Bill & Tom Kaulitz Italian Forum

Posts written by Helly_Kaulitz

  1. .
    Vai tra, i tuoi commenti sono decentissimi!
    E già prendi punti sul fatto che hai citato Freddie, che è -lo ammetto- il mio personaggio preferito xD
    Spero di poter postare non troppo tardi, non demordere però =)
    Un bacione e grazie ♥
  2. .
    Oh bene, qualcuno che mi calcola xD
    E' che smetto di postare se non c'è nessuno che commenta, perchè penso che non venga letta e mi sembra piuttosto inutile =)
    Comunque dato che tu ci sei e sei almeno una, rocederò con il post =)
    Buona lettura e grazie per il tuo commento e tutto il resto ^^

    WHAT IF BETRAYAL WAS LOVE?
    11 CHAPTER



    Si era presentato a scuola quella mattina, mentalmente instabile.
    Eppure, era sveglio da qualche ora.
    Lui e Derek avevano parlato, e tanto.
    Bill aveva pensato molto alla scelta che avrebbe dovuto compiere e ovviamente non c’erano dubbi su che cosa volesse: lui voleva rimanere accanto a Tom, perché lo faceva felice. Però sappiamo bene che, spesso e volentieri, le cose che vogliamo non sono esattamente quelle che scegliamo.
    Bill camminò lentamente -dopo essere stato assurdamente accompagnato dal padre- dal parcheggio fino all’entrata di scuola: aveva paura che tutto succedesse troppo in fretta, ma sapeva che non c’era abbastanza tempo. Doveva farlo, prima ancora di vedere Derek: la loro storia era destinata a ricominciare.
    Scese dall’auto, sospirando affranto si fissò i piedi e fece forza sul destro per alzarsi. Doveva trovare la forza di camminare, senza crollare, da quella macchina sino ad attraversare i cancelli.
    L’mp3 passava “sing for me” degli Yellowcard: niente, insomma, di più doloroso.
    La canzone trattava di una separazione, solo per un anno, che avrebbe comunque cambiato tutto e niente allo stesso tempo. Bill si rivedeva molto in quel testo, sentiva che se ne stava andando, per un tempo del tutto indeterminato, che Tom non avrebbe mai capito.
    Si morse le labbra fortemente mentre quelle parole viaggiavano taglienti con il suo corpo.
    “Save tomorrow
    I can’t follow you there
    Just close your eyes and sing for me.
    I will hear you.
    Always near you and I’ll give you the words, just sing for me”.

    Respirò a fondo, con uno strano peso sullo stomaco destinato a non andarsene e poi si bloccò, lì, al confine tra l’abbandono e la fuga. Pensò se volesse davvero farlo, se quella fosse la scelta più giusta. Riflettè su mille modi per non dovere abbandonare Tom per sempre. Avrebbe voluto scappare, correre veloce e non doverlo fare mai.
    Quella, era l’unica cosa che non avrebbe mai voluto fare; il rasta non sarebbe stato il solo a soffrire.
    Poi vide il malfattore, vide il suo ex guardarlo e fargli un cenno col capo e spostando lo sguardo notò Tom, contro il muretto con una sigaretta fra le labbra, intento ad aspettarlo.
    Le lacrime lo stavano per assalire, ma si ricordò di non essere solo e dovette procedere.
    Stava andando ormai verso l’abbandono, l’idea della fuga era stata sepolta: nessuna fuga sarebbe stata tanto lunga per permettergli di rimandare la sua scelta, nonostante spesso –per fare dei cambiamenti- sia difficile accettare di compiere tutti quei necessari passi. Il fatto era che Bill non avrebbe voluto cambiare nulla, perché finalmente tutto stava andando come desiderava, eppure… Niente rimane costante in questo ristretto tempo.
    “ Sarò sempre vicino a te
    E ti darò le parole, canta per me. Ogni serratura
    Su ogni porta
    L’ho messa lì io, per tentare di celarti dal mondo
    E hai scalciato
    Sì, hai urlato
    Non hai mai compreso, tu sei tutto per me”

    << Hey! Non arrivavi mai! >>, esclamò Tom dinanzi al suo arrivo. Aveva un così bel sorriso su quel volto, perché Bill si sentiva obbligato a doverlo spegnere? Il cuore gli andava all’impazzata in quel momento: non voleva lasciarlo andare.
    << Già, scusa… Mi ha accompagnato mio padre. Ho dovuto rispettare i suoi orari >>, rispose Bill spostando leggermente il labbro nel creare un mezzo sorriso. Tom si sporse per baciarlo, ma il moro arretrò.
    << Tutto bene? >>, gli domandò. La canzone stava continuando ad andare, si era persino scordato di togliere l’mp3 e la scelta “ripetizione uno” non faceva che alimentare la sua sofferenza.
    << Sì, è solo che… Ho bisogno di parlarti >>.
    << Ma che succede? >>, si interessò Tom posandogli la mano sul braccio. Bill si leccò le labbra, non avendo il coraggio di guardarlo negli occhi, e cercò di tirar fuori le parole, schiarendosi la voce.
    << Niente, è solo che… >>. Voleva farla finita, dirlo subito: “tolto il dente, tolto il dolore”, così almeno non avrebbe più avuto il pensiero e si sarebbe disfatto della cosa più bella che gli fosse mai capitata in 15 anni.
    “Out of time
    All out of fight
    You are the only thing in life that I got right”

    << Che succede Bill? Cosa… Che c’è? Derek ti ha dato fastidio? >>. Il suo cuore parve strozzarsi. Forse il sangue non pompava più bene, gli sembrò di svenire all’istante: perché doveva finire male una cosa iniziata così bene?
    Doveva farlo, basta, senza rancore.
    “Serba il domani
    Non posso seguirti lì
    Chiudi soltanto gli occhi e canta per me
    Ti ascolterò
    Sarò sempre vicino a te
    E ti darò le parole, canta per me”

    << Dobbiamo lasciarci, Tom >>, disse cercando di darsi un tono piuttosto autorevole. Tom si scostò leggermente sorpreso e la presa sul suo braccio divenne sempre più flebile.
    << Cosa? >>, disse quasi come un sussurro. << Perché? >>.
    << Perché… Perché sì… Io non… Non mi sento di… Di poter continuare. Ho bisogno di… Di tempo, per pensare >>.
    << Ma che significa Bill? Ieri siamo stati una favola insieme! Ho sbagliato qualcosa io? Non mi sono accorto di qualcosa? Ti ho ferito, in qualche modo? >>. Tom cercò di trovare un appiglio, delle giustificazioni a quella sua folle affermazione: perché mai avrebbero dovuto lasciarsi se stavano così bene insieme?
    << No, è solo che… >>, cercò di guardarlo per rendere più vera la cosa. << Io e Derek abbiamo cominciato a risentirci e… >>.
    << Derek? Dopo tutto quello che ti ha fatto? >>. Il ragazzo cominciò ad alterarsi. << Cazzo non mi starai dicendo che sei tornato con lui? >>.
    << Non è così, è solo che… Ci sono delle cose che dobbiamo chiarire e… >>.
    << Quando è successo? È stato l’altro giorno, quando vi siete parlati fuori classe, eh? Che ti ha detto, ti ha fatto il lavaggio del cervello? Bill quello è uno sfigato, non ti vuole, non so che cazzo ti abbia detto per portarti a lasciarmi, ma… >>, sbuffò e lasciò la presa. Fece un giro su se stesso imprecando dal nervoso e poi si rivolse nuovamente a lui, irritato. << Se vuoi lasciarmi per qualcosa che ho fatto, va bene. Io non ti impedirò di spezzarmi il cuore, se dovesse servirti per riflettere. Ma non dirmi che mi stai lasciando per tornare con quello perché non la bevo ! >>, lo additò. Bill scosse la testa, allontanandosi da lui.
    << Io e te non siamo fatti per stare insieme, siamo… Siamo troppo diversi e io non voglio che ti metti in ridicolo stando con me, dai… È meglio così >>. Il moro non sapeva più su che specchi arrampicarsi, era come un bambino che non sa nuotare che annaspa in acque più profonde di lui, tentando con disperazione di risalire, ma senza aiuto alcuno. Sentiva che, con le sue unghie spezzate, provava una risalita troppo dolorosa. Se non avesse smesso di raccontare tutte quelle cazzate, avrebbe presto dovuto rivelare la sua verità e così l’avrebbe perso per sempre: non poteva rischiare tanto.
    Tom non ebbe il tempo di replicare nulla perché sembrò che il suo ritorno di fiamma, Derek, fosse venuto a soccorrerlo. Occhi di ghiaccio gli portò un braccio attorno alle spalle, come a voler dimostrare a Tom che era tornato ad essere di sua proprietà. Eppure, Bill non sembrava affatto felice fra quelle braccia.
    << Beh? Ancora qui? Smamma ragazzino, Bill è tornato a ragionare. Ora sta con me, tu non ci servi più >>. Tom sbuffò, guardando Bill per un’ultima volta, come se volesse sentirsi dire che era tutto un bluff, uno scherzo, che niente stava finendo.
    Quella risposta non arrivò, il moro continuò a fissare in terra, Derek mantenne per tutto il tempo quel sorriso smagliante e falso e, così, Tom fu costretto ad allontanarsi, spingendo a terra la prima persona che gli capitò a tiro.
    << Sei uno stronzo >>, ringhiò Bill con le lacrime che, copiosamente, si preparavano a precipitargli addosso. Derek, senza scostarsi, lo guardò con prepotenza:
    << Se non l’avessi fatto, avrebbe saputo il tuo segreto Kaulitz… È stato meglio così >>. Con un gesto violento Bill si scostò da lui e se ne andò: non poteva restare a scuola un minuto di più.
    Avrebbe segato, per quel giorno. Rimanere lì avrebbe significato condividere il banco assieme a Tom oppure non condividerlo affatto e, in entrambi casi, sarebbe stato uno schifo totale.
    Preferiva andarsene, o porre fine alle sue sofferenze.
    In fondo, che cosa gli significava vivere a quel modo? Nell’istante esatto in cui stava formulando quei pensieri, si ricordò che c’era qualcosa dentro di lui. Qualcosa che non c’entrava niente con quel dolore, con quella malvagità, qualcosa di puro e semplice, che non aveva alcuna colpa.
    Ed era per quella piccola cosa che avrebbe dovuto lottare; lo scopo doveva essere portare avanti quella gravidanza che, anche se era frutto di una relazione sbagliata e disonesta, era la sua gravidanza e quella che lui immaginava essere una bambina, non aveva colpa di essere nata in un corpo sbagliato per via di una persona meschina e ignorante.

    ***



    Tom non riusciva a stare concentrato in classe.
    Che cosa significava quel mezzo discorso di Bill sul fatto che loro due non potevano stare insieme? Non aveva senso. Giocherellando con la matita come se fosse una bacchetta, continuò a pensare tutto il tempo trascorso il giorno prima assieme. Riflettè, lo fece davvero e lo fece a lungo, ma non trovò niente, dico niente, che avrebbe potuto portare Bill a lasciarlo.
    Doveva esserci qualcosa sotto. Qualcosa di più grosso.
    E Tom, beh, non era lo stupido che mostrava di essere.
    Pensò che potesse essergli preso un attimo di paura e insicurezza, che forse sentiva di affezionarsi morbosamente e così aveva deciso di mollare.
    Tom era intento a fargli capire che non doveva aver paura di quello che sarebbe potuto succedere, perché lui gli sarebbe stato affianco. Dopo che l’aveva lasciato, non rientrò in classe e il rasta se ne preoccupò. E il fatto che Derek avesse detto che fossero tornati insieme? Gli pareva tanto una bufala.
    Bill odiava Derek e anche Tom. Era una persona meschina, l’aveva fatto soffrire, cosa poteva esserci di tanto forte da legarli? Qualcosa che non conosceva, di sicuro: ma che cosa?
    Tom si morse forte le labbra e sbuffò. Forse anche troppo forte, tant’è che il temuto professor Fitzerberg lo rimproverò.
    << Beh? Così noiosa la lezione Thomas? >>.
    << Mmh… >>, farfugliò lui. << La matematica non mi fa impazzire >>.
    << Beh purtroppo per lei è materia di indirizzo quindi la prego di seguire o comunque di stare in silenzio, soprattutto per rispetto dei suoi compagni >>. Tom rise, alzandosi in piedi e –con quel mezzo sorrisetto- sistemandosi giusto quei due quaderni dentro la tracolla. << Dove sta andando? >>.
    << Mi sembra ovvio, no? Esco, altrimenti disturbo i miei compagni >>.
    << Si sieda subito e non faccia scherzi! >>, si alterò. Tom rise ancora.
    << Va bene, non ti scaldare prof! >>, alzò le mani in segno di pace. << Posso almeno andare in bagno? È urgente >>. Il prof brontolò qualcosa fra sé e sé e gli concesse il permesso di uscire.
    Quando Tom uscì dalla classe, scese di sotto ai distributori e –guardandosi in giro- si rintanò nell’angolo più sicuro per fumare senza essere beccato. Non era seccato o nervoso, soltanto… Scosso. Né vuoto o apatico, ma dubbioso. Le cose non quadravano, c’era poco che continuare a pensare. Derek si era messo in mezzo troppo presto per non fargli pensare che potesse c’entrare qualcosa.
    Derek aveva in mano qualcosa che Bill non voleva nessuno conoscesse, un segreto di famiglia, un aneddoto che avrebbe potuto denigrarlo ancora di più… Qualcosa. E Tom voleva scoprire cosa fosse, perché il giorno prima erano la coppia perfetta e il giorno dopo non erano che semplici conoscenti.
    Non c’era altra spiegazione al problema. Bill non aveva colpe, questo era chiaro.
    Terminata la sigaretta, andò davvero in bagno di modo che se il prof l’avesse provato a rintracciare, avrebbe pensato che non aveva raccontato cazzate, quando invece era così.
    Il fatto era che il bagno non era un luogo solitario come si potrebbe pensare, tutt’altro.
    << Thomas! Come procede? >>.
    << Lasciami passare e non rompere >>. Il ragazzo si fece spazio per non sfiorare neanche di un poco quello stronzo di Derek: non aveva proprio voglia di mettersi a chiacchierare con lui, anche se…
    << Cos’è, hai la luna storta? O ti brucia che Bill ti abbia mollato in modo così brutale? >>.
    << No, affatto, anzi ti dirò… Me ne sono liberato >>. Gli occhi del suo avversario sembrarono assumere una strana ombreggiatura. Che fossero dubbiosi come rivelava la sua espressione?
    << Che vuoi dire? >>. Tom sbuffò, giocando sporco, per arrivare ad una verità che non avrebbe mai nemmeno potuto immaginare.
    << Niente >>, sollevò le spalle sistemandosi contro la porta di uno dei bagni. << Che mi hai fatto un favore, non sopportavo più di averlo appiccicato, sempre lì, a pretendere cose… Mi ero stancato; è una gioia non averlo fra i piedi >>. Derek aggrottò la fronte e lo fissò.
    << Stai bluffando, non la bevo >>.
    << Bluffando? >>, ripetè lui portandosi sulla difensiva. << Derek dai, se stessi bluffando pensi che sarei qui a parlarti e a condividere con te quello che entrambi sappiamo di Bill? >>. Il suo volto era sempre più espressivo, confuso. Non riusciva a capire le parole di Tom e fino a che punto fosse a conoscenza del segreto del moro.
    << Allora alla fine te l’ha detto? Ti ha detto che cosa è? >>. Tom cercò di mostrarsi consapevole e fece finta di nulla.
    << Certo, anche per questo mi hai fatto un favore… Infatti non capisco come cazzo fai a stare con lui, a me fa abbastanza schifo >>. Derek sbruffò e poi, guardandosi addietro per vedere se ci fosse qualcuno si allungò verso Tom e quest’ultimo capì. Capì che stava per confessare ciò che più bramava di sapere, come uno stolto. “Hm”, pensò. “ È così stupido. Basta fingere di sapere la cosa e spingersi oltre il limite per scoprirla davvero”.
    << Ti confesso una cosa Tom… >>. Il rasta tese bene l’orecchio per non fraintendere nulla e poi la risposta arrivò, facile facile, esattamente come se l’era immaginata. << Anche a me fa schifo stare con lui sapendo cosa c’è là sotto, ma… Ho voglia di divertirmi a farlo soffrire >>, rise malignamente e Tom gli resse il gioco.
    Pensò di aver capito tutto, pensò che fosse solo un sadico omofobo, che Bill gli facesse schifo per la sua sessualità, eppure anche se quest’ultima c’entrava… Tom non poteva comprendere così a fondo l’intrinseco significato della sua frase, nonostante fosse ad un passo dalla verità.
    Quanto lontano possono portare i fraintendimenti.
    Tom gli disse che avrebbero potuto divertirsi assieme; voleva fare il doppio gioco di modo da fargliela pagare e rivelare a Bill il perfido piano di Derek, eppure nessuno dei presenti conosceva ciò che c’era in gioco. Bruciarsi in quell’incendio di vendetta era ormai inevitabile.
    Qualcuno si sarebbe fatto del male, qualcuno che nessuno sarebbe mai stato considerato.
    Una volta tornato in classe, Tom decise di non contattare subito Bill, ma di aspettare il pomeriggio, per vedere se fosse stato lui il primo a risentirlo.
    Ciò non accadde, almeno fino alle 15, poi il rasta smise di guardare ossessivamente il cellulare e si dedicò a Freddie: era l’unico con cui avrebbe potuto parlare.
    << Tu che cosa faresti se avessi una fidanzata, Freddie? >>.
    << Una fidanzata? Figurati, io non c’ho voglia di regalare loro fiori! Sono troppo costose >>. Tom rise, sistemandosi meglio sul letto e guardando il soffitto.
    << Eppure so che a Mona le hai lasciato i fiori alla porta >>. Tom voltò il suo sguardo fino a fissare quello del biondo, completamente rosso. << Hey >>, sussurrò fraternamente. << Sai che ti prendo in giro, vero? >>.
    << Tu giochi con la mia sensibilità >>. Tom cercò di non ridere davanti all’esternazione di Freddie e gli si rivolse poi seriamente.
    << No dai, a parte gli scherzi… Se avessi una fidanzata e lei ti lasciasse per colpa di un altro che però sai che l’ha costretta, come reagiresti? >>. Lo vide pensarci.
    << Perché mi fai questa domanda? >>.
    << Perché oggi Bill mi ha lasciato, senza un motivo apparente, ed è di colpo tornato col suo ex che tra parentesi odia e… Questo mi puzza troppo >>.
    << Ti ha lasciato? Ma che stronzo! Non sa che si perde >>. Bofonchiò. << Se fa così è perché non ti merita! >>.
    << No Freddie, non è così. Io sono sicuro che lui non volesse lasciarmi e parlare con Derek me l’ha confermato. Ho fatto finta che di Bill non mi interessasse nulla e gli ho detto che mi ha fatto un favore a riprenderselo, che lui mi aveva stancato. Ho voluto vedere cosa diceva, no? >>. Il biondo lo invitò a proseguire, completamente rapito da quel Thriller che non corrispondeva affatto al suo genere preferito di storie. << In pratica lui mi ha detto che lo sta usando, vuole solo farlo stare male perché gli fa schifo “cosa c’è là sotto”, questo ha detto… Cioè è un omofobo del cazzo! Lo odio e adesso faccio il suo gioco per fargliela pagare! Tu che faresti al posto mio? >>.
    << Io gli ficcherei le palle in un frullatore e premerei il pulsante invio! >>. Tom spalancò gli occhi e lo fissò stupito.
    << Sai com’è fatto un frullatore, vero?! Non è un computer! >>.
    << No Tommy sul serio, io gli schiaccerei le palle tra una sedia e una cattedra! Così le sente! >>. Presi a ridere e gli tirai un cuscino, in amicizia.
    << Vorrei avvisare Bill che lo sta solo usando, che può fidarsi di me, ma non so come reagirebbe… Lui ha un segreto Freddie e io… Mi preoccupo. Non tanto per il fatto che non me l’abbia confessato, ma perché questo segreto ci ha divisi e io non voglio che Derek lo ricatti per questo motivo. Voglio fargli capire che può fidarsi di me >>.
    << Allora mandagli un messaggio e diglielo! E poi qual è questo segreto per cui lo sta ricattando? Non sei stupido, perché non gliel’hai tirato fuori? >>. Freddie non sapeva quanto di vero ci fosse nella sua domanda che poteva sembrare così ovvia e scontata, e neppure Tom. Questo perché nessuno, neppure Tom per quanto volesse bene a Bill, avrebbe mai potuto pensare che Derek gli aveva già rivelato il segreto esprimendosi in quel modo che il ragazzo aveva etichettato come “omofobo”. Gli aveva già detto che “là sotto” c’era qualcosa che non andava.
    Finchè non ci si sarebbe scontrato, Tom non l’avrebbe mai capito.
    << Non serve mandargli un messaggio, sarebbe da fifoni. Devo dirglielo di persona e comunque no… Non so per cosa lo ricatta, ma cercherò di scoprirlo. Se Bill non vuole parlare, farò parlare Derek e userò anch’io qualcosa contro di lui, fidati >>. Freddie non gli rispose, muovendo il capo in un flebile sì.
    Tom guardò per l’ennesima volta il telefono, poco sorpreso nel vedere che nessuno l’aveva ancora cercato.
  3. .
    Devo interrompere il postaggio?
  4. .
    Grazie mille e non proeccuparti, tanto anche io faccio fatica a postare quanto vorrei =)
    Ora un altro capitolo che ti frà incazzare tanto XD
    Buona lettura =)



    WHAT IF BETRAYAL WAS LOVE?
    10 chapter




    Gli aveva mentito.
    Bill aveva mentito a Tom. Aveva detto che Derek voleva solo chiedergli scusa, che non si doveva preoccupare. Ma questa era solo una parte della verità, l’altra era rimasta in lui come indigesta. Come qualcosa che non riuscisse a digerire.
    Era preoccupato.
    Derek voleva davvero raccontare a Tom il suo più grande segreto? Sebbene avesse assicurato a Derek che il rasta sarebbe stato in grado di capirlo ed accettarlo al cento per cento, non poteva averne certezze.
    Non era una possibilità, era un rischio. Chi gli assicurava che lui sarebbe rimasto? Si erano cominciati a frequentare da poco insomma e Tom non aveva ancora troppo manifestato quelle esigenze. Ma quando sarebbe successo? Quando avrebbe voluto vederlo nudo, come avrebbero affrontato la questione? E anche se Bill gli avesse rifilato la questione del “non sono ancora pronto”, come si sarebbe messa la faccenda quando il suo pancione sarebbe ulteriormente lievitato?
    Si mordeva le labbra affannosamente, aveva ormai lasciato un solco su di esse. Erano urtate dal dolore.
    Qual era lo scopo di Derek? Non capiva perché volesse fargli questo. Perché volesse dividerlo da Tom. Ci teneva a vederlo soffrire? Il sesso non era l’unico motivo per cui lo rivoleva indietro come un vecchio giocattolo ripescato in soffitta, c’era dell’altro: voleva punirlo per avergli tenuto testa e stava usando tutto ciò che era in suo potere.
    Il ragazzo era disperato, lo stress e la frustrazione non gli facevano decisamente bene. Né a lui né al bambino. Che cosa ne sarebbe stato di lui? Quella creatura così innocente che non aveva colpe in sé per sé, in realtà gli stava dando fin troppi problemi.
    Quel pomeriggio lui e Tom si sarebbero visti all’orfanotrofio. A casa sua insomma. Tom gli aveva promesso che gli avrebbe fatto conoscere Freddie, il suo amico speciale. A Bill pareva strano, ma allo stesso tempo totalmente tenero che Tom ci tenesse a quel modo. Che lo proteggesse così tanto. Si comportava davvero come un perfetto fratello maggiore.
    La notte prima il padre gli aveva domandato il perché di quelle larghe maglie e a Bill era preso il panico; per un attimo vacillò su cosa dirgli, poi disse ciò che anche il signor G si aspettava: non si sentiva abbastanza bello e non voleva mettere in risalto il suo corpo. Il vecchio bofonchiò qualcosa di incomprensibile e tornò a mangiare la sua porzione di wurstel e patate.
    Non era ancora pronto a parlargli della gravidanza, si sarebbe arrabbiato, non sapeva come l’avrebbe presa, non voleva condividere il suo segreto con nessuno. Le persone che lo conoscevano erano già abbastanza e una di esse stava usando questo espediente contro di lui: di certo, il feto che c’era in lui non avrebbe avuto la possibilità di raccontarlo in giro.
    Sospirando di felicità, Bill scese dal bus e fece qualche passo prima di trovarsi a pochi metri dall’alloggio di Tom. Uno dei responsabili –di cui sicuramente il biondo gli aveva parlato- lo invitò ad entrare e gli disse che se voleva poteva salire a chiamare il suo amico.
    Loro però non erano solo amici,di questo non erano stati informati.
    Bill bussò alla porta della presunta stanza e un ragazzino biondo travestito da soldato gli aprì. A Bill arrivò addosso una freccetta. La guardò schiantarsi innocuamente sul suo petto e cadere. Sollevò lo sguardo dubbioso.
    << Freddie così non vale! >>. Tom rise, la bandana militare intorno alla testa, e scavalcò il suo letto raggiungendo velocemente quella peste e tirandolo per la maglietta. Cadde sul letto, il fiatone alle stelle, e cominciò a fargli il solletico. Freddie chiedeva pietà mentre Tom, dall’alto della sua posizione, lo infastidiva a più non posso provocando una risata più potente dell’altra.
    Bill osservò intenerito la scena e li lasciò fare, col sorriso.
    << Cazzo Tom, basta! Ahahah, mi metti il tuo schifoso culo in faccia! >>.
    << È il rischio di fare la sentinella! >>. Continuò a fargli il solletico a lungo quando Freddie riuscì ad allungare una gamba contro di lui e gli diede una piedata in testa. Tom mugugnò dal dolore e il biondino schizzò via, veloce a più non posso. Si diresse correndo verso Bill e quest’ultimo, palesemente divertito, prese la freccetta che gli era arrivata poco fa e la tirò verso Tom, centrando con precisione la sua zona bassa.
    << Punto >>, disse ridendo. Tom sollevò il capo e sorrise, sghembo.
    << Però, appena arrivato e vuoi già segnare >>. Saltò sul materasso e lo raggiunse, stampandogli un bacio casto sulla guancia. Bill lì per lì s’imbarazzo: non era stato ancora presentato e si sentiva un po’ inebetito dinanzi a tale sfrontataggine. << Ciao >>, disse strofinandogli il naso contro il suo.
    << Ciao… >>.
    << Tu sei sicuramente Bill! Io sono Freddie, piacere >>. Il biondino gli porse la mano con un sorriso enorme, il respiro affannoso, la mano sudata e le guance tutte rosse: aveva ragione Tom a dire che quando si imbarazzava o diventava piuttosto saltellante sembrava una piccola fragolina.
    << Piacere mio… Tom mi ha parlato molto di te. Dice che sei la sua palla al piede >>, scherzò lui.
    << Ah davvero? Beh questo stupido senza di me non farebbe niente! >>, saettò Freddie.
    << Calmo con le parole pivello, sono di quattro anni più grande di te! >>.
    << E io di quattro centimetri più lungo, tiè! >>. Bill sbarrò gli occhi e prese a ridere. << Comunque vi lascio soli se dovete pomiciare >>.
    << No, ma per me puoi restare se vuoi! Non c’è problema! >>, specificò subito Bill.
    << Dai va via, chi ti vuole qui… >>, lo prese in giro Tom.
    << Hai sentito cosa ha detto Tommy? Dice che posso restare, che non c’è problema, quindi se Bill vuole che io resti posso anche romperti le palle qui tutto il pomeriggio e rovinare il tuo piano di scopo! >>.
    << Ma che cazzo dici?! Perché non vai a giocare con Samuel? O dici a quella Mona che le sbavi dietro dal primo giorno che l’hai vista? >>.
    << Daiii, vaffanculo! >>. Freddie gli tirò addosso una scarpa e schizzò via, chiudendo la porta dietro di lui.
    << Ma se ne va via così? Senza una scarpa? >>, domandò Bill stranito.
    << Sì tranquillo, è normale >>. Qualcuno rientrò dentro e Freddie –riprendendosi la scarpa- disse:
    << Comunque ciao Bill, è stato un piacere conoscerti, do tutto in mano a te, schiaccialo questo imbecille! >>. Il biondino lentigginoso gli fece la linguaccia e riandò via, sbattendo la porta come si vede fare nei film.
    << Però, ha una tale energia >>, constatò Bill.
    << Già… Vieni qui dai, mi sei mancato >>. Tom gli prese entrambe le mani e si incollò alle sue labbra.
    Il moro, d’altra parte, non vedeva l’ora di sentirlo. Gli era mancato tutto il giorno e dopo tutto ciò che era successo con Derek aveva proprio bisogno di un po’ intimità con il suo nuovo amante.
    Cercò per tutto il pomeriggio di non far fare a Tom troppa pressione sulla sua pancia, o comunque di non fargli sentire che ci fosse anche un minimo rigonfiamento, non voleva che succedesse qualcosa al bambino o peggio che il rasta potesse venire a scoprire qualcosa di cui non andava troppo fiero.
    Coprì il suo segreto senza però evitare a Tom i contatti che era lui stesso a bramare così tanto.
    Rimasero una buona parte del pomeriggio a coccolarsi. Bill steso sul letto di Tom, allungava di tanto in tanto una mano fino ad accarezzare il suo collo: giocava coi suoi rasta, baciava i suoi lobi, sospirava dolcemente nelle sue orecchie. Tom accarezzava con estrema delicatezza i fianchi di Bill, tentando più volte di passare con le mani sotto la fina maglietta del ragazzo, senza grande successo. Gli baciava la fronte e gli diceva –baciandolo- che era la persona più speciale che avesse mai conosciuto e il ragazzo più bello che in vita sua avesse mai visto. Bill si sentiva amato da quelle braccia, cullato da quelle parole, tormentato dalle circostanze che gli erano avverse. Tutto era contro quello che stava nascendo tra di loro. L’amore gli bruciava dentro e non poteva evitarlo, eppure allo stesso tempo negava di provare un sentimento tanto forte, per non illudersi.
    Avrebbe voluto che quel pomeriggio non fosse mai finito. Che quelle carezze e quelle dolci parole fossero le ultime che lo cullavano la notte e le prime che gli venissero sussurrate al mattino.
    Nonostante quei bei sogni, sapeva che un momento non dura per sempre e un bel momento dura anche meno: la vita ti strappa via tutto troppo presto, te ne lascia assaporare solo uno squarcio, ma nonostante tutto questo non è mai abbastanza.
    << Raccontami qualcosa >>, sussurrò Bill mentre il suo ragazzo lo teneva stretto da dietro e –stesi sul letto- gli accarezzava le spalle.
    << Cosa devo dirti? >>.
    << Qualcosa che non so di te >>.
    << Sai tutto quello che c’è da sapere >>, disse Tom.
    << Dai… Fai il serio >>.
    << Okay… >>, rispose lui. << Mmh… Qualcosa che non sai di me… Ho preso una cotta per uno tempo fa >>. Il moro rise, quasi gongolando.
    << Questo già lo so >>.
    << Come fai a saperlo? Mica sei tu >>. Bill si voltò di scatto e addolcì ogni tratto del suo viso.
    << Dai Tomi! Non è vero! >>. Il rasta rise mentre quel piccolo confettino ripieno lo guardava, teneramente, dal basso. Si chinò su di lui e lo baciò sulle labbra.
    << No, non è vero… Comunque boh, una cosa che non sai di me è che ogni mattina in bagno me lo meno pensando a te >>.
    << Dai che schifo! Sei schifoso! Non voglio queste porcate, voglio una cosa dolce… >>.
    << Uffa… Vediamo, una cosa che non sai di me è che ogni mattina quando vado in bagno… >>.
    << Tomi l’hai già detto! >>, sbruffò lui ridendo.
    << Aspetta, fammi finire! Una cosa che non sai di me è che ogni mattina quando vado in bagno penso se tu sei vero o sei soltanto un sogno perché dalla sera che ti ho incontrato in quel locale non ho fatto altro che pensare che ti volevo nella mia vita e, ora che ci sei, mi sento così fottutamente fortunato che niente potrebbe andare meglio >>.
    << Davvero? >>. E come dice qualche stupida persona, quando riesci a tirar fuori un davvero alla tua ragazza (per Bill useremo questa similitudine), allora significa che l’hai davvero in pugno e Tom sentiva di avere molte potere in quel momento. Fece cenno di sì col capo e Bill –con un sorriso a trentadue denti- sporse il volto per baciarlo e le loro lingue si incontrarono fugaci. In quell’attimo gli parve di non riuscire più a fermarsi, come se volesse baciarlo in eterno, ma sapeva che se non l’avrebbe fatto Tom avrebbe chiesto di più, avrebbe voluto di più e questo Bill non poteva darglielo.
    Mezz’ora prima che se ne andasse dall’orfanotrofio, guardò Tom e Freddie fare un gioco di macchine alla play e il ragazzino vinse spasmodicamente, come se per lui fosse uno scherzetto.
    << Ti dà del filo da torcere, eh? Pensavo fossi invincibile >>, lo derise Bill. Freddie gli diede il cinque e Tom rise malignamente, tentando di mascherare la sua sconfitta. Si divertì così tanto che non voleva andarsene via: quella socializzazione gli era così strana e quel Freddie che Tom aveva tanto a cuore gli piaceva. Non era un ragazzino come gli altri, era un deriso e come tale portava rispetto per le altre persone. Questo faceva di lui una persona di buon cuore.
    Quando fu l’ora di andarsene, Freddie lo salutò e Tom lo accompagnò fino ai cancelli di fuori, per assicurarsi che non sbagliasse la strada.
    << Spero che ti sia piaciuto venire qui… >>, gli disse Tom. << So che è una topaia, ma almeno assieme a Freddie sa di casa! >>, scrollò le spalle.
    << Topaia? Ma che dici Tom, la tua stanza sa più di famiglia che tutta casa mia intera! Siete così carini assieme, così complici… Vi amate come fratelli, siete bellissimi >>.
    << Lo sai, Freddie non ha nessuno a parte me e io, beh, più o meno la stessa cosa >>.
    << Ora però hai me >>. Bill si morse le labbra e avvicinandosi non perse tempo a baciarlo ancora. E ancora. E ancora. Tom si scostò.
    << Sarà meglio smettere o non ti lascio andare via… Mi piaci troppo >>.
    << Smettila dai… >>, arrossì. << Ci vediamo domani a scuola >>. Tra un bacio e l’altro e un tiro e molla continuo, Bill riuscì a tornarsene a casa e si sentì felice come non mai.
    Era certo che niente potesse distruggere quella bellissima giornata, intrinseca di eventi che da tempo aspettava. Poteva finalmente dirsi felice e anche se non era nelle condizioni adatte per esserlo, decise di viversi quell’istante.
    Come abbiamo già detto, i momenti felici durano sempre poco.
    Erano ormai le 21 inoltrate, qualcuno suonò in casa Kaulitz quella sera. Bill disse a suo padre di non scomodarsi, la sua felicità aveva ormai raggiunto il picco.
    Eppure basta così poco per crollare in fondo.
    << Ciao Bill, posso entrare? >>.
    << Che diavolo ci fai qui? Non dovevi venire fin qui >>.
    << Perché, c’è Tom? >>, lo stuzzicò Derek.
    << No, ma non mi va di vederti. Cosa vuoi? >>.
    << Possiamo parlare? Credo di averti dato un tempo abbastanza ampio per decidere. Hai fatto tutto ciò che potevi fare questo pomeriggio? Ti sei divertito? >>.
    << Che cosa vuole dire tutto ciò? >>.
    << Insomma, perché vuoi continuarne a parlare qui, sull’orlo della porta. Sono il tuo ragazzo, non mi fai entrare? >>.
    << Tom è il mio ragazzo adesso, tu non sei altro che un patetico ex >>.
    << Hey >>, sbraitò Derek tenendogli saldamente il polso. << Quella cosa là dentro è anche mia, ho dei diritti su di lei >>.
    << Ma non su di me. Lasciami subito >>.
    << Bill chi è? >>, gridò suo padre.
    << Sono Derek! Ho chiesto a Bill se può uscire un secondo con me a fare due passi, un po’ d’aria gli farà bene >>, cercò di mostrarsi gentile.
    << Oh ma certo, uscite pure! >>.
    <<va bene così papà, non mi va di uscire >>.
    << Dai su, ti chiedo due minuti >>, implorò Derek.
    << Bill esci, non ti preoccupare! Sei Derek giusto? >>.
    << Certo signore! Dai andiamo >>. Bill, incastrato fra quelle due persone meschine, fu costretto ad uscire per evitare questioni in casa e non aveva ancora idea di come sarebbe andata a finire la sua serata.
    << Perché continui spudoratamente a leccare il culo a mio padre? >>.
    << Perché io posso, non sono Tom >>.
    << Che vorresti dire? >>.
    << Non gli deve piacere molto, eh? Del resto, come potrebbe, sta in una casa famiglia >>.
    << Almeno lui non spaccia marijuana >>.
    << Eppure a tuo padre piace fumarsela >>. Bill odiava il modo in cui quello sfrontato aveva sempre la risposta pronta,e sempre la più pungente. Cercava di ribattere, ma arrivava al punto in cui non sapeva più che dire.
    << Insomma cosa vuoi da me? Non mi hai lasciato di te abbastanza ricordi? >>, lo punzecchiò riferendosi al bambino.
    << Pensavo che ne avessi altri di noi… Insomma, stavamo bene insieme >>. Dee gli camminava vicino, con le mani in entrambe le tasche e la sigaretta fra le labbra. Odiava il fatto che parlasse con quella cosa in bocca, per giunta spenta. Aveva tanto da fare il figo? Chi era lui per permetterselo?
    << Già, forse secondo te, perché eri tu a comandare. Io bastava che aprivo le gambe >>, ghignò.
    << Pensavo che magari potevamo riprovarci… >>.
    << A fare sesso? È questo che vuoi? Trovatene una normale e fallo! >>, iniziò ad alterarsi.
    << Non voglio un’altra adesso, voglio te… >>.
    << Beh mi dispiace, ma ho già un ragazzo, puoi stare ai miei piedi quanto vuoi >>. Di colpo Derek lo spinse contro un cancello lì accanto e si affiancò al suo corpo con ferocia.
    << Forse non hai capito Bill che non hai possibilità di scelta. Io ho già deciso, voglio tornare con te e tu non aprirai bocca. Non per parlare almeno >>.
    << Altrimenti? >>, lo sfidò con un certo terrore nei suoi occhi da bambino ingenuo,
    << Altrimenti… >>, si accostò al suo orecchio. << Dirò a Tom che sei uno schifoso ermafrodita, che hai duie sessi, che sei incinta e che ti ho ripassato davanti e dietro tante di quelle volte che ormai sei sfonda da tutte due le parti >>. Derek lo teneva saldo per un polso e con fermezza stringeva il mento fra le sue mani. Bill voltò la testa, le lacrime agli occhi.
    << Smettila di trattarmi come una delle tue troiette… >>.
    << Oh, piccola, non fare così… Tu sei una delle mie troiette >>. Il suo cuore cominciò a danzare freneticamente, l’ansia era così tanta da farlo tremare. Derek voleva una risposta subito e, a quanto pare, gli era ben chiaro che ne volesse solo una.
    << Okay… D-dimmi cosa devo fare… >>.
    << Molla Tom, digli che io e te siamo tornati insieme e domani sera vieni a casa mia che ho voglia di trombarti per bene e farti tanto, tanto male… >>. Si morse le labbra e cominciò a piangere.
    Era proprio vero che quando una cosa ti andava bene, subito dopo qualcosa ti andava anche peggio.
    << Dai Bill, su, sai che Tom non capirebbe… Ha solo 15 anni, gli faresti troppo schifo. Forse lo attizzi perché è un frocio del cazzo e pensa che hai semplicemente un pisello tanto grosso. Eppure quello non ce l’hai proprio, vero? >>.
    << Lasciami… Ti prego… Domani… Farò quanto mi hai chiesto >>.
    << Farai di più. Farai tutto quello che ti dico o racconterò in giro talmente tante cose sul tuo conto che sarai costretto a sparire dalla faccia della terra >>. Bill deglutì rumorosamente, tentando di mandar giù tutti i singhiozzi che copiosamente gli stavano salendo fin sopra la gola.
    Derek lo strattonò un po’ prima di lasciarlo andare, baciandolo e infilando le sue losche mani sotto la sua maglietta: il suo tocco era decisamente diverso da quello che Tom aveva usato quel pomeriggio.
    Con un altro paio di minacce Bill filò dritto a casa, fingendosi sereno dinanzi a suo padre, ma correndo su in camera e cadendo nella depressione più totale. Si gettò sul letto e iniziò a piangere.
    Il suo cellulare iniziò a vibrare, lo prese fra le mani con le lacrime che gli scorrevano rapide sul viso e lesse il messaggio che gli era appena arrivato, crollando ancora di più in un pianto lungo e disperato.
    “ Non vedo l’ora di vederti domani… Oggi è stato così bello che non volevo più lasciarti andare. Mi piaci Bill… Mi piaci da impazzire. –Tom”.
    Eppure, il ragazzo era certo che arrivato l’indomani, il suo Tom non sarebbe più stato tanto entusiasta di vederlo e avrebbe dovuto mandar giù un rospo più grande della sua stessa gola.
    Tutto… Per uno stupido ricatto. Tutto, per tenere nascosto un segreto che –crescendo dentro di lui- sarebbe stato ancora maledettamente più difficile da celare.

  5. .
    Santo cielo Bill è adorabile nel video ♥
  6. .
    Anche se non ci sono stati tanti commenti ora posto il prossimo capitolo, sperando piaccia... Un bacione =)
    PS: Sì GFeffi, ma vedrai che tornaerà a pensarci presto... bacino :*

    WHAT IF BETRAYAL WAS LOVE?


    9 Chapter



    Qualcosa colpì Tom sull’occhio e il ragazzo, del tutto assonnato, fu costretto a voltarsi dall’altra parte del letto.
    << È ora di andare a scuola! >>, strillava un impertinente ragazzino di 12 anni pieno di forza e di energia.
    << Vaffanculo Freddie… >>, bofonchiò il bell’addormentato nel pieno di un sogno erotico.
    Doveva ammettere che da quando bazzicava con Bill, di sogni di quel genere ne faceva a palate.
    Non che fosse mai arrivato a fondo con lui, eppure solo la sua vista lo stuzzicava alquanto.
    Era come se non gli importasse cosa ci fosse là sotto, come se fosse irrilevante.
    Lui voleva averlo perché era Bill, questo semplice dettaglio lo interessava.
    << Devi andare a scuola pigrone! O non vedrai il tuo principe! >>. Mentre Tom cercava di concentrarsi sui particolari di quella immaginazione che pochi secondi prima di svegliarsi lo aveva accompagnato in Paradiso, Freddie scalpitava come un pazzo sopra il suo letto, saltando come un dannato e traumatizzando il suo risveglio a suon di grida e cuscinate.
    Pensò di scaraventarlo a terra per un istante, ma in fondo Tom non era cattivo.
    << Smetti… Entro un’ora dopo… >>, biascicò coprendosi dai colpi col suo stesso cuscino.
    Ovviamente Freddie non colse l’affermazione, accantonandola da parte. Aprì maggiormente la finestra affinchè entrasse più luce e lo scoprì del piumone che lo teneva al caldo e al sicuro.
    Tom sentì un leggero venticello scorrergli addosso, lungo tutta la schiena. Stremato da quel baccano, decise di sollevarsi dal materasso e –dopo essersi stropicciato gli occhi- guardò il biondino in cagnesco.
    << Ora hai finito? >>, lo ammonì. Freddie gli fece la linguaccia e tornò sul suo letto, con in mano l’ennesimo libro Fantasy che si sarebbe divorato in qualche ora. << Se io mi stavo facendo una sega Freddie? Dov’è la privacy? Mi hai tolto tutte le coperte, la prossima volta ti schizzo in faccia! >>.
    << Dai che schifo, sei penoso! Tu non le fai queste cose quando ci sono io! >>.
    << Oh sì che le faccio, ti addormenti sempre prima di me! >>.
    << Tommy! >>, strillò. << Ma che schifo! Io non lo faccio quando ci sei tu! >>.
    << Io non ci sono per tutto il giorno, tu hai più di tempo per fartele! Poi da quand’è che avresti cominciato? Ti ho lasciato tempo fa che ti faceva schifo persino l’idea di baciarla una ragazza! >>.
    << Adesso è diverso, adesso sono cresciuto >>. Tom si stiracchiò e prese a ridere.
    << In una notte?! >>.
    << Uffa, smettila di prendermi in giro! Perché tu puoi essere figo ed avere un ragazzo e io non posso?! >>.
    << Tu puoi avere tutte le ragazze che vuoi biondino >>.
    << Sì come no, Mona non mi vuole, sono troppo piccolo… >>.
    << Hey dai briciola, tu sei a posto, è lei che è un po’ grande per te, ma si può rimediare al problema! >>, esclamò alzandosi e dirigendosi in bagno per lavarsi la faccia.
    << E come? >>, domandò Freddie curioso e portandosi le ginocchia al petto pronto ad ascoltare con attenzione ogni parola che uscisse dalla bocca di Tom.
    << Semplice, se aspetti cinque anni lei non sembrerà più così grande! >>. Freddie scaraventò il cuscino contro la porta e gli fece il dito medio. Tom rise e si insaponò ben bene la faccia per darsi una svegliata.
    La mattina non era poi così male: veniva frastornato da quel ragazzino con urla e cuscinate, poi passava il tempo che gli occorreva a prepararsi prendendolo in giro e facendolo arrabbiare e, quando arrivava a scuola, c’era Bill ad aspettarlo. In fondo non era così terribile.
    Non era solo, aveva lì la sua famiglia, aveva lì le cose più importanti per lui: Freddie era di sicuro fra le principali. Si chiedeva cosa sarebbe successo il giorno in cui uno dei due sarebbe stato adottato.
    Per sé stesso non nutriva ben poi molte speranze, inoltre fra tre anni sarebbe stato maggiorenne e se non l’avessero accolto da qualche parte, sarebbe stato sbattuto fuori e avrebbe dovuto cavarsela da solo. Ma Freddie? Era un tesoro e mancavano ancora molti anni prima di raggiungesse la maggiore età, se l’avessero portato via come avrebbe retto Tom al colpo? La sua vita sarebbe cambiata radicalmente e lui, egoisticamente, sperava che non succedesse. L’unico motivo di non dare fuori di testa era quel piccolo nerd divora libri di fantascienza, non potevano portarglielo via.
    << Tu sei già pronto per la scuola, bullo? >>.
    << Sì, ma… Ho detto a Marwin che sto male >>, rispose.
    << Che hai? >>.
    << Niente, solo che… Non ci voglio andare >>.
    << Perché mai? Devi andarci a scuola se non vuoi diventare come me >>.
    << Ma io voglio diventare come te! >>, ribattè entusiasta. Tom, con un sorriso sghembo gli si avvicinò, allontanandosi l’asciugamano dal volto. Gli mise una mano sulla spalla, in modo fraterno.
    << Se tu fossi come me Freddie, non sopravvivresti un secondo e saresti una persona di merda. Quindi perché rinunciare a qualcosa di bello? Dai, mettiti le scarpe e vai a scuola, ti accompagno alla fermata del bus >>.
    << Forse tu non hai capito che non ci voglio andare! Ci sono dei ragazzi che… Mi danno fastidio >>.
    << Chi? In che senso ti danno fastidio? >>, si interessò preoccupato: sapeva quali generi di scherzi era possibile fare a dei tipi come Freddie.
    << Niente, ma… Cioè, stanno sempre lì a spintonarmi e a dirmi le cattiverie… Non sono tranquillo… >>.
    << Che cosa dicono? L’hai detto ai professori? >>, si informò sedendosi sul letto accanto a lui.
    << No non ho detto niente a nessuno, ho paura che se faccio così, se tipo faccio la spia, poi mi pestano per bene e… Io sono solo contro tre, non è una gran cosa… >>.
    << Chi sono questi ragazzi? Sono in classe con te, li conosco? >>.
    << Sì sono in classe con me, ma… Non lo fanno tutti i giorni, solo… Ogni tanto >>.
    << Se non sei tranquillo e non vuoi andare a scuola, vuol dire che ti fanno un po’ di paura… >>. La voce di Tom era calma, gentile. Non voleva influire in alcun modo, solo capire cosa stesse succedendo. Freddie abbassò la testa. << Facciamo così, oggi ti accompagno a scuola io e vediamo che succede >>.
    << No Tomi non voglio, poi se mi faccio difendere da te mi prenderanno in giro >>.
    << Non proveranno a farlo, te lo assicuro. Ci penso io a loro >>. Freddie non sembrò convinto, ma non disse neanche di no. Così quando uscirono dall’istituto Tom lo accompagnò alla fermata e salì in autobus con lui. L’amico gli spiegò che almeno nel bus poteva stare tranquillo perché gli altri si facevano gli affari propri e lui ascoltava l’mp3 tutto il tempo del viaggio.
    Tom annuì, pensando che anche se fosse entrato due ore dopo a scuola non avrebbe fatto la differenza.
    Una volta sistemato tutto, avrebbe spiegato a Bill la situazione e lui avrebbe capito.
    Del resto, non è che Bill fosse estraneo ai fenomeni di bullismo.
    Quando scesero dal mezzo, Tom si sentì troppo grande per stare fra quei ragazzini, ma non troppo grande per proteggere una delle persone che più aveva a cuore.
    Camminò accanto a Freddie scrutando gli altri scolari.
    << Allora? >>, domandò Tom. << Chi sono le tre vittime del giorno? >>, disse alludendo ai tre bulli che infastidivano il suo fratellino. Freddie glieli indicò e decelerò il suo passo.
    << Non posso tornare a casa Tomi? Tu l’hai fatto tante volte >>.
    << Tu sei intelligente, non devi rinunciare alla scuola per tre coglioni. Vai in classe, ci parlo io con quei tipi >>. Freddie, un po’ titubante, lo ascoltò e cominciò a camminare. Tom osservò la scena da lontano e vide quei tre richiamarlo, con quel ghigno sul volto. Freddie non si girò e proseguì per la strada.
    Tom, con la sigaretta fra le labbra, sorrise nel vedere che il piccoletto gli aveva dato retta e una volta finito di fumare, si avvicinò ai tre ragazzi. Sembrarono un po’ intimoriti nel vedere quel ragazzo, con quei vestiti larghi e la faccia arrabbiata.
    << Hey >>, iniziò Tom mantenendosi sull’impersonale. Il “capobranco” alzò il capo e rispose a sua volta con un:
    << Hey >>.
    << Che avete contro quel ragazzino? >>.
    << Chi? Quella checca? >>.
    << Freddie >>, puntualizzò Tom.
    << Niente, perché? >>, domandò il ragazzino come se nulla fosse.
    << Mi sembra che è un po’ che lo infastidite. Com’è che ti chiami tu? >>.
    << Matt >>, rispose incrociando le braccia. Gli altri due gli stavano attorno come i cavalieri coi loro re.
    << Bene, Matt… Ascolta io non voglio rompere il cazzo a nessuno, però lo dovete lasciare in pace. Non vi ha fatto niente >>.
    << Perché? >>, scrollò le spalle. << È così che ci divertiamo >>.
    << Beh trovatevi un altro divertimento, perché se vedo che gli mettete le mani addosso anche solo una volta, non sarà il solo a subire pene corporali >>.
    << Cosa sei, il suo tutore? >>, domandò uno dei due ragazzini attorno a lui.
    << No, sono suo fratello >>, puntualizzò Tom fissandolo negli occhi. Questo abbassò lo sguardo.
    << Perché dovrei farlo? Tu non sarai qui tutti i giorni a proteggerlo, prima o poi le dovrà prendere comunque. Si chiama nonnismo, lo conosci? >>.
    << Tu sei un duro Matt, vero? Sicuramente sei il più figo della tua ridicola scuola, tieni in pugno tutti con i tuoi ricatti eh? >>. Il giovane sembrò sentirsi veramente un Dio alla descrizione di Tom, ma ci volle poco ad abbassare il suo patetico orgoglio. << Eppure sono convinto che arrivi a casa da mamma e papà e ti tengono in riga! Davanti al tuo papino non fai il grosso vero? Ti rigira due volte con una mano sola eh? Quindi per favore, li conosco quelli come te, come voi >>, disse Tom guardando i tre con aria di superiorità. Si infilò le mani nelle tasche nell’intento di cercare qualcosa e poi ne estrasse un pacco di sigarette per uno. Glieli porse. << Se volete fare i popolari iniziate a fumare queste, gli altri crederanno davvero che siete tosti. Ma non toccate Freddie o quelle sigarette non saranno le sole a consumarsi >>.
    << Che vuoi dire? Ci prendi a botte? >>, lo stuzzicò Matt.
    << Sono libero di farlo, tu sei troppo tosto per raccontare a tuo padre che ti hanno messo i piedi in testa, vero Bro? >>, disse dandogli un pugno sulla spalla. Matt arretrò al contatto e si limitò ad infilarsi il pacchetto in tasca.
    << Andiamo via >>, disse agli altri. Essi lo seguirono come dei cagnolini. Tom esternò un malefico sorriso e si diresse verso l’entrata. Si voltò e si accese un’altra sigaretta.
    Seppure i soldi non fossero tanti e fumare non costasse poco, per Freddie avrebbe anche venduto i suoi vestiti pur di renderlo felice.

    ***



    Bill non capiva perché Tom non fosse a scuola.
    Non sapeva perché, ma non gli era difficile immaginarlo: sicuramente non si era svegliato e stava ancora dormendo sogni felici.
    Quella mattina Bill aveva salutato sua madre, o meglio la sua foto, prima di andarsene.
    Ricordava benissimo quando Tom era rimasto a fissarla così a lungo, era stato così strano, uno di quei momenti particolari a cui non sai dare spiegazione.
    Aveva raccontato alla foto di sua madre di Tom, di come si comportasse bene con lui a contrario di Derek.
    Aveva detto lei che sperava di non essere una delusione perché fosse gay, sperava che lei dall’alto della sua posizione avrebbe potuto accettarlo comunque, anche se… Non era l’eterosessuale che suo padre avrebbe sperato fosse. Le avete detto che sperava che con Tom sarebbe stato diverso, che gli dispiaceva di non essere normale, di essere nato… Così… Strano. Non sapeva cosa fosse, non accettava la semplice definizione di ermafrodita, lui aveva bisogno di darsi un nome e avrebbe lottato per ottenere quella risposta. Aveva descritto alla madre le sue paure, i suoi timori, il suo terrore nel pensare di confessare a Tom il suo più grande segreto. Aveva pianto, perché suo padre era un genitore invisibile e non badava a lui neanche un po’. Aveva pianto perché quella madre stupenda avrebbe potuto farlo sentire una persona migliore se fosse stata in vita, ma non era così e ci soffriva.
    Poi, aveva tirato su col naso ed era andato a scuola. Aveva mostrato la solita faccia, la solita espressione del solito Bill e nessuno aveva fatto caso alla sua frustrazione.
    Nessuno tranne Tom, l’unico che avrebbe capito subito che c’era qualcosa che non andava.
    Quando arrivò la ricreazione, Bill si infilò le cuffie dell’mp3 nelle orecchie volendo estraniarsi un po’ e fu quando si piegò sul tavolo per rilassarsi che qualcuno gli posò la mano sulla testa.
    Bill ebbe un sussulto ed alzò il capo, spaventato.
    << Tom! >>, esclamò. << Dove cazzo sei stato?! >>.
    << Caspita, sono contento di vederti anche io! Allora? Tutto bene? >>.
    << Sì, ma dov’eri? >>, rispose Bill affrettandosi a conoscere le motivazioni per cui Tom non si fosse presentato a scuola. << Ti ho aspettato un po’ stamattina prima di entrare, ma non arrivavi mai! >>.
    << Freddie aveva un problema, sono passato alla sua scuola, per questo ho fatto tardi >>, spiegò sedendosi accanto a lui e poggiando a terra la sua tracolla. Bill si tormentava le mani, turbato.
    << È successo qualcosa a Freddie? >>.
    << Mah niente… Non voleva andare a scuola perché dei ragazzi gli davano da dire, ma sono passato io a sistemare la cosa e assicurarmi che non lo toccassero >>. Bill sorrise, intenerito.
    << Ti comporti sempre così bene con lui… Sembra quasi tuo fratello >>.
    << Per me è come se lo fosse… Noi ci siamo l’uno per l’altro. Insomma, è il fratello che non ho mai avuto! >>, esclamò sorridente guardando a terra. Bill allungò una mano verso la sua.
    << Ti sarebbe piaciuto? Averne uno intendo >>. Tom scrollò le spalle.
    << Ti dirò, devo averlo avuto in una vita passata >>. Il moro si sentì colpito dalle sue parole, quasi violentato per quanto –a volte- sembrasse che il rasta potesse leggere i suoi stessi pensieri.
    << Che cosa vuoi dire esattamente? >>.
    << Penso di aver avuto un gemello o qualcosa del genere, a volte penso di essere… Incompleto, per questo quando sto con Freddie sto bene, lui mi permette di trattarlo come il fratello che non ho mai avuto >>. Bill lo ascoltava, totalmente rapito dalle sue parole. << Comunque credo che sia più una mia convinzione che altro… Intendo, il fatto di credere di avere un fratello. Sai, come quando sei piccolo e hai voglia di giocare e pensi che se avessi un fratello o una sorella potresti giocare con qualcuno, allora ti dici: “chissà, magari avevo un fratello, ma non l’ho mai saputo”, sai no? Quelle palle che ti inventi, quando ancora hai fantasia e credi che tutti i sogni si avverino… >>. Bill si stese sul banco scivolando con le sue esili braccia e lo fissò:
    << Non è una cazzata, sai? Anche io ho sempre pensato di aver avuto un gemello, aiuta a sentirsi meno soli >>, ammise. E Bill sapeva benissimo qual era la sensazione di sentirsi soli.
    << Sì è vero, comunque… Adesso la questione di Freddie è sistemata, ho spaventato quella piccola gang di sfigati e lui è al sicuro >>.
    << Come fai ad esserne certo? Come fai a sapere che ti daranno retta? >>.
    << Perché se Freddie torna a casa con un occhio nero so con chi prendermela e non so se loro ci ritornano a casa >>. Il suo tono era freddo, arrabbiato e l’espressione del suo volto scalfita da una disarmante durezza. Teneva tantissimo a quel ragazzino. Bill lo fissò e si avvicinò alle sue labbra, all’improvviso. Non l’aveva mai fatto in classe, gli avevo dato uno stampo senza esitare un secondo e –al distacco- Tom era rimasto ad occhi socchiusi con la bocca in avanti, aspettando altro. Il moro gli posò un dito sulle labbra.
    << Basta adesso… Poi ci guardano >>.
    << Anche se ci guardasse tutto il mondo, io continuerei comunque a rivolgere a te il mio sguardo >>.
    << Smettila Tomi… >>. Bill cominciò a gongolare e Tom gli posò un braccio attorno alle spalle, baciandogli il capo.
    << Ciao >>. D’un tratto qualcuno interruppe il loro idillio romantico e Tom si irrigidì di colpo alla sua vista.
    Bill si sentì mancare il respiro. Dopo tutto quello che aveva fatto, dopo la condizione in cui l’aveva costretto, cos’altro poteva ancora volere da lui?
    << Ciao >>, ribattè Bill di fronte alla visione dell’unica persona al mondo in grado di farlo sentire una nullità nella lista delle cose più insulse esistenti sulla Terra.
    << Puoi uscire un attimo? Avrei bisogno di parlarti… >>. Tom osservò la scena senza intervenire, come uno spettatore, consapevole che sarebbe presto intervenuto se quel Derek non si fosse allontanato da ciò che –da poco- era diventato suo.
    << Hm… La campanella suona tra cinque minuti. Non posso proprio >>.
    << Ti ruberò solo un minuto, davvero… È una cosa abbastanza importante >>. Bill si morse il labbro, colmo di indecisione.
    << Non puoi dirmelo qui? Avrei da fare >>, insistette. Bill si sentiva libero nelle sue decisioni da quando era Tom quello con cui aveva preso ad uscire, eppure non gli andava che il suo –chiamiamolo ragazzo- assistesse a quella patetica scenetta. Non era obbligato a farlo e non voleva che scoppiasse qualche rissa, considerando l’elevata irascibilità che a volte prendeva possesso del corpo di Tom.
    << No non posso farlo qui, sai che non posso >>. Derek gli fece l’occhiolino e Bill capì subito a cosa facesse riferimento: se Derek avesse detto a Tom della gravidanza, quello si sarebbe volatilizzato nel nulla e non avrebbe più voluto saperne niente di lui.
    Tom era la cosa, in assoluto, più bella che gli fosse mai capitata. Non poteva permettersi che andasse via così, si sarebbe sentito di nuovo perso, di nuovo a metà, ed era come se non ricordasse come si facesse a vivere con mezzo cuore.
    A volte non basta un cuore a tenerti in vita: solo perché continui a respirare non significa che stai ancora vivendo. Probabilmente la tua è una sopravvivenza e ci sono tanti fattori da considerare: il caso, le possibilità.
    Devi tener conto che durante la tua esistenza ti hanno consegnato un cuore da portare fino alla fine dei tuoi giorni, ma anche che loro non hanno considerato tutte le volte in cui quel cuore si sarebbe spezzato, sanguinando sempre di più, sempre più forte, sempre più spesso.
    Tutti danno per scontato come l’essere umano abbia mille modi per sopravvivere, ma nessuno si preoccupa di colpire la parte più debole del tuo corpo, sia fisicamente che emotivamente.
    Le persone ti attaccano, anche senza motivo, ferendoti. Semplicemente per il gusto di farlo e pensano di non lasciare un segno su di te, mentre invece hanno fatto più di questo. Ti hanno calpestato senza pietà, senza lasciarti fiato per ribattere, tenendoti bloccate le mani, per non difenderti.
    Ti hanno lasciato sanguinare, senza sapere di farlo.
    << D’accordo >, disse Bill dopo un’attenta riflessione. << Solo un minuto >>. Si sentiva quasi potente nell’esprimere la propria opinione senza essere trattato da schifo. Era così dannatamente liberatorio.
    << Un minuto >>, ripetè in direzione di Tom, che non proferì parola e si limitò ad acconsentire col capo.
    Una volta fuori dalla classe, Bill si poggiò al muro –svogliatamente-e lo guardò.
    << Allora? Cosa c’è? >>, domandò freddo, fremente nel tornare di nuovo in classe.
    << So che non hai molta voglia di parlarmi >>. Iniziò.
    << Già >>, accordò secco Bill.
    << Volevo soltanto… Scusarmi per come mi sono comportato con te. Sono veramente stato stronzo e… Il mio comportamento di fronte alla… Gravità della cosa è stato a dir poco imperdonabile >>.
    << Mmh >>, commentò il moro senza aggiungere niente in particolare.
    << Però sono pronto a prendermi le mie responsabilità adesso, ho capito >>. Che cosa aveva appena sentito uscire da quella fetida bocca? Spalancò le fauci, sgomento.
    << Cosa? >>.
    << Possiamo tornare insieme >>, propose. Bill iniziò a ridergli in faccia.
    << No! >>, esclamò col sorriso. << Io sto con Tom adesso e poi… Non è così che funziona, non puoi decidere tu cosa farne del nostro rapporto. E poi quanti mesi ti serviranno per arrivare alla conclusione di aver sbagliato di nuovo? >>.
    << Stavolta sarebbe diverso >>. Derek lo guardò a lungo negli occhi, con quel ghiaccio penetrante al posto delle iridi. Bill deglutì quando si avvicinò per prendergli la mano. Perché, dopotutto, non gli pareva sincero?
    << Io… Sto con Tom >>, ripetè convinto.
    << Mmh… Bene allora… Lui che ne pensa del bambino? È contento? Avete già scelto il nome? >>. Bill sbiancò in volto.
    << No, lui non lo sa… Non lo deve sapere! >>, si allarmò. Sul volto di Derek comparve un brutto ghigno.
    << Pensavo fosse il tuo ragazzo. Pensavo vi diceste tutto >>.
    << Non sono affari tuoi quello di cui parliamo io e Tom >>, lo informò, d’un tratto disarmato da ogni difesa.
    << Penso che non lo capirebbe, sai? Insomma, come potrebbe? Io sono l’unico che ti conosce davvero per quello che sei, hai veramente pensato di poter riuscire ad andare a letto con lui senza fargli schifo? Andiamo Bill, sai quello che sei, lui non potrebbe mai capire >>.
    << Tom non è così! Lui mi capisce, mi ascolta a contrario di te! Sarebbe cento volte un padre migliore di te! >>, strillò con le lacrime ormai traboccanti dai suoi occhi tristi.
    << Non piangere Bill, non puoi farci niente se sei nato così. Ma io ti capisco, sai? >>. Derek gli si avvicinò al volto e cominciò a sussurrargli all’orecchio. << Io ti conosco per quello che sei, sono venuto a letto con te tante di quelle volte che… Ormai non mi scandalizzo più di nulla. Io poi sono più grande di Tom, ho un certo grado di maturità, come pensi che potrebbe accettarti se vedesse davvero quello che sei? Quello che c’è laggiù? Dovresti vivere sempre con i vestiti addosso se scegli lui, non sarebbe bello Bill… >>. Al ragazzo sembrò di aver ingoiato un mattone, si sentiva la gola chiusa, come se non riuscisse più a respirare. Né a parlare, ma dovette fare uno sforzo, stringendogli la maglietta in malo modo.
    << Se pensi di riconquistarmi con queste cattiverie brutto figlio di puttana e di farmi sentire male dicendomi tutte queste malignità, non sei sulla strada del riavermi. Te lo dico. Spero che ti capiti qualcosa di bruttissimo un giorno e che quando morirai non verrà nessuno al tuo funerale. Io sarei il primo a sputare sulla tua fottuta tomba >>. Digrignò i denti e strizzò gli occhi dal nervoso, strattonò la sua t-shirt e lo spintonò, obbligandolo ad allontanarsi da lui.
    << Hey hey, calmo con le parole! >>, esclamò Derek allargando le braccia come se fosse il re del mondo. << È facile parlare per te, eh? Eppure tu non hai niente in mano contro di me, io sì >>.
    << Non oserai >>, rispose subito Bill. << È meschino, va fuori persino dai tuoi canoni di stronzaggine >>.
    << Figurati se non lo farei Bill. Ti ho sputtanato davanti a tutta la scuola e ti ho persino chiesto scusa per avere quel bambino. Ho pensato che è meglio che lo tenga io che tu, così almeno non ci sarebbero dicerie in giro sul fatto che io sono venuto con te >>.
    << Lo sanno tutti che venivi con me! >>.
    << Come lo sanno che era solo una presa per il culo, ma questo cosa importa? Tu non sei nessuno, non crederebbero mai a te >>.
    << Tom ci crederebbe. Tom dice che sei un coglione >>.
    << Vedremo se le cose restano sempre uguali quando saprà la verità su di te, puttana da due soldi >>. La campanella era ormai suonata da un po’, ma quel minuto che doveva essere così breve, si era prolungato di molti istanti.
    << Smettila di fare così! Cosa diavolo vuoi da me?! >>.
    << Voglio che torniamo insieme, che molli quello sfigato e che tutto torni come prima >>.
    << Altrimenti? >>. Bill l’avvertì come una minaccia.
    << Altrimenti Tom saprà cosa sei davvero e lo perderai per sempre >>.
    << Non mi sembra corretto >>.
    << Neanche a me, ma ho bisogno di fare un po’ di sesso e tu sei l’unico disponibile al momento >>. Bill rimase sconvolto dalla sua affermazione. << Pensaci Kaulitz, pensaci bene >>. Rimase fuori dalla classe per un po’, come a volersi capacitare di quanto si fossero detti. Delle parole che si erano appena scambiati. Bill si poggiò al muro, come esausto dopo tutte le parole che si erano vomitati addosso. Poi prese un profondo sospiro e, coraggiosamente, rientrò in classe, scusandosi col professore per il ritardo.
    Si sentiva sicuro di sè, sicuro di poter dire tutto a Tom, poi quando il ragazzo domandò:
    << Allora? Tutto bene? Che voleva? >>, fu come se le sue certezze gli crollassero addosso e si rese conto di non poterlo fare. Di non potergli dire la verità.
    Eppure mentire a Tom fu la cosa più difficile che qualcuno gli avesse mai chiesto di fare.

  7. .
    Grazie Cico per il commento... Se tutto andrà come pensi, beh, lo scoprirai leggendo xD
    Purtroppo non posso postare in brevi tempi quanto vorrei perchè ho poco tempo per scrivere e quando posso scrivere, non sempre sono ispirata per questa particolare storia!
    E' difficile, quindi va scritta bene e non butto giù due stronzate a casaccio xD

    Ora posto un altro capitolo, spero vi piaccia =)
    Un bacione!

    WHAT IF BETRAYAL WAS LOVE?


    8 Chapter



    Tom si svegliò quella mattina rapito da un flebile spiraglio di sole.
    La luce lo colpì direttamente sul viso e fu costretto a voltarsi dall’altro lato del letto.
    Quello che vidi fu bellissimo ai suoi occhi. Bill era accanto a lui, beato, accoccolato sul cuscino come un bambino. Si teneva una mano sulla pancia e sembrava quasi esserci un sorriso sul suo volto.
    Tom rimase a fissarlo per un po’. La tentazione di allungare una mano sul suo viso era enorme e alla fine, dovette cederle.
    Sfiorò quella pelle morbida e gli si avvicinò. Bill mugugnò qualcosa prima di girarsi dall’altra parte. Tom tornò a fissarlo e cominciò ad accarezzargli la schiena.
    Del resto, fra poco avrebbe dovuto alzarsi per fare l’iscrizione alla nuova scuola e –comunque- sarebbe dovuto essere fuori di lì prima dell’arrivo del padre di Bill.
    Il moro, dal canto suo, non stava dormendo. Si stava godendo quelle flebili coccole. Voleva vedere a che punto sarebbe arrivato. Al momento del risveglio quasi si era scordato che quel bacio fra loro fosse stato vero.
    Non riusciva ancora a crederci, era stato un momento così bello che non poteva essere capitato a lui.
    Eppure era successo.
    Aprì gli occhi e si voltò dal lato opposto.
    Rimasero a guardarsi per un bel po’, senza dire niente.
    << Allora sei sveglio >>, disse Tom spezzando il silenzio.
    << Sì… Ciao >>, gli sorrise Bill allungando la sua mano per prendere quella di lui. Si sorrisero a vicenda.
    << Ciao… >>, sospirò Tom avvicinandosi alle sue labbra. Bill si sporse verso di lui e si baciarono.
    Gli sembrava quasi un sogno, con Derek non c’era mai stata così tanta dolcezza. Con Tom invece, gli sembrava ci fosse solo quella.
    Rimasero un poco (un bel po’) a farsi le coccole e fu quando si accorsero essere le 10 inoltrate che si costrinsero ad alzarsi.
    Bill preparò la colazione al suo “amico” e passarono assieme una bella mattinata prima di doversi salutare.
    Tom lo guardò a lungo davanti alla porta d’entrata.
    << Allora… Suppongo che ormai ci vediamo lunedì >>.
    << Certo… Sempre che tu non decida di andare a scuola, finalmente >>, rise Bill. Tom scosse la testa.
    << Naaah… Cioè boh, mi hanno espulso di là quindi ora devo andare con uno dei miei tutori a fare l’iscrizione, ci penseranno loro, vedranno dove mandarmi… Però passerò a trovarti, prometto! >>.
    << Devi andarci a scuola… >>, lo ammonì Bill andando a prendere la sua mano. << Lo sai >>. Tom, cautamente, si avvicinò al suo volto.
    << Sai che sei davvero un rompicoglioni? >>. Il tono con cui si espresse non era duro, ma dolce, canzonatorio e prima che Bill potesse sbuffare o ribattere in qualsiasi altro modo, Tom fece incontrare le loro labbra e nessuna parola fu più necessaria. Fu un attimo infinito, Bill sentiva come se non ci fosse più la terra sotto i suoi piedi, come se si stesse sorreggendo per magia, come se fosse Tom quello in grado di non farlo precipitare nel vuoto. Sentiva che se Tom si fosse scostato, il rimanere lì in piedi da solo sarebbe stato troppo pericoloso. Si avvicinò al suo corpo e strinse la sua maglietta, come a voler avere qualcosa di saldo a cui aggrapparsi.
    Tom l’avrebbe salvato in ogni caso, a costo di precipitare assieme a lui. Il moro approfondì il contatto e poi, arrossendo, si scostò lievemente. Abbassò il capo e disse:
    << Forse ora… Dovresti andare, non so quando torna mio padre e devo ancora mettere a posto tutto… >>.
    << Sì, ora vado… Stavo solo cercando di realizzare di averti baciato sul serio, di nuovo >>. Le gote di Bill si infiammarono ancora di più e, salutando Tom e vedendolo andarsene, rimase lì impalato alla porta, sospirando, cominciando a sentirsi vivo e volendo vivere davvero quei momenti eterei che non sapeva se sarebbero finiti e quando.
    Lui non voleva finissero, voleva goderseli fino alla fine.

    ***



    Passato il weekend, Bill tornò a scuola quel lunedì mattina.
    Felice.
    Dopo che Tom se n’era andato non aveva fatto altro che pensare alla sera del bacio e alla mattina al risveglio.
    Dunque questo era quello che chiamavano amore? Quel bruciore allo stomaco, il sorriso fin sopra il cielo, il cuore agitato, le mani sudate… Era quello l’amore?
    Ovviamente Bill non si sentiva innamorato dopo dei semplici baci, però quello che provava era bello, ricambiato e reale, forse come non lo era mai stato.
    Tom era in grado di farlo sentire bene, questo non poteva essere cambiato e –poco prima di alzarsi- si fece un pensiero strano: perché non poteva essere Tom il padre di quel bambino? Perché aveva fatto sesso con quello stronzo di Derek? Se il padre fosse stato un altro, Bill non sarebbe rimasto solo. Bill avrebbe avuto il coraggio di affrontare un gravidanza.
    Ma in quel momento no, non era pronto, eppure essa continuava imperterrita, come una bufera di neve, intenta a non placarsi. Anche se aveva fatto degli errori, era costretto a pagarli e abortire non sarebbe servito… Gli sarebbe sembrato di uccidere qualcosa di bello: non sempre il frutto cade vicino all’albero.
    Una volta giunto nella sua classe, si sedette fra le due file, nel suo posto ed estrasse l’mp3 dalle tasche.
    Ovviamente, non c’era nessuno seduto vicino a lui.
    A poco a poco tutti entrarono nell’aula e si sistemarono ai loro posti, Bill non fece caso a dove quei piedi andassero a finire, rimase a testa china sul suo mp3 ad ascoltare niente in particolare.
    Poi la campanella suonò e un altro incubo ebbe inizio. Il professore poggiò la borsa sulla sua scrivania e richiamò gli studenti con tre colpi di una mano ben pesante su quella tavola rigida.
    << Fate silenzio, teppisti! >>, gridò arrabbiato. Non era strano che il professor Ziegel fosse di malumore.
    Era costantemente schizzato, nevrotico e lunatico. Se la prendeva con chiunque a causa dei suoi conosciutissimi problemi personali (la moglie lo tradiva) e non c’era verso di salvarsi dalle sue grinfie. << Maledizione, state zitti! >>, strillò. Il caos cominciò lievemente a placarsi, quasi in dissolvenza, e tutti si sistemarono intenti ad ascoltare quale fosse in quel momento l’affermazione che sarebbe uscita dalla bocca di quel pazzo. << Bene >>, assentì soddisfatto sistemandosi la cravatta a righe gialle e marrone diagonali. << Come potete vedere la porta è ancora aperta e questo non dev’essere di certo un invito per sfuggire alla mia lezione, signor Martin >>, disse rivolgendosi ad uno dei ragazzi più indisciplinati che gli fosse capitato a tiro. << Il motivo è più che ovvio! Stiamo aspettando l’arrivo di un nuovo studente e voglio che sia chiaro che l’impressione che voglio dare di questa classe non deve essere eccellente, ma molto meglio! È un ragazzo che ha appena cambiato scuola e si troverà ad andare in pari col programma a quasi metà anno quindi sia io che voi, miei signori, dobbiamo mostrargli la rigida didattica di questo istituto e aiutarlo, quindi vedete di non fare casino e rispondere ad un suo arrivo con un ben educato “buongiorno”, ci siamo intesi? >>. La formalità delle sue presentazioni era ben nota nella scuola ed era uno dei tanti motivi per cui veniva deriso: insomma, non ci trovavamo nel 700, eravamo nel ventunesimo secolo ormai da un po’!
    Bill si estrasse con cautela una delle due cuffie dall’orecchio e ripose il suo mp3 sotto il banco. Se il prof l’avesse visto con quello che lui stesso definiva “l’invenzione più inutile della storia” si sarebbe arrabbiato e avrebbe ricordato a Bill delle sue assenze, delle sue interrogazioni precarie e di tutto il resto.
    Al ragazzo non andava di sentire i suoi discorsi, le giornate gli stavano andando così bene che non aveva proprio alcuna voglia di rovinarle.
    Fu quando questo nuovo studente entrò in classe che il moro esibì un’espressione basita sul suo volto e aggrottò la fronte.
    << Tom?... >>, disse sconvolto. Lui gi sorrise e il professor Ziegel invitò l’alunno a sedersi in un posto libero qualsiasi.
    Ovviamente, il posto che occupò non fu scelto a caso, ma fu ben studiato. Venne dato il benvenuto a Thomas Fischer e, dopo una mezz’ora buona di raccomandazioni, il signor Ziegel riprese la sua lezione.
    Tom se l’era studiata ben bene la sua entrata con quel suo: “bel cravattino professore”. Quell’ultimo l’aveva ringraziato, la classe aveva ridacchiato di fronte al sarcasmo del nuovo arrivato.
    La cravatta era qualcosa di inguardabile, ma Tom era un lecchino, non c’è che dire.
    << Che fai qui? >>, bisbigliò Bill interdetto. Lo sguardo sul rasta seduto accanto a quello che tutti definivano “uno scarto della società” durò a lungo e si intensificò quando questo –sistemandosi- portò un braccio sulla sedia di Bill, proprio a contatto con la sua schiena.
    << Sono venuto a scuola! Non vuoi che anche io impari qualcosa? >>.
    << Nella MIA scuola? Nella MIA classe? >>, ripetè Bill sottolineando l’appartenenza.
    << Caspita >>, sbuffò Tom divertito. << La mia presenza deve distrarti molto! >>.
    << No, è che… Io non sapevo che tu ti saresti iscritto qui! >>, cercò di spiegare. Un conto era averlo attorno perché c’era di mezzo una sorta di relazione, un altro era averlo in classe e condividere tutto con lui quasi 24 ore su 24. Si sentiva pronta ad un rapporto così… Così… Morboso?
    << Dai su, è a tempo indeterminato, finchè non mi espellono di nuovo! >>, rise. Bill diede una veloce occhiata al professore intento a scribacchiare alla lavagna e disse:
    << Tu non puoi permetterlo! Devi andare bene o ti bocceranno e sei già arrivato a metà anno senza combinare niente, devi recuperare! >>.
    << Uh… >>, sospirò Tom con un sorriso malizioso. << Qualcuno tiene a me >>, concluse facendogli passare un brivido lungo tutta la schiena. Bill quasi saltò sulla sedia e gli schiaffeggiò la mano.
    << No >>, precisò. << Solo al tuo rendimento >>. Tornò a guardare fisso dinanzi a lui e arricciò le labbra.
    Cercò di fare il difficile e Tom si avvicinò con lentezza al suo orecchio.
    << Magari poi… Rivediamo il mio rendimento e se è il caso di punirmi o no >>. Bill si voltò di scatto, a bocca spalancata, e Tom rise sotto i baffi.
    Bill pensò che quel ragazzo fosse incredibile! Che per un po’ di baci si fosse già montato la testa, eppure… Gli piaceva quello che era appena iniziato. Quel gioco, quel flirt. Cosa può esserci di sbagliato in un po’ di flirt? Flirtare è okay, non è una relazione, è qualcosa che c’è di tanto in tanto. Non sei costretto a dire niente che tu non voglia dire al destinatario di quelle attenzioni che gli regalerai, non devi essere per forza sincero. Non deve sapere per forza tutto di te. Non sei costretto a rivelare una verità che ti fa male.
    Bill pensava questo e pensava che fosse proprio quello il suo più grande difetto: lui si mostrava alla luce del sole e sorrideva. Sì, sorrideva mentre in realtà dentro stava morendo e ogni secondo era una ferita in più che si affliggeva nel suo esile corpicino.
    Non equivaleva proprio ad una menzogna, cercava solo di nascondere la realtà con un’espressione che non corrispondeva al suo animo.
    << Hm hm >>, tossì il prof. << Sono contento che c’è qualcuno che socializza col nuovo arrivato, ma devo forse ricordarle signor Kaulitz delle sue numerose assenze e mancate presenze alle interrogazioni? Credo proprio che lei sappia cosa le aspetta alla fine del gioco se non terrà un certo comportamento >>.
    << Certo, mi scusi, spiegavo a Tom dove trovare la segreteria >>.
    << Cordiale da parte sua signor Kaulitz… Geniale scusante… >>, acconsentì col capo, come a volervi riflettere sul serio. << Ma adesso zitti e concentratevi sulla sezione prima che io vi chieda di ripetermi tutto ciò che ho detto! >>. I ragazzi non proferirono parola, limitandosi a cercarsi le mani sotto il banco e a sorridere di tanto in tanto.
    Era l’inizio.
    L’inizio di una nuova amicizia, di un nuovo amore, di una nuova realtà.
    L’inizio della riscoperta della verità.
  8. .
    Feffi, finalmente qualcuno che parla della vita di Tom xD
    Io amo Freddie *____* Ci saranno molte parti su di lui, sul suo rapporto con Tom e viceversa etc!
    Comunque grazie a tutte e scusate l'attesa, ora posto un bel capitolo, I Promise! ;)


    WHAT IF BETRAYAL WAS LOVE?

    7 Chapter




    Il signor G tornò al lavoro quella sera, salutando suo figlio con un bacio sulla fronte.
    Se fosse stato così dolce e premuroso anche quando non era sobrio, Bill l’avrebbe apprezzato di più.
    Una volta salutato suo padre, il ragazzo corse in cucina a scongelare le pizze dal congelatore: Tom sarebbe arrivato da un momento all’altro e Bill voleva che tutto fosse pronto.
    Posò le pizze fredde sul tavolino e andò a prendere due piatti grandi tra gli altri che c’erano in casa.
    Non apparecchiò la tavola perchè voleva mangiare a letto per una sera, davanti ad uno schermo del computer, sbriciolando tutto il cibo sulle coperte.
    Suo padre non glielo lasciava mai fare e a Bill non andava di rimanere come un coglione seduto su una sedia, dura e di legno, attorno ad uno stupido tavolo. Voleva stare comodo. Su un letto, con due pizze, un PC, e un amico. Nient’altro.
    Voleva una serata diversa, una serata che neppure con Derek aveva mai avuto. Una di quelle serate felici e spensierate che si vedono solo nei film.
    Chissà, forse Tom avrebbe potuto dargli quella serata che tanto desiderava.
    Fu quando qualcuno suonò al campanello che Bill, come un grillo saltellante, scappò verso l’entrata.
    Indossava un’innocente maglia da uomo molto larga: si stava abituando all’idea che avrebbe dovuto coprire tutto tra qualche mese. In più la pancia non è visibile sempre allo stesso numero di settimane, varia da donna a donna. Bill cercò di rimuovere questo suo pensiero femminile.
    Aveva i capelli spettinati, un ciuffo ribelle davanti agli occhi e un leggero velo di matita. Sotto la maglia indossava dei pantaloncini corti da basket, stava cominciando ad adottare uno stile che non gli si sarebbe mai raccomandato e non lo rappresentava affatto.
    Ma doveva coprire il suo segreto. Anzi, due dei suoi segreti. Quello che stava sotto e… Quello che stava dentro di lui e stava crescendo ogni secondo di più.
    << Ciao! >>, esclamò una volta aperta la porta. Notò Tom squadrarlo da testa a piedi, la bocca leggermente aperta.
    << Ciao! Che ne hai fatto del Bill che conoscevo? Dove sono le magliette attillate e i jeans aderenti? >>.
    << Mi sento grasso per questi vestiti al momento! >>, gli sorrise. << Prego entra! Sono felice che mio padre non ci sia neppure stasera! Così possiamo stare soli! >>. Il moro pronunciò quella frase così ingenuamente mentre Tom, nel suo ego devastato, pensava cose non del tutto caste.
    Insomma, erano sempre lui e Bill, da soli, in una casa vuota. Come poteva non pensarci?!
    Non era la prima volta che entrava in casa, però quella sera sarebbe rimasto lì tutta la notte e la cosa lo attizzava non poco.
    << Allora, che si mangia stasera? Cosa hai preparato? >>.
    << Ancora niente, aspettavo arrivassi! Oh, le patatine! >>. Diamine, Bill era così felice che Tom avrebbe giurato potesse volare con un po’ di polvere di fata sulla testa, come i bambini sperduti di Peter Pan o comunque come tutti i bambini che volevano arrivare all’isola che non c’è.
    Lì sì che sarebbe stato un bel posto per rimanerci per sempre, senza crescere mai, dove tutto è felice e fai quel che vuoi. Già, la realtà è così dannatamente opposta alla fantasia che quotidianamente viviamo.
    Bill tornò con un tubo di Pringles per mano, agitandole.
    << Allora! >>, si esaltò. << Scaldo la pizza e andiamo in camera? >>.
    << In camera? >>, ripetè Tom parzialmente allucinato. Era sotto effetto di droga o Bill l’aveva appena invitato in camera sua?
    << Sì! Voglio mangiare la pizza sul letto come in quei film e guardarne poi uno al PC! Papà non mi fa mai mangiare in camera invece a me piace così tanto… Sa di intimità >>.
    << D’accordo, allora… Che faccio? Ti aiuto? >>.
    << Non vedo che potresti fare Tomi, non c’è da apparecchiare e adesso accendo solo il fornetto! Faccio in dieci minuti tutte e due le pizze, se vuoi mi puoi aspettare in camera! >>. Tom era stato a casa di Bill, ma sempre nel divano del salotto che era molto spazioso. Bill diceva sempre che la sua camera era troppo piccola e che quando era a casa da solo si sentiva claustrofobico dentro quella stanza, così si rintanava nel comodo divano del soggiorno. Un bel sofà bordeaux in mezzo alla spaziosa stanza con davanti un bel televisore al plasma. Insomma, un salotto perfetto per svagarsi.
    << D’accordo, vado su allora, ti aspetto dentro! >>.
    << Certo! >>, rispose Bill con un sorriso per poi tornare ai suoi lavori domestici. Tom ripetè il gesto e, felicemente, sospirò salendo le scale. Si prospettava essere una buona serata.
    Non appena varcò la porta della camera del suo amico, l’ennesimo sorriso gli dipinse il volto.
    Era così da lui quella camera.
    Il letto era al centro della stanza. Un bel matrimoniale ricoperto da tantissimi cuscini e un piumone rosa pesca. C’erano sopra dei peluche e –sopra delle mensole- ci stavano gli altri. Dietro al letto c’era un piccolo “corridoio” in cui non era posizionato nulla e sul muro c’erano delle foto artistiche. Per lo più erano modelli e modelle che posavano per la fotografia, mettendo in risalto i loro sfavillanti sorrisi e i loro vestiti. Davanti al letto, attaccata alla parete, c’era una grande scrivania con una strana forma di legno chiaro, con sopra un computer portatile nero e dei soprammobili. C’era una scatola con degli smalti colorati affiancata a svariati make-up e un portafoto molto particolare a forma di mano.
    Era così… Femminile quella stanza. A Tom venne da ridere, ma in senso buono naturalmente! E non riusciva a capire come quella stanza gli potesse sembrare piccola e claustrofobica.
    All’angolo della stanza il ragazzo aveva una cabina armadio grandissima. Il rasta, con curiosità, la aprì e ci vide dentro una miriade di vestiti che in tutti i suoi 15 anni non aveva mai visto.
    Diede un’occhiata alla porta, per controllare se Bill venisse su o meno… Non sapeva se poteva curiosare, avrebbe dovuto semplicemente sedersi sul letto e aspettarlo, ma quella camera aveva un’affordance: invitava le mani ad allungarsi e curiosare fra i tanti oggetti riposti al suo interno.
    Diede un’occhiata ai pantaloni che aveva e –continuando a scorrere fra leggings e jeans di mille variazioni- scorse un paio di gonne e sorrise. Osservò il pizzo su una di queste e, mentre stava profondamente contemplando, una voce lo fece sussultare:
    << Hey! Che stai facendo? Guarda che le pizze sono pronte! >>, esclamò Bill entrando in camera e poggiando i due piatti sul letto. Si avvicinò a Tom che stava ancora ammirando l’armadio.
    << Hai delle gonne >>, constatò Tom. << Come mai? Le metti? >>.
    << Le ho messe, ogni tanto… Per Derek… >>. Tom lo fissò negli occhi, affascinato dalla sua bellezza, poi tornò a fissare i vestiti. Bill abbassò lo sguardo, capendo tutt’altro. << L’idea ti fa schifo? >>. Il moro si fece piccolo a fare quella domanda. Tom sorrise e gli accarezzò un fianco con nonchalance, voltandosi.
    << No, tranquillo… Ero solo curioso >>. Bill gli sorrise di nuovo e poi chiuse l’armadio.
    << Mangiamo? >>.
    << Certo! >>, esclamò Tom.
    << Ho preso anche il parmigiano, io di solito ce lo metto sulla pizza! Se ti fa schifo vabbeh, sennò lo puoi mettere! >>.
    << Metti il parmigiano sulla pizza?! Perché? >>, chiese sedendosi assieme a Bill sul letto.
    << E tu perché tieni i rasta? È la stessa cosa! Lo metto perché mi piace! >>.
    << Non pensavo mangiassi tutte queste schifezze… >>.
    << Ci sono così tante cose che non sai di me Tom… >>, spiegò Bill accendendo la radio e lasciando un sottofondo musicale. Il rasta rimase basito da tale affermazione e continuò a guardarsi intorno.
    In particolare, fermò lo sguardo su una delle foto che stavano al muro.
    << Chi è questa donna? >>, si avvicinò alla foto e la guardò con attenzione.
    << Quella è mia madre, ho trovato la foto fra le carte di mio padre e me la sono portata in camera… Le somiglio, vero? >>.
    << Stavo… Per dire altro >>. Perché improvvisamente si sentiva in quel modo? Come poteva quella donna essere davvero morta se lui ci vedeva qualcuno di così… Familiare? Scosse la testa impacciato: pensò stesse impazzendo. Quella donna assomigliava a Bill, non a lui! Era la madre di Bill dannazione, forse se la stava confondendo con qualcun’altra. Cioè sicuramente era così, forse il forte desiderio di avere una figura materna al suo fianco faceva sì che certe immagini fossero distorte.
    Certo, era la spiegazioni più sensata.
    << Cioè, cosa stavi per dire? >>.
    << Niente, mi sembrava di averla già vista, comunque sì, ti somiglia un po’… La forma degli occhi >>, constatò. << E… Della bocca >>, aggiunse fissando Bill. Ci fu uno strano silenzio fra i due, interrotto da un colpo di tosse da parte di quest’ultimo.
    C’era forse dell’imbarazzo nell’aria? Altrimenti, cos’altro poteva essere?
    Prima di accendere il portatile chiese al rasta cosa avesse voglia di vedere e lui rispose che fosse indifferente, bastava che non fossero storie horror perché non gli piacevano.
    Alla fine optarono per un film che nessuno dei due aveva visto: “Eternal Sunshine of the Spotless Mind” e così si misero a letto, a luce spenta, con le loro pizze, le loro patatine e le loro bibite.
    Il film era una storia d’amore con un velo di drammaticità e di comicità, caratteristiche che bilanciavano la visione. Due persone che si innamorano in poco tempo, ma ci mettono anche poco tempo per smettere di amarsi. Questo movie presupponeva l’esistenza di una clinica in grado di cancellare dalla memoria dei pazienti i ricordi di cui si volevano disfare, un po’ come Inception, ma con meno effetti speciali.
    Comunque la ragazza protagonista decide di eliminare l’amato dalla sua mente e da qui iniziano i guai.
    Bill e Tom si appoggiarono entrambi allo schienale del letto e la visione partì. I primi dieci minuti circa non dissero niente, guardando semplicemente il film, poi –imitando le battute dei personaggi- quel silenzio venne spezzato.
    << Anche tu sei il classico stronzetto vendicativo? >>, domandò Tom con un sorriso. Bill rise.
    << No, solo con chi se lo merita! Per il momento non sembra essere il suo turno >>, scherzò. Ripresero con il silenzio e poi fu Bill a doverlo interrompere, non riuscendo a frenare la lingua in base a quanto gli attori stessero dicendo.
    << Quindi tu sei un maniaco perché hai iniziato a parlare con me? >>, domandò Bill con un sorriso e prendendo in mano un altro trancio di pizza.
    << Stai zitto? >>, lo frenò Tom con un’espressione seria. << Voglio vedere il film >>. Il moro rimase sconvolto e spalancò la bocca.
    << Scusa tu puoi parlare quanto vuoi e io devo stare zitto?! >>. Lui acconsentì col capo, trattenendo una risata, e Bill gli diede un pugnetto sulla spalla e si sistemò col capo su di essa. Tom sospirò felice.
    Il moro era steso sulla sua spalla e lui si sentiva felice.
    Perché? Perché gli piaceva? E soprattutto, nel verso senso della domanda, perchè gli piaceva?
    Passarono tutto il tempo del film l’uno accanto all’altro. Le pizze erano ormai terminate e i piatti stavano in terra. Erano stesi sul letto, Bill appoggiato completamente al petto di Tom, sentendo battere il suo cuore. E pensò, come un eterno innamorato, che i loro cuori stessero battendo all’unisono.
    Il PC stava sulle gambe del rasta e Bill poteva così godersi la pace e la tranquillità.
    Arrivati ormai ad un tempo avanzato del film, il moro disse:
    << Sai, a volte mi piacerebbe che mi cancellassero qualcosa dalla memoria >>.
    << Tipo cosa? >>.
    << Non lo so, cioè vorrei svegliarmi al mattino e non pensare sempre la stessa cosa >>. Ma perché diavolo l’aveva detto? C’erano solo due cose che avrebbe voluto cancellare: l’ermafroditismo e la gravidanza. Come poteva anche solo pensare di dargli spiegazione?
    << Io vorrei dimenticarmi di essere orfano, o comunque di essere solo >>. Bill si sollevò dal suo petto e gli stampò un bacio sulla guancia. Bill sorrise e Tom spalancò gli occhi.
    Non riuscì a frenarsi.
    Avvicinò lentamente il suo volto a quello del moro e fece per baciarlo sulla bocca. Bill si ritrasse e Tom ci rimase male.
    << Io… Scusa, non posso >>, disse solamente. Bill si sentiva terribilmente in colpa. Avrebbe voluto che le labbra di Tom si poggiassero sulle sue, voi non avete idea di quanto lo desiderasse. Era come se qualcosa che da tempo era taciuto dentro di lui, stesse gridando a squarciagola. Ma cosa sarebbe successo se la cosa fosse continuata?
    Bill aveva una responsabilità, tra sette mesi dalla sua vagina sarebbe uscita una creatura e… Come avrebbe potuto spiegarlo al rasta? Non poteva immischiarsi in una situazione amorosa proprio in quel momento.
    Allora perché si sentiva così dannatamente in colpa?
    << Tu non puoi farmi quello sguardo e pretendere che io non ti baci >>.
    << È che sono uscito da una storia burrascosa… >>, cercò di spiegare Bill allontanandosi mentre il film continuava a scorrere inascoltato. Si alzò dal letto e accese la luce.
    Ogni atmosfera sembrò rovinata a quel modo.
    << Certo, due mesi fa! >>, sbraitò Tom quasi scaraventando il portatile sul materasso e alzandosi in piedi.
    << Senti, io… >>, Bill si portò dietro l’orecchio una ciocca di capelli e Tom gli si avvicinò. << Io ti voglio bene Tomi, te ne voglio tanto, soltanto che… >>.
    << Che c’è? Non ti piaccio forse? È per questo? >>. Si stava alterando e mentalmente si diceva solo di calmarsi, perché Bill non meritava che lui alzasse il tono di voce.
    << No! Non è questo, anzi… Tu mi piaci molto, cioè ci sto molto bene con te, ma… Perché andare a rovinare un’amicizia partita così bene? >>, mentì. Cercò di far cadere la scusa verso un altro fronte, ma non ci riuscì.
    << Non raccontarmi stronzate Bill, io so per certo che non è per questo! >>.
    << Ti prego Tom, credimi… >>. Il suo continuo avvicinarsi fece arretrare Bill contro la parete accanto alla porta, dove stava l’interruttore della luce. Il rasta si avvicinò ancora di più e gli afferrò le mani, Bill si sentì cedere.
    << Io ti credo Kaulitz, soltanto che non lo rispetto >>. Bill arretrò maggiormente con un sospiro e, inavvertitamente, spense la luce dietro di sé e finalmente le sue labbra si scontrarono dolcemente con quelle di Tom, come se fosse sempre stato quello il motivo del loro incontro.
    Bill Kaulitz aveva già baciato qualcuno prima di quella notte: eppure, stretto nella protettiva morsa di Tom, in quel momento gli sembrò di non avere mai baciato prima.
    Il freddo piercing che il rasta portava all’angolo sinistro della bocca si scontrò con le soffici labbra di Bill, perfettamente adatte a quelle di Tom. Da prima distaccato e con le mani intrecciate alle sue, Tom si avvicinò ulteriormente al corpo di Bill e nell’oscurità di quella stanza, illuminata solo dalla luce fluorescente di un computer, le loro lingue si scontrarono in un intenso attimo d’amore.
    Tom si sentì come se ci fosse qualcosa tra loro, e non si sbagliava.
    I loro corpi si sfiorarono e si trasmisero un calore che fece riscaldare anche i loro cuori.
    Tom si scostò dalle sue labbra e lo guardò nella penombra. Bill era così piccolo contro quella parete agli occhi del biondo… Gli gemeva contro e lui non poteva sentirsi più eccitato.
    In mezzo a quei sospiri Tom sorrise e lo fissò. Bill si sentiva una poltiglia, se non ci fosse stato il muro dietro la sua schiena sarebbe crollato a terra. Si sarebbe squagliato.
    << Sei… Veramente un giovane irrispettoso Tomi >>, scherzò Bill abbassando il capo. Tom gli alzò il mento come aveva visto fare nei film.
    << Sono un po’ ribelle… Dovrai addomesticarmi >>. Com’era sarcastico.
    << Dovrò? Pensavo non ti facessi mettere il guinzaglio da nessuno... >>. Bill si sentiva ad un metro da terra. Come se stesse volando. Nella sua mente, entrambi erano atterrati nell’Isola che non c’è da molto tempo.
    Senza problemi. Senza preoccupazioni. Senza responsabilità.
    << Non lo so… Da te mi farei mettere anche una gonna >>.
    << Dai Tom! >>. Bill iniziò a ridere fragorosamente e poi, passando la mano in mezzo ai suoi rasta, avvicinò nuovamente le sue labbra alle sue.
    A Bill piaceva che Tom lo facesse ridere a quel modo, si sentiva felice come non lo era mai stato.
    Ma allora che cos’era quella? Era l’inizio di una storia d’amore o qualcosa che sarebbe stato troncato ancora prima di iniziare? E se sì, da chi?

  9. .

    WHAT IF BETRAYAL WAS LOVE?

    6 Chapter



    Secondo mese di gravidanza.
    Solo una volta Bill in quei due mesi d’inferno si era fatto controllare da un medico ed era quando questo, senza alcuna premura, gli aveva detto che era stato ingravidato.
    Poi non sapeva cosa stesse succedendo dentro di lui, seppur sentisse che qualcosa stava cambiando.
    La pancia cominciava un po’ a prender forma, ma solo lui se ne accorgeva, il resto della gente ancora poteva etichettarlo come “ingrassato”. Avrebbe voluto andare ai controlli col suo ragazzo, Derek, il padre di suo figlio, ma dal momento che Derek Hagenfield non era più il suo ragazzo, non c’era più stata occasione di andare ai controlli.
    Era terrorizzato all’idea di doverci andare da solo e avrebbe tanto voluto chiedere a Tom di accompagnarlo. Negli ultimi tempi erano sempre stati assieme, ma Bill di certo non era così pazzo da rivelargli il suo segreto. Eppure, sarebbe stato molto più facile se così fosse stato perché Bill era certo che Tom l’avrebbe accompagnato di sicuro.
    Sospirò sovrappensiero pensando come fare per il controllo e varcò il cancello scolastico.
    Lui e Derek si evitavano da più di un mese senza ritegno e neppure i suoi amici lo disturbavano più: era come se Bill non fosse mai esistito.
    Per quanto riguarda Tom invece… I due si vedevano ogni giorno.
    Bill aveva messo in chiaro che, almeno al momento, non sarebbero potuti essere niente di più che amici, per un sacco di motivi. A Tom sembrava andare bene così e per Bill lui era diventato un amico fidato, una spalla su cui piangere, una persona con cui confidarsi.
    Anche se pensava ci sarebbe voluto molto tempo prima di potergli dire tutto quanto.
    A volte, nel bel mezzo dei suoi intorpiditi pensieri, sorrideva pensando alla fortuna che gli era capitata.
    Pensando a Tom.
    Era entrato all’improvviso nella sua vita e non lo aveva neanche richiesto, c’era entrato così e aveva deciso –non si sa come- di non lasciarlo in pace. Bill era stato felice della sua scelta, perché al momento senza di lui sarebbe stato tutto doppiamente complicato.
    Tom lo aiutava a non pensare ai problemi. Era tutta un’altra persona rispetto a quella che credeva fosse.
    La prima impressione che gli aveva fatto era stata buona, sembrava un ragazzo tranquillo, di mentalità aperta, socievole. Uno rilassato, ecco.
    Poi si era dimostrato un ragazzo sfrontato, pedante e fin troppo invasivo.
    Andando avanti avevo capito che era tutt’altro quello che credeva che fosse.
    Non era un ragazzo tranquillo, però era buono. A scuola combinava un casino dietro l’altro e negli ultimi due mesi stava rischiando la bocciatura in quanto non andava mai. Bazzicava sempre davanti alla scuola di Bill: o all’entrata o all’uscita lui era lì. Spesso e volentieri trascinava anche il moro nelle sue fughe scolastiche, non che Bill non gliene fosse grato eh, ma lui non aveva mai marinato la scuola prima di conoscere il folle Thomas.
    Però, come dicevo, era buono. Era davvero di mentalità aperta, sotto quella corazza da ragazzo duro e strafottente, c’era un cuore puro, debole e bisognoso d’affetto. Tom ascoltava sempre quello che Bill aveva da dire, anche se non gli interessava. Tutti i discorsi che faceva… Non erano campati per aria, avevano una risposta. Con Derek non aveva mai potuto essere così… Lui se ne fregava di lui e dei suoi pensieri. Voleva solo scopare e ora che gli aveva dato tutto quello che un ragazzo di 15 anni potesse dare, non voleva più neanche quello.
    Si era creato un feeling davvero particolare tra i due coetanei e non sembrava volersi spezzare.
    Quella sera Bill l’aveva invitato da lui, a dormire. Suo padre non ci sarebbe stato perchè era fuori per lavoro e a lui non andava di rimanere a casa da solo. Tom, ovviamente, ne era più che felice e aveva subito accettato. Non era una novità che Tom avesse un debole per Bill, una cotta.
    Non che Bill sotto sotto non ricambiasse quel sentimento, ma aveva talmente tante cose in testa che al momento una relazione non gli sfiorava neppure il pensiero.
    Avrebbe avuto un bambino tra sette mesi, iniziare qualcosa in quel momento non sarebbe servito a granchè.
    Bill stava per entrare a scuola, quando qualcuno lo prese per un braccio. Il ragazzo –che non era affatto in allerta- prese spavento e fece un salto su sé stesso. Quando si rese conto che fosse Tom ad averlo terrorizzato, si mise una mano sul petto.
    << Santo cielo, mi hai spaventato a morte! >>.
    << Scusa! Non volevo spaventarti! Come va? >>. Bill si guardò attorno: gli studenti stavano continuando ad entrare nella scuola e ovviamente Bill era di nuovo fuori, a cazzeggio, con Tom.
    << Diciamo che va meglio di altri giorni… Tu non dovresti essere a scuola? >>, gli domandò.
    << Ci sto andando, non vedi? >>. Tom si sollevò lo zaino sulle spalle e Bill lo guardò di sottecchi. Il moro rise e gli diede un pugnetto sul petto.
    << Intendo nella tua scuola! >>, puntualizzò.
    << Mi hanno cacciato, cambio scuola! >>, esclamò entusiasta.
    << Cosa? Ti hanno cacciato?! Tom che cosa hai combinato? >>.
    << Mi hanno espulso! Troppe assenze, troppi richiami dal preside… E l’ho tirato fuori in palestra! >>.
    << Tom! Ma cosa cazzo ti è saltato in mente di fare?! >>. Bill era sconvolto dalla sua risposta, credeva che certe cose succedessero soltanto nei film! << Un atto del genere non ti costa solo la sospensione, ma è qualcosa che rimarrà scritto nel curriculum della tua vita! >>. Tom, con un sorriso sghembo dipinto sul volto, si mise a braccia conserte e continuò ad ascoltarlo. << È inaccettabile un comportamento così! Quando ti chiederanno perché non sei riuscito a prendere un diploma tu dovrai descrivere l’atto osceno compiuto in pubblico! E quando avrai figli? Loro cosa penseranno di te?! >>. Ormai stava delirando, chi avrebbe potuto fermarlo?!
    << Bill… >>, sorrise Tom.
    << Non sei capace di tenerti fuori dai guai! Perché? Se andassi bene in quella scuola potresti trovarti un lavoro quando finirai! Adesso come cazzo farai? >>.
    << Bill! Ti stavo prendendo in giro, non ho tirato fuori l’uccello in palestra! >>. Il rasta cominciò a ridere e il moro rimase perplesso. Rise nevroticamente e si mise una mano in mezzo ai capelli, cominciando ad arricciare i ciuffi dietro la testa.
    << Ma certo, io… Io ti stavo solo prendendo in giro >>. Tom continuò a ridere, di lui fondamentalmente, così gli mise un braccio attorno alle spalle.
    << Dai andiamo, hai detto troppe cazzate stamattina >>. Cominciarono a camminare.
    << Dove andiamo? La scuola è dall’altra parte, vuoi far sospendere anche me quest’anno? >>. Tom gli tolse il braccio dalle spalle e allargò le braccia verso l’esterno.
    << Hey che c’è Kaulitz, stai dicendo che non ti piace stare con me? >>.
    << Certo, ma... Ci vediamo anche stasera, possiamo stare insieme tutta la sera >>
    << Eddai su, sciogliti un po’… Non essere sempre così… Legato >>, spiegò Tom gesticolando. Bill gli prese la mano e gli si avvicinò. Fu un gesto insensato, ma uno dei due avvertì qualcosa pieno di senso.
    << Non sono legato, solo… >>, scrollò le spalle. << Io sono un bravo ragazzo! Ho già fatto troppe segate, se mi bocciano mio padre mi uccide >>.
    << Ma dai Bill! Non ti bocciano mica per una settimana d’assenza neanche di fila! >>.
    << È più di una settimana… Tu mi porti nella cattiva strada! >>.
    << È la strada della perdizione piccolo >>. Bill gli sorrise e strinse la sua mano. Gli sembrò anche a lui di avvertire una strana sensazione in quel momento, una bella sensazione.
    Abbassò lo sguardo sulle loro mani e sorrise. Strofinò il pollice sul dorso della mano di Tom e gli stampò un bacio sulla guancia.
    << Ti ringrazio per farmi distrarre… Mi serve >>, concluse alla fine. Il rasta gli sorrise e presero a camminare nella direzione opposta all’entrata, con un Derek molto concentrato sulle loro mani congiunte e sui loro sorrisi sinceri. Che cosa stava tramando?
    Tom si sentiva dannatamente bene in compagnia di Bill, avrebbe desiderato qualcosa di più che un rapporto di semplice amicizia, infatti non riusciva a capire come potesse bastargli. A Bill intendo. Perché non voleva che la loro relazione, di amicizia o meno che fosse, in qualche modo si intensificasse?
    Gli ultimi mesi erano sempre stati insieme, a volte anche troppo da nausearsi a vicenda, ma in fondo stavano bene in compagnia e il cuore di Tom batteva in presenza del moro.
    Perchè quello di Bill no? Questo si chiedeva il biondo, non riuscendo a darsi una risposta.
    Bill avrebbe tanto voluto essere più elastico, più sciolto –come l’amico gli aveva suggerito-, ma con la gravidanza in atto non riusciva ad esserlo. Tom non sapeva che il motivo per cui Bill si sforzava di non vederlo niente più che un amico era che era incinta. Come avrebbe potuto anche solo saperlo, immaginarlo?
    Bill era preoccupato che Tom potesse accorgersene un giorno.
    Ed inevitabilmente sarebbe successo.
    Allora cosa avrebbe fatto quando non avrebbe più potuto nasconderlo? Un conto era nasconderlo all’intera corporazione scolastica, un altro era nasconderlo ad una persona come Tom che –negli ultimi tempi- gli era stato così vicino.
    Per questo Bill non avrebbe voluto avere rapporti con nessuno, neanche di tipo pseudo confidenziale, perché una volta che si sarebbe affezionato a queste persone, rivelare loro la verità sarebbe stato troppo difficile e troppo complicato e lui non aveva la sicurezza che queste persone sarebbero rimaste.
    In quel momento si trovava in una situazione difficile.
    Quando il segreto sarebbe stato troppo esposto, avrebbe dovuto tirare fuori tutto il coraggio che serbava in corpo e raccontare tutto a suo padre. E a Tom.
    Non sapeva come fare. Quando il suo unico genitore tornava a casa, stremato dal lavoro, era sempre incollato alle bottiglie di alcolici e non badava mai a lui.
    Tranne quei rari momenti in cui lo maltrattava.
    Quando il signor G alzava il gomito, ogni pretesto era buono per litigare. E arrabbiarsi. E Bill sapeva che avrebbe dovuto rivelare la sua inaspettata gravidanza proprio in uno di quei momenti.
    Aveva paura. Paura per la sua persona e per il bambino stesso. Cominciava a pensare a che nome avrebbe potuto dargli, ma ancora non si era deciso. Aveva qualche idea, ma ancora niente di certo.
    Sicuramente Derek non aveva voce in capitolo.
    Quella mattina Bill non andò a scuola, di nuovo. Del resto, che ne poteva sapere suo padre di quello che faceva? Era sempre al lavoro, non si era mai particolarmente interessato all’andamento scolastico del figlio e a Bill riusciva talmente facile fare una firma falsa… Ne aveva fatte fin troppo firmandosi le giustificazioni da solo e le comunicazione che gli davano da portare a firmare ai genitori.
    Suo padre non aveva neanche il tempo di firmare degli stupidi fogli, ripeteva solo: “Bill adesso non posso” oppure “più tardi, sto lavorando”. Che l’ufficio fosse nella sede o in casa poco importava: il signor G lavorava sempre.
    E Bill era sempre più solo e tutto pesava sulle sue spalle. Forse per questo, seppur la vita gli si era dimostrata avversa, Bill aveva un carattere forte. Sì, aveva qualche debolezza come ogni essere umano, ma sapeva ben badare a sé stesso dato che nessuno aveva mai badato a lui.


    ***



    Tom tornò all’orfanotrofio quel pomeriggio, ancora una volta senza essere andato a scuola.
    Uno dei tre gestori principali lo rimproverò per le sue assenze e la sua espulsione, il signor Marwin in particolare era quello che più stava dietro a Tom. Forse perché anche lui, da piccolo, era stato abbandonato come il ragazzo e quindi lo sentiva più vicino a lui; stava di fatto che Tom, dopo essersi beccato la solita ramanzina, salì in camera sua ripensando alla mattinata passata.
    Lui e Bill avevano trascorso il tempo assieme per tutte le ore scolastiche e si erano lasciati all’ora di pranzo.
    Tom aveva fatto un giro prima di tornare “a casa” e solo in quel momento si era degnato di farsi vedere.
    Non era assolutamente un ragazzo facile e Dorian, Agatha e Marwin sapevano bene con chi avevano a che fare e non era semplice per loro.
    Il rasta condivideva la stanza con Freddie, un ragazzino di 12 anni che ammirava Tom dalle punte dei suoi rasta spettinati all’alluce del suo piede. Era stato come un fratello maggiore per lui e –almeno da una parte- l’unica soddisfazione per il biondo di essere in quel centro era quella di tornare a casa e passare un po’ di tempo con Freddie.
    Freddie era il tipico ragazzino dodicenne che ha paura di tutto e si comporta da saccente solo per atteggiarsi agli occhi dei più grandi. Chiaramente, non veniva considerato granchè dagli altri.
    Almeno in questo, Tom era sempre stato diverso. Parlava con chiunque e soprattutto con quelli che non erano calcolati da nessuno. Riteneva particolarmente interessanti certe persone accantonate in un angolo come rifiuti, quasi appetitose. Bill era diventato una di queste sin dal primo momento che si erano parlati.
    Thomas non aveva pregiudizi, era un ragazzo a posto sotto questo punto di vista.
    << Tommy! >>. Freddie saltò giù dal letto e scaraventò a terra il libro che stava leggendo: era un piccolo nerd. Entusiasta gli saltò addosso e Tom rise, felice delle sue attenzioni. A quel ragazzino esaltava sempre il suo arrivo. << Dove sei stato? Non tornavi più! Ti sei perso un casino di cose! Oggi Mona ha cercato di far credere a Dorian che i suoi genitori l’avevano chiamata e che se ne doveva andare! Allora Dorian ha cominciato a chiedere come ciò poteva essere possibile dato che i suoi sono morti tre anni fa! Sai Mona che gli ha detto? Ha detto che non era vero perché sua madre aveva un’altra identità e allora Dorian ha cominciato ad incazzarsi come fa di solito e ad urlare come un pazzo! Mona rideva come una scema davanti alla sua faccia perché dopo un po’ lui non sapeva che rispondere e allora… >>.
    << Freddie arriva al punto! >>, tagliò corto Tom.
    << Beh alla fine vedi la faccia di Dorian tutta incazzata e poi Mona che gli dà un buffetto sulla guancia! Si è immobilizzato, non ha detto niente e lei è andata via ridendo! Io e Samuel non ce la facevamo più dal ridere, l’ha smerdato come un non so cosa! È una grande! >>.
    << Perché non glielo dici che hai una cotta per lei? >>, domandò Tom. Si diresse verso la finestra e-una volta socchiuse le tende- si tolse la maglia che indossava, complice di fin troppe sue avventure.
    << Io non ho una cotta per lei! >>, si irritò. Le sue guance divennero rosse come due pomodori e le lentiggini che aveva sul viso risaltarono subito sulla sua bianca pelle. << Beh comunque, dove sei stato? Ho sentito che Marwin diceva che non sei andato a scuola! >>.
    << Tu hai la lingua troppo lunga e il pisello troppo corto Freddie! >>.
    << Dai Tomi! >>. Il ragazzino gli lanciò uno dei suoi cuscini e il rasta cercò di ripararsi come meglio potè, sfoderando uno dei suoi sempre bellissimi sorrisi.
    << Scherzavo vipera! Non ci sono andato a scuola no… Cioè ci sono andato, ma primo: non sono entrato! E secondo… Non era la mia scuola! >>.
    << E dove cazzo eri? Da Bill? >>.
    << Esatto… Abbiamo fatto sega. Siamo andati a fare un giro, così… >>.
    << Ti deve piacere tanto se stai sempre con lui, è diventato il tuo migliore amico! >>.
    << Dovresti conoscerlo, ti starebbe simpatico! >>.
    << Io lo odio, ora sto sempre da solo per colpa sua! >>, si lamentò. Tom sorrise ancora.
    << C’è Samuel… E gli altri, l’istituto è pieno di gente, io non faccio mica la differenza? >>.
    << Invece sì, tu sei il migliore! Sei il più stronzo e il miglior voltafaccia che esista! Rigiri tutti qui dentro, persino Dorian! Tu e Mona nella nostra top5 siete allo stesso livello di fama! >>.
    << Tu e Samuel dovreste pensar più ai vostri compiti che a queste stronzate! >>. Si tolse i pantaloni e li mise fuori dalla finestra ad arieggiare. Si avvicino al suo armadio, aprì il secondo cassetto a partire dal basso e ne estrasse un altro paio di jeans, più larghi e molto più scuri. Li indossò assieme ad una maglietta gialla sgargiante.
    << Dove esci così?! >>, iniziò a ridere Freddie. << Sembri un uccello! >>.
    << Cosa vuoi capirne tu… Comunque non torno a casa stasera, dormo da Bill… Infatti adesso vado >>.
    << Come dormi da Bill? Ma… Stasera dovevamo giocare alla Play, me l’avevi promesso! >>.
    << Domani, te lo prometto! Stasera… Sto da lui >>. Freddie mise il broncio e Tom gli si avvicinò. << Non mi dimentico mica di te! Sei il mio fratellino, come potrei? >>, disse affettuosamente. Dl resto, Tom si era sempre comportato da fratello con lui. Freddie aveva costantemente bisogno di qualcuno che gli stesse vicino e il rasta –essendo più grande- fungeva da fratello maggiore. Erano molto uniti, seppur figli di persone diverse che si erano rivelate scomparse.
    Il biondino gli sorrise e lo lasciò andare. Tante cose per Tom stavano cominciando a cambiare, ma cambiavano così in fretta che lui non riusciva neanche ad accorgersene.
    Negli ultimi tempi, da quando Bill era entrato nella sua vita, Tom era più felice perché Bill era una novità e- passando il tempo con lui- faceva qualcosa che lo trascinava via dalla solita monotonia di sempre.
    Tom gli era grato per questo e Bill, dal canto suo, non poteva che ricambiare.
    Avevano bisogno l’uno dell’altro, seppur in modo differente. Ma ancora il modo in cui necessitavano di passare in compagnia il loro tempo non si era definito agli occhi di ambedue e sarebbero finiti presto in un vortice di bisogno dal quale non sarebbero potuti più uscire.
    Il bisogno li teneva uniti, l’affetto li avrebbe avvicinati, l’amore li avrebbe resi inseparabili.
    Tom si sentiva come mai si era mai sentito quando era con Bill, si sentiva completo e non ne capiva il motivo. Bill provava le stesse emozioni: conforto, pace, tranquillità. Era come se a volte non avessero bisogno di dirsi niente, si capivano comunque. Come due anime gemelle.
    Ma loro ancora non sapevano quale verità li accumunasse così tanto e presto avrebbero imparato una preziosa e tragica lezione di vita: ci sono persone che ti conoscono più di quanto tu conosca te stesso.
    Ci sono segreti che non sempre vengono svelati e se ci sono due persone… Solo una può tenere un segreto, se l’altra muore.
  10. .
    Scusate il ritardo!
    C'è stato un concerto, il mio compleanno, il week a casa coi miei, sono stata un po' impegnata, ora posto, grazie di tutto =)
    Commentate con calma, un bacione =)
    Vi voglio bene!


    WHAT IF BETRAYAL WAS LOVE?

    5 Chapter



    La mattina Bill si svegliò di soprassalto, con uno scatto dovuto ad un conato di vomito che lo obbligò a dirigersi precipitosamente in bagno.
    Si chiedeva quando quelle nausee sarebbero finite e quando fossero iniziate, perché gli sembrava di averle da una vita.
    Si domandava quando avrebbe detto a suo padre di essere rimasto incinta di un ragazzo che, di lui, non aveva alcun riguardo.
    Il giorno prima, una volta tornato a casa, Bill aveva pianto copiose lacrime nel suo letto ripensando alla terribile giornata vissuta.
    Non sapeva se stesse piangendo per il fatto che fosse stato lasciato, per il modo in cui era stato lasciato o per il motivo più ovvio: avrebbe dovuto crescere quella creatura tutto da solo e non se ne sentiva capace.
    Sospirando sofferente, si sollevò dal water e si pulì la bocca con un po’ d’acqua.
    Sputò all’interno del lavandino e fece scivolare l’acqua al suo interno. Portò le mani sotto quella modesta cascata e si lavò il viso.
    Guardandosi allo specchio desiderò ardentemente di non essere Bill Kaulitz, ma di essere una persona normale, una persona qualunque. Non pensò di voler essere una persona senza problemi perché, seppur giovane, sapeva che non poteva esistere, però immaginava di essere una persona con dei problemi diversi.
    Ogni giorno era la stessa storia. Ogni giorno la stessa favola, ma questa non aveva mai un lieto fine.
    Se avesse avuto altro di cui preoccuparsi per Bill sarebbe stato molto più facile.
    Avrebbe trovato la soluzione ad ogni problema nelle sue fantasie, semplicemente perché quei problemi non lo riguardavano. Ma la gravidanza e l’ermafroditismo… Eh, lo riguardavano eccome e anche se non ci pensava, non se ne disfaceva.
    Ogni giorno si svegliava con quelle nausee che continuavano e ogni sera, preparandosi ad andare a dormire, si spogliava di ogni indumento accorgendosi –o meglio ricordandosi- di cosa fosse, di cosa c’era là sotto che avrebbe voluto stappare via.
    Bill si odiava sì. Odiava colui che aveva potuto crearlo a quel modo piuttosto che farlo morire.
    Bill avrebbe di gran lunga preferito una rapida morte che quell’esistenza frastornata da incubi e scandali.
    Il suo essere stesso era scandaloso, non poteva strapparsi la pelle di dosso senza farsi male. Non poteva semplicemente nascondersi, era impossibile. Il ragazzo doveva viverci, per forza, senza aiuto né appoggio.
    Era solo nella sua condizione. Eternamente destinato ad una pena senza riscatto.
    Era innocente, ma doveva comunque pagare per esserlo.
    << Vaffanculo >>, imprecò Bill dando una spinta allo specchio, come a volersi allontanare.
    Senza successo, chiaramente.
    Prese il cellulare una volta uscita dal bagno della sua camera, giusto per vedere se Derek avesse cambiato idea e si fosse fatto sentire.
    Ovviamente, era un’altra delle sue illusioni. Non poteva essere rimasto incinta di qualcuno di più affidabile? Derek non era male, non fosse stato per il suo egoismo, il suo comportamento aggressivo nei confronti del moro, le sue assenze quando Bill aveva bisogno…
    No, in effetti Derek era proprio uno stronzo, ma il ragazzo cercava solo di convincersi che avesse qualcosa di buono, qualcosa per cui valesse la pena di sperare in un suo ritorno.
    Qualcosa di diverso dal bambino in sé.
    Sospirò e si vestì lentamente, pensando a cosa avrebbe fatto una volta rivisto Dee a scuola.
    Gli aveva urlato contro delle cose bruttissime.
    Credette davvero che se non ci fosse stato Tom con lui, avrebbe dato di matto.
    Già, Tom. Quel ragazzo era così strano. Cioè, quando l’aveva conosciuto al locale non avrebbe mai creduto di rivederlo, eppure quella sera era stato così bene in sua compagnia…
    Ad essere sinceri Tom lo inquietava un po’. Non capiva se quando parlava lo prendesse in giro o fosse serio.
    Non aveva ancora imparato a leggere la sua anima attraverso i suoi occhi, questo solo perché ancora era accecato dal resto per focalizzare l’attenzione su di lui.
    Il suo cuore già sapeva che quando i loro sguardi si sarebbero incrociati, liberi da tutto, i loro cuori avrebbero preso a battere insieme.
    Questo il cuore, Bill si preoccupava solo di sé stesso al momento dato che nessuno ci pensava a lui.
    Mangiò un boccone al volo, uscendo poco dopo di suo padre e prese la strada a piedi quella mattina.
    Solitamente, Derek era quello che veniva a prenderlo col suo scooter.
    Non quella mattina.
    Camminando Bill tenne al caldo la sua pancia e la accarezzò, quasi a voler tranquillizzare il bambino che gli stava crescendo dentro. Quasi con l’intento di rendere il tutto ancora più reale.
    Una volta arrivato dinanzi l’ingresso della scuola, trasse un respiro profondo e si diresse al solito posto.
    Fu costretto a bloccarsi perché Derek era lì, con i suoi impavidi amici Baldo e Abel, incurante del suo arrivo. Volle avvicinarsi, quando vide Tom assieme a loro.
    Si bloccò.
    Ma che diavolo ci faceva lì?
    Il giorno prima era un Angelo, quello dopo… Era in mezzo ai Diavoli. What the fuck…?
    Riprese a camminare verso Derek e gli batté sulla spalla.
    << Dobbiamo parlare >>, disse con un tono di voce fermo prima che si voltasse. Alla sua vita si scostò di colpo.
    << Abbiamo già parlato, che cazzo vuoi? >>. Tom guardò con un velato interesse la scena, ma non disse niente. Bill si morse il labbro, imbarazzatissimo, mentre quei due coglioni degli altri suoi amici lo deridevano.
    << No invece, tu adesso ti sposti con me un momento e ne parliamo >>. Derek sbuffò e lo seguì. Tom gli fece un cenno con il capo e Bill lo salutò con la mano, non capendo ancora perché si trovasse lì.
    Una volta abbastanza distanti dalla ressa si fermarono, entrambi, e Bill iniziò a parlare.
    << Senti Dee… Tralasciando il modo in cui mi hai trattato ieri, io vorrei capire perché l’hai fatto >>. Iniziò il moro.
    << Te l’ho detto, una stupida scommessa, mi chiamo fuori >>.
    << Senti cazzone, sto cercando di mantenere la calma! Ma mi rimane un po’ difficile se continui ad istigarmi, sono un uomo incinta cazzo, mi stanno girando i coglioni! >>.
    << È questo il problema Bill, sei un uomo e sei incinta, io non ne voglio sapere niente >>.
    << È per questo? Perché sono patologico? Perché qua sotto ho un fottutissimo pene, ma sono comunque incinta? Pensavo che non ti importasse, non ti era mai importato prima >>.
    << Prima di sapere che potevi rimanere… Incinta >>, aggiunse Dee sia con schifo che con stupore.
    << Sei proprio uno stronzo! Tu mi hai fatto questo, capisci? >>, sbraitò indicandosi la pancia. << Sono io che tutti i giorni mi devo beccare le nausee e questo senso di amarezza! Pensavo che avremmo potuto occuparcene insieme, ma a te non te ne frega niente vero? >>. Derek non rispose e a Bill salirono le lacrime agli occhi. << Non te ne frega niente di questo bambino? >>, continuò. Come se volesse dargli una seconda possibilità. Ma Derek fece ciò che di più temuto c’è: sbuffò e abbassò il capo. E lì Bill capì. Capì perchè Derek non potesse occuparsi né di lui né di quel bambino.
    A Derek non interessava di loro.
    << Benissimo >>, esternò Bill con disgusto. << Sei uno stronzo >>. Il moro si allontanò nella direzione di Tom con l’intento di superare la massa di gente e la scuola in generale, quando Derek gli urlò:
    << Te l’avevo detto che non me ne fregava un cazzo delle tue stronzate >>. Bill si sentì morire, come se gli stessero schiacciando lo stomaco in dieci. Cercò di frenare le lacrime e fuggì via. Con la coda dell’occhio avvertì un movimento esterno e udì una voce dire:
    << Sei un coglione >>, quando continuò semplicemente a scappare sentendosi seguito da quella voce così simile e sentita così spesso in quei due giorni.<< Bill! >>, ripetè la voce. Lui non l’ascoltò, lasciando cadere libere quelle lacrime. << Bill, fermati! >>. Una volta al sicuro e fuori dalla struttura scolastica, si voltò e cadde nelle braccia di Tom prima ancora di rendersene conto. Il rasta rimase rigido di fronte a tale gesto, Bill pianse senza ritegno contro quella figura sconosciuta.
    Non gli era rimasto più nulla. Né pudore, né sicurezza, né fiducia.
    Soltanto lacrime.
    Tom gli carezzò la schiena cercando di calmarlo e poi lo convinse a spostarsi dal mezzo del marciapiede.
    Si imboscarono in un punto isolato del parco dove Tom lo fece sedere per riprendersi.
    Non domandò nulla, gli rimase solo vicino.
    Fu Bill a decidere di parlare.
    << Scusami se… Ti sono piombato addosso… Mi sentivo solo… >>.
    << Sai, dicono che chi riesce a piangere davanti ad altre persone abbia davvero un cuore puro >>, lo interruppe all’improvviso. Bill rimase ammaliato a dir poco.
    << Chi lo dice? >>, si interessò tirando su col naso. Tom scrollò le spalle.
    << Non lo so, qualcuno l’avrà detto, è la prima cosa che mi è venuta in mente guardandoti. Non devi vergognarti di saper piangere, piuttosto il contrario… Io me ne vergogno, sai? >>.
    << Di piangere? >>, chiese col cuore che lentamente riprendeva i suoi normali battiti. Tom scrollò il capo.
    << No… Il contrario >>. Abbassò il capo e Bill, dal basso della sua posizione, lo guardò con attenzione.
    Sembrava così piccolo su quella panchina, così indifeso. Così buono.
    << Tu non sai piangere Tom? >>. Il rasta non gli rispose. << Io non ci credo che non sai piangere >>.
    << Credo che l’unica volta in cui ho pianto sia stato quando sono nato, altrimenti non sarei vivo ora >>.
    << Non dire così… >>.
    << Beh, è vero. Che dovrei fare, piangermi addosso tutta la vita? Ho passato anni a domandarmi perchè i miei genitori mi avessero abbandonato, a chiedermi dove cazzo siano senza ottenere risposte. Ho solo un biglietto… >>.
    << Che biglietto? >>. Bill si avvicinò a Tom, scorrendo leggermente di posto nella panchina. Tom fece uno strano sorriso. Un sorriso cattivo.
    << Quando mi hanno portato lì, a Monaco, all’orfanotrofio… Mi hanno detto che ero dentro un cesto assieme ad una busta… Dentro quella busta c’era un biglietto e c’era scritto il mio nome… Thomas… Nient’altro… Mi chiedo perché abbiano perso anche il tempo di scrivere il nome >>. Bill, inavvertitamente, allungò una mano verso la sua. Fu un leggero contatto che fece sobbalzare entrambi, ma continuarono a parlare come se nulla fosse.
    << Quindi sei nato a Monaco? >>.
    << Per quanto io ne sappia… Sì >>.
    << Anche io sono nato lì, poi però ci siamo trasferiti a Berlino io e mio padre… Non so perchè, non mi ricordo del trasferimento, ero piccola quando è successo >>.
    << Piccola? >>, rise Tom. Bill scosse la testa, imbarazzato.
    << Piccolo, volevo dire piccolo… Scusa >>. Tom rise ancora e fece scontrare la sua mano con quella di Bill, per gioco.
    << Dai… Si scherza! Comunque… Tua madre dov’è? Mi hai detto che vivi con tuo padre l’altra sera, ma niente di tua madre… I tuoi sono separati? >>.
    << No, ecco… Mia mamma è morta quando sono nato io… Ha riposto le sue ultime forze per farmi uscire ecco… >>.
    << Cazzo, oh cioè scusa… Mi dispiace >>.
    << Figurati >>.
    << Almeno tu sai chi era e poi… Dai, hai un genitore, sempre meglio di niente >>.
    << Senti Tom… Ieri... Quando ho detto quella cosa… Io non volevo offenderti, ero solo nervoso per via di… Derek.. Non mi sognerei mai di criticare o giudicare qualcuno >>.
    << Lo so, sei una specie di Kamikaze, ti butti prima di capire che sta succedendo >>. Bill rise e, sollevandosi, gli diede un amichevole pugno sulla spalla.
    << Tu dovresti essere a scuola… E anche io >>. Tom si alzò a sua volta e lo fissò negli occhi: ma era ancora troppo presto per leggersi l’anima.
    << Sì, ma oggi non mi va di andarci. Che ne dici, facciamo un giro? >>.
    << Mi avevi detto di essere un cazzeggiatore, ma non pensavo così tanto! >>.
    << Hey… Sono il ragazzo con più note e richiami in presidenza di chiunque altro! Dai andiamo, facciamo un giro >>. Su insistenza, alla fine Bill cedette e pensò che quella giornata iniziata male volendo poteva andare avanti in modo migliore. Si sarebbe impegnato per questo.
    Quel mattino non ebbe altre nausee in presenza di Tom e i due si divertirono molto assieme.
    Era dicembre, la neve cadeva a fiocchi sulla stupenda Berlino e due ragazzi che prima non si erano mai visti, avevano in comune –senza saperlo- qualcosa di più che dei semplici hobby.
    Presto si sarebbero trovati come mai nessuno si era ritrovato e una volta congiuntisi, gli avrebbero chiesto di allontanarsi e loro avrebbero dovuto fare una scelta.
    Una scelta che sarebbe costata ad entrambi.
    Chissà quale però, nessuno dei due la poteva anche solo immaginare.
    Perché pareva una follia e nessuno riuscirebbe a fantasticare su un segreto del genere.
  11. .
    Woh, quanto movimento xD
    Allora, innanzitutto grazie epr gli up e per i commenti xD
    Nessie leggi quando vuoi, basta che prima o poi commenti xD
    Feffi il tuo commento è interessante... Chissà xD
    Il motivo per cui Tom era lì lo capirai in questo prossimo capitolo xD
    Poi... Nuova lettrice, yeeaaaaah! Benvenuta fra noi xD
    Sono felice che il prologo ti sia piaciuto, spero che anche il resto ti piacerà!
    Grazie ♥

    Allora, sto per postare il prossimo capitolo, in quanto da domani fino al 1 ottobre non ci sono perchè vado a Dublino con la mia Ila <3
    Dunque vi lascio lo chap ora così potete commentare con tranquiolltà e soprattutto uppare la mia TWC come delle dannate per tenerla in first page xD
    Spero che il captiolo vi piaccia **
    Un bacione, vi penserò ♥


    WHAT IF BETRAYAL WAS LOVE?

    4 Chapter



    Bill alzò lo sguardo, colmo di lacrime, e fissò il ragazzo della scorsa sera.
    Quel Tom.
    << Sì, è… Tutto apposto… >>.
    << Che è successo con Derek? >>, domandò sfrontatamente. Lui alzò le spalle.
    << Mi ha lasciato, tutto qua. Non vuole prendersi la responsabilità di stare con me… Che ci fai da queste parti? >>, Bill deviò il discorso attribuendo alla frase una mezza verità.
    << Ero passato per avvisare Derek di un altro contest il prossimo mese, ma… Ti ho visto un po’ triste, lui se ne è andato via e… Eccomi qua >>.
    << Ma tu non ci vai a scuola? >>, chiese il moro con un sorriso.
    << Non sempre >>, sorrise Tom sollevando le spalle. Bill abbassò lo sguardo e si voltò ancora una volta a vomitare: quelle nausee gli stavano ricordando che mostro fosse.
    Non guardò Tom negli occhi, pauroso di come avrebbe potuto essere il suo sguardo su di lui e, soprattutto, timoroso-se non quasi certo- di non riuscire a sostenere quello sguardo interrogativo.
    Bill era molto triste nell’ultimo periodo.
    Non aveva ancora accettato del tutto la sua gravidanza, non poteva parlarne con nessuno e non sapeva nemmeno come comportarsi. Si vergognava ad andare dal dottore, anche se il tizio sapeva della sua situazione. Bill sapeva che erano possibili degli interventi, ma il suo vecchio non sganciava un soldo in quanto diceva di non averne abbastanza neanche per lui, figurarsi per il figlio.
    Bill voleva arrivare a 18 anni e voleva operarsi per scegliere l’organo da eliminare, quindi fare un’operazione per togliere il pene (organo sessuale meno sviluppato) e fare il cambio di sesso.
    Se i suoi genitori –o meglio suo padre- l’avessero segnato all’anagrafe come donna, Bill non avrebbe dovuto presentarsi ogni volta come uomo per poi arrivare a subire tali umiliazioni.
    Bill era quasi del tutto una donna. Aveva solo un pene a dividerlo da questa definizione.
    Un pene e tanti disturbi a livello fisico che non faceva altro che curare.
    << Che fai adesso, vai a casa? >>. Gli domandò Tom.
    << Sì, che dovrei fare? >>, ribattè stizzito e innervosito per via di Derek.
    << Non stai molto bene, ti devo accompagnare? >>.
    << Perché lo fai?! Sei venuto fin qui per dire a quel coglione di Derek di quello stupido contest! Allora perché non vai? Io non credo che ti piacciano i cazzi! >>, strillò isterico. Tom lo guardò accigliandosi.
    << Mi stai dando dell’omosessuale? >>, disse pacatamente. Bill si inviperì, diventando del tutto rosso.
    << Io… Dannazione, non lo so! Tu mi stai addosso! >>.
    << Io non ti piaccio >>, concluse Tom. Bill non seppe che rispondere e lo guardò spaesato.
    << Senti io… Non ti conosco per niente Tom! Come posso sapere se fidarmi di te? >>. Il rasta si poggiò al muretto sollevando le spalle.
    << Non lo puoi sapere Bill. Però io so una cosa di te >>. Bill sbiancò in volto.
    << E cioè? >>.
    << Che mi piaci. Quindi ho un motivo per continuare a romperti le palle >>.
    <<senti… Sto attraversando un periodo di merda… Non ho bisogno di altre prese in giro, quindi se hai fatto una scommessa con Derek anche tu… Puoi dirmelo e troncare la cosa sul nascere >>.
    << Non ho scommesso e mi dispiace per il periodo, tento solo di aiutarti >>.
    << Perché? >>.
    << Perchè mi piacciono i cazzi >>, rise.
    << Allora sei gay >>, concluse Bill.
    << No, le patate non mi dispiacciono per niente >>. Il moro curvò la sua espressione.
    << Sei bisessuale allora! >>.
    << Naaah, io non mi definirei bisessuale, solo… Curioso >>.
    << Non lo sai neanche tu che cosa cerchi, smettila di scocciarmi… Io non faccio per te >>.
    << E tu come fai a saperlo? >>.
    << Ne sono sicuro, dai, lasciami in pace… >>. Bill iniziò a camminare via da Tom. Ma lui lo seguì.
    << Okay, allora? Quanto è che dista? >>, gli domandò facendo finta di nulla. Il moro iniziò a ridere e si voltò –di scatto- verso di lui.
    << Sai, eri simpatico fino a ieri sera. Che è successo di notte?! >>, lo stuzzicò. Tom fece un sorriso sghembo e rispose:
    << Dimmi la verità, cos’è che ti dà più fastidio di me? >>.
    << Senti, Tom >>, iniziò Bill cercando di essere formale.
    << Se vuoi mantenere questo tono diplomatico puoi chiamarmi Thomas! >>, scherzò.
    << Okay… Senti Thomas, io non ti conosco per niente e in questo momento mi disturba soltanto il fatto che sei impertinente e scocciante… Ho bisogno di stare da solo dopo quello che è successo e tu… Piombi qui e mi fai domande su domande >>.
    << Vero, perché mi stai simpatico. Inoltre prima stavi vomitando, avrei dovuto lasciarti lì come ha fatto Derek? Non è molto carino >>.
    << Sì, questo lo so… Scusami, è che non do il meglio di me quando sono depresso >>.
    << E perché sei depresso? >>. Bill sbarrò gli occhi: ma c’era o ci faceva?
    << C’eri anche tu prima o no? Questa domanda non è degna di risposta >>.
    << Se ti andasse di parlarne con qualcuno… Con me puoi >>.
    << Ma non hai degli orari in quel centro? >>.
    << Non è un centro, è un orfanotrofio >>, ribattè serio. << Significa che a nessuno frega un cazzo di me lì dentro, okay? >>. Tom si irrigidì e Bill capì subito il suo errore. Cercò di parlare, ma Tom lo precedette.
    << Certo che sei strano. Pretendi che la gente non ti giudichi per quello che sei e poi sei il primo a giudicare me. Non ti sembra un po’ avventato? >>. Bill, colpito dalle dure e taglienti parole del ragazzo, si pentì subito dell’acidità con cui gli avevo fatto quella domanda e della sfrontatezza con cui l’aveva giudicato.
    Lui era un caso particolare e ridurre al minimo le possibilità di essere notato in mezzo alla folla era molto difficile. Non voleva essere giudicato e si sentiva pentito per come si era comportato con Tom, giudicandolo senza un minimo di pensiero.
    << Ti chiedo scusa, hai… Ragione… Ho fatto una stronzata… >>. Abbassò il capo rammaricato e Tom se ne accorse.
    << Bene >>, disse con serenità. << L’importante è imparare dai propri errori >>. Bill sentì un formicolio nella pancia e –d’istinto- si portò la mano su di essa.
    Quel bambino stava continuando a crescere dentro di lui. E lui non lo voleva.
    Con che “padre” sarebbe cresciuto? Come avrebbe potuto dar lui o lei una vita meritevole?
    Nessuno a parte Derek sapeva del bambino e Bill si sentiva disperato. Non sapeva cosa fare. Non sapeva neanche se voler abortire o meno. Aveva soli 15 anni e la sua vita si poteva dire essere appena iniziata, presto avrebbe dovuto scegliere e poi non sarebbe più tornato indietro.
    Lui e Tom continuarono a camminare in silenzio verso casa di Bill e una volta giunti nelle vicinanze, il moro annunciò il suo arrivo.
    << Io abito qui vicino… Quella casa rosa che vedi, quindi… >>.
    << Volevo chiederti una cosa prima >>, lo interruppe Tom prima che il ragazzo potesse defilarsi.
    << Okay… Chiedimi tutto >>, disse Bill scrollando le spalle.
    << Se ti chiedessi di uscire uno di questi giorni, tu accetteresti? >>.
    << Con te? Un appuntamento? >>, si accertò Bill.
    << Sì >>, sbiascicò Tom. << Una specie >>.
    << Io… Non lo so Tom, non so se sia una buona idea… >>.
    << Per via di Derek? >>.
    << Anche >>, ammise. << Ho delle cose da risolvere… Forse dovrei parlargli per… Capire se è finita davvero fra noi… Abbiamo una questione in sospeso e non credo di poter pensare ad uscire >>.
    << Ma se le cose fra te e Dee fossero finite, ci usciresti con me? >>.
    << Perché ti interessa tanto? >>, gli domandò Bill. << In fondo io non sono che… Che niente. Non perdere il tuo tempo con me >>.
    << La smetti? Anche ieri sera ti ho detto che se fossi io il tuo ragazzo non ti toglierei gli occhi di dosso. Non è una perdita di tempo, voglio solo sapere se tu usciresti con me, così almeno posso organizzare qualcosa >>. Bill a lungo pensò alla sua proposta, ma fu costretto a declinare l’offerta.
    << Non credo che in questo momento sia giusto uscire… Te l’ho detto, è un periodo difficile, ho cose… Questioni da risolvere >>.
    << E una volta che queste questioni si risolvono? >>.
    << Non lo so… Forse >>. Tom pensò che Bill fosse molto freddo, che avesse una maschera, che ci fosse uno scudo fra lui e gli altri che lo proteggesse da un segreto troppo grande anche per lui. Bill pensò che Tom era un bellissimo, ma insistente ragazzo fin troppo suscettibile e per quanto c’era quel non so che in lui che lo attirasse, non potevano uscire assieme.
    Bill aspettava un bambino.
    Doveva parlare con Derek di questo e decidere.
    Forse era troppo duro con sé stesso, ma non riusciva a comportarsi in altro modo.
    Quando sei solo, non hai un appoggio genitoriale né un amico a cui confidarti né un fidanzato che sta per diventare padre e non si prende le sue responsabilità con te e il bambino, non c’è altro modo di comportarsi. Puoi contare solamente sulle tue forze e non servono distrazioni.
    E Bill sapeva che Tom non sarebbe che potuto essere una fottutissima distrazione.
    << Ora devo proprio andare Tom… >>.
    << D’accordo >>. Il rasta si grattò la testa. << Comunque sappi che verrò davanti alla tua scuola ogni giorno per chiederti d’uscire fino a che non mi dirai di sì >>.
    << Ma non ne trovi uno o una disponibile nella tua scuola?! >>, scherzò.
    << Sì, ma… Non sono come te >>. Bill gli rivolse un bellissimo sorriso e poi tornò in casa.
    Quando si trovò davanti alla porta, voltò il capo dietro per vedere se Tom era ancora lì a guardarlo.
    E così fu.
    Gli sorrise e suo padre aprì la porta.
    << Bill entra, si sta facendo tardi >>, disse solo. Poi, con sguardo torvo, osservò in lontananza l’altro ragazzo andarsene e si chiese se fosse proprio lui, colui che aveva volutamente allontanato da Bill.
    Se fosse quel ragazzo quel segreto che da anni custodiva nei meandri della sua mente, perché aveva qualcosa di molto simile a ciò che viveva nei suoi deboli ricordi.

  12. .
    Grazie mille cara e...

    Pregherei quelle che stanno leggendo,ma non commentano (e le visualizzazioni lo dimostrano) di farmi sapere cosa pensate, anche solo una riga e darete comunque un contributo.
    Voglio sapere se la storia piace =)
    Un bacione
  13. .
    Eccomi!
    Buona lettura a tutte =)

    WHAT IF BETRAYAL WAS LOVE?



    3 Chapter




    Mentre Bill e Tom erano fuori dal locale tra una risata e una sigaretta, un Derek palesemente arrabbiato gli si scagliò addosso.
    << Dove cazzo eri? >>, si espresse adirato rivolgendosi a Bill.
    << Derek, io… >>.
    << Ho fatto un’esibizione… Fenomenale! Speravo ci fosse qualcuno là sotto ad applaudirmi e invece… Cosa cazzo fai qua fuori? >>.
    << Stavo solo parlando con… >>.
    << Tom, che cazzo, sei venuto alla fine! >>. Derek e Tom si spalleggiarono e lui rimase allibito.
    << Sono riuscito ad uscire e mi sono fatto un giro, poi stavo parlando con il tuo ragazzo… Simpatico >>.
    << No lui non è il mio ragazzo, figurati! Non sono mica gay! >>. Bill abbassò il capo e gli occhi gli diventarono gonfi di lacrime. Ci fu un attimo di silenzio.
    << Pensavo che voi… >>.
    << Mi piacciono le ragazze Tom, tu dovresti saperlo meglio di me! >>.
    << Già, sì… Ehm, com’è andata la gara? >>.
    << Non ho vinto, ma sono arrivato secondo quindi sono contento! Che fai, vieni a berti una birra? >>. Gli propose palesemente evitando il “suo” ragazzo e Tom guardò Bill con un certo imbarazzo.
    << No dai, non mi sembra il caso… Pensavo di andarmene fra un po’ >>.
    << Ah okay, allora me ne vado anch’io dai… Ho bisogno di una dormita! Andiamo? >>, si rivolse finalmente a Bill.
    << A me andava una birra >>, ribatté adirato e sostenendo lo sguardo di Derek. Quest’ultimo esitò.
    << Uno, pensavo non dovessi berla. Due, non mi frega se vuoi una birra! Nessuno te l’ha chiesto e io voglio andare via >>. Derek prese a camminare, ma il moro non lo seguì. Il treccinaro si voltò:
    << Ti ho detto di seguirmi Bill! >>.
    << Io non voglio ancora andare via >>, disse lui fermamente. Ma che gli stava accadendo? Perché gli rispondeva a quel modo? Non si era mai comportato così prima. Che fosse una conseguenza della gravidanza? Cambi umorali? O forse semplicemente il fatto che Derek non voleva saperne niente sul bambino gli dava il diritto di ribellarsi a lui a quel modo? Bill non lo sapeva, ma non riusciva a frenare la lingua in alcuna maniera.
    << Ti stai ribellando? >>, lo minacciò Derek avvicinandosi pericolosamente. Bill non rispose, sostenendo con paura il suo sguardo. << Bene, fai come ti pare, rimani qui! >>, esclamò schiudendo le braccia con le mani rivolte al cielo. << Per me puoi anche marcirci qua, trovati un passaggio, io me ne vado! >>. Derek voltò la sua figura e se ne sparì nel buio. Bill si morse le labbra e sibilò uno “stronzo” alquanto amareggiato. Tom gli portò una mano sulla spalla.
    << Hey >>, lo richiamò. << Va tutto bene? >>.
    << Sì, tranquillo, è… È la normalità… >>.
    << Scusami se te lo dico, ma ti tratta un bel po’ di merda >>.
    << Lo so >>, sospirò Bill alzando le spalle e prendendo a camminare. Tom lo inseguì.
    << E perché ti fai parlare così? >>, gli domandò con affanno.
    << E tu perché non pensi agli affari tuoi? >>, rispose Bill infastidito. Tom si zittì.
    << Scusa, non volevo impicciarmi >>.
    << Scusami tu… Come mai vi conoscete? >>.
    << Qui, per via dei vari contest… Lo facevo stronzo, ma non così stronzo >>, precisò.
    << Dove stai andando? Pensavo tornassi a casa, pensavo abitassi qua vicino >>. Disse Bill sviando l’argomento, la cosa che gli riusciva meglio.
    << Ti sto accompagnando >>, disse.
    << Non sai neanche dove sto andando >>, ribattè il moro.
    << Qualsiasi posto va bene >>. Bill alleggerì il passo.
    << I tuoi non si preoccuperanno per te se torni a casa a piedi e da solo? >>.
    << No… Non abito coi miei >>, disse diventando un po’ cupo.
    << Ah no? Stai da qualche zio? >>.
    << Sto in orfanotrofio in realtà >>. Bill strabuzzò gli occhi e si voltò a fissarlo.
    << Davvero? Scusa mi dispiace… Sono un coglione, non dovevo dire niente >>.
    << Figurati, lo sanno tutti… Almeno ho un tetto sulla testa >>. Esternò un sorriso, ma Bill non la bevve. C’era della malinconia in quel dolce sorriso.
    << Mi dispiace… Non volevo impicciarmi, non sei obbligato a parlarne… >>.
    << C’è molta strada da fare >>. Sbuffò Tom con un sorriso. Quella birra ormai era stata scordata, i due camminarono vicini per la strada verso casa. Era tutto alquanto strano, non si conoscevano affatto, cosa diceva a Bill che se ne poteva fidare? Forse niente, eppure smise di chiederselo alla svelta quando Tom prese a raccontargli la sua storia.
    Sì, diceva che la sua vita era una merda, ma neppure quella di Tom era tanto bella. Era una storia triste.
    Tom gli aveva detto di aver cambiato diversi orfanotrofi in attesa di una famiglia adottiva e di essere arrivato a Berlino quattro anni prima, ma chissà per quanto sarebbe rimasto là dentro. A quanto gli avevano detto, era stato il padre ad abbandonarlo da piccolo: avevano visto una figura maschile scomparire in una Mercedes blu metallizzata quella notte, non si sa per quale motivo e non voleva saperne niente di rivederlo, altrimenti si sarebbe già fatto vivo.
    Non avevano parlato troppo nel dettaglio, ma presto avrebbero scoperto quante cose due persone apparentemente sconosciute possano avere in comune.

    ***



    Quando Bill era tornato a casa, il padre non l’aveva aspettato alzato e se n’era andato a dormire.
    Bill pensava a quanto Derek lo innervosisse e a come, nel frattempo, quel bambino stava crescendo dentro di lui, quel bambino che nessuno dei due aveva desiderato.
    Il ragazzo non aveva pensato a come sarebbe stato portare a termine la gravidanza. E, cosa più importante, sarebbe riuscito a portare a termine una gravidanza? Lui non lo sapeva, non conosceva così a fondo il suo corpo e se ne vergognava.
    Non si sentiva normale, né comune, Bill avrebbe soltanto desiderato essere come tutti gli altri.
    Un uomo o una donna. Non un ibrido.
    C’erano così tante complicazioni nella sua persona, da piccolo aveva avuto molti problemi legati al suo corpo, molte malattie e disfunzioni.
    A volte Bill semplicemente si stendeva sul letto e cominciava a pensare al perché. Sospirava e si sentiva affranto, proprietario di un corpo che non aveva mai desiderato.
    Se già le cose per lui potevano essere difficili, in quel modo lo erano anche di più.
    A volte si chiedeva perché i suoi genitori l’avessero registrato all’anagrafe come un maschio, in quanto non si presentava affatto come tale.
    Insomma, Bill era proprio strano.
    Le sue piene funzioni sessuali erano nella sua vagina, non nel suo… Pene.
    Si sentiva affranto, sconvolto. Continuava a pensarci. Perché doveva essere un ermafrodito? Possedeva entrambi gi organi, ma perché era successo proprio a lui? Non poteva essere un uomo se in quel momento era incinta! Forse era sempre stato afflitto dalla sindrome di Morris.
    Il bambino che nasce con questo “morbo” è registrato come un maschio a livello genetico (per cui ha due cromosomi differenti, uno X e uno Y), ma non assimila -già a livello fetale- gli ormoni maschili. La conseguenza alla nascita è che il bambino presenta tutte le caratteristiche femminili: non ha il pene, i testicoli sono nascosti, ha la vagina, ma non possiede l’utero (e dunque non potrà avere figli). In ogni caso, sia a livello psicologico che fisico, questa persona si sente in tutto e per tutto donna e spesso i tratti somatici sono particolarmente delicati e femminili, così come il modo di pensare e di agire.
    Si fermò a pensare a tale definizione della “malattia”, ma non andava bene neanche questa. Se fosse stato così, non sarebbe stato incinta, no? E poi lui un pene l’aveva, solo che… Non funzionava.
    Esistono sempre degli esami comunque, che servono per stabilire l’identità sessuale.
    Nei casi di ambiguità sessuale bisogna fare una serie di test per stabilire l’identità sessuale. Quelli del sangue permettono di verificare la quantità di ormoni maschili e femminili presenti nell’organismo e di capire se ci sono disfunzioni. Poi è necessaria una visita medica per controllare i genitali e controllare come sono le cose.
    Infine è fondamentale un consulto psichiatrico, che valuta l’eventuale presenza di un disturbo di identità. Talvolta però il sesso che si accerta con i cromosomi non corrisponde a quello fisico, come nel caso della sindrome di Morris, dove una persona è maschio geneticamente, ma non lo è né nel corpo né nella mente.
    Bill, ovviamente, si era informato su tutto ciò, ma non trovava una risposta al suo essere.
    Cioè, il fatto di possedere due organi sessuali lo definiva come ermafrodita, ma allora perché quella gravidanza? Per Bill era già difficile provare ad accettare il fatto di non poter essere né uomo né donna, ma perché ci doveva essere di mezzo anche un bambino? In tal modo avrebbe dovuto definirsi donna, non uomo…
    Bill posò una mano sulla sua pancia prima di addormentarsi e –travolto da un po’ di nausea- si sistemò su un lato pensando alla sua serata. Pensando al modo in cui Derek facilmente lo aveva lasciato lì, incinta, senza fregarsene un secondo. Pensando a come quel ragazzo sconosciuto, quel Tom, lo aveva riaccompagnato a casa trattandolo come una persona e nel profondo del suo cuore, sperava di rivederlo davvero presto.

    ***



    Il giorno successivo Bill andò a scuola, da solo.
    Lo scuolabus lo passò a prendere e il ragazzo si sistemò davanti, su un lato, per non essere disturbato.
    Si infilò l’mp3 nelle orecchie e ascoltò qualche canzone hip-hop che Tom gli aveva suggerito.
    Derek gli aveva ormai riempito l’mp3 di sue canzoni preferite e non era stato difficile trovare le favorite di Tom.
    Chissà se l’avrebbe mai rivisto.
    Continuava a pensare alla serata trascorsa in sua compagnia e del modo in cui il padre del suo bambino l’aveva snobbato con così tanta facilità.
    Arrivato dinanzi a scuola, non appena Derek, Abel e Baldo lo videro arrivare, se la diedero a gambe e non si fermarono a parlare con lui. Bill abbassò il capo, profondamente deluso e fece l’ingresso nell’aula della sua classe, per rimanerci per le successive cinque ore.
    Altri orribili pensieri attraversavano la sua mente. Altre paure, tanti sospiri, troppi dubbi.
    Continuò ad accarezzarsi la pancia tutto il tempo, devastato da un incredibile senso di nausea che si rivelò nel momento in cui vomitò tutto quanto, una volta giunto in bagno.
    Perché Derek stava facendo il sostenuto? Perché non voleva parlare con lui? Sperava che avrebbero potuto fare pace, che avrebbero potuto finalmente parlare, ma non era andata così e anche all’uscita della scuola Dee Dee Yo se ne andò via, ma non troppo lontano perché Bill –con una corsa- gli afferrò la manica della maglietta.
    << Dobbiamo parlare >>, disse d’un fiato. Derek lo guardò dal basso verso l’alto, come se fosse qualcosa di insulso oppure un verme che non aveva mai visto prima e rispose:
    << Giusto, volevo appunto dirtelo io >>.
    << È tutto il giorno che mi eviti, solo perché abbiamo avuto uno screzio ieri sera non significa che tu debba comportarti così! >>, gli urlò contro, totalmente innervosito. Poi abbassò la voce. << Sono incinta per colpa tua e non hai saputo dire una parola sulla questione >>.
    << Vuoi una parola sulla questione? Un discorso? Bene, non me ne frega un cazzo del tuo fottutissimo bambino, ti ho scopato solo perché non avevo niente di meglio da fare e per dimostrare agli altri che hai solo il nome da maschio, mentre alla fine sei una troia come tutte le altre donne che apre le gambe appena ti si chiede e ti si dimostra un minimo d’amore. Di te non me ne frega niente, ti ho usato tanto per fare qualcosa e mi dispiace se adesso ti ritrovi ingravidato, ma per me quel bambino è come se neanche fosse mio. Mi fai schifo e dato che ora hai imparato a tenermi testa, come hai fatto ieri sera, per me è finita, non abbiamo più niente da dirci e non voglio avere nessuna responsabilità >>.
    << Cosa? >>, sussurrò Bill a mezza voce mentre Derek se ne stava già andando. << Tu ce l’hai una responsabilità! Sei il padre! >>, gli disse convinto di averlo gridato, mentre in realtà non aveva nessuna voce. Si sentì devastato, quelle brutte parole erano davvero uscite dalla bocca dell’unica persona che si degnava di guardarlo e in quel momento aveva interrotto tutto, con quel discorso. Così lui si ritrovò nuovamente solo, incinta, con un bambino da sfamare che non avrebbe neanche potuto avere un padre su cui contare. Bill si sentì la testa pesante e si poggiò contro un muretto, piangendo come un pazzo e non riuscendo a trattenersi. Cominciò a vomitare nel lato della strada, senza riuscire a controllarsi, quando qualcuno gli posò una mano sulla spalla e l’obbligò ad alzare gli occhi.
    << Va tutto bene? >>, domandò il ragazzo dinanzi a lui. Bill non rispose e tornò a vomitare, mentre Tom –come un miraggio- rimase accanto a tutto il suo dolore.
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    Hey! Ti ringrazio Feffi, sono proprio felice che ti piaccia!
    Posterò ancor prima che tu te ne accorga!
    Comunque piacere, Helly =)
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    Ecco un nuovo capitolo!




    WHAT IF BETRAYAL WAS LOVE?

    2 Chapter



    Quella sera Bill sarebbe andato allo Style, assieme al suo “Dee-dee yo!”, quello era il nome con il quale Derek si sarebbe registrato alla competizione, al contest insomma. Non si sa come il treccinaro biondo aveva convinto il padre di Bill a lasciarlo andare con lui, con la promessa che lo avrebbe riportato a casa subito dopo la fine del film. Sì avete capito bene, del film. Non potevano di certo dirgli che andavano ad una gara di hip-hop dove, quasi sicuramente, metà dei partecipanti avevano una pistola in tasca, non credete? Bill non aveva particolarmente voglia di andare, doveva ancora parlare con Derek del bambino, ma lui sembrava non volerne sapere e sviava l’argomento con molta destrezza: del resto, non era neanche la prima volta che una delle innumerevoli ragazze del biondo ci rimanevano fregate, solo che quella volta Derek aveva beccato un ermafrodito. Tutt’altra storia dunque.
    Bill, per avere ancora 15 anni, rimaneva buono ed ingenuo nelle sue fantasie, speranzoso che prima o poi sarebbe arrivato il suo momento di parlare. Era veramente quella la vita che voleva avere? Fare un figlio a 15 anni con una persona che ti ignora e sotto il tuo naso se la fa con altre? Bill non aveva grandi ambizioni, ma sicuramente molta poca autostima e dunque aveva già organizzato tutto. Ma si sa, nella vita non si può fare perché niente è programmato, tutto può succedere e arrivano quelle apparenti, piccole, insignificanti cose (quelle parentesi insomma) che ti sconvolgono il globo e fanno crollare tutto ciò che tu credevi di aver costruito: quelle certezze. Se ti eri fatto dei propositi, potrà andare meglio. O peggio, ecco… Dipende tutto da come giochi le tue carte. La vita è come una partita, ma se ne perdi una non è detto che tu non possa chiedere la rivincita.
    << Allora hai fatto? Dai che facciamo tardi cazzo! >>.
    << Un attimo, sto solo decidendo che scarpe mettere… >>, disse Bill squadrando i tre paia di stivali davanti a lui. Derek sbuffò.
    << Quello che ti metti, ti metti! Tanto nessuna di queste merdate sta bene nel posto in cui andiamo, si vede che non sei del giro >>. Bill non ascoltò il suo pseudo ragazzo e scelse con cura un paio di stivali a punta. Una volta indossati, scese le scale assieme a Derek e –in seguito al consenso del padre- si diressero al locale dove si sarebbe tenuta la battle.
    Suo padre ancora non sapeva del bambino e Bill –dal canto suo- non era proprio sicuro di volerglielo dire fino all’ultimo secondo, ma con Derek era giunto il momento di parlare.
    Arrivarono davanti allo Style e Bill prese la sua mano.
    << Ascolta, io… Ho bisogno di parlarti >>.
    << In questo momento ho solo bisogno di sentirti dire in bocca al lupo e che sarò il migliore! Sono un po’ agitato >>. Bill, nonostante tutto, esternò un sorriso dolcissimo.
    << Andrai benissimo, sei bravo >>, disse sincero.
    << Grazie! >>, esclamò.
    << Senti, per quella cosa… >>.
    << Hey ragazzi! Come butta? >>, esclamò Derek ai suoi amici Baldo e Abel. Si diedero una pacca sulle spalle e Bill, come al solito, divenne solo un’insulsa ombra. I quattro entrarono al locale, Derek e Baldo si registrarono, Abel e Bill pagarono semplicemente l’entrata.
    Una volta dentro il moro si sedette al bancone e ordinò semplicemente un bicchier d’acqua.
    Essendo in gravidanza, gli alcolici non erano proprio permessi.
    Rimase solo la maggior parte della serata, in compagnia di nessuno nello specifico, solo persone che o lo guardavano in maniera interrogativa o lo infastidivano chiamandolo trans.
    Bill fece finta di niente e seguì le varie esibizioni.
    D’un tratto, qualcuno prese posto accanto a lui. Qualcuno che gli era molto familiare.
    << Una vodka liscia per favore >>.
    << Subito >>. Bill lo osservò: somigliava molto a Derek. Aveva dei rasta biondo cenere al posto dei cornrows del suo ragazzo e due grandi occhi castani invece del ghiaccio di quelli di Derek. Nonostante il colore, quelli del ragazzo-rasta erano molto più profondi dei suoi. D’un tratto –mentre Bill lo stava osservando- lui si girò e gli rivolse un sorriso.
    << Ciao! >>, disse come se niente fosse. Bill strabuzzò gli occhi.
    << Ehm… Ciao >>, si portò un ciuffo dietro l’orecchio.
    << Ti va qualcosa da bere? >>, propose. Bill aggrottò la fronte e sorrise.
    << Oh, no no grazie, non posso bere stasera >>, si giustificò. Il rasta fece un cenno col capo e prese la sua vodka.
    << Sicuro vero? >>, chiese. Bill rimase perplesso. Aveva proprio detto “sicuro”? Quindi non lo aveva scambiato per una donna. Che strano.
    << Sì sì, grazie! >>, ripetè. Il giovane finì il bicchiere.
    << Sei qui da molto? >>.
    << Un’oretta… Sono qui con una persona >>.
    << Forte. Come ti chiami? Io sono Tom, piacere >>. Allungò una mano e Bill –con titubanza- allungò la sua. Era un approccio totalmente diverso dagli altri. Quasi normale.
    << Bill, piacere. Parteciperai al contest? >>, domandò interessato. In fondo, un po’ di conversazione non gli sarebbe costata niente.
    << Oh no, sono qui per vedere. Un amico mi ha detto della serata e sono passato… Sei di qui? >>.
    << Sì io… Abito a due isolati da qui. Vivo qui, ecco >>.
    << Anch’io, ma più lontano dal locale >>. Gli sorrise. Bill ricambiò il gesto. Cominciava ad avere un certo mal di pancia. Rimase in silenzio in attesa gli passasse.
    << Quanti anni hai? Vieni spesso qui? Non ti ho mai visto >>.
    << Ho 15 anni e… No, è la prima volta questa sera. Non mi piacciono molto questi locali e… Neanche il genere >>, Bill rise da solo. << Il mio ragazzo dice che qualsiasi cosa mi metta faccia schifo, tanto per dove devo andare… Fosse per lui potrei venire anche con un sacchetto, non ci farebbe caso >>, sbuffò. Solo poi realizzò di aver ammesso di essere gay. Sperò non l’avesse notato. Tom inarcò un sopracciglio.
    << Strano, a me non sembra che non ti si noti. Anzi… Stai bene. Ma cos’è il tuo ragazzo? Cieco?! >>. Tom fece un sorriso sghembo e Bill lo seguì a ruota. Stranamente, si stava divertendo.
    Nonostante non avesse parlato ancora del loro bambino con Derek, almeno in quel momento stava avendo una conversazione normale.
    << Beh lui… Non apprezza molto il mio stile e comunque… Tu quanti anni hai? >>, domandò deviando l’argomento.
    << Ne ho 15 >>, affermò. << Ma non dirlo al barista, crede ne abbia 18 >>, Tom si abbassò sullo sgabello avvicinandosi all’orecchio di Bill. Quest’ultimo sussultò. << Gli ho mostrato la mia carta d’identità alternativa. Se vuoi te ne procuro una >>.
    << Oh no grazie… Sto bene così >>. Bill rimase in silenzio, non avendo molto da dire e ordinò un bicchiere di succo.
    << Quando dovrebbe gareggiare il tuo ragazzo? >>.
    << Non lo so, non so che numero è della lista… Se c’è una lista, cioè non so niente, alla fine non so neanche perché mi ha chiesto di venire… >>.
    << Perché? >>.
    << Diciamo che… La nostra è una relazione di comodo, aperta… Lui è… Molto farfallino >>.
    << Oh…Pensavo faceste… >>.
    << Coppia fissa? >>, lo interruppe Bill con un ghigno. << Figurati, sarebbe molto più facile… Tu, hai la ragazza? O… Il ragazzo? >>. Tom sorrise.
    << Nah, sono single >>.
    << Per scelta o per costrizione?! >>, scherzò il moro. Il rasta rise.
    << Un po’ tutti e due… Le relazioni sono complicate, non credi? >>. Tom non lo lasciò rispondere. << Senti, dato che questo tuo ragazzo… Non c’è, che ne dici se facciamo un giro qui intorno? Non riesco a parlare con tutto questo baccano >>, gli spiegò. Bill non sapeva perché glielo stesse proponendo e, dato che il ragazzo gli sembrava piuttosto tranquillo, scese dallo sgabello e accettò di fare un giro.
    Non aveva considerato però che alla fine dell’esibizione Derek sarebbe stato molto arrabbiato per non essere stato idolatrato durante il suo turno. Eppure era come se Bill se ne fosse scordato, come se quella banale conversazione lo stesse facendo sentire una persona normale. Definita.
    I due si spostarono dalla confusione della sala e uscirono fuori. I bodyguard fecero loro un timbro sulla mano, guardando Bill con uno sguardo interrogativo, e li lasciarono uscire.
    Tom sospirò e prese un pacchetto dalla tasca dei suoi jeans. Sfilò una sigaretta e un accendino.
    << Ne vuoi una? >>, domandò tranquillamente.
    << No… Non stasera, grazie >>. Tom si accese la sigaretta e, una volta messa fra le labbra, lo squadrò:
    << Certo Bill che… Sei proprio un bravo ragazzo! Non bevi, non fumi… Cos’altro non fai? >>.
    << Beh io non è che non bevo o non fumo mai, è che… Adesso non mi va, magari fra un po’ tornerò a farlo >>.
    << Stai cercando di smettere? >>, domandò.
    << Una cosa del genere >>, ammise sollevando le spalle. Bill si poggiò al muro.
    << Ti infastidisco? Perché se ti do fastidio o se vuoi tornare dentro tranquillo, non mi fa problema >>, disse Tom d’un tratto. Bill lo corresse.
    << Oh no no, non mi dai fastidio anzi! È che solitamente non sono abituato a queste cose, cioè di solito quando vado in giro con Derek lui fa quello che deve fare e io rimango seduto da solo. Mi sembra… Solo un po’ strano, ecco tutto >>. Bill era davvero timido, non sapeva cosa dire e neanche come comportarsi.
    Aveva così tante cose per la testa che non stava dando molto importanza a quella loro conversazione, non sapendo invece che dopo quell’interazione ce ne sarebbero state molte altre. Tom era un ragazzo a posto, tranquillo. Almeno da ciò che l’apparenza mostrava. Non lo impressionava più di tanto, ma la sua compagnia era piacevole.
    << Come può lasciarti solo? Non ha paura che qualcuno possa approfittare di te? >>.
    << Tom >>, disse con un po’ di amarezza chiamandolo per nome forse per la prima volta. << Fidati, nessuno arriverebbe fino in fondo con me. Non sono un bel soggetto >>.
    << Sarà, ma se fossi io il tuo ragazzo arriverei fino in fondo >>. Bill rise, arrossendo leggermente, e lo guardò di sottecchi. Gli era simpatico.
    << Tu non sei venuto per il tuo amico? Non dovresti rientrare? >>.
    << Mi andava troppo stretta l’aria, preferivo parlare un po’… Beh, cosa ti piace? >>.
    << In che senso? >>, chiese Bill.
    << Hai detto che questo non è il tuo genere, che ti piace? >>.
    << Non lo so, credo qualcosa di… Meno specifico. Forse più commerciale o… Smielato. Non ascolto qualcosa di specifico >>.
    << La musica non ti piace? >>.
    << Sì, ma non ho ancora trovato quella che mi piace di più >>, spiegò. << E tu? Perché ascolti proprio hip-hop? >>. Tom gli spiegò tutta la sua storia con la musica e rimasero a parlare là fuori tutta la sera.
    Iniziarono a conoscersi. Lo fecero così, senza motivo. Lo fecero perché andava ad entrambi.
    Parlarono dei loro hobby, le preferenze sessuali, la scuola, gli amici, la famiglia. Tutto a grandi linee.
    Non sapevano perché lo stavano facendo, non era importante. C’era una sintonia fra i due e avrebbero presto scoperto che non si trattava di semplice sintonia, ma c’era di più.
    Sì, sarebbe successo relativamente presto, ma non tanto quanto avrebbero desiderato.
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