Posts written by habseligkeiten.

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    adam cox
    hufflepuff | 16 y.o. | little shit
    chaotic dumbass energy
    Breathe me in, breathe me out.
    I don’t know if I could ever go without…
    I'm just thinking out loud.
    Adam amava giocare. Con gli altri, con il mondo, con la vita. Per lui, ogni cosa era un grande, immenso gioco. Un gioco molto speciale, dove non c’erano vincitori né vinti, ma solo divertimento. Un gioco infinito, in cui anche i sentimenti e le emozioni negative, come dolore o tristezza, erano in realtà volti a un fine più grande, a quel senso di appagamento e di gioia che tutti meritavano, dalle piante, agli animali, agli esseri umani.
    Anche Tyler faceva parte di quel gioco.
    Anzi, ne componeva la parte più bella e divertente. Era il tassello in grado di fargli provare più piacere, più felicità.
    Sapeva che, se gli avesse detto che quello tra loro era un gioco, l’avrebbe schernito e, assurdamente, forse gli avrebbe persino dato ragione. Avrebbe detto che sì, era un gioco e nulla più, un gioco che portavano avanti da troppo tempo e a cui si era stancato di giocare. Una serie di menzogne, naturalmente, una dopo l’altra. Dopotutto, il Wood era un maestro in quel genere di gioco. Vinceva sempre, nel gioco delle bugie.
    Ma non comprendeva che, nel gioco di Adam, non poteva esserci un perdente. Vincevano tutti, e dunque non vinceva nessuno. Il concetto di sconfitta non aveva senso, per lui, anche perché, altrimenti, avrebbe significato rinunciare alla vita. il suo gioco, al contrario, era bello perché tutti erano sempre allo stesso livello e potevano andare più in alto, ancora e ancora, verso l’infinito, solo tenendosi la mano, solo insieme.
    Adam non voleva cambiare Tyler. Voleva accoglierlo. Ci provava, ogni giorno, tra un insulto e l’altro, tra una battuta e un’occhiataccia, tra un bacio dato di nascosto e l’ennesimo commento tagliente e sprezzante. Eppure non bastava, non bastava mai. Perché il Wood era il primo a non volersi accogliere. Il tassorosso non credeva in quelle cazzate dell’amare prima sé stessi per poter amare ed essere amati dagli altri, semplicemente perché gli risultavano incomprensibili. Come si poteva non amare ogni cosa? La vita, il mondo, gli altri… e sé stessi, appunto?
    Ogni giorno, però, il serpeverde sembrava determinato a dimostrargli il contrario. Certo, apparentemente non c’era nulla che amasse più della sua stessa persona, tanto nella mente quanto nel corpo. Tuttavia, quella era solo la stronzata che raccontava non solo al resto del mondo, ma anche a sé stesso, aggiungendo ogni istante un nuovo strato a quell’armatura apparentemente inscalfibile.
    Avrebbe voluto affondare le dita in quel cervello tanto intelligente da essere così stupido per costringerlo a vedere davvero il mondo. Non necessariamente come lo vedeva lui, anzi, sarebbe stato strano, sbagliato persino; a vederlo e basta, per quello che era. E a vedere, in questo modo, anche sé stesso. Il ragazzo meraviglioso che aveva il terrore di amare, che preferiva nascondersi dietro tutto il resto, lo stronzo egoista cinico insopportabile odioso dito nel culo.
    Certo che Tyler era prevedibile.
    Ma non per questo non sussultò, sorpreso e soddisfatto, quando, questa volta, fu lui a baciarlo. A baciarlo per davvero. Rise nella sua bocca, non volendo neanche accidentalmente interrompere quel contatto tanto sospirato per qualcosa che sì, amava fare, ridere, ma mai quanto quello che stava già facendo, e con Ty. E non perché avesse paura che, facendolo, l’incanto si sarebbe interrotto… Ad ogni modo non aveva né voglia né modo di concentrarsi su altro, adesso che le sue labbra e la sua lingua e le sue mani e la sua tensione lo sfioravano, lo toccavano, lo reclamavano. Partiva già svantaggiato, visto quello che stava facendo ancora prima che Tyler arrivasse, e i movimenti decisi ed esperti della mano di lui acceleravano solo l’inevitabile. Be’, poco male. Sapevano entrambi che i suoi tempi di ripresa erano eccezionali persino per un sedicenne. Evidentemente il suo corpo la sapeva lunga, proprio come Adam stesso. Mentre con una mano continuava a saggiare la tonica morbidezza del suo fondoschiena, quella che solo ore e ore di allenamento, e non solo in palestra, potevano dare, con l’altra scivolò nella scanalatura, carezzandolo sempre più giù, fino a provocarlo nella parte più sensibile. Sì, non vedeva decisamente l’ora di tornare a marcare il territorio con la lingua e i denti e…
    Boccheggiò, strabuzzando confuso gli occhi come se si fosse appena svegliato da un bel sogno, o come faceva ogni volta che riusciva a mettere il naso fuori dal castello, trovandovi stranamente la luce del sole. Odiava avere così poca resistenza alla luce, anche perché, al contrario, avrebbe dovuto esserci abituato, visto che, se fosse stato per lui, avrebbe passato ogni secondo all’aria aperta.
    Ma ora il problema era un altro.
    Tyler non lo stava più baciando.
    Invece di toccarlo, gli sorrideva con quella faccia da schiaffi che avrebbe voluto demolire con le labbra.
    «Io posso smettere quando voglio, Cox.»
    Sbatté le palpebre una, due volte. E rise.
    «Puoi, sì.» Perché, perché, perché doveva fare così? Perché dovevano fare così, entrambi? Tyler con il suo allontanarsi, Adam con il suo schernirlo e schernirsi, come se tutto fosse un gioco. E sì, lo era, per lui, un gioco, ma era il gioco più importante, e più bello, di tutti. Quante volte Daisy aveva minacciato di legarli schiena contro schiena e chiuderli in una stanza dove potessero sentirsi ma non vedersi e, ancora di più, non toccarsi? Dove, privati dell’aspetto fisico, sarebbero stati costretti a parlare davvero, una volta per tutte?
    «Ma lo vuoi Perché il punto era sempre quello, e la sua era una domanda retorica. Adam sentiva che era così, ma non lo sapeva. Non lo sapeva perché Tyler non gliel’aveva mai detto. Perché in quella bellissima e intelligente e stupida e durissima testa non voleva entrare il più semplice dei concetti: nell’amore non c’era controllo, né debolezza. Nell’amore c’era solo, semplice, puro amore.
    Si morse la lingua per non ripetere quella domanda, i pugni stretti lungo ai fianchi per impedirsi di scattare nella direzione del serpeverde. Adam era in attesa. Sentiva, e in questo caso sapeva anche, che sarebbe stata un’attesa vana. Ma era stupido, o forse era solo un inguaribile romantico che riusciva a vedere solo il bello e il buono nelle cose e nelle persone, e soprattutto in Tyler Wood, per cui ci sperava.
    E, a proposito di morsi, il suo era ancora lì, ben evidente sulla natica sinistra del moro. Ora poteva vederlo chiaramente. Un sorrisino impertinente gli si dipinse sulle labbra e non se ne andò neanche quando Tyler si voltò per gelarlo con quell’ennesima, e inutile, richiesta: «dovresti andare via».
    Incosciente e menefreghista non prese nemmeno in considerazione l’idea che, scattando, sarebbe potuto scivolare per via dei piedi ancora bagnati. L’unica cosa che voleva era raggiungerlo. E così fece, afferrandolo per i fianchi fino a sfiorargli prima una spalla, poi un orecchio, con le labbra. «No», vi soffiò contro, a voce bassa ma decisa. «Lo sai che sono troppo idiota e… com’è che era? Sprovveduto Ridacchiò facendogli il verso, mentre respirava beato il suo odore. Era inevitabile, data la posizione, che i loro corpi si sfiorassero, ma cercò stranamente di darsi un contegno e di non fargli sentire troppo la propria presenza, anche se il calore emanato dalla sua pelle era irresistibile. Si schiarì la voce e tornò a imitarlo: «Sono troppo idiota e sprovveduto per rispettare le regole, giusto? Anzi, anche solo per capirle…» Gli strinse maggiormente i fianchi, con fare protettivo, quasi avesse paura di vederlo fuggire di nuovo. E ce l’aveva, in effetti. Così come temeva che gli avrebbe piantato un gomito nello stomaco, o peggio. Ma era disposto a rischiare, se la posta in gioco era quella. Gli avvolse il bacino con un braccio, o almeno, ci provò, perché non poteva resistere ancora senza andare a circondargli con le dita l’erezione che, per quanto Tyler fingesse il contrario, aveva visto e soprattutto sentito benissimo crescere contro di sé, solo pochi istanti prima.
    Voleva solo farlo stare bene… Si mosse contro di lui, a un soffio dal perdere il controllo. No. Adam Cox non era di certo un gentleman, e non desiderava nemmeno esserlo, ma doveva finire di esprimere un concetto, adesso. O almeno, doveva provarci. «Non vado da nessuna parte. Sono qui. Con te
    E così dicendo molleggiò le ginocchia e fece cadere entrambi in acqua, senza lasciar andare Tyler.
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    gifsmagizoologist
    rebel
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    hufflepuff
    ADAM COX
    currently playing
    Canzone del maggio
    Fabrizio De André
    Verremo ancora alle vostre porte
    e grideremo ancora più forte.
    Per quanto voi vi crediate assolti,
    siete per sempre coinvolti.
    Per essere uno che viveva solo nel presente, Adam aveva sempre avuto la tendenza a occuparsi un po’ troppo del futuro. Non che ci pensasse, naturalmente; pensare, come amava fargli notare Tyler, non era una delle sue (poche, un’altra massima del Wood) qualità. E, in fondo, non era l’unico a sostenerlo, ma semplicemente uno dei pochi ad avere il coraggio di dirlo chiaro e tondo, e ad alta voce. Non era mai stato un caso di è intelligente ma non si applica, il Cox di mezzo. Forse anche per questo, o proprio per questo, non ne aveva mai sofferto particolarmente. Anche perché, andare in paranoia per ogni singola cosa come faceva suo fratello? Nascondersi da sé stesso al pari di Ty? Sforzarsi sempre e comunque di fare buon viso a cattivo gioco sulla scia di Daisy?
    No grazie.
    Eppure, guardando un po’ più attentamente, nel carpe diem di Adam Cox si nascondevano delle crepe. I suoi ideali. Da una parte la convinzione che, un giorno o l’altro, Tyler avrebbe smesso di avere paura di amare e di essere amato e si sarebbe rassegnato all’intrecciarsi, comunque inevitabile, delle loro vite. E quella che Daisy accettasse, una volta per tutte, che non sarebbe stata meno forte, agli occhi del mondo, se avesse permesso a qualcuno, se avesse permesso a lui, a loro, di starle accanto, di sorreggerla, e sorreggersi, da lì in avanti, nel percorso dell’esistenza. Dall’altra la profonda convinzione che il mondo era sì bellissimo, ma che poteva diventarlo ancora di più. Tutti, nel proprio piccolo, potevano fare qualcosa per migliorarlo, che fosse sorridere a un estraneo per strada o scendere in guerra per la libertà e l’uguaglianza.
    Adam, che viveva nel presente, si era però sempre speso perché queste idee prendessero forma, trasformandosi giorno dopo giorno in realtà. Non l’aveva fatto con le crisi di pianto e gli attacchi di panico di Hugo, né con l’attenta pianificazione di Tyler o il pugno di ferro di Daisy e la mazza di Zoe. Come tutto, nella sua vita, aveva proceduto nel caos più totale, con la sua serafica (e proprio per questo altamente irritante, almeno stando alle sue dolci metà) tranquillità. Si diceva di non aver mai premeditato niente, ma la prima cosa che vedeva ogni mattina, aprendo gli occhi, dimostrava il contrario.
    Che fosse in realtà un mastermind, e che tutta la sua vita dipendesse da un suo grande, enorme, imperfetto design?
    Tuttavia, Tyler aveva sempre avuto ragione. Non era intelligente. Il suo piano, sempre che ce ne fosse davvero stato uno, si stava sgretolando, un frammento alla volta, come una scogliera che, dapprima lentamente, poi, all’improvviso, tutta insieme, scivola nel mare. Ma non era un naturale processo di erosione, quello. Era stato lui stesso a posizionare una bomba, su quella scogliera, e a innescarla. L’aveva fatto nel momento stesso in cui, invece di vivere alla giornata, lasciandosi trasportare dalla corrente, aveva cominciato a scegliere.
    Aveva scelto di non nascondere la testa nella sabbia, come gli struzzi, ignorando quello che succedeva fuori. Aveva scelto di non scendere in guerra, di non combattere, perché aveva scelto la sua famiglia e, ancora prima, aveva scelto di averne una.
    «… Bau?» Gli occhi in quelli così scuri da sembrare quasi neri del Wood, Adam fu ricatapultato in quel presente che, almeno secondo le sue convinzioni, i suoi ideali, non abbandonava mai. E quale miglior modo per rispondere ai rimproveri del moro se non comportarsi da perfetto idiota immaturo quale era?
    «Stiamo crescendo una figlia, non delle bestie. Il minimo che tu possa fare è dare il buon esempio.» Strinse le labbra, ma non soffocò il sorriso che vi sentì spuntare nel pensare a Minerva. Poi si guardò intorno e, con fare plateale, aprì le braccia. «Ora come ora non c’è nessuno qui. A parte te. Credevo non fossi così influenzabile, specie dal sottoscritto.» C’erano tante, troppe cose che non andavano, tra di loro, come d’altronde era da sempre, ma, altrettanto da sempre, Adam non poteva esimersi dal punzecchiare il Wood, specie davanti a un tale sfoggio di diticità.
    E forse rompergli i coglioni così, gratuitamente, di prima mattina, era anche un modo implicito per fargli sapere quanto gli mancasse.
    «Comunque ciao, eh.» Non era lui quello petty, tra i due, e si sarebbe ucciso piuttosto che diventarlo, ma a forza di stare con lo zoppo… Eppure, nonostante tutto, Adam lo capiva. Non del tutto e, anzi, quasi di sicuro solo in modo superficiale, ma non poteva ignorare le occhiaie sempre più pronunciate di Tyler, la mascella tirata, i denti perfetti che, presto o tardi, avrebbero ceduto a quell’ormai costante digrignare. Era sempre stato così, questo lo sapeva bene, ma negli ultimi mesi le cose erano peggiorate. Persino il primissimo periodo senza l’alcol era stato meglio, per certi versi. Aveva crisi diverse, certo, ma non l’aveva allontanato così. O meglio, quando l’aveva fatto, era stato in modo esplicito, nulla a che vedere con quel subdolo allontanamento a cui lo stava sottoponendo ora.
    Ma poteva davvero biasimarlo? Lui che, invece di rincorrerlo, come dopotutto aveva sempre fatto, gli aveva sì e no teso una mano, perso com’era in quell’oceano quasi totalmente estraneo di senso di colpa in cui stava annegando?
    «Sì, è uscito.» Le parole e la voce di Tyler dicevano una cosa, ma la sua espressione e la sua prossemica un’altra. Tutto nella norma: voleva ma non voleva che lui chiedesse, indagasse, che cercasse di insinuarsi negli spiragli, adesso nuovamente strettissimi, del suo inscalfibile guscio. Sebbene fosse Daisy quella con cui il Wood parlava in modo approfondito e tecnico del suo lavoro, dal momento che, più o meno tacitamente, ogni punta del loro strano triangolo aveva la propria sfera di competenza, Adam sapeva bene quanto anche la più piccola modifica di ciò che scriveva pesasse al perfezionismo di Tyler. L’aveva e l’avrebbe sfottuto ancora e ancora sull’argomento, ma sapeva anche che non erano solo manie della sua saccenteria. Se fosse sceso in guerra, avrebbe combattuto anche contro la censura che imbavagliava chi, come il Wood, aveva fatto della diffusione della verità, reale o presunta che fosse, il proprio mestiere. «Posso vederlo? Posso leggerlo
    Voleva torchiarlo, lo voleva davvero, ma mentalmente tirò un piccolo sospiro di sollievo quando la domanda di Daisy sull’averli interrotti, in effetti, fece proprio questo. Sbuffò e alzò gli occhi al cielo per il commento telefonatissimo di Tyler, ma rivolgendo lo sguardo verso la figura imbacuccata in avvicinamento si sciolse in un sorriso. «Buongiorno!», la salutò con dolcezza, per poi aggiungere, alludendo al commento del moro di poco prima: «Visto che conosco le buone maniere, a differenza tua?». Continuò a seguire Daisy con lo sguardo, il sorriso che si allargava man mano che la vedeva farsi più vicina, per culminare in uno pieno di tenerezza quando vide emergere non solo la figura esile di lei da sotto la felpa, ma anche quella di Albie. Annuì, cogliendo al volo la sua richiesta, e le slacciò delicatamente il marsupio, sbirciando il bambino che vi dormiva dentro. Ogni volta che lo guardava non riusciva davvero a spiegarsi come avessero fatto a creare qualcosa, anzi, qualcuno di così perfetto, invece del suo, del loro solito caos, e sentiva il cuore esplodergli nel petto.
    Non era fatto per quel miscuglio di sensazioni ed emozioni. O meglio, lo era, ma solo quando queste erano per lo più positive. Adesso che in lui ribollivano anche elementi spiacevoli, e decisamente troppi, per i suoi gusti, si sentiva quasi sopraffatto. Lui. Sopraffatto da ciò che provava.
    Non era solo assurdo.
    Faceva male, troppo male.
    Tuttavia, sentendo Tyler ringhiare un rimprovero a Margarita, non poté fare a meno di sogghignare. «Attenta, stamattina è di cattivo umore», la avvisò con finto fare cospiratorio, scivolando di nuovo con lo sguardo sorridente in direzione della culla dove aveva posato Albert. «Sai che novità», lo parafrasò anche, imitando il suo tono borbottante. Ora che Daisy era nuovamente vicina, tornò a notare, con una fitta al petto, l’arrossato gonfiore dei suoi dolci occhi scuri. Dal momento che aveva scelto di rimanere lì e di non fare niente per la collettività, perché non poteva schermare del tutto le persone che amava dal dolore? Perché non poteva avvolgerli in un abbraccio, Daisy e Tyler e Minerva e Albert, e convincere loro, e sé stesso, che sarebbe andato tutto bene, che sarebbero stati al sicuro, e felici?
    «Ciao», tornò a sussurrarle sulle labbra, prima di baciarla piano. Ecco quello che doveva fare, invece di sentirsi in colpa. Proteggerli. Farli stare bene. Ridacchiò con un ghigno sentendo Daisy punzecchiare a sua volta Tyler e, osservandoli, si concesse un istante di dolce oblio per bearsi di quella vista, una delle sue preferite. Loro due insieme, in atteggiamenti così intimi che il confine tra il compiacimento, per non dire altro, e la gelosia, si faceva terribilmente e piacevolmente labile. Sarebbe rimasto a guardarli scambiarsi confessioni, ed effusioni, per sempre, sentendosi al contempo intrigato ed escluso. Sapeva che entrambe quelle affermazioni erano vere. Erano loro tre, anzi, ora loro cinque, nel loro piccolo mondo, ma c’erano cose in cui non era ancora riuscito a infilarsi, e in cui forse non ci sarebbe riuscito mai.
    Non si sarebbe mai stancato di certe fantasie, quelle che lo vedevano appunto lì, in mezzo al Wood e alla Bulgakov, ora finalmente alimentate da una solida base reale, come gli dimostrò il fremito che lo attraversò vedendoli entrambi fissarlo, intenti a sussurrarsi qualcosa che non poteva sentire.
    «Tutto bene?», finì per farle eco senza saperlo, mentre, ancora affascinato, la guardava rendere magicamente perfetti i pancake. «Grazie! Non ci avevo… pensato.» Rise della propria sbadataggine, o forse stupidità, passandosi una mano tra i capelli. «E dire che in magia domestica non facevo schifo.» E quei mesi, ormai anni, da casalingo, nonostante qualche incidente di percorso, tipo la felpa sformata che Daisy si era sfilata poco prima, lo dimostravano. Per ribadire il concetto stavolta fu lui a tirare fuori la bacchetta, incastrata su un fianco nei pantaloni del pigiama, e rivolgerla in giro finché il caffè non fu sul fuoco. «Caffè bulgaro in arrivo!», annunciò, facendo l’occhiolino a Margarita mentre, dopo aver agguantato il piatto con i pancake, la raggiungeva, avvicinandoglieli perché ne prendesse uno.
    Impegnato a masticare in prima persona il dolce, annuì tanto alla domanda quanto alla risposta su Minnie addormentata, alzando inconsciamente gli occhi verso il soffitto come se, così facendo, potesse vederla. «Stanotte è stata bravissima, si è svegliata solo una volta!», le comunicò orgoglioso, leccandosi via dalle labbra lo zucchero a velo. «E Albie? Non vi abbiamo sentito, ma sai che in qualsiasi momento ci siamo e… devi dormire.» Sapeva che gli occhi gonfi di lei non erano dovuti a questo, o meglio, non solo a questo, ma, più che le parole, fu il suo sguardo a porle quella implicita domanda e, ancora di più, quello che aveva detto anche ad alta voce: loro c’erano.
    Erano una famiglia.
    «Dove sei andata?» Per una (1) volta, Adam si trovò costretto a dare ragione a Tyler. E si sentì terribilmente in colpa, ancora, perché fino a quel momento non ci aveva pensato, non davvero. Non aveva realizzato che, nel bel mezzo di quello che stava succedendo, nel bel mezzo di una guerra, Margarita si era avventurata fuori casa. E con Albie, oltretutto! «Non c’è scritto nulla, lì sopra.» E due.
    Il pezzo di pancake gli andò quasi di traverso, facendolo tossire proprio mentre il caffè cominciava a salire. «Lavoro, e tu più di tutti dovresti saperlo…» Daisy non aveva bisogno che rispondesse per lei, né tanto meno che la proteggesse, ma gli venne spontaneo fare da cuscinetto, sebbene fosse il primo a non conoscere la risposta e a volerne sapere di più. «Però…» Tossì ancora, e si staccò dal bancone per andare a spegnere il caffè a mano sul fornello. «… era proprio necessario?» Li guardò entrambi, gli occhi chiari appena velati da un luccichio, sentendo montare dentro la preoccupazione, il dispiacere… e la rabbia.
    Là fuori avrebbe dovuto esserci lui, non loro.
    Fu un attimo, ma prima che potesse farci qualcosa, la sua lingua prese a muoversi, più veloce dei suoi pensieri. Era un problema che aveva da sempre, in effetti. Non voleva ferirli, o forse sì, ma quando si girò, la caffettiera in mano, l’impotenza che lo corrodeva dentro, mescolata alla paura, al dolore, all’ira, gli risalì in gola. «Tu cerchi di far emergere la verità con le parole, nonostante tutto. Tu ci provi calandoti nelle vite degli altri, mentre però ti esponi in prima persona, fisicamente. Io…»
    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.


    Scusate, ciccine, ma questo Adam complessato è così inedito che mi fa sudare (e non in positivo ihihihi), aiut.
    Chissà se ha senso questo post.
  3. .
    adam cox
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    Breathe me in, breathe me out.
    I don’t know if I could ever go without…
    I'm just thinking out loud.
    «No. Sei tu a non capire.»
    Gli insulti di Tyler andavano bene, per non dire che lo eccitavano. Ma questa era un’altra storia. Questa non era una ferita nel suo orgoglio – orgoglio che, tra l’altro, non aveva neppure, trovandolo un retaggio patriarcale e un modo solo un po’ più sottile, e proprio per questo vagamente subdolo, di altri per sottolineare la propria superiorità rispetto al resto del mondo. Eppure Adam era abituato a sentirsi dire che non capiva. O almeno, lo era fin dalla prima volta che aveva messo piede in un’aula scolastica. Sebbene molti insegnanti continuassero a ripetere la solita vecchia storia del suo essere brillante ma incapace di applicarsi, avrebbe preferito sentir loro dire le cose come stavano. Era stupido? Bene! Che problema c’era, in fondo? Essere stupidi era solo una caratteristica come molte altre. Come essere alti, o avere un carattere giocoso. Entrambe caratteristiche, ad esempio, che di certo non facevano di Tyler Wood quello che era. Ad ogni modo, insieme al bravo ma non si applica, Adam si era sentito e si sentiva ancora ripetere allo sfinimento che non capiva.
    Finché si trattava di un’aula scolastica andava bene. Ma con le persone? Con Tyler?
    Proprio come l’orgoglio, anche la falsa modestia era un costrutto inutile di una società fin troppo rigida, almeno per i suoi gusti. Adam sapeva benissimo di essere bravo: non a scuola, ma con le persone. Lui, gli altri, li capiva. Gli bastava una parola, o a volte anche solo uno sguardo, per cogliere ciò che passava loro per la testa e, ancora di più, per il cuore.
    Sentirsi dire dal serpeverde di non capire, di non capirlo, fu una pugnalata in pieno petto.
    «Sì.» Lo fissò, con una serietà che sapeva non appartenergli, senza nemmeno rendersene conto. «Non capisco perché tu non vuoi che io capisca. E non vuoi capire nemmeno te stesso. Perché non lasci entrare nessuno… perché non lasci entrare me
    Ma era pur sempre Adam Cox, e dopo qualche istante, con le proprie parole a rimbombargli nelle orecchie, finì per soffocare una risatina. Non era esattamente vero, anzi, non lo era per niente, il fatto che Tyler non lo lasciasse entrare. Glielo lasciava fare eccome. Ancora e ancora. Esattamente come avrebbe desiderato fare in quel momento. E in qualsiasi altro momento della giornata, in effetti.
    Tuttavia, né le sue riflessioni sentimentali né quelle maniache potevano nulla contro l’enorme fastidiosità del Wood. La definizione ideata da Daisy per rappresentarlo gli calzava in tutto e per tutto a pennello: era un dito in culo. Era lì, perennemente, piccolo ma duro, a ricordare in ogni istante la sua irritante presenza. Inflessibile. Incapace di scivolare in una direzione o nell’altra. Un corpo estraneo che impediva il regolare flusso delle cose.
    Lo lasciò quindi lì, il dito, a rigirarsi in quel pertugio stretto, ma non così stretto, mentre, più che sulle parole, si concentrava sui movimenti del suo corpo. La mascella tirata, i muscoli del collo a guizzare sotto la pelle ambrata, la curva morbida eppure tagliente delle labbra che accompagnava l’arrotolarsi della lingua e…
    «E non hai chiaramente colto il punto, nemmeno stavolta
    Un’altra pugnalata. L’ennesima.
    Anche la mascella di Adam si tese, per un istante, mentre senza poterci fare nulla finiva per digrignare i denti, infastidito ma soprattutto ferito da quelle parole. Su di lui, all’opposto di Tyler, quell’espressione risultava aliena. Il tono freddo del Wood non avrebbe dovuto stupirlo, e in effetti non lo fece, ma non riuscì a non pensare che, sotto a tutti quegli strati di calcolato gelo, si nascondesse una corazza di vero e inscalfibile ghiaccio.
    «Forse.» Sospirò, chiudendo gli occhi per un istante per riprendere fiato e allentare la stretta dei denti. «Ma vorrei solo che smettessi di farti questo.» Sapevano entrambi che in quel semplice pronome si nascondeva un mondo. Questo era tutto ciò che Tyler faceva ogni giorno, ma anche ciò che non faceva. Questo era quello che Adam cercava di tirargli fuori da anni, profondamente convinto com’era che ci fosse molto altro dietro a quella spessa facciata di indifferenza e freddezza.
    Ma era davvero così?
    O era Adam che, da anni, stava forzando Tyler a essere qualcosa che non era e che non sarebbe mai stato? Lui che, quasi ancora prima di iniziare a parlare, già si batteva perché nessuno venisse forzato a fare ciò che non voleva e, ancora peggio, a essere ciò che non era.
    Un brivido lo attraversò, riportandolo al presente e al suo corpo. Quello stesso corpo che pulsava e bruciava, che chiedeva di essere toccato e di toccare. Quel corpo che desiderava solo riempire la poca distanza che lo divideva dal Wood e fare quello che, modestamente, gli veniva meglio.
    Dare e ricevere piacere.
    Forse era stupido, forse aveva un disturbo dell’attenzione o addirittura della personalità, ma i pensieri terribili di poco prima andarono a nascondersi in un angolo della sua mente. O meglio, probabilmente scorrazzavano in libertà, visto l’immenso spazio vuoto, anche e soprattutto perché, ora che Tyler si stava spogliando, nonostante fissasse apposta il soffitto pur di ostentare indifferenza, tutto ciò a cui riusciva a pensare era lui, lui e ancora lui. E tutto il sangue del suo corpo pompava lì, rendendo ancora più dolorosamente piacevole la tensione tra le sue gambe.
    «Sei un dito in culo. E un montato di merda. E uno stronzo», elencò con altrettanta semplicità, stringendosi nelle spalle. Non solo i suoi insulti non erano sofisticati come quelli del serpeverde, ma non erano neanche veri insulti. Erano solo una perfetta descrizione della realtà. «Tyler», si premurò infine di aggiungere, con tono volutamente pomposo, stavolta. In realtà, gli piaceva quel suono. No, non la sua stessa voce, non era un megalomane (e poi non riteneva di avere chissà quale voce, anche se un po’ sperava di avere ancora qualche anno di bonus di pubertà). Il suono, anzi, la musica del nome di lui.
    Tyler.
    «Adam.»
    Il lungo brivido che dai lombi gli risalì fino alle scapole, per poi scavallare le spalle e ridiscendere fin nelle viscere e ancora più giù, fino a diventare un pulsare sordo nella sua erezione, non era dovuto al tono gelido usato dal serpeverde. O meglio, era dovuto anche a quello. Ma se gli piaceva dire il nome dell’altro, impazziva quando sentiva lui pronunciare il proprio. Voleva che Tyler lo chiamasse.
    E voleva che si arrabbiasse davvero, non come aveva fatto fino a quel momento, cosa che di certo, ora che aveva fatto sparire i suoi vestiti di alta sartoria chissà dove – letteralmente – sarebbe successa.
    Ma soprattutto voleva baciarlo.
    E infatti non resistette più. Erano ore, anzi, giorni, troppi, che lo faceva.
    Nessuno era fatto per resistere e di certo non lo era lui, abituato com’era a non mettere mai nessun filtro non solo tra il suo corpo e il mondo, ma anche tra la sua mente e ciò che lo circondava. Adam non era trasparente, bensì cristallino. Si lasciava attraversare e attraversava di buon grado, senza però mai annullarsi. Semplicemente, era parte del mondo, così come il mondo era parte di lui.
    E lo stesso discorso poteva essere applicato al Wood.
    Quel Wood che, per la cronaca, non stava rispondendo al suo bacio. Certo, non lo allontanò, ma non lo baciò neanche di rimando, non davvero. La cosa avrebbe dovuto indispettirlo o addirittura ferirlo, ma Adam scelse di leggerla solo come una spinta a fare di più e di meglio. E sentendo la mano di Tyler tra i capelli pensò di avercela fatta, salvo poi ritrovarsi di nuovo a troppi centimetri di troppo dalle sue labbra, il fiato corto e gli occhi scuri del serpeverde a fissarlo con un’intensità che gli faceva girare la testa.
    «Credevo fossi in sciopero. Che ce l’avessi con me e blablabla
    «Infatti ce l’ho con te.» Mettere una parola dietro l’altra era difficile, quando poteva sentire il respiro del moro sulle labbra, a sua volta ritmato da un che di altezzoso e pieno di sé. Le persone così andavano contro ogni suo principio, ma Tyler… «Specie poi se osi darmi del crumiro di merda.» Arricciò le labbra in una smorfia, per un istante quasi superiore alla vicinanza intossicante del serpeverde in nome dei suoi ideali.
    «Dunque avevo ragione, il sesso con gli altri non ti basta.»
    Non nascose la sorpresa, l’ammirazione e persino la contentezza, però, nel sentirlo aggiungere quel pezzetto. Sapeva che lo stava sfottendo, eppure era comunque emozionante vederlo abbattere almeno una delle sue infinite barriere. «Mi sembra di non averne mai fatto segreto», gli fece notare, cercando di non scivolare con lo sguardo sulle sue labbra. Se quelle non si toccavano, lo stesso non poteva dirsi di altre parti dei loro corpi. Un po’ per necessità, un po’ per provocazione, ruotò il bacino, facendogli percepire ancora di più la propria presenza. «Il sesso non mi basta mai Il che era vero, naturalmente. Aveva appena ignorato il resto della sua provocazione, però?
    Forse.
    Ma non era un fatto di non volergliela dare vinta. Al contrario, era semplicemente un dato di fatto.
    Ad Adam piaceva fare sesso, sempre e comunque, e con chiunque. Tuttavia, se avesse dovuto scegliere una sola e unica persona con cui farlo per tutto il resto della vita, e forse anche oltre, sempre che la reincarnazione non fosse una bufala, questa era Tyler.
    Anche se gli aveva appena riservato l’insulto peggiore di tutti.
    Anche e soprattutto per questo.
    Gli aveva dato del prevedibile. A lui!
    Avrebbe ribattuto, certo, ma non ora. Non subito. Non quando finalmente, finalmente!, le dita del Wood si erano appena chiuse intorno alla sua tensione, e avevano cominciato a muoversi tanto, troppo lente. Socchiuse gli occhi e si morse le labbra, non provando davvero a reprimere un gemito tanto di sollievo quanto di insoddisfazione. Sapevano benissimo entrambi che quello era troppo poco.
    Voleva di più.
    Ne aveva bisogno.
    «Sicuro di non essere tu a esserlo?», gli domandò, dopo essersi leccato le labbra, spiandolo tra le ciglia biondo scuro, gli occhi ancora socchiusi. «Prevedibile, intendo.» Lasciò scivolare le mani lungo il suo corpo, saggiando i muscoli del petto e dell’addome, e quando fu all’ombelico virò bruscamente, correndo prima sui fianchi e poi sul fondoschiena. Qui lo strinse con forza, affondando con ben poca gentilezza le dita nella carne morbida, domandandosi per un istante se avesse ancora il segno dell’ultima volta in cui l’aveva morso.
    Be’, tra poco avrebbe potuto controllare direttamente.
    «Perché ora come ora sei esattamente dove volevo che fossi.» Ghignò, sornione, continuando a saggiargli il fondoschiena mentre i brividi si irradiavano da dove lui lo stava toccando a tutto il resto del corpo. «E stai anche facendo quasi tutto quello che volevo che facessi», aggiunse, il viso nuovamente così vicino al suo da far sfiorare le punte dei loro nasi, entrambi così imperfetti da essere bellissimi. Con una spinta del bacino schiacciò la propria erezione e la sua mano contro quella crescente di lui e tornò a impossessarsi delle sue labbra, schiudendole con decisione.
    Se essere prevedibili significava starsene così con Tyler, forse avrebbe potuto accettarlo.


    Non odiarmi ihihihihi.
    Ci sto solo allenando per quando scriveremo il nostro romantasy spicy di super successo!!!!!!!!!!!!!
  4. .
    ↳ PRIMA UTENZA: sehnsüchtig.
    ↳ NUOVA UTENZA: cielita.
    ↳ PRESENTAZIONE: dai su è colpa di Federica.
    ↳ ROLE ATTIVE:
    hugo: 01.11.23
    ictus: 03.11.23
    bertie: 18.11.23
    thor: 19.11.23
    adam: 20.11.23
    ↳ ULTIMA SCHEDA CREATA: ictus 13.10.23
  5. .
    adam cox
    hufflepuff | 16 y.o. | little shit
    chaotic dumbass energy
    Breathe me in, breathe me out.
    I don’t know if I could ever go without…
    I'm just thinking out loud.
    Ah, gli insulti di Tyler.
    Chiunque, nel castello, gli diceva che era delulu. I suoi amici, gli elfi domestici e le altre creature, i quadri… i muri, persino. E anche i professori l’avrebbero fatto, se non fossero stati troppo impegnati a sbattere lui e gli altri malcapitati in sala torture.
    Persino Daisy alle volte glielo faceva notare, sebbene fosse la prima sostenitrice del fatto che, in fondo, molto in fondo, suo cugino non fosse poi così disinteressato come si sforzava di apparire. Stronzo per davvero sì, ma del tutto indifferente al Cox, e non solo per quello che facevano, no.
    Ma Adam sapeva che il vero delulu, lì, era il Wood.
    E che i suoi insulti, che avrebbero dovuto irritarlo, per non dire offenderlo, erano solo un modo distorto per mostrare interessamento. Lungi da lui sostenere l’orribile e patriarcale e, soprattutto, pericolosa retorica che gli adulti inculcavano nelle femmine sin da piccole, per cui se un maschio le trattava male era perché si sentiva attratto da loro. A parte il sessualizzare i bambini, già di per sé vomitevole e da brividi, quella stupida generalizzazione portava alla lunga a romanticizzare situazioni, e relazioni, tossiche, per non dire violente. Certo, anche sostenere che nel loro caso le cose fossero diverse ricadeva totalmente nel cliché, ma era più forte di lui.
    Gli insulti di Tyler, invece di sventolare red flag grandi come una casa, facevano fluttuare nel vento tutt’altro tipo di bandiera rossa (sì, quella che piace ad Alessia. E a Sara. E a Roberta. D’accordo, la lista è infinita), una che non poteva che attirarlo come una mosca viene attirata da… Vabbè, insomma, anche se il serpeverde era, a tutti gli effetti, uno stronzo di prima categoria.
    Non voleva dire che gli insulti fossero la loro love language, non quando lui avrebbe voluto dirgli parole di tutt’altro genere. Né era inconsapevole del reale disprezzo che spesso riempiva i discorsi del Wood. Tuttavia i suoi occhi parlavano chiaro, in quei momenti. E c’erano volte in cui, spazzato via l’astio, e soprattutto la paura, Tyler si mostrava per quello che era: un giovane uomo che voleva solo essere amato dagli altri, e da sé stesso.
    Lo lasciò quindi blaterale sul suo non capire i concetti più semplici e sulla necessità di parlare chiaro, che, però, gli fece sfuggire una risata. «Tu con me non parli mai chiaro», gli fece notare con la voce ancora impastata dal divertimento, sebbene nel suo tono ci fosse una leggerissima punta di accusa. Ovviamente Tyler l’avrebbe contraddetto, lo sapevano benissimo entrambi, ma sapevano anche a cosa si riferiva Adam. Il serpeverde faceva di tutto per allontanarlo, eppure finiva sempre per ricascarci e, cosa ancora più grave, almeno agli occhi del Wood, alle volte si lasciava persino sfuggire confidenze che nessuno aveva mai avuto l’onore di ascoltare, fatta forse eccezione per Margarita.
    «La ami davvero?»
    Dopo tutte quelle parole che gli erano entrate in un orecchio e uscite dall’altro, lasciando dietro di sé solo qualche piacevole brivido, a quella domanda Adam si riscosse e istintivamente sorrise. «Sì», rispose senza il minimo di esitazione. Era vero. Amava Daisy. Amava tutto di lei, dal modo sguaiato in cui rideva, che la madre le aveva inculcato di trattenere perché non da brava signorina, all’espressione concentrata che assumeva quando cercava di fargli entrare in testa un concetto astruso di pozioni. La amava per quello che era, e per tutto ciò che sapeva sarebbe diventata.
    «Hai sedici anni, come puoi sapere cosa sia l’amore?»
    Con un sonoro sbuffo, puntò gli occhi in quelli scuri del Wood. Quello era uno degli infiniti argomenti al centro delle loro confessioni in solitaria, quelle che, Adam lo sapeva, Tyler avrebbe negato fino alla morte di aver avuto. Entrambi sapevano che l’altro la pensava in modo diametralmente opposto, ed entrambi avrebbero provato all’infinito a farlo cambiare idea. O almeno, di certo Adam lo avrebbe fatto. «Non lo so, infatti. Semplicemente lo sento. Lo vivo. Non è qualcosa che si può studiare o imparare. Lo si deve vivere e basta.» Non voleva fargli una lezioncina, quella era una cosa da dito in culo quale era Tyler, ma non riuscì a trattenersi: «Lo sapresti, se la smettessi di avere un cuore così stitico».
    Ma Adam non era fatto per rimanere serio troppo a lungo, motivo per cui, un attimo dopo, sentì il bisogno di tornare a fare il coglione come suo solito. A differenza di Tyler, lui non aveva problemi ad ammettere di essere stupido. Lo erano entrambi, solo su piani molto diversi. E poi, in fondo, cosa c’era di male a esserlo? Così, invece di vestirsi, fece della scena, almeno finché il serpeverde non lo accusò di non aver mai voluto ascoltarlo. E di essere rimasto insoddisfatto, certo, ma non era quello il punto – anche se si sentì pungere nell’orgoglio: nessuno gli aveva mai detto di essere rimasto insoddisfatto dalle sue performance.
    Davvero Tyler credeva che non lo avesse mai ascoltato sul serio?
    «Non hai appena detto che con me bisogna parlare chiaro? Forse sei tu che non sai spiegarti, invece di essere io a non capire.»
    Forse quel nuovo e improvviso discorso serio avrebbe dovuto fargli tornare a circolare il sangue verso il cervello, ma il tassorosso era pur sempre un sedicenne in preda agli ormoni e a pochi passi dalla persona che, più di tutte, occupava i suoi pensieri e le sue fantasie ogni singolo momento dei suoi giorni (e delle sue notti). Le sue parole l’avevano ferito, ma rimaneva il fatto che Tyler continuava a riempirlo di insulti – che non era un modo per dirgli che gli piaceva, ma che gli faceva comunque ribollire il sangue nelle vene, e il fastidio era solo l’ultima delle ragioni – e si stava spogliando.
    «Sai qual è il problema? Ti concentri sempre sulle cose sbagliate. Vuoi spiegarmi le cose sbagliate. Inutili, persino. Come i vestiti. Sono inutili. Certo, a parte per ripararsi dal troppo freddo o troppo caldo, ma perché civile dovrebbe essere uguale a vestito? Non ha senso.» Così come non aveva senso quel discorso, anche se nella sua testa sembrava il contrario. Dopotutto, i vestiti erano solo una delle infinite imposizioni della società capitalista, quindi era giusto combatterli.
    E farli sparire.
    Specie se si trovavano ancora in misura così copiosa addosso al Wood.
    «Credevo lo sapessi già»
    «Che sei una merda? Ovvio. Ma te l’ho già detto: mi piace soffrire», gemette teatrale, senza però doverci calcare troppo la mano, dal momento che stava decisamente soffrendo davvero. Aveva bisogno di toccarlo, e di toccarsi. Non si era mosso di un millimetro. E Tyler non aveva realmente provato a farlo andare via.
    Chissà come mai.
    Però si stava spogliando davvero troppo, troppo lentamente. Strinse i denti, e le chiappe, soffocando un altro gemito tra le labbra. Sapevano benissimo entrambi cosa stava facendo il Wood, ma non per questo era meno snervante. Avrebbe potuto porre fine alle sue sofferenze in un istante, ma, da stronzo quale era, se ne stava ben guardando.
    Adam non era orgoglioso, ma non voleva dargliela vinta per l’ennesima volta.
    Non era andato lì dentro con il proposito di mandare Tyler a quel paese? Non era stato bravissimo, a non rivolgergli la parola per ben (!!!) tre giorni?
    «Cristo santo», borbottò, più rivolto a sé stesso che a un’entità superiore alla quale, per la cronaca, non credeva affatto. Non voleva essere quello debole. Non che ci fosse nulla di male, anzi, ma il serpeverde meritava di trovarsi un po’ dall’altra parte. Non di sorridere con quel fare trionfale che gli faceva solo venire voglia di prenderlo a pugni.
    D’accordo, a pugni forse no, visto che era pacifista (e che, se avessero fatto a botte, Adam le avrebbe prese, e pure forte. Non che gli dispiacesse poi così tanto, in effetti). Ma morderlo? Baciarlo?
    Oh, poteva farlo eccome. E, in questo caso, non sarebbe stato lui a prenderle.
    «Ti piace quello che vedi?»
    Stavolta il gemito di frustrazione si fece spazio tra le sue labbra con prepotenza, trascinandosi dietro il graffiare gutturale della gola.
    «Sai cosa?»
    Prima di buttare via i vestiti appallottolati, afferrò nel mucchio la bacchetta rovinata. Suo padre aveva minacciato di non comprargliele un’altra, l’ennesima, anzi, come aveva sottolineato, se fosse riuscito a rompere anche questa. Ma Adam sapeva che Frank Cox non avrebbe mai permesso che suo figlio non prendesse il diploma (scusa papi ihihihhi).
    Adesso c’erano due cose puntate verso Tyler. Ugualmente tese. Ugualmente tirate.
    La sua bacchetta e il suo (gasp!) pene.
    «Evanesco.»
    Dov’erano finiti il resto dei vestiti del serpeverde? Le sue scarpe lucide, i pantaloni della divisa perfettamente stirati e, anche se non li aveva visti, i boxer attillati, probabilmente neri o grigi?
    Ad Adam non importava assolutamente nulla.
    E il fatto che Tyler si sarebbe di certo infuriato era solo un bonus, naturalmente.
    A gambe larghe, ma con tutta la velocità che l’eccitazione gli permetteva, riempì in qualche falcata la poca distanza che li separava. Adesso era lui a sorridere. A ghignare, anzi, quando si ritrovò a torreggiare davanti al moro.
    «Vaffanculo», gli soffiò sulle labbra, un attimo prima di baciarlo prepotentemente, tenendogli il viso serrato tra le mani.
    Era pronto a prenderle, e anche forte.
  6. .
    adam cox
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    Ognuno a suo modo, tanto Adam quanto Tyler erano maestri di indifferenza.
    Nel caso del biondo si trattava di un’indifferenza del tutto inconsapevole, ingenua, persino, che lo portava a vivere nel suo mondo e al contempo a scaldarsi e spendersi anche per le cause più assurde, come le formiche bicefale blu di Prussia in via di estinzione o il menu vegano almeno una cena a settimana al castello. Più che indifferente, Adam era menefreghista. Non gli importava di seguire le regole, né tanto meno di omologarsi, e non era assolutamente preoccupato dalle conseguenze della sua presunta disobbedienza.
    Quella di Tyler, invece, era un’indifferenza precisa, studiata nei minimi particolari. Il Wood voleva essere indifferente. Voleva essere indifferente alle ingiustizie, il più delle volte, come il tassorosso non mancava di fargli notare di continuo, serafico ma accorato. Voleva essere indifferente a tutto ciò che usciva dai suoi rigidi schemi mentali, quelli che si imponeva con così tanta forza da vederlo persino tremare, quando pensava di non essere visto da nessuno, dal momento che la tensione mentale si ripercuoteva sul suo fisico. E voleva essere indifferente al Cox. Lo voleva così tanto che Adam poteva sentirlo bruciare ovunque, sulla pelle.
    «Rendez-vous, ripeté, con un pessimo accento francese, per poi fare una smorfia e scuotere il capo con un sospiro teatrale. «Ripeti con me. Sesso. S-e-s-s-o.» Scandì lo spelling con lentezza, lasciando scivolare la lingua su ogni singola lettera. «Devi smetterla di nasconderti dietro a giri di parole senza senso, come se fosse tutto un tabù e non la cosa più naturale del mondo. Non dopo che ti ho visto usare quella bocca in ben altro modo.» Cosa? Gli stava forse rinfacciando tra le righe il fatto che non volesse accettare di essere, quantomeno, bisessuale? E il non voler riconoscere che tra loro c’era qualcosa, di qualunque cosa si trattasse? Assolutamente no…………..
    Avere a che fare con Tyler era davvero stancante e nessuno lo sapeva meglio di Adam. D’accordo, Daisy a parte. Lei lo sopportava da ancora più tempo e con una stoicità che, nonostante la natura tranquilla del tassorosso, lui non avrebbe mai raggiunto. Anche solo perché, più lo faceva stancare, più ne aveva bisogno. Voleva essere stancato da Tyler. A parole, certo, ma ancora di più a gesti. «Sei adorabile quando fingi che non te ne freghi nulla dei miei programmi, e di quelli di Daisy», non mancò quindi di fargli notare, ovviamente per irritarlo ancora di più, visto quanto non era capace di nascondersi dietro la maschera dell’indifferenza. Ma anche perché era davvero adorabile, così impegnato com’era a mostrarsi disinteressato da sapere sempre tutto. «E poi una comare come te deve essere sempre informata su tutto.» Almeno su questo, Tyler si permetteva di essere del tutto consapevole. Ma non significava che gli piacesse quando gli veniva fatto notare che sì, era il peggiore pettegolo di tutto il castello.
    «Passi davvero un sacco di tempo con mia cugina, purtroppo.» Sorrise, Adam, un sorriso genuino e pieno di sentimento, volando con il pensiero a Margarita. «Funziona così, quando si ama una persona. Si passa del tempo con lei. Si vuole stare con lei il più possibile. Diventa una… necessità. Come mangiare», spiegò con semplicità, senza nemmeno una goccia di ironia nella voce. Credeva, anzi, sentiva ogni singola parola di quello che aveva appena detto. Provava ognuna di quelle cose per Daisy.
    E per Tyler.
    Proprio quel Tyler che gli diceva che non avrebbe trovato altro materiale per le sue fantasie lì, in quel luogo, con lui. Adam ghignò, non provando minimamente – né volendo farlo, in effetti – a nascondere la malizia che gli ardeva nello sguardo. «Di materiale ne ho in abbondanza, non preoccuparti.» Una verità in risposta a una bugia: se avesse avuto anche solo un minimo di talento artistico, avrebbe potuto disegnare a memoria ogni centimetro del corpo del serpeverde. Anche se, a dirla tutta, con la matita era negato, certo, ma con la lingua era un’altra storia. Esistevano opere d’arte fatte con la lingua? Se sì, allora sarebbe riuscito a riprodurre perfettamente ogni particolare del moro.
    Paradossalmente, fu solo quando infine il Wood cominciò a sorridere che il tassorosso provò qualcosa di simile al fastidio. Adam era incapace di arrabbiarsi, ma il serpeverde aveva l’abilità innata di scatenare in lui qualcosa che andava molto, molto vicino alla rabbia. Anche se, per fortuna, quasi sempre si trasformava in altro, concentrando buona parte del suo flusso sanguigno lì, tra le sue gambe, rendendo quella parte di lui dolorosamente tesa e pulsante. Proprio come in quel momento.
    «Sì, lo so benissimo che sei incredibilmente veloce.» Ah, ecco dove voleva andare a parare. Sospirò. «Sai fare di meglio.» Davvero. «Rimane il fatto che tu non ti sei mai lamentato», aggiunse, facendogli il verso. Anche lui sapeva fare di meglio, ma era letteralmente colpa di Tyler, in tutti i sensi, se adesso gli arrivava ancora meno sangue al cervello del normale. Pensare ad altro che non fosse il serpeverde o una parte qualsiasi del suo corpo era estremamente difficile.
    Così si immerse, un po’ per irritarlo, un po’ per riprendere, mentalmente parlando, ma non fisicamente, fiato. Motivo per cui ignorò il commento del Wood sull’apnea, concentrato invece com’era nel non rovinare su sé stesso nel tentativo di uscire dalla vasca. Non che gli importasse di risultare o meno ridicolo, anzi, era una delle infinite cose verso le quali era del tutto indifferente, ma cadere in quelle condizioni avrebbe significato un dolore atroce. E settimane senza incontri con Tyler come quello che stava per accadere.
    Perché il serpeverde poteva fingere che non gli importasse quanto voleva, ma sapevano benissimo entrambi come sarebbe andata a finire.
    E Adam non vedeva l’ora che succedesse.
    Per essere del tutto privo di senso del pudore, sentì il viso bruciare, quando infine si raddrizzò il più possibile, bagnato e nudo com’era, decisamente vicino al moro. Voleva sbattergli in faccia quella manciata di centimetri che lo rendevano il più alto dei due? Ovviamente sì. «Siamo in un bagno, è chiaro che sto bagnando», rispose stringendosi nelle spalle, come se la cosa non solo fosse scontata, ma avesse anche un senso. E non guardò le scarpe nere e lucide del serpeverde, ma fermò gli occhi decisamente più su.
    Prima che potesse rialzarli, però, barcollò appena, afferrando d’istinto quello che gli era arrivato addosso. Purtroppo non si trattava di Tyler, ma dei suoi vestiti appallottolati. «Fuori di qui, hai un sacco di altri bagni dove continuare il lavoro interrotto.» Peccato che in nessun altro bagno ci fosse lui. «E mi lasceresti andare in giro così? Cosa ne sarà del mio buon nome? Del mio onore??» Si portò il dorso di una mano alla fronte, simulando un capogiro da vera dama vittoriana, deciso a ignorare il sorriso pungente con cui il moro lo stava punzecchiando. Proprio quel genere di sorriso che avrebbe voluto mordergli via, ammorbidirgli un gemito dopo l’altro, fino a trasformarlo in un sorriso di tutt’altro genere.
    «Sei senza cuore», sentenziò ancora, con tutta la teatralità di cui era capace (tanta, per la cronaca, essendo un tratto distintivo della sua famiglia al pari dell’azzurro dei suoi occhi). «E sei anche un vecchio. Me l’hai già detto, appunto. È il bagno dei prefetti e io non posso starci e…» Si stava spogliando. Tyler si stava spogliando. Per qualche istante dimenticò di star parlando, impegnato com’era a fissarlo. Era difficile sostenere un discorso quando il sangue continuava a pompargli tra le gambe e non al cervello.
    Era già stato fin troppo bravo, in effetti.
    A rispondergli.
    A non saltargli addosso.
    «Quindi? Sei ancora qui?»
    «Che ci vuoi fare? Mi piace soffrire Si strinse nelle spalle e, incrociando lo sguardo con il suo, gettò di lato il groviglio di vestiti che teneva ancora stretto contro lo stomaco, nuovamente senza alcuno schermo tra il proprio corpo e gli occhi di lui. «Voglio che mi porti tu in sala torture. A carponi, al guinzaglio… Come preferisci, insomma.» Un lungo brivido lo percorse, andando ad accumularsi proprio lì, sempre lì.
    Dove riportò la mano, per riprendere da dove si interrotto. Stavolta, però, non aveva bisogno di chiudere gli occhi per vederlo. Stavolta gli occhi erano ben aperti e fissavano quelli di lui.
    «Ti basta solo mettermi le mani addosso.»
  7. .
    nickname: sehnsüchtig.
    role attive: maledizione spezzata!! (16.08.23) forse
    PE accumulati sulla carta fidelity: 5 (non io che stavo per arrivare a 20 ma il mese scorso ho fallito hhhhh)
    [color=#855459]scheda livelli: Bertie + Thor + Hugo + Adam

    aggiornato

    Edited by antarctica - 7/9/2023, 11:09
  8. .
    adam gustave cox
    data role
    titolo role CONCLUSA
    with nome cognome

    data role
    titolo role IN CORSO
    with nome cognome

    lorem ipsum dolor
    scheda livelli pinterest

    1996 ✧ ribelle ✧ magizoologo papà casalingo

    nome cognome: relazione
    nome cognome: relazione
    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©
  9. .
    Adam Cox
    CHAOTIC HEART OF GOLD
    I’m a going back out ‘fore the rain starts a falling.
    I’ll walk to the depth of the deepest dark forest
    Quando qualche ora prima era uscito di casa, mai si sarebbe aspettato una cosa del genere. Sapeva che si sarebbe sentito sporco, che quel senso di colpa che non gli era mai appartenuto, prima di allora, avrebbe preso a pizzicargli sotto la pelle ancora di più del normale, trovandosi faccia a faccia con il mondo. Poteva anche essere un idiota, il più delle volte, almeno, ma non era totalmente stupido. Era del tutto consapevole che, tra le mura di casa, finiva per concedersi di essere egoista. Di conseguenza, finché era lì, protetto e, soprattutto, intento a proteggere chi amava, il senso di colpa era presente, ma era in qualche modo attutito. Le cose cambiavano quando lasciava quel piccolo mondo a parte per immergersi in quello esterno, infinitamente più grande, ma solo altrettanto caotico.
    Per le strade di Londra si respirava ancora l’odore della guerra. Molte, soprattutto in centro, erano già state tirate a lucido e, almeno apparentemente, poteva sembrare che nulla fosse successo. Ma, a uno sguardo più attento, la facciata si sgretolava e la verità veniva a galla.
    E Adam sapeva di dover affrontare la realtà… e il senso di colpa.
    Perché se quelle strade erano così, se le persone erano così, era anche colpa sua.
    Era uscito per un bagno di realtà, in fondo, non solo per quelle commissioni da papà casalingo che un tempo lo avrebbero annoiato a morte, tipo perdersi per ore dentro l’Esselunga a fare la spesa come un adulto TM. Così se l’era presa abbastanza comoda, sapendo che a casa era tutto sotto controllo, visto che Tyler quel giorno era in smartworking e Daisy aveva delle riprese notturne quella sera (e, soprattutto, lui non c’era, motivo numero uno per cui in casa Tydamdee era tutto tranquillo). Non era un emo come suo fratello, ma, in quel nuovo, orrendo mondo, sentirsi male per quello che era successo era il minimo.
    Proprio come lo era aiutare quella povera gente.
    Non aveva avuto un attimo di esitazione quando, svoltato l’angolo di una strada, si era ritrovato davanti quel capannello di persone spaventate, anzi, terrorizzate. Aveva agito e basta: prima aveva lanciato sul gruppetto un incantesimo di protezione, poi si era avvicinato con fare sicuro ma calmo, come aveva imparato a fare con i draghi. Già dalla prossemica dovevano percepirlo non come una minaccia, ma come un alleato, un amico. «Ciao! Va tutto bene», cercò di rassicurarli, una volta che li ebbe raggiunti. «Cos’è successo?»
    Dietro al suo tono calmo e gentile si nascondeva un vulcano di rabbia pronto a esplodere. Non c’era nulla di giusto in tutta quella situazione. L’unica colpa di quelle persone, era evidente, era essere nate senza magia. Qualcosa di imperdonabile, nel nuovo mondo che, suo malgrado, aveva finito per plasmare. «Posso aiutarvi.» Come non lo sapeva ancora, ma avrebbe fatto di tutto per mantenere la propria parola.
    ex huff
    1996
    ENFP-A
    A Hard Rain’s a-Gonna Fall Bob Dylan


    Edited by habseligkeiten. - 20/8/2023, 02:05
  10. .
    adam cox
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    I don’t know if I could ever go without…
    I'm just thinking out loud.
    Un sospiro soddisfatto gli uscì dalle labbra, gli occhi socchiusi e già vagamente sonnolenti. Chiunque avesse inventato prefetti e capocasata era un vero e proprio tiranno (per non parlare della sala torture, ma dettagli). O meglio, in effetti il problema vero non erano quelli che, più o meno giustamente (sempre che di giustizia, a Hogwarts, si potesse davvero parlare) venivano insigniti di quella patetica spilla; il problema era ciò che la spilla rappresentava. Le regole. La divisione classista degli studenti, che in primo luogo faceva assegnare la spilla stessa e, secondariamente, fregiava chi la portava di privilegi che non avrebbero dovuto esistere.
    Insomma, tutto questo per dire che il bagno dei prefetti avrebbe dovuto essere aperto a tutti, sempre.
    Non solo a chi aveva perennemente una scopa nel culo come Tyler Wood.
    Al quale, per la cronaca, non dispiaceva affatto.
    Anzi.
    Dietro le palpebre serrate di Adam cominciarono a danzare luci e colori, dapprima sfocati, ma via via sempre più chiari. Un sorriso, o meglio, due. Uno che era abituato a vedere centinaia di volte, nell’arco di una giornata. L’altro, invece, così raro da essere quasi unico, come gli era scappato di bocca una volta. Gli stessi occhi scuri. Quel naso che, [bestemmia], gli faceva provare /cose/. Due fossette, una più accentuata dell’altra, quella sul lato destro del volto.
    Un *sticker di Vins*.
    Se, fino a quel momento, le figure dei due si erano mescolate, sul fondo delle sue retine (e non solo lì), pronte a dare vita a una delle sue fantasie preferite, e di certo non nascoste, adesso, però, il focus era del tutto chiaro.
    Tornò a immergersi, mentre il Tyler nella sua mente non sorrideva affatto. Be’, poco male. Non che non amasse il suo sorriso, anzi, gli faceva girare la testa, ma quell’espressione incazzata? Quegli occhi che lanciavano non solo fulmini, ma interi temporali?
    Farlo sciogliere, in tutti i sensi, a furia di baci (e non solo) era la sua cosa preferita al mondo.
    Riemergendo e poggiandosi con la schiena contro la parete della vasca, una mano non tardò a scivolare tra le gambe. A differenza di Tyler, Adam trovava non solo insensato, ma stupido (sì, proprio lui!) nascondere certe cose. Ad esempio il fatto che gli bastasse pensare al serpeverde, specie con quell’espressione così dannatamente ditica in volto, per sentirsi vivo.
    Per questo, quando sentì la sua voce, non aprì minimamente gli occhi e continuò tranquillo a fare quello che stava facendo, compiaciuto dalla propria fantasia (e dalla propria mano). «Addirittura il sonoro…», mormorò tra sé e sé, con un sorrisetto. Certo, la sala torture non è che fosse esattamente uno dei suoi kink preferiti, né Tyler aveva mai esplicitato essere uno dei suoi, ma, conoscendolo, non era poi così strano. Anche se… «Non sono io però il masochista…»
    C’era però qualcosa che non andava.
    Tipo quel suono di passi.
    E il fatto che il Tyler della sua immaginazione avesse le labbra impegnate a baciargli il collo, non a parlare.
    Fermò la mano (ma non la spostò) e aprì un occhio, strizzandolo. Confuso, aprì anche l’altro, una lieve smorfia dipinta sulle labbra.
    «Credevo stessi studiando con Rita.»
    La smorfia si trasformò in un sorrisetto giusto un tantino strafottente. Per un attimo ponderò il da farsi: in teoria avrebbe dovuto continuare con il silenzio e ignorarlo del tutto. Ma ogni cromosoma del suo DNA era geneticamente incapace di farlo. Adam non sapeva tenere la bocca chiusa. Mai.
    «Da quando sei così informato sui miei movimenti? E ti importa dei miei voti?», domandò fintamente innocente, ancora ben spaparanzato dentro la vasca, con la schiuma a coprirlo dalle spalle in giù. «Per essere così focalizzato solo e soltanto su te stesso è molto strano, Wood Enfatizzò il cognome di lui, un po’ facendogli il verso, un po’ mimando altro con le labbra.
    Ovviamente, un attimo dopo, Tyler attaccò con il solito blablabla sul cosa si poteva e non si poteva fare, a partire dall’accesso al bagno dei prefetti. Adam alzò gli occhi al cielo, facendosi entrare le cose in un orecchio e uscire dall’altro. «Se continui così ti assumeranno di certo nella redazione de Il Primato Nazionale…», lo schernì facendo spallucce, alludendo alle uscite estremamente reazionarie del moro. Forse era anche stupido, ma per girare con le Birkenstock dentro al castello doveva avere un minimo di coscienza politica, no??
    Stanco però di fissare il soffitto, puntò lo sguardo su qualcosa di decisamente più interessante. Dalle scarpe lucide come la testa di un pelato risalì lentamente, soffermandosi, in parte per punzecchiarlo, soprattutto sovrappensiero, lì dove i pantaloni cadevano alla perfezione, poi sempre più su, alla camicia inamidata che gli fasciava, senza però tirare, il petto e le spalle, alla mascella che, ogni giorno di più, perdeva i tratti infantili per trasformarsi in quella di un uomo. Arrivato alle labbra, non poté fare a meno di inumidire le proprie.
    «Hai due minuti per uscire dall’acqua, rivestirti, e andare via.»
    Nulla di più, né nulla di meno, di ciò che si aspettava. Puntò gli occhi in quelli di Tyler, con fare di divertita sfida, per nulla intimorito da quelle minacce. Anzi, se proprio, gli stavano facendo tutto un altro tipo di effetto…
    «Due minuti sono sufficienti per fare tante cose…» Nessuno dei due era un amante del fare in fretta, ma, spesso e volentieri, il tempo era tiranno (per non parlare dei ritmi del castello, e dei professori); avevano imparato a farsi bastare due minuti, quando la situazione lo richiedeva.
    Gli lanciò un’altra occhiata, poi tornò a immergersi. Magari il serpeverde si sarebbe buttato nell’acqua per tirarlo fuori con la forza. O forse no, conoscendolo: rovinare così la sua divisa perfetta e, ancora peggio, rischiare di farsi vedere per i corridoi con, non sia mai!, una virgola fuori posto? Peccato, gli sarebbe piaciuto, però.
    Rimanendo sott’acqua raggiunse il bordo della vasca più vicino a Tyler e, proprio sullo scoccare dei due minuti, si issò fuori, pregando mentalmente che per una volta i suoi muscoli facessero il loro dovere. Con tutta la noncuranza del mondo si raddrizzò, lasciando vagare pigramente lo sguardo per la stanza. «Ops.» Dopo l’ennesimo giro, posò gli occhi su quelli di lui, puntellandosi i pugni sui fianchi. «Ho dimenticato l’accappatoio… Non posso bagnare i corridoi, rischierei la sala torture…»
  11. .
    gifsmagizoologist
    rebel
    former
    hufflepuff
    ADAM COX
    currently playing
    Canzone del maggio
    Fabrizio De André
    Verremo ancora alle vostre porte
    e grideremo ancora più forte.
    Per quanto voi vi crediate assolti,
    siete per sempre coinvolti.
    La costipazione emozionale di cui soffriva Tyler Wood era sempre stata un problema per Adam Cox. Per anni, decenni, anzi, aveva cercato un modo per aggirarla, anzi, per ammorbidirla, per fare in modo che l’ex serpeverde vivesse la sua interiorità non tanto da persona normale (perché non era un tipo ambizioso, il biondo, a differenza dell’altro), ma se non altro in modo un po’ meno doloroso. E c’era riuscito, c’era riuscito davvero: era lì, davanti ai suoi occhi, ogni volta che Tyler tentava di convincere Minerva a mangiare l’intruglio verde che le aveva messo davanti o quando si accertava che il latte scaldato per Albert fosse dell’esatta temperatura (36,6° C, non di più, non di meno). Eppure, come ogni singola cosa nella loro storia, nella loro vita, un passo avanti equivaleva a cinque indietro.
    Tyler sarebbe rimasto sempre, e per sempre, costipato dal punto di vista emotivo (e sentimentale, ma questa era un’altra storia). Gli andava bene e lo accettava, ma questo non significava che avrebbe mai smesso di provare a portarlo dall’altra parte. Così come avrebbe continuato a cercare di convincerlo che quel termine fosse dannatamente perfetto per descrivere la sua situazione: e dire che Ty, con le parole, avrebbe dovuto saperci fare! Dal canto suo, Adam aveva il problema diametralmente opposto: ad affliggerlo era una vera e propria diarrea emotiva. Un’altra espressione capace di tirare fuori una delle infinite facce schifate del Wood, ma che, proprio per questo, l’ex tassorosso sapeva essere del tutto efficace. Adam non solo sentiva tutto, sempre, ma non aveva minimamente paura di ammetterlo e riconoscerlo. Certo, questo gli aveva causato (e gli causava) non pochi problemi, tanto con Tyler quanto con il resto del mondo, però sapeva che non c’era niente di male: non è forse il provare qualcosa, qualsiasi cosa, a rendere viventi tutti gli esseri?
    E allora perché, adesso, sentiva qualcosa di sconosciuto? Lui era quello che riconosceva a pelle ogni emozione, che, persino, spiegava agli altri (alias Tyler, ma anche il dito numero due della sua vita, Hugo) di cosa si trattava. Com’era quindi possibile che ora provasse qualcosa a cui non riusciva a dare un nome? Se ne stava lì, sul suo petto, un peso che lasciava sì passare l’aria, ma solo a poco a poco, costringendolo a tentare (invano) di respirare più a fondo. E quella poca aria racimolata, invece di scivolare nei polmoni, finiva giù, sempre più giù, fino a fargli attorcigliare lo stomaco, bruciando con l’alcol che, da qualche tempo a quella parte, era bandito in casa Tydamdee.
    Adam si sentiva in colpa.
    Per la prima volta in vita sua?
    Continuava a rispondersi di sì, ma sapeva che non era così. Già in un’altra occasione, ormai parecchi anni prima, aveva provato quella stessa, orribile sensazione. Allora sì che era stata davvero la prima volta e, in quanto tale, si era a lungo mescolata con il panico, altra emozione alla quale non era particolarmente avvezzo. Eppure era stato proprio il senso di colpa a scatenare, dentro di lui, qualcosa, qualcosa che era cresciuto e si era trasformato, qualcosa che aveva fatto crescere e trasformare anche lui. Non era stato il senso di colpa a renderlo un ribelle, ma aveva contribuito.
    E adesso era rimasto lì, con le mani in mano.
    Mentre la causa nella quale credeva moriva.
    Mentre le persone morivano.
    Mentre il mondo, tutto, moriva.
    Ancora con gli occhi chiusi, ascoltò il respiro leggero e tranquillo di Minnie, percependo il calore del suo piccolo corpo, il suo profumo di buono, di casa. Si sentiva in colpa perché avrebbe dovuto scendere in battaglia anche per lei. Soprattutto per lei. E invece, proprio per questo, non l’aveva fatto. Non era andato in guerra perché la sua casa, le sue persone, erano lì, sotto quel tetto. Uscire da quella porta avrebbe significato, con tutta probabilità, non rivederle mai più.
    Ma rimanendo lì, fingendo che andasse tutto bene, non li aveva forse condannato? Non aveva condannato i suoi figli a vivere in un mondo senza speranza, senza libertà? Non aveva costretto Tyler e Daisy a rendere permanente quella facciata che, ogni giorno, indossavano prima di uscire di casa, quella che andava bene per tutti gli altri, ma non per lui, non per loro?
    Aprì gli occhi, subito ferito dalla luce che filtrava attraverso le tende. Nonostante tutto non riuscì a non sorridere: Tyler odiava dormire con la luce, eppure, ormai, non ci provava neanche più a chiudere tutto, sapendo quanto a lui, al contrario, piacesse. Sapendo quanto aiutasse Minnie ad addormentarsi, vista la sua paura del buio. Mise a fuoco la bambina e le sfiorò i capelli con una carezza, per poi stringerla istintivamente a sé, con delicatezza, attento a non svegliarla.
    Si sentiva in colpa perché sapeva che avrebbe rifatto quella scelta altre mille volte.
    Fissò il cuscino vuoto di Tyler, perfettamente in ordine sebbene il resto del letto fosse un disastro, e sospirò. Era già uscito? E Daisy? Aveva portato Bertie con sé sul set, o ancora riposavano nella stanza accanto? Avrebbe potuto tornare a chiudere gli occhi e ricadere nell’oblio finché Minerva non avesse reclamato la colazione, come aveva fatto (e avrebbe continuato a fare) in altre infinite occasioni. Tuttavia, quella mattina, il peso sul petto si stava facendo sentire di più.
    Non era abituato ad avere la mente tanto piena. Sollevandosi dal letto, la testa stessa gli sembrò troppo pesante, e non per colpa del cespuglio biondo che c’era sopra. Doveva solo trovare un modo per tenersi impegnato, almeno finché la bambina non si sarebbe svegliata. Quand’era con Minnie e Albie tutto il resto passava in secondo piano, oscurato dalla gioia e dall’orgoglio. Le sistemò meglio le coperte e, dopo averle lasciato un bacio tra i capelli, uscì dalla stanza, voltandosi all’ultimo per guardarla ancora.
    Si sentiva in colpa perché non aveva tentato di costruire un mondo migliore per loro.
    Quando alla fine scese al piano di sotto puntò dritto verso il frigorifero: forse, bilanciando la pienezza della testa con quella della pancia, si sarebbe sentito un po’ meglio. Convinto di essere solo, non si preoccupò nemmeno di appoggiare le cose sul tavolo, o almeno sul bancone, cominciando invece ad azzannare uno dei pancake rimasto dalla mattina precedente. Mmh, era decisamente troppo freddo, però. Con un colpo di bacino fece per chiudere lo sportello del frigorifero, il contenitore dei pancake in una mano e la bottiglia del latte nell’altra.
    Sobbalzò.
    «Appft! Fei qui!», biascicò con la bocca piena, fissando Tyler. E il resto del pancake cadde per terra, la mezzaluna del suo morso in bella vista. Deglutì senza masticare e si inumidì le labbra, mettendo meglio a fuoco il compagno. «Allora? Il tuo articolo? È uscito?»
    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.
  12. .
    nickname: habseligkeiten.
    gruppo: mangiamorte ribelle
    link in firma? sì amo



    E, da bravo padre.........................................................

    nickname: sehnsüchtig.
    gruppo: wizard
    link in firma? seriamente?


    hhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh
  13. .
    CITAZIONE (‚soft boy @ 28/4/2023, 15:22) 
    aggiornato! :sheep:

    CITAZIONE (habseligkeiten. @ 22/4/2023, 19:31) 
    HTML
    </li><li>[URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=62767651]adam cox[/URL]

    MANGIAMORTE

    adam ma sei ribelle.

    Ma guarda un po', ero venuta a segnarmi perché mi vedo ancora ghost.
    E invece.
    Sono proprio: Adam stupida.
    Strano.

    HTML
    </li><li>[URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=62767651]adam cox[/URL]

    RIBELLE
  14. .
    adam cox
    hufflepuff | 16 y.o. | little shit
    chaotic dumbass energy
    Breathe me in, breathe me out.
    I don’t know if I could ever go without…
    I'm just thinking out loud.
    “Vaffanculo.”
    Evidentemente, a Tyler Wood piaceva essere mandato a quel paese. Ripetutamente. In mille modi diversi. Da chiunque.
    Ma soprattutto da lui.
    Come spiegare, altrimenti, perché se lo faceva dire così spesso, in situazioni così disparate?
    Ecco perché Adam, stavolta, aveva deciso di non concedergli quella gioia. Non l’aveva mandato a cagare. Non che si facesse mai davvero prendere dalla rabbia, lui, anzi, adorava rimanere serafico davanti alle reazioni sempre più esagerate del moro. Era a dir poco catartico. Tuttavia, presto o tardi finiva sempre per augurargli un bel viaggetto a quel paese.
    Ma non stavolta.
    Davanti all’ennesima porta chiusa del serpeverde, per il quale, evidentemente, era così inconcepibile ammettere che quello che andava avanti tra loro da sempre non era un semplice passatempo, un errore, ma qualcosa, molto di più, Adam aveva deciso di non rispondere.
    Non a parole, almeno.
    Già la confusione, seguita da altra rabbia e infine da una fintissima freddezza, sul (bel) volto di Ty, l’avevano compiaciuto. Ma Adam non era capace di fermarsi, quando si trattava di piacere. Non era avidità, la sua, tutt’altro. A differenza di Tyler, lui era generoso. Ce n’era per tutti, di Adam.
    E nulla era più piacevole di far infuriare il prefetto serpeverde.
    Tranne il prefetto serpeverde stesso.
    Così, non era stato di certo un dispiacere lasciarsi cadere tra le braccia di Tizio Caio Sempronio [dai, lo so che stai leggendo. Vuoi essere tu?? Aperto a chiunque sia andato a Hogwarts tra il 2007 e il 2014, smack]. Anzi. Era un win-win per tutti. Per Tizio Caio, che si era divertit*. Per Adam, che aveva fatto lo stesso. Ancora per Adam, che già pregustava la furia dell’unico che, in questo caso, aveva perso.
    Che poi. Aveva perso davvero, Tyler? Secondo Daisy, Adam avrebbe dovuto smettere di cercare così disperatamente di attirare l’attenzione del di lei cugino. Certo, amava Ty, ma si meritava tutti quegli sforzi? Eh. A detta di Adam non erano sforzi, i suoi, ed era sincero, perché si stava divertendo sul serio, perché non voleva altro, se non essere libero.
    Avrebbe fatto di tutto, e con chiunque, con o senza l’incognita Tyler Wood.
    Ma se, in modo collaterale, questo poteva attirare le sue ire, beh… che colpa ne aveva lui?
    “Vaffanculo.”
    E dunque, eccolo al penultimo atto di quella pantomima. O commedia, chissà. Adam, di parole non ne aveva dette. Tyler, invece, fin troppe. Si guardò intorno un’ultima volta, poi, dopo essersi accertato che il corridoio fosse effettivamente deserto, infilò la chiave nella serratura e pronunciò a bassa voce l’incantesimo. Per mesi aveva implorato Daisy di lasciarlo entrare, solo per una volta, ma lei era stata irremovibile. Almeno fino a qualche tempo prima, quando, dopo l’ennesima sviolinata del tassorosso, aveva ceduto. A patto che, certo, mettesse piede lì dentro sotto la sua supervisione. Adam non se l’era fatto ripetere due volte: un altro meraviglioso win-win per lui.
    Da quella volta, si era intrufolato nel bagno dei prefetti in compagnia della sua migliore amica in svariate occasioni. Il tutto, ovviamente, sempre all’oscuro dell’altro prefetto serpeverde. Un certo dito in culo di loro conoscenza, con il quale non parlava da ben tre (3) giorni.
    “Vaffanculo.”
    Si richiuse la porta alle spalle e osservò la stanza accendersi di quella luce pastosa e rilassante. Sapeva benissimo che non sarebbe riuscito a resistere ancora a lungo dal non rivolgergli la parola, ma, almeno per un’altra sera, poteva farcela. Forse. Si avvicinò alla vasca e aprì tutti i rubinetti sui cui riuscì a mettere le mani. Certo, senza Daisy non sarebbe stato lo stesso, ma non era riuscito a scollarla dal libro di pozioni. Lei aveva provato a fargli notare che magari avrebbe potuto mettersi a studiare anche lui per il compito del giorno dopo, ma chiaramente sapevano entrambi la risposta di lui senza che nemmeno aprisse bocca. L’aveva baciata, le aveva promesso che non si sarebbe fatto spedire in sala torture (forse, again) ed era uscito.
    Si liberò in fretta dei vestiti e, dopo aver soffiato un bacio alla sirena decisamente guardona della vetrata, si lanciò nella grande vasca, schizzando ovunque. Per un pelo non diede una culata sul fondo; ovviamente aveva calcolato benissimo la traiettoria, non era una semplice questione di fortuna! Una volta riemerso zampettò un po’ nell’acqua, per poi fare nuoto sincronizzato come Aldo e Giovanni.
    Se stava facendo di tutto per non pensare?
    Certo che no! Era una testa vuota, come l’aveva più volte definito così gentilmente Tyler. Non pensava.
    Non con il cervello, almeno.
    “Vaffanculo.”



    (me) lo faccio?
    (se) lo fece.

    In mezzo a tutto il drama TM post quest ci voleva una stronzata.
    E quale miglior modo per inaugurare i Tydam sull'Oblivion se non questo?

    ps: La gif fa: schifo, ma non ho trovato di meglio dove Finn fosse abbastanza un feto. Ero a tanto così 🤏 dal mettere questa.


    Edited by habseligkeiten. - 16/8/2023, 19:56
  15. .
    HTML
    [URL=https://oblivion-hp-gdr.forumcommunity.net/?t=62767651]adam cox[/URL]

    - magizoologo (ma in realtà mantenuto)
36 replies since 10/2/2023
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