andò verso il centro della stanza ignorandola, gli passò molto vicino sfiorandogli il braccio con la spalla e non lo guardò nemmeno. Mattia sorrise stringendo gli occhi e piegò la testa di lato seguendo il movimento della ragazza, l’aveva sottovalutata nuovamente: ci sapeva fare anche in quel campo.
    «Mi dispiace Mattia, ma ha vinto lei su tutta la linea.» disse Riccardo.
    I dieci ragazzi si disposero in cerchio sul pavimento vicino al fuoco che scoppiettava nel camino, le fiamme davano un bel tepore e tutta la stanza sembrava staccata dal resto del mondo. Mattia fu l’ultimo a sedersi e mise la bottiglia al centro tra le risate dei suoi amici; l’aria era carica di emozione e di ansia, Antonio non riusciva quasi a respirare e aveva i palmi completamente sudati. Era molto al di fuori della sua zona di sicurezza, stava provando ad avere coraggio, ma non sapeva se sarebbe stato capace di affrontare tutta quella situazione senza svenire da un momento all’altro.

    «Chi inizia?» chiese Luigi.
    Caterina allungò la mano e fece ruotare la bottiglia senza aspettare una risposta, la biblioteca piombò nel silenzio e il suono del vetro che sfregava sul pavimento regnò sovrano. Iniziò a rallentare e i ragazzi trattennero il fiato. Ogni volta che passava davanti ad Antonio, il giovane sentiva il cuore mancare un battito e si scoprì a pregare che si fermasse indicando lui. Andò sempre più piano e si fermò davanti a Mattia.
    «No…» disse Caterina con una smorfia.
    «Mi dispiace che tu debba baciare il “mostro della laguna nera”.»
    La ragazza rise, un suono solare che mise allegria, e si allungò mettendosi sui ginocchi per raggiungere il giovane, Mattia si sporse leggermente in avanti e i due si dettero un bacio sulle labbra sfiorandosi.
    «Cos’era quello?» chiese Alina tirando al centro un tovagliolo appallottolato, fischiò di disapprovazione e rise battendo le mani.
    Mattia fece di no con la testa e girò la bottiglia che si fermò davanti a Lina.
    Era evidente che la ragazza fosse in imbarazzo e il giovane le sorrise e si allungò, la vide rimanere ferma e allora gattonò fino a lei, si muoveva agilmente e anche se era una scena ridicola, sembrava quasi un felino. Le arrivò vicino e le sfiorò il viso con il naso, appoggiò la bocca sulla sua e le dette un bacio a fior di labbra.
    «Non era così terribile dai.»
    Lina si sforzò di sorridere e si passò una mano tra i lunghi capelli ramati respirando profondamente.
    «Gira la bottiglia, tocca a te.»
    La ragazza aveva paura a fare quel gioco, ma aveva deciso di affrontare tutte le situazioni che le facevano paura, non voleva rimanere per sempre rinchiusa nei suoi timori senza vivere veramente, quindi afferrò la bottiglia stringendola un poco. Il liscio vetro era freddo, ma lei lo sentiva quasi bollente. La fece girare e rimase in apnea.
    Iniziò a rallentare e si fermò davanti ad Alina. Il suo cuore si fermò e rimase impietrita senza sapere cosa fare. Alina si alzò con un sorriso sardonico e camminò ancheggiando per avvicinarsi, passò lentamente dietro ai ragazzi sfiorandoli con la mano che ondeggiava distratta e raggiunse Lina, si mise in ginocchio vicino a lei e le accarezzò il viso mettendole una mano dietro al collo con un tocco delicato.
    «Facciamo vedere a questi puritani come si danno i baci.» disse con una voce morbida che dette i brividi alla ragazza. Tutti rimasero in silenzio e Alina si avvicinò chiudendo gli occhi, dischiuse le labbra e guidò la mano di Lina portandosela sulle spalle. Fu molto più di un gioco innocente e le due ragazze si baciarono a lungo.

    «Volete che vi lasciamo da sole oppure possiamo rimanere a guardare?» chiese Riccardo tirando due colpetti complici a Luigi che era vicino. A quella battuta Lina si staccò, era a dir poco frastornata e non riusciva a smettere di guardare le labbra rosse della giovane albanese che le sorrideva. Le fece un occhiolino e tornò al suo posto.
    Il gioco continuò e quando fu il turno di Riccardo la bottiglia si fermò davanti ad Antonio e tutti risero. Il ragazzo si fece avanti, mise una mano davanti alla bocca e poi spinse sulle labbra dell’amico che non riusciva a smettere di ridere imbarazzato.
    «No, così non va bene.» disse Alina. «Le labbra si devono toccare. Com’è che se sono due ragazze va tutto bene, ma voi due non potete? Questo è invalidato.»
    «Non era scritto nelle regole. Mi dispiace.»
    «No, ragazzi, chi vota per invalidarlo?»
    Tutti alzarono la mano e i due rimasero a fissarli senza riuscire a dire nulla.
    «E dai. Non potete farlo.»
    Alina iniziò a gridare “bacio” e tutti le andarono dietro senza mostrare pietà.
    «Togliamoci il pensiero.» disse Riccardo girandosi verso Antonio. «Sei pronto?»
    Antonio si limitò a fare di no con la testa e Riccardo si mosse veloce andando a posare le labbra su quelle dell’amico, nel tentativo di fare in fretta prese male le misure e si scontrarono.
    «Calmati cugi, capisco la passione, ma così esageri.»
    Tutti iniziarono a ridere e Caterina si avvicinò ad Antonio. «Fammi controllare, ti ha preso il naso?»
    «Sto bene, non ti preoccupare.»
    «Ok, questo gioco sta diventando pericoloso. Cosa facciamo adesso?» disse Giulio togliendo la bottiglia dal centro. Erano quasi le undici di sera, ma nessuno aveva ancora voglia di tornare a casa, avevano previsto anche la possibilità di dormire fuori, quindi sentivano che quella notte apparteneva a loro.

    Rebecca si alzò massaggiandosi le gambe che si erano addormentate per essere state a lungo piegate, aveva voglia di tornare a vedere i libri, Mattia uscì per andare a prendere una borsa che avevano lasciato in macchina e Giulio raggiunse Antonio che era tornato a mangiare la pizza avanzata. Lina continuava a fissare Alina, era rimasta frastornata dall’esperienza che aveva appena vissuto e non era in grado ancora di muoversi e pensare lucidamente. Amanda se ne era accorta e le si sedette vicina mentre gli altri andarono sul divanetto in velluto rosso vicino al tavolo degli alcolici.
    «Perché non me lo avevi detto?» le sussurrò toccandole un braccio. Lei e Lina si conoscevano da quando erano bambine, erano sempre state vicine di casa e avevano passato intere estati a parlarsi con il telefono senza fili che collegava le due camerette.
    «Che cosa avrei dovuto dirti?»
    «Che ti piace Alina.»
    Lina la fissò senza riuscire a dire nulla, aveva gli occhi umidi e respirava velocemente. Non era mai riuscita nemmeno a dare una forma nella sua mente a quelle sensazioni e la sua amica l’aveva messa così brutalmente davanti alla realtà da lasciarla senza fiato. Amanda le strinse la mano e sorrise.
    «Da come ti ha baciata non credo che sia del tutto indifferente.»
    «Lo credi veramente?»
    Si voltarono a guardarla mentre stava ballando ignorando i tentativi maldestri di Luigi per attirare la sua attenzione e Amanda ammiccò. «Non so com’è fatta Alina, ma penso sia una di quelle persone totalmente aperte a questo genere di cose. Non credo che tu corra rischi a provarci, d’altro canto, se non fai nulla, potresti rimpiangerlo. Prima della fine potrebbe cedere alle lusinghe di Luigi.»
    «Quindi cosa devo fare?»
    «Quello che ti senti di fare Lina. Vai a ballare con lei, oppure parlale.»

    «Mi è venuta un’idea.» disse Caterina quando fu ritornato anche Mattia. Spense la musica e ignorò lo sguardo di disapprovazione di Alina. «Vi andrebbe di fare una cosa che probabilmente nessuno di noi fa più da quando eravamo bambini?»
    «Cos’hai in mente?»
    Alla ragazza brillarono gli occhi e si morse le labbra eccitata. «Che ne dite di una partita a nascondino?»

    4



    Nessuno fu troppo entusiasta di quell’idea, ma quando fu proposto di giocare a squadre, la maggior parte del gruppo cambiò idea. Tutti avevano una o più ragioni per voler rimanere da soli con qualcun altro.
    Luigi e Lina fecero un passo avanti insieme e dissero contemporaneamente «Io sto con Alina.»
    La ragazza apprezzò la scena e sembrò arrossire, anche se tutti sapevano che doveva essere abituata a cose del genere. «Calmatevi ragazzi, c’è abbastanza Alina per tutti voi.» disse Riccardo cercando di soffocare le risate mentre la cugina gli tirava gomitate.
    «No, così non sono equilibrate. Io dico di far scegliere al caso.» disse Giulio andando al tavolo e strappando un tovagliolo per ricavarne cinque pezzetti, sulla sinistra c’era una penna e la usò per scrivere il suo nome e quello dei suoi amici punk.
    «Ok, Lina, vai per prima e pesca un nome.»
    La ragazza si voltò imbarazzata, ma poi fece di sì con la testa e pescò un bigliettino dalle mani del ragazzo aperte a calice.
    «Mattia.»
    «Perfetto, rossa. Li stracceremo.» disse il giovane mentre si faceva uno stretto chignon.
    «Amanda, è il tuo turno.»
    La ragazza fece un passo avanti e fissò Giulio negli occhi sperando con tutto il suo cuore di vedere il suo nome sul bigliettino.
    «Caterina.»
    Antonio sospirò deluso e abbassò lo sguardo, non era mai stato bravo a nascondino, non era veloce a correre e con la sua stazza aveva sempre avuto problemi a nascondersi, il suo interesse per quel gioco in quel momento era dato solo dalla possibilità di poter stare con Caterina, quindi ormai non esercitava più attrattive.
    «Signor Bozzi, prego.»
    Luigi aveva ancora una probabilità piuttosto alta di finire in coppia con la sua beniamina e incrociò le dita andando a pescare.
    «Riccardo.» disse con la voce delusa.
    «Oh, mi dispiace essere una scelta così tremenda, se vuoi proverò ad essere la tua Alina.» disse Riccardo facendo una linguaccia.
    «Signor Mirizio.» disse Giulio avvicinandosi ad Antonio.
    «Giulio.» lesse con una voce atona. «Sappi che sarai svantaggiato ad essere in squadra con me.»
    «Ma finiscila, siamo qui per divertirci, non è che vinciamo soldi.»
    «E quindi io sono con il genio del castello. Lei ha il cervello io ho le tette, chi ci potrà mai fermare?» Alina andò fino a Rebecca e le mise una mano sulle spalle per poi scendere e tenerla dal fianco. «Non ti preoccupare, vinceremo noi.»
    «Ok, decidiamo le regole.»
    «Direi di rimanere dentro il castello, fuori non vale. Non avventuriamoci sopra le torri, ho paura che potrebbero essere poco stabili.»
    «Dov’è la bomba?» chiese Lina sentendosi ridicola appena lo disse, erano decenni che nessuno di loro usava quei termini.
    «Io direi qui in biblioteca.»
    «Ok, mi sembra ragionevole. Non è valido che la squadra che conta si divida in modo che uno resti sempre alla bomba, tutti e due devono andare a cercare.»
    «Sta bene. Però allora non basta uno solo della squadra per liberare anche il compagno.»
    «Ok. Cos’altro?»
    «A questo punto l’ultimo che rimane può liberare tutti gli altri?»
    «Ok, però non è valido nascondersi troppo vicino alla biblioteca.»
    «No, hai ragione, allora escludiamo anche questo piano.»
    «Direi che ci siamo.»
    «Chi conta?»
    Rebecca si ritrovò a sorridere, era veramente una scena che non sarebbe mai riuscita a prevedere, dieci ragazzi adulti così diversi tra di loro che discutevano eccitati per una partita a nascondino. Era una cosa semplicemente spettacolare. Qualcosa di più unico che raro.
    Giulio riprese tutti i bigliettini e li mischiò nelle mani. «Qualcuno peschi un nome.»
    Lina era la più vicina e allungò la mano mescolando ancora i bigliettini prima di sceglierne uno.
    «Giulio.»
    «Che culo.» rispose rapido lui con un sorriso. «Ok Antonio. Restiamo qui mentre loro si vanno a nascondere, direi di concedere quindici minuti. La pizza era tanto fredda? Ah ragazzi, prendete una torcia per uno, non vorrei che qualcuno si facesse male perché non ha visto un mobile rotto.»
    Il ragazzo andò verso il tavolo dando le spalle agli amici che iniziarono subito a correre presi dall’eccitazione dopo aver preso una torcia dalla scatola che aveva portato Mattia. Sembravano bambini piccoli la mattina di Natale. Caterina non riusciva a trattenersi e trascinava Amanda ridendo sguaiata e lanciando urletti acuti che si allontanarono fino a scomparire.
    «Quelle due non resteranno nascoste a lungo temo.» disse Luigi.
    «Non importa, le useremo come esche, cerchiamo di restare vicini a loro.»
    Mattia fece un cenno a Lina dicendole di stare in silenzio e la prese per mano uscendo dalla biblioteca con un passo felpato. Alina fece un cenno verso il ragazzo che si allontanava credendosi un ninja e ammiccò a Rebecca scuotendo la testa.
    «Si crede l’ultimo samurai. Andiamo, facciamo vedere a tutti questi buffoni come si gioca veramente a nascondino.»
    «Ciao ragazze, appena avrete lasciato la biblioteca facciamo partire il conto alla rovescia.»
    Alina gli fece un gesto come se avesse avuto una pistola e uscì seguita da Rebecca, Giulio e Antonio rimasero da soli e si misero a sedere davanti al fuoco mangiando gli ultimi spicchi di pizza ormai gelida.
    Era sceso un silenzio pesante e Antonio non aveva idea di come sbloccare la situazione, dal canto suo Giulio non doveva considerarla fastidiosa perché non stava facendo niente per rompere quello stallo. Dopo qualche minuto passato a spostare gli occhi sugli scaffali pieni di strani libri dai titoli incomprensibili, decise di iniziare una conversazione anche solo di circostanza, qualcosa per non rimanere in quel silenzio che lo faceva sentire a disagio.
    «Quando avete scoperto questo posto?»
    «Come? Ah dici della biblioteca?»
    «Sì.»
    «Credo sia successo quasi un anno fa ormai. Teniamo d’occhio l’ora, non vorrei regalare loro troppo tempo.»
    «Come avete fatto a capire che c’era una stanza nascosta?»
    Giulio si voltò verso il suo amico e sorrise, non sapeva se fosse una buona idea scoprire le sue carte così presto, ma ormai era andato tutto esattamente come aveva pianificato e non vedeva più motivi per tenere Antonio all’oscuro. Alla fine gli era anche simpatico e meritava almeno la sua sincerità.
    «Alina è una grande appassionata di occultismo.»
    «Come?»
    «Sì, inizialmente non la prendevo sul serio, anzi, a dir la verità la prendevo per il culo per tutte quelle sue puttanate, o almeno io le consideravo tali. Insomma si era fissata con la storia di questo Aburius.»
    «Il proprietario del castello, giusto?»
    «Corretto ragazzone. Ci ruppe le scatole per mesi interi. “Andiamo a visitare questo castello.”» scimmiottava la sua amica facendo una voce in falsetto molto ridicola che non assomigliava minimamente a quella vellutata della ragazza, ma strappò un sorriso ad Antonio. «Noi le dicevamo di no. ma lei: “Dai, dobbiamo riuscire a trovare la sua biblioteca segreta.”»
    «Sapeva della biblioteca?»
    «Non esattamente, c’era una leggenda che ne parlava, ma nessuno l’aveva mai vista. Mi sembra molto strano che con i mezzi che ci sono oggi non sia mai arrivato qualcuno con un fottuto metal detector o un qualsiasi altro macchinario per analizzare le mura, ma fatto sta che questa biblioteca era rimasta chiusa dal giorno in cui fu sigillata dallo stesso Aburius.»
    «L’avete trovata subito come ha fatto Rebecca?»
    Giulio iniziò a ridere di gusto. «No, quello che ha fatto Rebecca è stato incredibile, ci ha fatto rimanere con un palmo di naso, ti assicuro.»
    «Perché?»
    «Noi abbiamo impiegato mesi di ricerche, e sapevamo anche cosa cercare. Rebecca è salita su quel dannato soppalco ed è arrivata alla risposta con una velocità che ci ha sconvolto.»
    «Quindi come l’avete capito?»
    «Caterina aveva accesso a molti libri a consultazione limitata grazie al suo lascia passare studentesco, riuscimmo a mettere le mani sul diario di un certo Ferrer, un avvocato spagnolo che era stato ospite di Aburius in più occasioni.»
    «Era un libro importante?»
    «Avevamo iniziato a leggere tutto quello che riguardava questo castello, scoprimmo che c’erano alcuni passaggi segreti, come uno che dalla base della torre a sud porta direttamente in una grotta nascosta sul mare, ma su questo ci torno dopo. Con il passare del tempo avevamo iniziato a perdere le speranze, ma Alina sa essere molto motivante e convincente se vuole.»
    «E avete continuato.»
    Giulio aveva una strana luce negli occhi mentre ricordava quella storia, la sua voce era molto calda e profonda e Antonio si sentiva finalmente a suo agio. «Esatto. Abbiamo continuato, e alla fine trovammo quel diario. Al suo interno c’era una descrizione della biblioteca in questione, Ferrer disse di aver discusso con il signore delle accuse ingiustificate di aver praticato sacrifici umani, all’interno di una meravigliosa biblioteca.»
    «Quindi l’avete trovata così.»
    «No purtroppo, sarebbe stato troppo semplice. Ferrer non aveva dato nessuna indicazione su dove potesse essere la biblioteca, ma almeno avevamo avuto una prova della sua esistenza. A quel punto iniziammo a cercare in maniera più febbrile, spulciavamo ogni cosa e cominciammo a venire qui quasi ogni giorno.»
    «Come siete riusciti a capire allora?»
    «Molti dei quadri del castello furono rubati dai villani che fecero l’attacco che portò alla morte di Aburius, alla fine la maggior parte furono donati alla pinacoteca del paesino qui vicino, Maligano. È un buco di culo di paese se te lo stessi chiedendo, non è nemmeno segnato in tutti i navigatori, Mattia ha anche forato una gomma quando cercammo di raggiungerlo la prima volta.»
    «Che importanza hanno i quadri?»
    «Antonio, non sapevo fossi così impaziente.» disse Giulio con un largo sorriso.
    «Questa storia mi ha incuriosito.»
    Il giovane guardò l’orologio e vide che aveva ancora tempo per continuare la sua spiegazione.
    «La maggior parte dei quadri erano di una noia mortale, molti fatti anche maluccio secondo me, ma ce n’erano alcuni che invece ci aiutarono molto. Si trattavano di nature morte e ritratti di Aburius ambientati nel salone accanto. In alcuni si vedeva la parete con gli archi nascosti. Ed erano dipinti anche gli stemmi. Ma in posizioni diverse. Questo ci incuriosì.»
    «Avete compreso che era una combinazione.»
    «Non sapevamo che fosse un capitolo di Tomb Raider, ma il dubbio ci sfiorò e alla fine decidemmo di fare la figura dei coglioni e abbiamo provato a spostare gli stemmi. Rebecca non solo ha capito tutto questo in pochi secondi, ma ha anche indovinato subito la combinazione, ha un cervello che vorrei sposare.»
    «Voi non l’avevate capita?»
    «No, siamo andati per tentativi. Quando abbiamo sentito il suono del contrappeso che cedeva credo di aver pianto.»
    «Immagino l’emozione.»
    «No, era davvero indescrivibile Antonio, non so cosa dire. Avevamo passato mesi interi alla ricerca di qualcosa che magari non esisteva nemmeno e dopo tato tempo e sacrifici, eravamo riusciti a trovarla veramente. Eravamo nella biblioteca perduta di Aburius.»
    «Ma come mai Alina era così interessata a trovare questo posto?»
    Giulio guardò per terra come se stesse fissando il nulla e piegò gli angoli della bocca verso il basso scuotendo la testa mentre cercava le parole più adatte.
    «Alina è sempre stata attratta dal potere, in effetti lo siamo tutti, e Aburius è una sorta di leggenda nel mondo dell’occultismo. I suoi poteri erano favoleggiati.»
    «Quindi volevate capire qualche cosa in più riguardo alla leggenda del signore di questo posto.»
    «Sì...e no. Diciamo che volevamo scoprire come avesse fatto ad acquisire tanto potere in pochi anni.»
    «Credete veramente nell’occulto?»
    «In cosa crediamo noi non è importante, la verità rimane tale a prescindere dalle convinzioni di una singola persona. Tu puoi non credere nell’effetto serra, ma questo non gli impedirà di sciogliere i ghiacci antartici.»
    «Mi sembra un buon punto di vista.»
    «Aburius era temuto anche dallo stato pontificio. Aveva un potere politico e sociale non indifferente e il tutto era solo un pallido riflesso di quello che possedeva nel campo della manipolazione dell’energia. Era un evocatore eccezionale e grazie ai suoi rituali aveva acquisito grandi poteri.»
    «Che rituali?»
    «Principalmente evocazioni, alcuni sacrifici, stati di trans e possessioni.» Giulio sembrò entusiasmarsi con quel discorso e aveva gli occhi sempre più brillanti. «Ne abbiamo fatto uno quattro mesi fa che ci ha permesso di fare un viaggio astrale incredibile. Non so nemmeno come descriverlo amico, è stata un’esperienza che non dimenticherò mai.»
    «Avete fatto anche voi dei rituali?»
    «Certo.» rispose lui con un sorriso che gli spense l’allegria dello sguardo. «Come ti ho detto Alina voleva trovare la biblioteca perché era affascinata dal potere. Appena siamo entrati qui, abbiamo cominciato a sperimentare.»
    «E cosa avete fatto?»
    «Abbiamo iniziato senza fretta. Era un mondo nuovo e sapevamo che nessuno ce lo avrebbe portato via, quindi avevamo tutto il tempo per prendercela comoda. Per prima cosa ci siamo messi a leggere gli appunti di Aburius. Quell’uomo era un vero genio, lascia che lo dica.»
    «Ma da dove derivava la sua conoscenza?»
    «Questa è una bella domanda. Anche tu hai un cervellino niente male amico mio. Dove aveva trovato tutte quelle informazioni Aburius? Alcune leggende dicevano che il Diavolo stesso gli era apparso in sogno per dettargli ogni rito che era trascritto nella sua biblioteca.»
    «Mi sembra esagerato.»
    «Non solo, la maggior parte dei riti che abbiamo letto erano antecedenti all’avvento delle religioni moderne. Il Diavolo non c’entrava nulla, senza alcun dubbio.»
    «Quindi?»
    «Tra tutti i libri della biblioteca ce n’è stato uno che ci ha aiutato più di tutti. Il diario dello stesso Aburius. Era stato lasciato aperto sopra la scrivania con la penna ancora all’interno del calamaio secco.» il ragazzo chiuse gli occhi e tremò al ricordo dell’emozione che aveva provato quando aveva visto le ultime parole scritte di pugno dallo stesso stregone. La sua grafia era bellissima, sottile ed elegante. Le parole che usava avevano una forza quasi tangibile e mentre leggevano le pagine ingiallite dal tempo, sembrava di sentire la sua voce baritonale. Deglutì cercando di inumidirsi la gola e riprese a parlare. «Non era l’unico, un intero scaffale della biblioteca è dedicato ai suoi diari e leggendo uno dei primi scoprimmo il suo segreto.»
    «Ovvero?»
    «Ricordi quando ti ho detto del passaggio segreto che conduce il castello alla grotta nel mare?»
    «Sì.» rispose laconico Antonio che non riusciva a distogliere lo sguardo dal ragazzo che parlava, aveva uno sguardo che stava cambiando piano piano, ma il giovane non se n’era accorto minimamente.
    «Quella caverna era stata la dimora di un essere ancestrale, qualcosa di troppo antico per essere compreso fino in fondo, ma che aveva lasciato dietro di sé una serie di gocce di conoscenza inestimabile. Penso che Aburius lo considerasse quasi un dio, ma non credo che si tratti di questo.»
    «Qual è il suo nome?»
    «Dubito che ne abbia uno che potremmo comprendere o anche solo riuscire a pronunciare, ma Aburius lo chiamava Kadreal. Comunque in quella caverna trovò i primi riti con cui iniziò a sperimentare. La maggior parte delle cose che trovò non riuscì a capirle, ma il poco che decifrò gli permise di diventare un essere di una potenza straordinaria.»
    «E voi avete fatto qualche rito, qualche magia?» chiese Antonio leggermente disilluso, quella spiegazione lo aveva portato troppo in là, aveva iniziato a pensare che il ragazzo lo stesse prendendo in giro e sorrise.
    «Mi sembra di cogliere dello scetticismo.»
    «Ammetto che mi avevi convinto molto di più prima della storia della divinità. Forse se giocavi meglio la carta di Satana, avrei abboccato.»
    Giulio rispose al sorriso, ma fu molto diverso da quelli che aveva fatto fino a quel momento. Il suo viso aveva qualcosa di gelido. «Capisco, credo che tu abbia bisogno di una prova più tangibile delle mie sole parole. »
    «Già.»
    Giulio si alzò e si avvicinò alla pendola per controllare l’ora, ormai erano le undici passate, era il momento di accendere la fiamma nera.
    «Sei fortunato mio caro amico.» iniziò prendendo un candelabro da sopra la scrivania. «Si dà il caso che possa fornirti una prova.»
    Con una lentezza esasperante tornò sul divanetto vicino ad Antonio e mise il portacandele sul tavolino basso davanti a loro accanto a un piccolo coltellino di selce nera.
    «Cosa stai facendo?» gli chiese Antonio con un sorriso che tremava leggermente. La situazione era cambiata in maniera drastica, non si era aspettato nulla del genere e non riusciva a capire nemmeno se gli piaceva o lo spaventava.
    «Osserva in silenzio.»
    Giulio si mise a sedere con la schiena dritta, sembrava quasi un pezzo di legno, aveva gli occhi chiusi e teneva le mani chiuse a pugno vicino al corpo. Sussurrò alcune parole e poi prese il coltello con cui si fece un taglio sul palmo della mano sinistra. Antonio tratteneva il respiro e si accorse di aver iniziato a sudare per la tensione, non capiva quello che stava accadendo, ma la cosa stava iniziando a spaventarlo.
    Il suo amico allungò la mano sopra la candela spenta e rimase in silenzio, il sangue si stava comportando in maniera strana, non stava gocciolando verso il basso, rimaneva attaccato al dorso della mano formando una specie di stalattite rossa. Antonio cominciò ad avvertire un forte calore e l’odore di zolfo riempì la stanza apparendo dal nulla, l’aria sembrava quasi elettrica e il ragazzo sentì difficoltà anche solo a muoversi. Una goccia di sangue color porpora si staccò e rimase a galleggiare andando verso la candela lentamente, quando toccò lo stoppino, una fiamma divampò. Una fiamma strana. Una fiammella nera come la notte più profonda.
    «Cazzo!» disse alla fine Antonio. «Come ci sei riuscito? Ti fa male la ferita?»
    Giulio sorrise all’amico e si tamponò il taglio con un fazzoletto di stoffa. «In effetti farsi un taglio così ogni volta che devi iniziare un rituale non è divertente, però sto bene grazie.»
    «Questa cosa è pazzesca. Allora la magia esiste veramente.»
    «Non so quanto parlare di vera e propria magia, qui si tratta di conoscenza. Sapere come controllare ogni forma di energia con cui entri in contatto.»
    «Non riesco a crederci. Ma aspetta...» Antonio corrugò la fronte e rimase a guardare la fiammella che si muoveva sulla cera come una macabra danzatrice del ventre. C’era qualcosa nei discorsi di Giulio che avevano iniziato a stonare già da alcuni minuti, ma quell’ultima frase lo aveva colpito. «Con questa cosa tu inizi un rituale?»
    «Esattamente.»
    «Ne hai iniziato uno adesso?»
    Giulio si alzò in piedi e iniziò a camminare guardando il pavimento, si avvicinò lentamente agli archi senza che il suo amico lo notasse.
    «Aburius è stato ucciso proprio il giorno in cui stava tentando il rituale più potente che avesse trovato. Un rito che può essere fatto solo una volta ogni secolo, secolo e mezzo, non è un arco di tempo preciso. Durante un solstizio d’inverno che coincide con la luna piena, c’è la possibilità di riuscire ad accedere alla conoscenza ultima. Di fatto, se segui i passi alla lettera, riesci a manipolare l’energia in modo da poter richiamare in questo piano Kadreal stesso per una notte.»
    «Cosa?»
    «Immagina. Potremmo attingere alla conoscenza diretta di un Antico. Un essere precedente all’idea stessa di divinità. Lui ci fornirà un potere che nessuno ha mai visto.»
    «Ma stai parlando seriamente? Che rito sarebbe?»
    «Purtroppo è un rituale piuttosto specifico e che richiede il sacrificio di cinque particolari persone. Per riuscire in questa impresa abbiamo bisogno del fegato di una persona coraggiosa, il cuore di una vergine, la lingua di un buffone, il cervello di un genio e, come ultima cosa proprio quando la pendola inizia a suonare i rintocchi della mezzanotte, il sangue di un puro di cuore.»
    «Cosa?»
    «Per questo vi abbiamo portato qui questa sera. Avevamo bisogno di voi durante il solstizio d’inverno per riuscire a comunicare con Kadreal. Il rito deve essere compiuto entro l’ultimo rintocco della mezzanotte o dovremo aspettare un altro secolo se ci va bene. Voi siete importanti, senza di voi non potremmo fare nulla.»
    «Avete intenzione di ucciderci? Ma voi siete pazzi malati.»
    «Mi deludi Antonio, non vedi la visione d’insieme.»
    «E quale sarebbe?» chiese alzandosi e cercando con lo sguardo una possibile via di fuga.
    «Permettere all’umanità di raggiungere il prossimo gradino della scala evoluzionistica. Il vostro sacrificio potrebbe portare alla fine delle guerre, delle malattie, della fame. Di tutto.»
    «Ma di cosa stai parlando?»
    «Di un sogno bellissimo, Antonio. La fiamma nera è stata accesa.» con un gesto teatrale fendette l’aria e la fiamma della candela volò fino a lui circondandogli la mano senza bruciarlo. «Ormai il rito non può essere interrotto. Questa sera sarete i gloriosi sacrifici che permetteranno a Kadreal di camminare tra di noi.»
    «Non puoi farlo. Senti, prendi me, ma lascia andare gli altri, loro non sanno nulla, non sono una minaccia.»
    «Sei pronto a sacrificarti per delle persone che conosci da pochissimo.» disse guardandolo con gli occhi socchiusi e un sorriso. «Questo è il motivo per cui tu sarai l’ultimo a morire, sei stato il più difficile da trovare Antonio, sei veramente una gemma rara.»
    Antonio prese a correre gridando cercando di superare il ragazzo che lo separava dall’uscita e Giulio sospirò girando su se stesso, alzò una gamba e tirò una tallonata in rotazione contro il giovane colpendolo in faccia e mandandolo a tappeto svenuto.
    «Non ti nego che avevo sperato in una reazione ben diversa.» disse a bassa voce guardando il corpo del ragazzo a terra.
    Si voltò uscendo dalla biblioteca e mise dei ceppi di legno al centro del pentacolo di marmo, ci puntò il braccio contro e la fiamma nera iniziò a divampare al centro della stanza mandando uno scoppiettio che rimbalzò sulle pareti. Giulio tornò sui suoi passi, legò Antonio in modo che non potesse provare a fare nulla una volta sveglio, provò a metterlo sul divano, ma era decisamente troppo pesante. Lo guardò in terra, decise di mettergli un cuscino sotto la testa e lo coprì con una coperta di pile che avevano portato. Prese il diario di Aburius dove era descritto il rituale e uscì nuovamente per poi spostare gli stemmi e sigillare la biblioteca imprigionandoci il suo prezioso “puro di cuore”.

    5



    I quattro ragazzi che si erano andati a nascondere nelle stanze del castello erano all’oscuro di tutto, non sapevano che vicino a loro c’era una persona che stava solo aspettando il momento giusto per ucciderli. Le undici erano passate da pochi minuti e gli amici di Giulio sapevano che ormai il ragazzo aveva acceso la fiamma nera, il rito era iniziato e dovevano sbrigarsi per riuscire ad avere tutti gli “ingredienti” per la mezzanotte. Appena il fuoco fu acceso al centro del pentacolo, i quattro sentirono l’energia che si irradiava dal salone, scorreva sopra ogni superficie riempiendo ogni stanza, era inebriante e un sorriso increspò le loro labbra contemporaneamente nonostante fossero molto distanti tra loro.
    «Dove siamo?» chiese Lina camminando tra vecchi mobili ammuffiti. I suoi passi rimbombavano nella grande stanza.
    «Secondo Alina questa era la stanza della signora, siamo negli appartamenti degli ospiti, lì ci sono quelli del signore e là quelli della moglie di Aburius.»
    «Aburius aveva una moglie? Non conosco nulla riguardo alla sua leggenda.»
    «Aburius ha avuto diverse moglie e un buon numero di concubine.»
    «Che ragazzaccio. Strano che con tutte queste donne non sia riuscito ad avere un erede che potesse mantenere il castello.»
    «In effetti ha avuto numerosi figli, ma la maggior parte sono stati usati nei riti sacrificali.»
    «Come?» Lina era rimasta basita da quell’informazione, non aveva mai sentito nulla del genere e la tranquillità con cui Mattia ne aveva parlato era stata sconcertante.
    «Sì, Aburius ha compiuto numerosi rituali in cui necessitava di sacrifici di infanti. Questo è uno dei motivi principali per cui i villani assaltarono il castello, la guardia del signore faceva continue incursioni per recuperare ciccia fresca.»
    «Ma è tremendo.»
    «Sì, beh, erano altri tempi.»
    «Cosa vuoi dire?»
    «Che alla fine bene e male sono dei concetti nati dal relativismo culturale delle varie epoche.»
    Lina fece una smorfia e guardò il suo compagno piegando la testa. «Fammi indovinare, studi filosofia.»
    «Sbagliato. Perché?»
    «Niente, quella frase mi sembrava qualcosa partorita da uno studente di filosofia. Comunque non sono d’accordo.»
    «Credi che non sia tutto relativo?»
    «Non tutto, ci sono alcuni concetti che sono degli assiomi. Non puoi andare a giustificare delle atrocità contro dei bambini.»
    «Il tuo bel discorso è frutto della tua impostazione socio culturale Lina. Già definire un’azione “atrocità” mostra il tuo inquadramento. L’unico modo per riuscire a valutare correttamente le cose, anche in campo morale, è essere distaccati.»
    «Sembra il discorso di un sociopatico.» rispose lei sentendosi a disagio.
    «Ti posso fare una domanda Lina?»
    «Penso di sì.»
    «Perché sei venuta questa sera? Mi era sembrato di capire che questo genere di situazioni ti spaventassero.»
    Lina rimase in silenzio a camminare per la stanza sfiorando il legno annerito di un vecchio canterano, sulla destra era ancora riconoscibile una toletta in ceramica e la ragazza si sedette su quello che rimaneva di un canapè dorato. Le zampe non sembravano poter reggere a lungo, ma la giovane non si accorse di nulla, era completamente immersa nei suoi pensieri. Aveva tante voci per la testa e le era difficile seguirne una sola. Quella sera erano successe troppe cose e la domanda di Mattia l’aveva messa di fronte al dovere di analizzarle tutte.
    «Sì, mi spaventano. Proprio per questo dovevo venire.»
    «Non sono sicuro di capire.»
    «Non posso vivere nella paura per tutta la vita. Quest’anno ho deciso di smettere di farmi dominare dai miei demoni e affrontare le situazioni che mi intimoriscono.»
    «Questo dimostra uno straordinario coraggio.»
    «Lo pensi veramente? Grazie.»
    Mattia si mise a sedere vicino a lei e le zampe tarlate tremarono ancora di più. Inizialmente era scettico riguardo a quel piano, avevano avuto delle prove in merito ai particolari pregi che i ragazzi dovevano avere, ma era difficile definire il coraggio. Era stata Caterina a trovare Lina, ma Mattia non aveva capito quale coraggio potesse aver visto in quella ragazza, in fin dei conti sembrava aver paura di tutto. Tuttavia, nonostante fosse spaventata da quella situazione, aveva deciso di affrontarla.
    Il ragazzo aveva capito che Lina era veramente la persona giusta per il sacrificio, quindi sorrise e mise una mano in tasca alla ricerca del suo pugnale di pietra nera. Lo sentì subito e strinse le dita sul liscio manico d’osso, era da quando erano arrivati al castello che aveva iniziato a pregustarsi quel momento. Aveva sperato di poter prendere il cervello di Rebecca, aveva sognato per giorni la sensazione che avrebbe provato nel fracassare il cranio della ragazza, ma anche procurarsi il fegato gli avrebbe regalato un’emozione potente. Tirò fuori il coltello tenendolo dietro alla schiena continuando a fissare la giovane, aveva i capelli rossi che le cascavano sulle spalle, erano lisci e luminosi, sembravano morbidissimi. Aveva il viso pallido, con le labbra rubino. Era piena di vita, aveva tutto il futuro davanti a sé e il suo coraggio le avrebbe fatto affrontare ogni sfida.
    Mattia iniziò a tremare, stava per fare quello che aveva sognato per giorni; si sentiva come se avesse la febbre alta e la vista diventò sfocata. Aveva la gola completamente secca e il respiro gli si accorciò sempre più. Lina si accorse di un cambiamento e guardò il suo compagno.
    «Ti senti bene?»
    Mattia sorrise facendo brillare i canini e rimase in silenzio. Piegò la testa di lato.
    «Non ti preoccupare, sto bene.»
    Si mosse con velocità scattando come un serpente e fendette l’aria con la lama, non ci fu nessun preavviso, non aspettò nemmeno un secondo. Improvvisamente la infilzò con il coltello prendendola alla pancia.
    Le mise una mano sulla bocca per impedirle di gridare e rimase a fissarla negli occhi per godersi ogni istante, ogni più piccolo cambiamento, la sua paura era come un elisir che gli aumentava il battito cardiaco e gli bloccava il respiro. Le sue pupille si erano dilatate e delle gocce le si erano formate sulla fronte, al tocco era gelida e la sentiva tremare leggermente.
    «Shh. Va tutto bene. Assapora questo momento. So che sei spaventata, ma fidati, sarà bellissimo.» disse avvicinando il viso a quello della ragazza. «Nonostante fossero mesi che volessi farlo, questa è la mia prima volta, quindi scusami se ti sembrerò maldestro.»
    Con lentezza le dette un bacio leggero sulla fronte mentre le lacrime della sua vittima gli bagnavano le dita della mano e mosse il coltello facendo forza perché il ventre della poveretta opponeva resistenza.
    Il dolore che sentiva era qualcosa che non aveva mai neppure pensato possibile, sentiva chiaramente la lama che la stava lacerando e il suo stesso sangue era bollente. La scarica di adrenalina riuscì a ridestarla dallo stato di shock che aveva avuto per l’attacco improvviso e provò a urlare, ma il giovane la teneva saldamente. Aveva le braccia molto forti e Lina non riusciva a muoversi mentre lui cercava di sventrarla il più lentamente possibile per assaporare quel momento per lui magico. Per tenerla bloccata si spostò sul canapè e le zampe di legno cedettero al loro peso facendoli finire in terra. Lina approfittò di quel momento per colpire il suo aggressore e spostarsi urlando. Un filo di sangue le uscì dalla bocca e sentì che le forze la stavano abbandonando, ma non poteva fermarsi o sarebbe sicuramente morta. Aveva le guance rigate dalle lacrime e continuava a urlare cercando di sfuggire. Sentiva che le forze non sarebbero durate a lungo, ma non si fermò mentre Mattia si rialzava. Lo avvertiva dietro di lei che iniziava a correre per raggiungerla, sembrava che facesse quasi dei ruggiti; si avvicinava e ogni secondo che passava guadagnava metri preziosi. Le gambe lunghe del ragazzo gli permettevano di fare lunghe falcate e in pochissimo tempo recuperò lo svantaggio. Lina capì che era ormai dietro di lei e si spostò aprendo la porta di scatto, lo slancio del giovane era troppo perché riuscisse a fermarsi e quando capì quello che aveva fatto la ragazza, urlò di rabbia. Mattia finì fuori dalla stanza e Lina si affrettò a richiudere la porta mentre piangeva. Stava ancora urlando, ma ormai non riconosceva nemmeno più la sua stessa voce. Vide una sedia vicino e la usò per bloccare l’anta di legno spessa. Il ragazzo iniziò a prendere a calci e spallate la porta, ma quella era solida e non si spostò di un millimetro.
    «Non puoi scapparmi Lina. Sei già morta anche se cerchi di nasconderti.»
    La ragazza si girò appoggiando la schiena e scivolò lentamente fino al pavimento, le lacrime la rendevano quasi cieca e i singhiozzi l’avevano portata a iperventilare, la pressione le andò giù di colpo e si sentì mancare, ma non poteva permettersi di abbassare la guardia. Cercò di stringere tutto il coraggio che le rimaneva e guardò verso il basso per vedere il coltello che ancora spuntava dal suo addome. Aveva un manico d’osso chiaro lavorato, sembrava antico e prezioso. Avvicinò una mano come per afferrarlo, ma rimase con il braccio bloccato a mezz’aria.
    «Cerca di ragionare Lina. Puoi ancora cavartela.» si disse cercando di fare respiri profondi e regolari. Si tastò la tasca alla ricerca del cellulare e sentì un briciolo di speranza riaccendersi nel cuore. Accese lo schermo col riflesso appannato di un sorriso e rimase bloccata quando vide che non c’era campo. Non voleva crederci e sorrise leggendo la frase “solo chiamate d’emergenza”. Digitò velocemente il numero della polizia e portò il cellulare all’orecchio. Sentiva che le forze la stavano abbandonando, ma si sforzò, appoggiò la testa alla porta e sospirò chiudendo gli occhi per un secondo.
    «Centododici.» la voce della donna era il suono più bello che avesse mai sentito, era familiare, ma non riuscì a riconoscerla.
    «Sì, sì.» disse quasi d’un fiato. «Mi sente? Sono Lina Falchi e ho urgentemente bisogno di un’ambulanza.»
    «Cosa sta succedendo Lina?»
    «Ho bisogno di aiuto.» disse ricominciando a piangere a dirotto. «Mi hanno aggredita e sono ferita. La prego, mi aiuti.»
    «Sono qui per questo Lina. Chi ti ha ferita? Dove sei?»
    «Sono al vecchio castello abbandonato di Maligano. Sono venuta qui con degli amici, ma uno di loro è uno psicopatico.»
    «Sto mandando delle auto in questo momento, ma tu devi rimanere con me. Sei al sicuro?»
    «Credo di sì, ma non lo so, sono ferita e ho paura che perderò i sensi presto.»
    «No, ti prego Lina, devi sforzarti di parlarmi. Non addormentarti, resta sveglia.»
    «Ci sto provando.» disse piangendo.
    «Descrivimi la tua ferita.»
    «Un coltello.»
    «Come hai detto?»
    «Quello stronzo mi ha accoltellata alla pancia.» gridò prima di avere un colpo di tosse che le fece sputare altro sangue. Sotto di lei la pozza rossa si stava allargando e il buio aveva iniziato a inghiottire il mondo. La stanza era diventata più piccola e l’oblio avanzava ingoiando un mobile in più ogni secondo che passava. «Quello stronzo…mi ha uccisa. Non so se riuscirete a salvarmi, ma vi prego. Aiutate i miei amici.»
    «Non dire così Lina. Non devi arrenderti. Puoi ancora farcela.»
    «Non ne sono così sicura.»
    «Lo sono io. Adesso vediamo di diminuire l’emorragia. Il coltello è ancora nella ferita?»
    «Sì.» disse lei con un filo di voce strozzato dai singhiozzi.
    «Non sfilarlo, è possibile che la lama stia bloccando emorragie più gravi. Cerca di tenere ferma la zona o c’è il pericolo di peggiorare la lesione.»
    «Ok. Ma cosa devo fare allora?»
    «Non vedendo la ferita non so se è il caso di premere per limitare l’emorragia. Quanto sangue stai perdendo?»
    Lina guardò ancora più in basso e vide il lago porpora che continuava ad allargarsi sotto di lei. «Troppo. Sto morendo dissanguata.»
    «Tesoro, non dire così. Affronteremo questa cosa insieme. Come quando dovevi andare a fare il vaccino. Te lo ricordi?»
    «Sì, mi ricordo mamma. Ero così spaventata.»
    «La situazione non è così diversa, amore. Pensa che sono lì con te e ti stringo la mano.»
    La voce della madre era così rassicurante, era calda e la sentiva entrarle dentro regalandole quella pace di cui aveva così disperatamente bisogno. Era da quando era piccola e suo padre era morto che la madre era diventata tutto il suo mondo, la sua migliore amica, la sua roccia. Aveva senso che le facesse compagnia ora che stava per morire.
    «Dimmi qualcosa Lina. Non ti addormentare.»
    «Mamma, ho paura.»
    «Lo so bambina mia. Ma non ti preoccupare, la mamma è qui. Sono qui con te.»
    «Quando arrivano i carabinieri mamma?»
    «Presto, ma tu non devi arrenderti.»
    Era diverso tempo che Mattia aveva smesso di battere contro la solida porta di legno, ma il tempo aveva perso di significato, non sapeva da quanto era lì seduta nel suo stesso sangue, ma sentiva che il liquido stava diventando freddo quindi non dovevano essere pochi secondi. Non riusciva a tenere il braccio alzato per parlare al telefono e vide il cellulare cadere nella pozza, fece un suono che la disgustò, ma non aveva la forza nemmeno per fare una smorfia. Aveva le labbra blu e la pelle era diventata talmente pallida da farla sembrare una bellissima statua di alabastro. I suoi capelli rossi erano accesi dalla luce della luna che filtrava dal vetro spesso della finestra e Lina vide un’ombra avvicinarsi. Era un carabiniere e lei provò a sorridere.
    «Ce l’avete fatta, mi avete trovata.»
    L’uomo camminò fino a lei e la ragazza si ricordò di avere la torcia. L’accese sorridendo per illuminare la strada che li separava, alzò le braccia per farsi soccorrere, ma lui si accovacciò e afferrò il pugnale. Il dolore riuscì a svegliarla e si ritrovò davanti Mattia che stava sorridendo. Un ghigno che gli deformava la faccia rendendolo di ghiaccio. La luce che lo illuminava da sotto creava delle ombre sul suo viso facendolo apparire più mostro che uomo.
    «No.» sussurrò cercando qualcosa per scappare da quel dolore che era ricominciato. Con la mano tastò in terra per trovare il cellulare. «Mamma…»
    «Mamma? Mi dispiace Lina, ma eri svenuta, non hai parlato con nessuno. La chiamata non è mai partita.»
    «Cosa?»
    «Non ti preoccupare angelo mio. Tra poco sarà tutto finito.»
    Riprese a tagliare sventrando la ragazza a cui non le era rimasto tanto tempo, stava per morire e lo sapevano tutti e due.
    «Perché?» chiese alla fine.
    «Il tuo sacrificio porterà alla rinascita di un Dio. Gioisci perché la tua morte ha uno scopo, così come quella dei tuoi patetici amichetti.»
    «Siete…»
    «Come?»
    «Siete pazzi.» non aveva più forze e aveva perfino smesso di sentire il dolore.
    «Possibile, ma non è più un tuo problema. Addio Lina, è l’ora di morire. Kadreal, questo è per te.»
    Con un gesto veloce, fece forza a tirò il coltello verso l’alto squartando la poverina e riempiendosi del poco sangue rimasto. Uno schizzo lo colpì al volto sugli zigomi, ma lui non sbatté le palpebre, non voleva e non poteva perdersi il momento in cui la vita avrebbe abbandonato lo sguardo della ragazza. Rimase a fissarla mentre tutto ciò era stava velocemente scomparendo, il viso perse espressione e gli occhi si spensero diventando come vitrei. Alla fine smise di respirare e Lina morì.
    Mattia era rimasto a bocca aperta a godersi quel momento senza riuscire a respirare, si era avvicinato sempre di più al suo viso per guardarle gli occhi da vicino e quando era morta aveva sentito il suo cuore fermarsi per uno o due battiti. Non riuscì a dire nulla, rimase a fissare il cadavere senza alcun pensiero nella testa. Era completamente in trance. Un’esperienza dalla forza travolgente: una scarica di adrenalina che l’aveva fatto sentire più vivo che mai.
    Che sballo. Pensò prima di iniziare a tagliare la ragazza per asportarle il fegato.

    6



    Le grida di Lina erano risuonate in molte sale del castello diroccato, l’acustica di quel luogo era prodigiosa e a Luigi sembrò quasi di averla alle sue spalle.
    «Cosa cazzo era?» chiese con la voce tremante.
    «Forse una delle ragazze ha visto un topo, o potrebbe essere il fantasma di una delle mogli del padrone del castello, oppure è una trappola per farci uscire allo scoperto.»
    «I due che contano sono maschi, non vedo il motivo per cui una delle ragazze dovrebbe farci una trappola del genere.»
    «Magari perché sono stronze. Se fosse stato il grido di Alina non avrei avuto dubbi di alcun tipo.»
    I due ragazzi si trovavano al secondo piano in una stanza chiusa della torre, sembrava una specie di laboratorio di un alchimista a giudicare dall’alambicco che regnava sovrano al centro. Appena era entrato, Luigi aveva iniziato a guardare ogni oggetto prendendolo in mano come se volesse soppesarlo, la polvere era alta e avevano lasciato delle impronte sul pavimento. La parete opposta all’ingresso aveva delle feritoie che lasciavano entrare la luce della luna, il freddo era pungente in quella stanza e un grande ragno si mosse sopra un tavolo al passaggio dei due ragazzi. Delle scale salivano verso la sommità della torre, ma le regole avevano stabilito di rimanere al massimo entro il secondo piano. Anche lì c’era una modesta libreria con dei tomi mangiati dal tempo. Luigi si avvicinò stringendo gli occhi nel tentativo di leggere i titoli.
    «Cleromanzia, epatoscopia, bibliomanzia. Ma cosa cazzo sono? Senti questi, antropomanzia, ailuromanzia, tasseomanzia… Queste sono parole inventate giusto?»
    «No, sono varie forme di divinazione.»
    «Di cosa?»
    «Divinazione, tentativi di predire il futuro.»
    «Questo Aburius era proprio fissato.» rispose Luigi riportando lo sguardo sulla libreria che contava ancora molti titoli di cui non riusciva nemmeno ad immaginare il significato. «Dai, catattro… catottro… non è nemmeno semplice da dire. Cosa vuol dire e perché uno dovrebbe avere un libro del genere in casa?»
    «Catottromanzia, arte divinatoria che si basa sull’interpretazione degli oggetti riflettenti, come gli specchi.» lo corresse distratto Riccardo.
    «Chi sei, una pagina Wikipedia?»
    «Comunque questa stanza non era di Aburius. Quando abbiamo fatto le ricerche su questo posto, abbiamo scoperto che il signore del castello era solito godere della compagnia di uno o più stregoni indovini. Era ossessionato dal provare a conoscere il futuro.»
    «Quindi questa libreria era una sorta di manuale di lavoro per il suo mago personale.»
    «In un certo qual modo.»
    Riccardo si voltò per fissare il ragazzo che era con lui e sospirò pensando al momento. Il rito era cominciato e doveva sbrigarsi per procurarsi quello che doveva prima della mezzanotte, non aveva fretta, ma non poteva neanche permettersi di perdere tempo.
    Era in compagnia del giullare, del buffone.
    Doveva trovare il momento giusto per attaccarlo e prendergli la lingua. Sorrise e iniziò ad avvicinarsi tentando di non fare rumore, guardando mentre il giovane fissava le pareti ricoperte di ragnatele. Mise una mano in tasca e cercò il suo coltello, se ne erano procurati uno per uno quando avevano iniziato a praticare i rituali descritti sui libri di Aburius.
    A differenza di Mattia, Riccardo non aveva fantasticato di uccidere qualcuno per mesi e ancora non sapeva cosa avrebbe fatto o come avrebbe potuto sentirsi, ma la sua volontà di fare il rito della “fiamma nera” era troppa e la sua fede, incrollabile. Purtroppo Luigi era anche molto simpatico, quindi gli restava difficile l’idea di sacrificarlo, sarebbe stato più semplice se fosse stato un ragazzo antipatico.
    Fece altri passi nella sua direzione impugnando l’arma, pronto a colpirlo da dietro come un codardo. Non sapeva se sarebbe stato capace di affrontarlo viso a viso, ma era sicuro di non avere problemi ad accoltellarlo alle spalle. Camminava silenziosamente ghignando e alzò il braccio pronto a infilzarlo quando sentì un rumore da dietro la porta che aveva socchiuso, rimise il coltello dentro la tasca e si spostò di scatto per non farsi vedere dal ragazzo che si stava voltando.
    «Cos’era?» chiese alzando un sopracciglio.
    «Abbassa la voce, forse Giulio e Antonio sono già saliti.»
    Improvvisamente Caterina e Amanda entrarono nella stanza, avevano il viso pallido e gli occhi sbarrati.
    «Avete sentito quel grido?» chiese Amanda a voce alta, stava tremando come una foglia e aveva dei brividi che la scuotevano dal profondo. «Mi è sembrata Lina.»
    «Ci sta che si sia spaventata per qualche ragno o un magari ha visto un topo.» disse Riccardo con un sorriso. Il suo sguardo incontrò per meno di un secondo quello della cugina e i due si capirono perfettamente. Lo scopo del nascondino era dividere il gruppo. Divide et Imperat. Questo era il piano.
    «Lo credo anche io. Comunque non è prudenti stare tutti insieme.» azzardò a dire Caterina. «Se Giulio ci trova siamo fregati tutti e quattro.»
    «Non mi importa niente del gioco in questo momento. Voglio trovare Lina e assicurarmi che stia bene.»
    «Ti ripeto che non è nulla, ma se ti fa sentire meglio possiamo provare a cercarla.» Caterina gli mandò un’occhiataccia, ma il cugino riprese subito facendole capire il suo piano. «Credo sia meglio se ci dividiamo, faremo più in fretta e se veramente è successo qualcosa, il tempo potrebbe essere prezioso.»
    «Mi sembra un ottimo piano.»
    «Io e Luigi entriamo negli appartamenti di Aburius, voi andate in quelli della signora.»
    «Ok, poi proseguiremo tutti insieme negli ultimi. Se qualcuno la trova per primo, chiama gli altri.» disse Caterina annuendo mentre stringeva il braccio di Amanda. «Andiamo.»
    «Non credo che sia nulla, ma stai attenta Cate.»
    «Non stare in pena per noi Cugi.»
    Caterina scivolò sul braccio della ragazza arrivando a prenderle la mano e la tirò via dalla stanza portandola verso gli appartamenti delle mogli del proprietario del castello. Erano riusciti a ridividere il gruppetto e Luigi era nuovamente solo con Riccardo che rimise le mani in tasca accarezzando il manico liscio del coltello.
    «Secondo te cos’è successo?» chiese Luigi.
    «Dove?»
    «Sto parlando di Lina.»
    «Non posso saperlo, ovviamente, ma credo si sia spaventata. Te l’ho detto, magari ha visto un topo. Questo castello è abbandonato a se stesso, è normale trovarci animali.» il ragazzo iniziò a ridacchiare e aggiunse. «Una volta ci abbiamo trovato una capra che stava salendo le scale. Per farla uscire non fu facile.»
    Amanda stava camminando tenendo stretta la mano della sua nuova amica. Aveva una pelle molto liscia e morbida, sembrava quasi di stringere una coperta di micropile, al tatto risultava asciutta e fresca, mentre quella cicciotta di Amanda era leggermente sudata per l’ansia. Camminavano nel corridoio per raggiungere la porta che una volta doveva essere stata azzurra, di legno intarsiato. I loro passi rimbombavano rimbalzando sulle pareti e facendo un rumore assordante. Caterina si guardò dietro alle spalle e poi si voltò ad Amanda fissandola negli occhi con un sorriso per farsi coraggio.
    «Sei pronta?» le chiese afferrando la maniglia.
    La giovane si limitò ad annuire e le due entrarono all’interno della prima stanza degli appartamenti della signora. Camminarono lungo alcune sale e camere e alla fine il silenzio iniziò ad essere pesante, stava creando ansia persino a Caterina che sapeva esattamente cosa stava accadendo. Quindi dopo qualche minuto, la ragazza si voltò verso Amanda. «Allora, da quanto tempo è che canti nel coro della chiesa?»
    «Come?»
    «Sì, nel senso. Sei veramente eccezionale.»
    «Grazie.» rispose Amanda arrossendo visibilmente, non era abituata ai complimenti fatti dai suoi coetanei, solitamente a dirle che era brava o erano i suoi genitori e nonni, oppure la direttrice del coro, quindi sentirlo da Caterina, aveva tutto un altro valore. «Ormai sono cinque anni.»
    «Dev’essere molto bello. Anche a me piace cantare, ma temo non mi abbia mai ascoltato nessuno all’infuori dei barattoli di shampoo.»
    «Sono sicura che canti benissimo, hai una voce molto bella.»
    «Oh, sei così gentile. Hai un cuore grande.» disse Caterina con un sorriso che cercava di nascondere il ghigno per la battuta in doppio senso.
    «Ma questo Abiuxus, aveva una moglie?»
    «Si chiamava Aburius. Sì lui ha avuto diverse compagne nel corso della sua vita. Alcune di queste erano delle streghe molto potenti, o almeno questa è la leggenda.»
    «Non riesco nemmeno ad immaginare come dovesse essere a quei tempi. Questo castello deve aver visto cose tremende.»
    Amanda era molto credente e tutta quella storia la turbava profondamente, aveva sempre avuto timore di quello che non capiva e il mondo dell’occulto era una delle cose che più la spaventava. Ai suoi occhi, Aburius era stato una specie di satanista e ogni volta che spostava lo sguardo in una stanza del castello, se la immaginava ricoperta di sangue. Aveva in nervi tesi e continuava a camminare stringendo la mano della sua compagna come se fosse la sua “coperta di Linus”, se fosse stata da sola non sarebbe riuscita a fare più di pochi passi. La luce che filtrava dalle finestre era poca e i ragazzi si muovevano illuminando le camere con i fasci freddi delle torce elettriche che si muovevano tremanti nel castello.
    «Forse dovremmo provare a chiamare il centododici.»
    «A quale scopo? Ti ricordo che non dovremmo essere qui. Se li chiamiamo passeremmo un bel guaio.»
    «Ma Lina…»
    «Lina potrebbe stare bene, prima troviamola e poi pensiamo a chiamare, anche perché qui non potresti farlo comunque.»
    «Come?»
    «Non c’è copertura in questa scogliera, e il castello è isolato.»
    Con un gesto veloce, Amanda lasciò la mano della ragazza e cercò il cellulare in tasca, aveva una cover con degli unicorni disegnati e Caterina sorrise scuotendo la testa. La giovane sbloccò lo schermo e vide la scritta che l’avvertiva dell’assenza di segnale.
    «Ma possiamo sempre fare le chiamate d’emergenza.»
    «Purtroppo no.»
    «Ma si chiamano chiamate d’emergenza proprio perché funzionano quando ne hai bisogno.»
    «Sì, ma per funzionare deve esserci la copertura di almeno un gestore. Sono numeri di emergenza, quindi se tipo Tim non funziona qui, ma c’è una debole copertura di Vodafone, o Wind, allora la chiamata parte. Purtroppo qui non c’è nessuna copertura, da parte di nessuno.»
    «Quindi siamo isolati.» disse la ragazza con una voce più acuta mentre il respiro le diventava più veloce.
    «Amanda, calmati. Non sappiamo nemmeno se c’è una vera emergenza. Per adesso sappiamo solo che abbiamo sentito un urlo che sembrava quello di Lina.»
    «Ok. Devo cercare di calmarmi, hai ragione.» disse la ragazza con un sorriso mente chiudeva gli occhi mettendosi i capelli dietro le orecchie. «Scusami, mi sto comportando come un coniglietto impaurito.»
    «Non ti preoccupare.»
    Amanda era una ragazza buona e Caterina si sentiva a disagio al pensiero di doverla uccidere, non sapeva come fare e mille dubbi iniziarono ad affollarle la mente. Avevano attirato in quel posto quei ragazzi con il preciso scopo di sacrificarli ad un’antichissima creatura praticamente divina, ma se il rito non avesse funzionato si sarebbero ritrovati invischiati semplicemente in cinque omicidi rituali difficili da giustificare. Ma le cose che avevano sperimentato in quell’anno erano state grandiose. Aveva scoperto molti segreti dell’universo e avevano imparato a manipolare alcune forme di energia.
    Nessun ripensamento Cate. Pensò la ragazza stringendo il pugno facendo biancheggiare le nocche. Diventerete degli Dei che potranno salvare il mondo. Il sacrificio di pochi per il bene di tutti.
    «Il bene di tutti.» sussurrò come un mantra a voce bassissima.
    «Come hai detto scusa?»
    «Niente, stavo solo pensando a voce alta.»
    La luce della torcia illuminava i vari mobili in legno che cercavano di resistere all’umidità e alle sferzate del tempo che passava, in alcuni punti era ancora possibile vedere lo sfarzo originali dell’arredamento. In luoghi più riparati e lontani dalle finestre, qualche soprammobile in ottone e delle sedie ancora mantenevano la colorazione con cui erano nati e Caterina aveva passato notti intere a cercare di visualizzare quelle stanze all’antico splendore. Alcuni vetri erano rotti e la stanza era spazzata da spifferi e ventate fredde dell’inverno che stava arrivando, l’aria profumava di mare e non c’era la puzza di chiuso che Amanda si era aspettata. Continuarono ad andare avanti finché non arrivarono alla camera da letto principale, era una stanza molto grande e bella, molti degli affreschi erano mangiati dalla muffa e tutto l’ambiente era illuminato dalla luna. In alcuni punti sembrava quasi che la vita si fosse interrotta improvvisamente, come se la proprietaria della camera potesse tornare da un momento all’altro, ma bastava spostare lo sguardo leggermente per capire quanto quell’illusione fosse assurda.
    «Come mai ci sono tante cose?» chiese Amanda passando la mano sopra un vecchio canterano in cui era visibile un portagioie che ormai era un tutt’uno con il legno del mobile.
    «Cosa intendi?»
    «Dopo tanto tempo mi aspettavo che le persone avessero portato via tutto quello che non era inchiodato a terra. Nel senso, la biblioteca era nascosta e va bene, ma queste stanze...»
    «Hai ragione, ma la fama di Aburius era nota in lungo e in largo. I villani che hanno attaccato questo posto erano molto superstiziosi e non hanno osato toccare nulla di più a quello che serviva per fermare il signore. Qualche temerario ha preso alcuni quadri, ma le leggende dicono che furono puniti dagli spiriti.»
    «Ok, ha senso, ma dopo?»
    «Il castello è molto isolato. Non tutti sanno della sua esistenza e la maggior parte sono gli abitante di Maligano che sono i discendenti dei villani che abitavano qui. Pertanto nessuno si è mai avvicinato. Con il passare del tempo tutto è andato in malora e il valore degli oggetti non valeva più il rischio di una bella maledizione.» disse l’ultima frase facendole l’occhiolino con un mezzo sorriso per poi camminare verso la grande finestra che dava sulla terrazza. La camera da letto aveva una vetrata immensa da cui era possibile accedere a una terrazza fatta a falce di luna che stava sopra alla scogliera. Da lì sopra era possibile guardare verso il mare aperto e perdersi nei flutti delle acque dimenticandosi tutto, il vento che veniva portava l’odore della salsedine e il rumore delle onde che s’infrangevano sulle taglienti pareti di roccia scura era ipnotico. Caterina uscì per prendere una boccata d’aria e si appoggiò alla ringhiera pensando a come agire. Doveva trovare un modo per togliere il cuore alla vergine e non sapeva come fare.
    Doveva agire, più stava a pensarci e peggio era.
    «Che meraviglia.» disse Amanda uscendo in terrazza. Si strinse in un abbraccio quando i brividi la scossero e una nuvoletta di condensa si formò quando parlò. Il suo viso era pallido e il vento freddo le colorò le guance di rosso molto velocemente. Caterina stava accarezzando il parapetto di pietra ruvida quando la sua mano incontrò una pietra che si staccava. La strinse tra le dita e chiuse gli occhi sospirando per farsi coraggio.
    «Credo sia meglio rientrare Cate, dobbiamo ancora trovare Lina.»
    Con un gesto fulmineo, Caterina si voltò di scatto allargando il braccio per colpire Amanda con la pietra. Fece un grido liberatorio che fu portato via dal ruggito del mare e nessuno sentì nulla.
    Amanda vide il movimento tardi, fu come un fulmine di colori che la colpì senza preavviso facendole diventare il mondo completamente nero. Caterina le arrivò alla tempia e vide la ragazza crollare a terra come un sacco della spazzatura con un sottile filo color porpora che scendeva dalla testa andando a gocciolare a terra. Ogni goccia di sangue alzava una piccola nuvola di polvere e Caterina si ritrovò ad ansimare. Quel gesto le era costata molta energia, era stato un momento in cui aveva avuto una sorta di black out. Si ricordava perfettamente il momento in cui aveva afferrato la roccia e poi il momento in cui aveva guardato Amanda cadere a terra. Nel mezzo era il puro oblio.
    «Va bene Caterina. Puoi farcela.» si disse a voce alta per farsi coraggio.
    Si chinò sfoderando il suo bel pugnale nero, aveva la mano che le tremava, ma non poteva fermarsi. Purtroppo la realtà è molto differente dall’immaginario creato dalla televisione e improvvisamente la povera Amanda iniziò ad essere scossa da convulsioni violente, della schiuma bianca le fuoriuscì dalla bocca mista a dei pezzi di pizza non digeriti. Tutto il suo corpo era come attraversato dalla corrente che la faceva dimenare. Caterina rimase bloccata a guardare la scena con gli occhi sbarrati, non riusciva a capire cosa stesse succedendo e sentiva che le mancava la saliva, un sapore amaro le pervase la bocca e riuscì a non dare di stomaco solo grazie al vento freddo che continuava ad abbassarle la temperatura che cercava di salire in continuazione.
    Dopo un minuto che parve interminabile, Amanda si calmò e Caterina ricominciò a respirare normalmente, non sapeva cos’era successo, ma non poteva farsi spaventare da quell’imprevisto. Non si era nemmeno accorta che la poveretta stava morendo soffocata e con un gesto teatrale strinse il coltello con entrambe le mani. Alzò le braccia al cielo senza distogliere lo sguardo dal corpo zuppo di sudore, sangue e vomito che aveva davanti e si preparò ad affondare la lama.
    «Lode a Kadreal.»
    Con forza spinse il coltello nell’addome della giovane che sembrò non accorgersene, la carne cedette come il burro e Caterina si ritrovò presto a riuscire a mettere una mano all’interno alla ricerca del cuore. Avevano passato settimane ad imparare come fare, è inquietante quello che riesci a trovare su internet con le parole giuste, e sapeva come fare per prendere l’organo che le serviva.
    «Stai attenta alle costole ora Cate, non farti male e non danneggiare il cuore. Deve essere integro.»
    Non poteva tagliare lo sterno perché per riuscire a togliere di mezzo la gabbia toracica avrebbe avuto bisogno di un paio di cesoie come minimo. No, senza gli strumenti adatti doveva muoversi all’interno del corpo alla cieca, cercando di non fare danni.
    Iniziò a togliere quello che non le serviva ed eviscerò Amanda senza pietà mettendo tutto vicino al cadavere. Fortunatamente la maggior parte delle cose si staccarono facilmente e Caterina non dovette fare forza, quando il corpo fu più libero, infilò ancora il braccio e riconobbe i polmoni. Il suo obiettivo era lì in mezzo.
    «Ok, non fare cazzate adesso.»
    Lentamente insinuò la mano cercando il cuore, al tatto lo avrebbe sentito più duro. Aveva il sangue che la ricopriva ormai, solo la schiena era ancora pulita e i capelli erano diventati quasi neri. Nonostante fosse letteralmente con i gomiti nelle budella di una persona con cui aveva parlato fino a meno di cinque minuti prima, la nausea era scomparsa lasciando il posto alla concentrazione e alla determinazione. Voleva fare il rito bene e non poteva sbagliare.
    Alla fine sentì quello che stava cercando e lo strinse un po’ sorridendo, fu una sensazione meravigliosa, come un’esplosione di soddisfazione che le dette euforia, iniziò a ridere e il respiro si fece più corto mentre il suo battito aumentava. Tirò a sé sentendo che le ultime difese stavano cedendo e trattenne il fiato con il timore di rischiare di danneggiare il prezioso organo.
    «Ti prego fa che non si rompa.» disse più e più volte come se fosse stata una vera preghiera. Le sembrava quasi che quel pezzo di carne fosse fatto di cristallo e aveva paura ad ogni movimento.
    Alla fine riuscì a estrarlo e riprese fiato sentendosi girare la testa. Continuava a fissare il feticcio che stringeva nella mano grondante di sangue e non riusciva a smettere di sorridere.
    Ce l’aveva fatta.
    Aveva il cuore della vergine.

    7



    Ad Alina era toccata la sfida più difficile probabilmente, Rebecca non sarebbe stata un’avversaria difficile da sopraffare dal punto di vista fisico, ma se avesse capito le intenzioni della ragazza, probabilmente sarebbe riuscita a scappare grazie alla sua intelligenza. Tutto il gruppo l’aveva sentita diffidente fin dall’inizio e sapevano che sarebbe stato l’osso più duro da mordere. Alina aveva avvertito il momento esatto in cui Giulio aveva acceso la fiamma nera e sentiva l’energia che scorreva tutto intorno a loro, era come un fiume dorato che permeava ogni cosa lasciando segni tangibili del suo passaggio. Nessuno poteva vederla tranne loro e avevano imparato a manipolarla un pochino. Tra tutti, i più portati si erano rivelati proprio lei e Giulio, ed Alina sapeva di dover fare ricorso a quelle sue abilità per riuscire a sopraffare “il genio”.
    Le due si trovavano al piano terra, stavano camminando tra la cucina e la dispensa del castello cercando un buon nascondiglio, Rebecca andava piano guardandosi attorno senza sorridere, era concentrata, ma dentro si stava un po’ annoiando.
    «Non ti stai divertendo?» chiese Alina avvicinandosi da dietro. La sua voce sembrava una carezza di seta, era morbida e fresca e Rebecca la sentì strisciarle addosso come un serpente. Era sempre stata molto carismatica, ma non aveva mai sentito una sensazione come quella solo con una frase. Si fermò e fu scossa da un brivido che costrinse Alina a sorridere.
    «Sì, ma mi sento un po’ stupida, ecco.»
    «E perché?»
    «Stiamo facendo un gioco per bambini, uno di quelli che non ha nemmeno molto senso.»
    «Le cose divertenti non devono avere senso, non per forza.» modulò la voce in modo da sembrare un corso d’acqua, un’immagine tranquilla e beata, si lasciò sfuggire una veloce risata e fu come una cascata limpida. Rebecca rimase quasi ipnotizzata da quel suono, rimbalzava sulle pareti arrivandole da ogni direzione e non si accorse che la giovane si stava avvicinando.
    «Lo...» provò a parlare, ma si sentiva come intorpidita. Scosse la testa e si sentì meglio. «Lo so, ma eravamo in quella meravigliosa biblioteca.»
    «Ah, la curiosità per quei libri è più grande della voglia di tornare bambina per un’ora.»
    «Penso di sì.»
    «Non ti rendi conto che non si tratta di un “aut aut”, ma solo di un prima e dopo? Puoi goderti tutto, devi solo lasciarti andare.» con un movimento lento e sinuoso, scivolò nella stanza arrivandole molto vicino, continuava a fissarla negli occhi e incanalava tutta la sua energia sulla giovane che si sentiva come in balia di una corrente impetuosa. «Devi solo, lasciarti andare.» ripeté abbassando la voce in un sussurro che le accarezzò il viso andandole dietro la schiena per sfiorarle la spina dorsale. La temperatura nella stanza era salita di colpo e Alina aveva gli occhi che brillavano. Rebecca non riusciva a distogliere lo sguardo e si ritrovò inerme mentre la ragazza le prendeva una mano. Appena la toccò, sentì come una leggera scossa e le sembrò di essere ingoiata dal nero oceano che erano le sue pupille. Alina le si avvicinò ancora stando attenta a far aderire il suo corpo perfetto a quello della ragazza immobile e le posò le labbra sulle sue. Rebecca non capiva cosa stesse succedendo, ma non poteva ribellarsi, era totalmente sotto il potere di quella sirena dagli occhi ghiacciati e lasciò cadere la torcia accesa che rotolò poco lontana.
    «Kadreal regna.» le sussurrò parlandole sulla bocca e respirando il suo fiato. La giovane era in suo potere e non capì quelle parole nello stato di trance in cui si trovava.
    In quella posizione, Alina alzò il coltello da dietro pronta a pugnalarla alle spalle, ma Rebecca aveva ancora gli occhi aperti e lo sguardo semi addormentato le si spostò sull’ombra dei loro corpi creata dalla torcia ancora accesa. Vide il movimento di Alina e il suo cervello arrivò alla risposta prima ancora di formulare una domanda. Raccolse tutta la sua forza ridestandosi dall’intorpidimento che le aveva causato l’incanto di quella creatura ammaliatrice e l’allontanò spingendola.
    «No.» gridò vedendo quasi subito la lama che aveva in mano.
    Alina era stata scoperta e a quel punto sarebbe stato difficile prendere il cervello della ragazza, la cosa importante era fare in modo che non si danneggiasse, quindi non poteva rischiare di colpirla alla testa. La spinta la fece cadere in terra e perse la sua arma che rotolò sul pavimento di pietra mandando un suono allegro. La temperatura era scesa di colpo ora che Alina aveva smesso di fare il suo trucco e Rebecca riuscì a riprendersi completamente. Non riusciva a capire perché la ragazza avesse tentato di ucciderla, ma non voleva restare lì a scoprirlo, raccolse la torca in fretta e iniziò a correre verso la porta della cucina. Si ritrovò vicino alle scale e pensò a cosa fare, si trovava davanti ad un bivio morale: scappare e chiedere aiuto, oppure andare a cercare i suoi amici per salvarli dalle grinfie di quell’incantatrice di serpenti? Improvvisamente la risposta, ovvia, la colpì con la forza di un uragano e si ritrovò senza fiato.
    «Ci hanno attirati qui. È tutta una trappola.»
    Non poteva accettare l’idea del suo fratellastro stesse per essere accoltellato per praticare uno strano rituale, quindi cambiò direzione e iniziò a salire le scale per andare a cercarlo, doveva stare attenta a non incappare negli altri compari di Alina, ma doveva fare qualcosa. Non ha senso essere la più intelligente di tutti se poi lasci che i tuoi amici muoiano sotto i tuoi occhi.
    Mentre saltava i gradini, Rebecca continuava a maledirsi per non averlo capito prima, era ovvio che quei cinque non avessero nulla in comune con loro, bastava farsi qualche domanda, ma erano riusciti ad ammaliarli blandendo il loro ego in mille modi diversi fino a far perdere loro ogni difesa. Si erano guadagnati la loro fiducia lusinga dopo lusinga.
    «Sei stata una stupida.» ripeteva mentre saliva al piano superiore continuando a guardarsi alle spalle per vedere se Alina la stesse seguendo.
    La luce della luna non era abbastanza per evitarle di fare una brutta caduta, quindi la ragazza decise di tenere la torcia accesa, correva il rischio di essere vista da uno dei cinque punk, ma in quel caso avrebbe potuto provare a scappare, se si fosse rotta una caviglia scivolando, sarebbe stato sicuramente peggio. Il fascio della luce saltava da parete a parete, era sicura di vedersi comparire uno di quei cinque da un momento all’altro.
    Arrivò al piano centrale e spense la luce avvicinandosi al grande salone dove un fuoco nero stava zampillando in mezzo alla stanza. Sopra c’era un calderone scuro come quello delle streghe dei fumetti e Giulio stava camminando lentamente nella sua direzione. Aveva due sacchi con qualcosa di vivo dentro e una scatoletta di legno, Rebecca non capiva cosa stesse facendo e nonostante tutto le suggerisse di andarsene, non riusciva a distogliere lo sguardo.
    Si spostò dalle scale, cercò riparo dietro una delle numerose titaniche colonne di marmo che costeggiavano il salone e si mise in una posizione che le permettesse di controllare Giulio senza farle perdere di vista i gradini da cui sarebbe potuta arrivare Alina da un momento all’altro.
    Il ragazzo al centro della stanza raggiunse il calderone e posò in terra la scatoletta e i due sacchi, prese dalla tasca una boccetta e la versò all’interno con un gesto teatrale. In tutta la stanza si diffuse un fortissimo odore di cannella e incenso, era quasi fastidioso. Con una lentezza esasperante, Giulio prese la scatoletta e la porse verso il cielo.
    «Ma cosa sta facendo?» sussurrò Rebecca che si stava appiattendo il più possibile contro la fredda colonna di pietra.
    Il giovane aprì la scatoletta e guardò dentro con un sorriso, all’interno c’era un piccolo scorpione nero che si stava agitando, appena Giulio avvicinò la mano, l’animaletto provò ad allontanarlo con le chele, ma il ragazzo non si spostò e lo prese dal pungiglione sulla coda alzandolo in aria senza pericolo. Se lo portò vicino al viso e chiuse gli occhi.
    «Kadreal.» disse con un filo di voce che non arrivò alla ragazza nascosta, poi gettò il piccoletto nel liquido nauseabondo che continuava a bollire scaldato dal fuoco nero. Appena lo scorpione scomparve tra i flutti, la temperatura del castello iniziò a scendere ancora di più e qualcosa prese a muoversi nell’oscurità, il pavimento non illuminato cominciò a brulicare e sulle pareti divennero visibili centinaia di scorpioni che zampettavano ovunque.
    Rebecca si era voltata a guardare gli effetti di quel prodigio e quando riportò gli occhi su Giulio, vide che aveva preso una delle sacche portando anche quella al soffitto. Dentro c’era un corvo e quando il ragazzo lo afferrò, quello tentò di beccarlo. Giulio si lasciò scappare un’imprecazione quando guardò la sottile striscia di sangue che gli colava sulla mano e strinse la presa facendo gracchiare il corvo.
    «Kadreal.» ripeté con un tono di voce più forte. Rebecca ancora non era riuscita a comprendere quella parola, ma non le importava. Sarebbe voluta andare via da quel posto maledetto, scappare con suo fratello e i suoi amici, ma qualcosa la costringeva a rimanere lì ferma. Non riusciva a muoversi.
    Con un gesto veloce, Giulio sgozzò l’uccello facendo colare il sangue nel calderone e poi ci buttò anche il corpo. Nuovamente un’ondata di gelo colpì le stanze del castello e un rumore d’ali che sbattevano inondò tutto. Qualche corvo apparso direttamente dall’inferno prese a gracchiare e la stanza piombò nel caos.
    Quando prese la terza sacca, Rebecca si portò una mano alla bocca, non riusciva a immaginare cos’altro dovesse essere sacrificato e quando il ragazzo mise la mano dentro ne tirò fuori un bellissimo serpente rosso e marrone chiaro.
    «Kadreal.» urlò a squarciagola mostrando la sua ultima offerta in alto.
    Anche l’ultimo povero animale finì dentro il calderone e centinaia di serpenti presero a strisciare nel buio, le finestre ne furono ricoperti e la luce della luna fu oscurata. Dal pentolone iniziò a fuoriuscire una densa e gelida nebbia bianca che toccò il pavimento e prese a espandersi in ogni direzione.
    Rebecca aveva decisamente visto abbastanza, fece per uscire dal suo nascondiglio quando vide un fascio di luce che si stava muovendo sulle scale, era la rampa che portava al piano di sopra, quindi non poteva trattarsi di Alina. Rimase nascosta cercando di confondersi con il buio e si morse le labbra da dentro corrugando la fronte. Aveva tanta voglia di urlare, ma sarebbe stato più dannoso che inutile. Da sopra vide scendere Mattia e Caterina, erano sorridenti, completamente ricoperti di sangue e tenevano in mano qualcosa. Rebecca si portò ancora la mano alla bocca e premette per essere sicura di non emettere nemmeno un suono quando capì che quello che avevano in mano erano degli organi umani. Quei pazzi avevano già ucciso qualcuno dei suoi amici e avevano asportato degli organi per fare un rituale. Per un paio di secondi, il suo cervello cercò altre spiegazioni plausibili, si rifiutava di credere a quello che stava vedendo. Non era possibile che i suoi amici fossero morti e che quei maniaci stessero facendo un rito satanico con i loro corpi; non era possibile tutta quella situazione. Ogni cosa era cambiata con una velocità che l’aveva lasciata scossa e incapace di pensare lucidamente.
    «Giulio.» squittì Caterina alzando il feticcio che stringeva in mano. «Ce l’ho fatta! Ho il cuore della vergine.»
    Il viso allegro e colmo di orgoglio della ragazza si stampò a fuoco nella mente di Rebecca, quella frase voleva dire che aveva ucciso una ragazza innocente per strapparle il cuore e quella ragazzina ne era felice. Felice.
    «Non ho mai avuto dubbi Cate. Come vanno gli altri? Iniziamo ad essere ristretti con i tempi.» rispose il ragazzo andando verso gli amici che si fermarono tra le colonne non troppo distanti da dove era nascosta Rebecca.
    «Manca ancora mezz’ora.» ribatté Mattia scuotendo la testa per togliersi dei capelli impiastricciati di sangue che gli erano andati davanti al viso.
    «Lo so, ma vorrei avere un po’ di margine. Avete visto Rebecca. Ho paura che potrebbe darci qualche problema. Dai, mettete gli organi nella cesta e andate a prendere i corpi. Devono essere vicino a voi ai vertici del pentacolo quando verrà la mezzanotte.»
    «Lo sappiamo, calmati Giulio. Li abbiamo trascinati fino alle scale.»
    «Giulio. Ragazzi.» la voce di Alina apparve dal nulla e tutti si voltarono verso le scale vedendo salire la ragazza senza torcia. Giulio aveva un’espressione felice sul volto, ma il suo sorriso svanì velocemente quando notò che Alina non aveva nemmeno una goccia di sangue addosso.
    «Ti prego, dimmi che avevi un cambio e ti sei ripulita prima di salire.»
    «Quella serpe mi è sfuggita.»
    «Cazzo.» imprecò Giulio sbattendo un pugno su una colonna. «Cazzo. Cazzo. Lo sapevo.»
    «Calmati Giulio. Non è cambiato nulla.» disse Caterina mettendo una mano sulla spalla all’amico.
    «Mancano solo lei e il buffone. Comunque l’avevo detto che era meglio se la lasciavate a me.»
    «Dire te lo avevo detto non è di nessun aiuto adesso, Mattia. Dovete aiutare Alina a uccidere Rebecca e a prenderle il cervello. Io finisco di preparare qui e vado a prendere Antonio. Cercate di non fare cazzate, non avremo altre occasioni.»
    «Non ti preoccupare Giulio. Appena avrò messo le mani su quella stronzetta, non farò gli stessi errori.»
    Rebecca aveva sentito abbastanza, doveva salire le scale e andare a cercare l’ultima persona rimasta, Giulio aveva anche parlato di Antonio, ma adesso non poteva farci nulla, doveva aspettare che si separassero per avere anche solo una speranza.
    Una cosa per volta. Pensò cercando di ragionare lucidamente.
    Con un movimento felino sgattaiolò dal suo nascondiglio e si avvicinò alle scale. Si avvicinò al corrimano guardandosi alle spalle per controllare il gruppetto che si stava ancora organizzando quando uno scorpione la punse al dito medio prendendola di sorpresa. La cosa improvvisa la fece urlare senza pensare e i quattro si voltarono nella sua direzione.
    «Eccola lì.» sibilò Alina con un tono di voce che sembrava volesse entrare nelle ossa della ragazza. Era un suono molto diverso da quelli che aveva creato fino a quel momento, era gelido e viscido con delle note taglienti. La frase raggiunse la fuggitiva che la sentì spingere contro il suo petto come se volesse toglierle il respiro. Non riusciva a capire come ci riuscisse, ma quella ragazza era in grado di far diventare la sua voce qualcosa di fisico.
    «Prendetela. Aiutate Alina a recuperare quel cervello e portate giù i corpi.» Giulio continuava a fissare Rebecca con un sorriso brillante, sembrava quasi che la luce stesse diminuendo intorno a lui e il suo viso rimase in penombra. Alzò un sopracciglio e mandò un bacio alla ragazza che capì che era arrivato il momento di scappare. «Andate.»
    Mattia e Caterina iniziarono a ridere e corsero dietro Rebecca mentre Alina iniziò a camminare ancheggiando con in mano il suo pugnale, non cercava nemmeno di nascondere la rabbia.

    Edited by Captain Soyuz - 22/11/2018, 20:42
     
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    Per ora di ciccia ce n'è poca; il ritrovo di amici in un posto abbandonato puzza un po' di clichè ma ovviamente non posso ancora dir nulla. Comunque seguirò, sono interessato.
     
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    CITAZIONE (Professor Zapotec @ 27/9/2018, 13:15) 
    Per ora di ciccia ce n'è poca; il ritrovo di amici in un posto abbandonato puzza un po' di clichè ma ovviamente non posso ancora dir nulla. Comunque seguirò, sono interessato.

    Professore, era da un po'che non la sentivo nelle mie storie! Che piacere! Di ciccia ce n'è poca perché è una storia luuuuunga (sapete che il vecchio Kung è grafomane) e i primi capitoli saranno più di introduzione :D
     
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    CITAZIONE (KungFuTzo @ 27/9/2018, 14:44) 
    Professore, era da un po'che non la sentivo nelle mie storie! Che piacere! Di ciccia ce n'è poca perché è una storia luuuuunga (sapete che il vecchio Kung è grafomane) e i primi capitoli saranno più di introduzione :D

    Tranquillo, mai temuto le storie lunghe :D
     
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    Anche se la storia, sempre per il momento, non spicca per originalità mi piace il modo in cui vengono delineati i vari personaggi; sicuramente la storia non sembra procederà con troppa linearità.

    Mi riservo una piccola critica sul lato coerenza: dubito che una sala segreta non venga scoperta in precedenza dalle autorità, alla fine un castello abbandonato rimane un edificio di valenza storica e quindi soggetto a perizie. Certo, come dice Lucy Lawless, in casi come questi si può supporre l'opera di un mago :D
     
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    Dai tempo al tempo caro professore, in quel castello le persone non ci vanno molto volentieri, inoltre una stanza segreta in un ambiente tanto grande e con le mura così spesse, non è facile da scoprire... ok, se qualcuno avesse fatto pulire la canna fumaria del caminetto si sarebbe accorto dello snodo ad un certo punto, ma quelli sono dettagli :D

    BTW, XENA RULES!
     
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    CITAZIONE (KungFuTzo @ 6/10/2018, 02:57) 
    Dai tempo al tempo caro professore, in quel castello le persone non ci vanno molto volentieri, inoltre una stanza segreta in un ambiente tanto grande e con le mura così spesse, non è facile da scoprire... ok, se qualcuno avesse fatto pulire la canna fumaria del caminetto si sarebbe accorto dello snodo ad un certo punto, ma quelli sono dettagli :D

    BTW, XENA RULES!

    Tranquillo, era solo un dettaglio che è pure facilmente spiegabile visto che siamo in Italia; esempio: il castello doveva essere restaurato ma tal assessore si è intascato la pecunia e da allora hanno solo messo il divieto di entrata senza fare veri e propri controlli. Sfido chiunque ad asserire che in Italia ciò non sarebbe più che possibile.
     
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    Molto, molto bello. Ora mi hai agganciato alla storia.
     
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    CITAZIONE (Professor Zapotec @ 21/10/2018, 17:00) 
    Molto, molto bello. Ora mi hai agganciato alla storia.

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    Sono Lady Cupcake, prima del suo nome. Madre dei Pennuti, distruttrice della mia autostima. Creatrice del ciclo del Disagio e stermimatrice di germi.

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    Aggiornata con quinto capitolo.
     
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    CITAZIONE (Professor Zapotec @ 21/10/2018, 16:00) 
    Molto, molto bello. Ora mi hai agganciato alla storia.

    Mi auto-cito, la sensazione rimane la stessa. Questo è forse il capitolo più bello fino ad adesso.
     
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