Posts written by potassio

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    CITAZIONE (Cassianyx @ 18/2/2024, 21:52) 
    #6 a #7
    Rain chiedere urlando quanti sono nella stanza

    kai risponde: «PERCHè, VI SENTITE SOLI?»




    e poi rimbalza dall'altra parete @ remì: «LA CONOSCETE TAYLOR SWIFT?»
  2. .
    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    24 y.o.
    nisba
    mmmmafia
    kaito kageyama | red dress chicken.jpeg
    Kaito Kageyama era una brava persona.
    … Per i suoi standard. Era stato molto, molto peggiore fino a qualche anno prima, quindi la sua bussola morale era piuttosto decentrata. Essendo stato fino a quel momento solo un angelo, si sentì leggermente offeso del «Cos'è che sei tu, un mago, special, babbano...?» della mora, perché la sua vita era sempre stata ridotta a quello. Non un tasto dolente (sì invece.) ma comunque qualcosa d’amaro che bastò a farlo corrucciare, le ciglia a battere lente mentre cercava di elaborare il resto della frase in una lingua conosciuta. Tornò a guardare il braccio di entrambi, passando a come il livido avesse colorato i tatuaggi sul proprio braccio, a cercare qualcosa in più su quello dell’altra: non aveva senso che avessero iniettato a entrambi la stessa cosa, se serviva a sedare la magia, considerando che lui non ne aveva.
    A meno che non lo sapessero.
    Ed allora, la questione personale si scioglieva come neve al sole, perché la sua presenza lì significava solo quello che da venti-something anni la sua vita rappresentava: casualità. Sfortuna, con il senno di poi – non in quel preciso momento, c’erano destini peggiori rispetto ad una Corvina Van Veen (e perché proprio Theo Kayne). Si strinse nelle spalle, osservandola con rinnovata curiosità. Non aveva neanche provato a cercare la bacchetta, il che significava che dovesse essere uno degli altri. Cercò il termine inglese che potesse riassumere il suo particolare dono, e quando l’ebbe trovato, sorrise ferino ed offrì un inchino alla sua signora. «prestigiatore» illusioni, rapidità di mano, destrezza. Doveva pur valere qualcosa. «la mia specialità sono le carte» scherzava, ma non del tutto. «tranquilla, non ho intenzione di sfidarti a poker,» perché avrebbe barato, ed avrebbe vinto – come sempre. «kate» mostrò tutti i denti, perché i soprannomi scelti dagli altri sembravano sempre così banali, e personalizzarli li rendeva più intimi. Il prossimo passo sarebbero stati i braccialetti dell’amicizia, e fare molta attenzione a non stringere amicizia con altre persone la cui iniziale del nome fosse k, perché l’unico klan accettabile era quello di mahmood (LA NOTTE LA NOTTE LA NOTTE NOI SIAMO UN KLAN) e non voleva essere additato come xenofobo.
    « Facciamo che prima controlliamo le cicatrici e poi cerchiamo qualcosa con cui spaccare roba? Di solito sono armata ma oggi... mh. Inizio a pensare di non aver preso qualcosa di mia volontà ieri sera come credevo... o l'altroieri... potremmo essere qui da giorni, figurati. » Wow. Aveva sempre pensato che quando infine avesse trovato il proprio sugar parent, perlomeno l’avrebbe ricordato: poteva sopportare il rapimento, se significava avere un tetto sopra la testa. Non era schizzinoso, il Kageyama. E vorrei ricordare lavorasse in un bordello, ed al contrario di molti WOMINI, fosse educato e non un animale. Non battè ciglio nel vedere Kate nuda, se non un leggero sorriso di apprezzamento – perché anche lei non aveva fatto una piega, ed ammirava quel tipo di scioltezza, e per la fiducia dimostrata nei suoi confronti: thank you darling NOT ALL MEN – ed un rispettoso passo indietro, per quanto permesso dalle manette, per lasciarle spazio di manovra.
    « Che faccio, mi giro io o mi giri intorno tu? »
    Disse il Sole alla Terra.
    Aprì i palmi mostrandosi disarmato, malgrado a quel punto dovesse saperlo, e domandò silente il consenso prima di poggiare le dita sul fianco della ragazza e voltarla quanto permesso dalla loro situazione. Nel mentre, spinse gentilmente entrambi più vicino allo specchio, così che anche lei potesse sbirciare il proprio corpo – magari avrebbe visto qualcosa che a lui sfuggiva. Strinse le labbra fra loro, un uhm basso e pensieroso.
    «i reni sembrano essere al loro posto, ma chissà» scrollò ancora le spalle, offrendo il palmo per aiutare Hecate a rivestirsi – se l’avesse voluto, certo: la apprezzava anche con le forme in bella mostra, chi era lui per privarsene. «maghi» non poteva escludere che la magia avesse cancellato anche quello, oltre che la loro memoria e percezione del tempo.
    Poi accaddero cose: una voce femminile che urlava parlando di omicidio, accompagnata dal suono meno melodioso di un ragazzo che chiedeva quanti fossero; dall’altra parte, come i suoni 8D, qualcuno cantava SIA.
    «mi sento a casa» commentò distratto, perché sembrava proprio una qualsiasi serata al bordello di Lapo – che dai, ormai era un po’ casa, passava più tempo lì che in quella pagliacciata che chiamava appartamento.
    «PERCHè, VI SENTITE SOLI?» Urlò in risposta al ragazzo – era una proposta? Forse – portando poi la mora verso la parete opposta, verso gli altri suoni e la testata del letto. Le indicò con un cenno la lampada, la base sembrava abbastanza solida da poterci rompere lo specchio, e si schiarì la voce prima di avvicinare la bocca alla parete.
    «LA CONOSCETE TAYLOR SWIFT?»
    (avery vibrating in background diverse stanze più in là)
    Non gli piaceva non poter scegliere la musica. Aveva poche priorità, ma fondamentali.
    Allo spostamento della lampada, colse un movimento. Un foglio a scivolare tra il mobile e la parete, qualcosa a cui non aveva fatto caso fino a quel momento. Corrugò le sopracciglia, allungando il braccio per raccogliere.
    Una busta, che passò a Hecate.
    Un frammento di giornale, che diventò interessante solo quando ebbero aperto la lettera.
    Buon San Valentino e 24 Febbraio? Non era una cima in matematica, ma qualcosa non tornava.
    «ti dirò, kate. Percepisco un po’ di segnali confusi. Mi sento quasi in una situationship» cose che avevano senso solo nella sua testa parte mille104.
    E non ho mai avuto paura del buio
    Ma di svegliarmi con accanto qualcuno
    Per me l'amore è come un proiettile
    Ricordo ancora il suono: "Click, boom, boom, boom"
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    nisba
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    kaito kageyama | red dress chicken.jpeg
    Valutò rapidamente la ragazza al suo fianco, lo sguardo a scivolare pigro sul suo profilo. Non lascivo, diamogli un po’ di credito, quanto più di morbido calcolo: la maglia larga poteva nascondere armi, certo, ma non vedeva protuberanze sospette, e tanto bastò a far rilassare maggiormente il Kageyama contro il materasso. Sicuro, avrebbe potuto ucciderlo a mani nude – o usando la magia, visto che di quei tempi non c’era più divisione fra i mondi – ma sapere di avere escluso almeno quello, lo fece sentire meglio. Un incredibile incremento di autostima, comunque, notare le pupille dilatate in stupore quando ne incrociò lo sguardo verde. Era sempre bello sapere che la sua ritrovata vita post morte e monaci buddhisti, fatta di vivere ovunque e da nessuna parte con più noodles precotti che mutande, non l’avesse privato dell’intrinseco fascino di famiglia – almeno quello, per principio, voleva tenerselo.
    Danno e beffa, sapete. Giusto perché Kai non si considerava affatto permaloso, o vendicativo (lying).
    « Ah, sapessi. Non ricordo assolutamente nulla! Tu, passerotto? »
    Le sorrise, perché come avrebbe potuto fare altro? Non era il genere di persona che tendeva a farsi ingannare dall’apparenza – sarebbe stato contro producente, considerando la propria – ma aveva l’impressione che in qualunque situazione fossero, ci fossero insieme. Curvò la testa per premerle un bacio sul palmo, prima di sospirare e sollevare il capo permettendole di riprenderla. Ricordava qualcosa? Cercò di ripercorrere i propri passi, ma si sentiva in uno stato… appannato, e fragile. Onestamente, voleva solo tornare a dormire. «nah, shima enaga» che è un uccellino giapponese, mi suggerisce il buon Google; è anche adorabile, a vederlo così. Schioccò la lingua sul palato, assestando la propria salute fisica stringendo ed allargando i pugni. Si sentiva, perlomeno, intero, che era quanto più potesse desiderare. Seguì lo sguardo della ragazza verso le loro braccia, corrugando le sopracciglia nel rendersi conto di cosa indossasse: non era la prima volta che Kai indossava maglie di rete, ma difficile che la rete fosse metallica. Provò a stringerla fra pollice ed indice, causando un lieve tintinnio. Ecco cosa pesava. «dovremmo controllare se abbiamo cicatrici» suggerì, sollevando occhi scuri e divertiti sulla mora. «mi spoglio io, o ti spogli tu?» si sollevò abbastanza da poter reggere la propria testa con la mano, cercando i giusti termini inglesi nell’accozzaglia confusa del vocabolario nipponico della sua testa. «o entrambi, pari opportunità» una smorfia malandrina quella del Kageyama, ambigua senza essere necessariamente promiscua: pensava davvero dovessero cercare segni di bisturi, così da assicurarsi di avere entrambi i reni. Non replicò riguardo a quanto quella fosse una prima volta o meno, perché non la era, ma rivelare il proprio tumultuoso passato l’avrebbe reso meno affidabile ai suoi occhi – o peggio, avrebbe creduto fossero lì per colpa sua.
    Cosa che. In effetti. Non poteva escludere.
    « Che giorno è secondo te? Io ho fame. Magari hanno il servizio in camera in questo posto- » Anche Kai aveva fame, ma la sua dieta non era delle più equilibrate, quindi tendeva a non darci peso. Strinse le labbra fra loro, cercando di afferrare… qualcosa, nei propri pensieri. Qualcosa che sembrava lontano anni luce, in quel momento, ma che sapeva essere molto ovvio. Fu dopo un silenzio intenso e frustrante, che sibilò soddisfatto. «il tredici febbraio? O forse già il quattordici.» c’erano grandi eventi in programma per quella sera, al MW. L’unico motivo per cui ne aveva memoria, era che la sicurezza fosse affidata a lui.
    Faceva già sorridere così.
    « Dispiace se ci alziamo, gioia? O ti prendo in braccio, se vuoi, non ci crederesti mai ma: ce la faccio. » Non mentirò: Kai era molto tentato. La soppesò ammirato a palpebre socchiuse, valutando la proposta con la lingua a pungolare l’interno della guancia. «ci credo, invece» e fu perfino abbastanza signore da tenere per sé le opportunità di quella posizione, ed i suoi contro. Non erano lì per quello. Forse.
    «per ora no, ma grazie» lampeggiò un altro sorriso, alzandosi a sedere ed intrecciando le dita della mano legata con quelle della sua collega. Intimo? Forse, ma soprattutto pragmatico, se volevano mantenere un minimo di equilibrio senza sembrare ridicoli e basta. Le indicò con un cenno di iniziare a scendere, seguendola con sguardo e sorriso.
    «era un po’ che non dormivo in un hotel» mormorò, alzandosi a sua volta. Portò entrambi in prossimità della finestra, tenendoli però lontani dalla luce diretta. Conosceva troppi cecchini per sentirsi al sicuro. Guardò di sotto: niente. Nessun movimento. Cercò di capire che ora fosse dalla posizione del sole, ma era un mafioso, non un boyscout. Si guardò attorno, voltandosi per cercare se la pelle di Corvina portasse il marchio di qualche famiglia che potesse suonargli familiare. «ti dispiace se rompiamo qualcosa, zuccherino?» il letto, o lo specchio – qualunque cosa potesse dare loro una scheggia, ed entrambi potessero fingere fosse un’arma decente. «ti lascio scegliere» ma la osservò intensamente, accarezzandone il dorso della mano con il pollice per ricordarle fossero sulla stessa barca. Fosse mai che usasse la ritrovata arma contro di lui. Le offrì perfino, in segno di pace, un «kai» indicando il proprio petto.
    Ed ammiccò, perché non poteva farne a meno, suggerendo «ma puoi chiamarmi come vuoi» perché principessa e gioia, non gli dispiacevano affatto.

    E non ho mai avuto paura del buio
    Ma di svegliarmi con accanto qualcuno
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    nisba
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    Come (:eye: :eye: :eye:) vi avevo predetto: non era la prima volta che si svegliava con le manette ai polsi. Era diverso rispetto a quanto fosse abituato, malgrado il freddo del metallo attorno al polso fosse una sensazione familiare che non lasciasse dubbi sulla sua origine: non sentiva la sirena della volante, ad esempio, né la ruvidità delle lenzuola di carta delle celle in cui aveva passato molte notti della sua vita. Non si sentiva dolere da nessuna parte, segno che fosse privo dei lividi violacei con cui, il mattino dopo, lasciava la centrale sfarfallando le dita in sorrisi taglienti.
    Si era addormentato a lavoro? Difficile, ma non impossibile. Finito il turno scambiava volentieri sonate drammatiche di Lana del Rey in cambio di massaggi dagli operatori del benessere del bordello, ed i fumi della stanza tendevano a stordirlo abbastanza da indurre sonnolenza. Non faticava a credere di aver preferito i comfort del Mr Worlwide, rispetto alla catapecchia in cui si era scavato il nido come una gazza ladra, o che qualcuno dei colleghi l’avesse ammanettato for shits and giggles. Ma l’odore era diverso, e di quello il Kageyama se ne accorse subito, abbastanza da svegliarsi completamente lucido. Vigile. Occhi socchiusi a studiare quel che poteva vedere della stanza senza muoversi più del dovuto – aveva problemi di fiducia, fategli causa: suo padre l’aveva ucciso, per l’amor di Dio, ed era cresciuto a paranoie e ripercussioni di clan rivali sempre dietro l’angolo – cercando di mantenere la respirazione quanto più costante possibile.
    Ma dove minchia era.
    Un più giovane Kaito Kageyama avrebbe trovato divertente e nella norma un risveglio simile, ma sopravvivere ad un Abramo ed Isacco core, l’aveva reso più cauto. Non necessariamente saggio, come aveva dimostrato più volte; nessuno era perfetto. Non sapeva di quale perverso ed assurdo gioco si trattasse, ma quando sentì le dita di qualcuno fra i capelli, anziché sottrarsi al contatto, soffiò l’aria in un sibilo soddisfatto, poggiando delicato la testa sui polpastrelli. Era un ragazzo semplice: se avessero voluto ucciderlo l’avrebbero già fatto, e se quella era la perversa versione di tortura di qualcuno, così fosse. C’erano modi peggiori per morire, e lo diceva con cognizione di causa. « Buongiorno, principessa. » Il fatto che la voce non fosse familiare, non lo preoccupò più del dovuto; un po’ più strano che non avesse accento nipponico, ma chi era lui per lamentarsene? Avrebbe decisamente reso le cose piccanti, per una volta, il tentativo di omicidio da parte di qualcuno che non facesse parte della sua famiglia. Il calore di quell’alito lo sentì direttamente sull’orecchio, e quando rotolò verso la ragazza, preoccupandosi di intrappolare la sua mano sotto la propria guancia, Kaito Kageyama stava già sorridendo. Lezioso, come avesse avuto tutto il tempo del mondo e quella situazione fosse prevedibile. Nulla di strano sul fronte occidentale; non bisognava mai far sapere al proprio nemico che non si avesse la più cazzo di pallida idea di cosa cazzo stesse succedendo. Cazzo, per rinforzare.
    Mostrò denti piccoli ed affilati, alla mora al suo fianco cui ricambiò il favore invadendone gli spazi personali.
    (Ma ci pensi?! Kai è un altro fratello di Reggie e Barbie – e Mac - ! Oh, Corvina, sei proprio nostra, rubatissima. Meant to be. Ed è pure quello simpatiko. SOULMATES CONFIRMED CHE ONORE CHE LUSINGA CHE MERAVIGLIA)
    Gli bastò un’occhiata per confermare di non conoscerla, ma le sorrise nella maniera intima di amanti ed amici. «a te, raggio di sole» mormorò, guardandola senza accennare a spostarsi, allargando se possibile il sorriso. Aveva l’aria d’essere tutto eccetto che un raggio di sole; se non fosse stata lì per ucciderlo, sarebbero andati molto d’accordo – e sarebbe stato eccezionale, quasi fenomenale, se aveva voce in capitolo.
    Non si mosse più del dovuto, ma cercò comunque di percepire se avesse le solite armi addosso – e sì, amateur, ci andava anche a dormire. Mh… Mh. Kaito Kageyama disarmato? Neanche sotto la doccia. Non cambiò espressione, continuando a studiare il volto della mora. Non le chiese chi fosse, o dove fossero. Le fece l’unica domanda che la pillow talk meritasse, tenendo ancora in ostaggio la mano di lei fra guancia e cuscino.
    «dormito bene?»

    E non ho mai avuto paura del buio
    Ma di svegliarmi con accanto qualcuno
    Per me l'amore è come un proiettile
    Ricordo ancora il suono: "Click, boom, boom, boom"


    CIAO CORVINA ODDIO TROPPO BELLO SONO EUFORICA E DOPPIA ISE PER ME?? ASSOLUTAMENTE SLAY NON MI SPIACE MANCO PER TE MHMH TIE!!!!
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    kaito kageyama
    genghis khan
    I'm in my good girl era, but I still feel bad
    I'ma kill this bitch to get the chaos back
    Guardando Kaito Kageyama, era difficile immaginare che il suo tratto distintivo fosse la sfortuna. Si tendeva sempre a credere che le persone a cui il Fato fosse avverso, ne portassero con sé l’impronta come un profumo sottomarca, o un’ombra sbiadita sotto gli occhi. Un peso ad appesantire le spalle, nella migliore delle ipotesi. Kai? Kai sembrava avere il mondo ai propri piedi, anche se la verità era che avesse solo imparato ad inciampare facendolo sembrare voluto. Se qualcosa poteva andare male, sarebbe andato male, ed il Kageyama, un inguaribile ottimista, l’avrebbe comunque resa una vittoria. Un manipolatore di statistiche, profeta del pensiero positivo. Mostrava piccoli denti affilati in un sorriso, ed asciugava il sangue del naso fratturato con il dorso della mano, sporcando poi inevitabilmente i capelli quando li avesse portati all’indietro per spostarli dagli occhi. Non aveva problemi o intoppi, solo… deviazioni.
    E non aveva paura. Mai. Neanche quando avrebbe dovuto, come suggeriva il fatto che l’avessero fottutamente ucciso come un Giulio Cesare qualsiasi. Riteneva di essere immortale, a suo modo; che una scappatoia, l’avrebbe trovata sempre. Preoccupazioni? Le lasciava a chi peccava di creatività e potere d’improvvisazione. Nella vita, esattamente come al MWW, era un jolly, ed il fatto che fosse raffigurato come un giullare non era poi così lontano dalla realtà.
    Un pagliaccio medievale. C’erano similitudini peggiori.
    L’eventualità che a varcare le soglie secondarie del locale fosse uno dei capi ministeriali, era bassa. Davvero bassa. Alle probabilità importava forse qualcosa dei dati statistici, quando in turno c’era il Kageyama? No, infatti, ed eccolo stretto al braccio del Generale dell’Esercito mentre lo accompagnava ai servizi del bordello, sentendo frasi come «chiamami renny» e «anzi, non chiamarmi affatto» che lo fecero ridere, un passo laterale per permettere all’altro di avvicinarlo. Molto prepotente da parte sua, ma era un contesto – una linea molto sottile - in cui il Kageyama ancora accettava quel tipo di trattamento, ad un limitare che lo spinse però a sporgersi per picchiettare un palmo aperto sul petto di Renny come monito ed avviso, le dita a lesinare sui bordi della giacca per sistemarli. Quando smise di ridere, tenne la mano un battito di ciglia più del dovuto sull’altro, un po’ perché distratto da qualcosa - ma cosa - ed un po’ perché tendeva a non perdere mai del tutto il filo, rimanendo aggrappato quanto bastava a fare quel che andava fatto. In quel caso, sentire se avesse una bacchetta a portata di mano. «divertente,» mormorò, ancora sorridendo. Trovava che lo fosse davvero, ed al contempo, che potesse smettere di esserlo molto in fretta, come suggerirono gli occhi neri sollevati sul viso del Pallido Milord. «renny.» giusto per dimostrare che faceva quel cazzo che gli pareva, a scanso di equivoci. L’espressione divertita lasciò in fretta il viso di Kai, sostituita da qualcosa … d’altro. Qualcosa che sembrava morbido, ma che stretto fra i denti riverberava in ogni osso. Passò la lingua sul palato, rotolando il nome mentre salivano gli scalini del locale. Dove l’aveva già sentito? Considerando che l’inglese non fosse la sua lingua madre, era facile che lo stesse confondendo con altri termini che nulla avevano a che fare con il biondo. Lo studiò di sottecchi, improvvisamente serio e riflessivo, cercando … somiglianze. Ricordi. Qualcosa. «sei già venuto qui?» Perchè non sembrava il tipo di persona che frequentasse i suoi stessi locali, ma aveva comunque qualcosa di… conosciuto, se non familiare. Forse era lo sguardo morto dentro, simile a quello di Lapo. «renny» ripetè ancora, in un sospiro, sollevando il viso al soffitto con la guancia stretta fra i molari. Corrugò le sopracciglia, guardando oltre le proprie spalle la direzione da cui erano arrivati. Se fosse stato uno dei nuovi acquisti del bordello, glielo avrebbe detto… no? «stai cercando di abbordarmi, kaito?» Lo stava facendo? Un tizio a caso che era appena entrato dalla porta di servizio, con l’aria di passare troppo poco tempo al sole ed una preoccupante quantità di tempo a guardare l’abisso? … Merda, forse sì. Battè le ciglia, soffiando una risata nel distanziarsi abbastanza da tenerlo ancora per braccio, ma non perché il resto dei loro corpi si toccasse. «ora? nah» Magari dopo decretò fra sé, notando come lo sguardo dell’altro lesinasse appena sul suo volto. Si chiese se anche a lui sembrasse familiare; si disse fosse molto occidentale da parte sua. Arricciò il naso in un sorriso, portando le dita alla fronte nell’incontrare uno o l’altro degli sporadici colleghi incontrati per le scale. Qualcuno si soffermò a guardarli più del dovuto, e Kai strinse i denti trascinandosi dietro Renny prima che potessero crearsi situazioni spiacevoli per tutti. «perché non sta funzionando» E quella, signori, diventava una questione personale. Si fermò a metà scalinata, obbligando l’altro a fare lo stesso. Una parte del Kageyama avrebbe voluto dimostrare il contrario, premendo entrambi contro le pareti della stanza finché non avesse sentito il battito accelerato sulla lingua, ma – al contrario di quanto suggerito da Pandi, con quel “Kai…?” all’esposizione dei kink furry di Renny - non era un animale, ed optò per guardarlo e basta. Testa leggermente reclinata, sguardo scuro e intenso a scontrarsi inevitabilmente contro l’impassibilità del biondo. Alzò veloce la mano per stringergli il mento fra le dita ed obbligarlo a ricambiare l’occhiata, l’ombra di un sorriso sulle labbra. Potevano anche aver cambiato linea temporale, ma sapeva sempre quanto stesse dicendo una cazzata. «peccato» gentile e basso, il tono di Kai, nel concedere e togliere rapido la mano prima che potesse schiaffeggiarla via il diretto interessato. «se vuoi i miei soldi dovrai essere un po’ più convincente, non sono mica la caritas» Disse, quello che era entrato dalla porta secondaria senza pagare l’ingresso. Sorrise e basta, al pavimento ed all’universo, valutando dove fermarsi. Ancora non l’aveva deciso, se volesse lasciarlo a divertirsi con una pacca sulle spalle, menomarlo, o portarlo in ufficio perché se la vedesse il capo. Magari l’avrebbe portato a salutare Ty, prima di staccargli una mano e tenerla come suppellettile. «perché, avete i bagni a tema?» Li avevano, per inciso, ma non era quello il punto. Piroettò su se stesso per superarlo e trovarsi di fronte a lui, senza comunque lasciare la presa. «non volevo allontanarti troppo dalla tua zona» masticò piano le parole, prendendo lenta familiarità con la lingua. Aveva finto di essersi perso, no? Poteva almeno continuare a fingere così che lo portasse da qualche parte, ma se insisteva che scegliesse lui, così fosse. Tamburellò l’indice sul labbro, occhi alzati al soffitto. Il fatto che pensasse non ci fosse limite al peggio, la diceva lunga su tanti, tanti fronti. Pensò molte cose, Kaito Kageyama. Le tenne tutte per sé, perfino nello studiarlo distratto ed apatico, perché era un signore. «il prossimo» sancì, accompagnandolo oltre l’ennesima porta e verso il nuovo piano. Si fermò a soffiare un bacio ad una delle ragazze del bordello, ed un paio di parole bisbigliate veloci all’orecchio. Si affacciò su una stanza buia la cui unica luminosità sembrava provenire dall’acqua delle piscine, ed assicuratosi non ci fosse nessuno – Lapo si sarebbe molto arrabbiato se oltre a perdere tempo e farli bannare dalla Gran Bretagna avessero perso dei clienti paganti. Nord core, yknow - gli indicò l’angolo più lontano dell’ambiente. «quindi, qual è la tua specialità esattamente?» Pausa. Una pausa più lunga, il passo a rallentare.
    Mh. L’aveva. Scambiato. Per un lavoratore sessuale? Oddio! Pensava fosse una dei fanciulli – e non – del Linguini, e non la sicurezza del posto? Si sentiva: deliziato e lusingato. Aprì la bocca per dirgli che non si occupava di quello, ma la richiuse. Importava a qualcuno? Lo accompagnò verso i famosi bagni – quelli veri, e con una porta – che ciascuna stanza o quasi conteneva, un cenno verso la porta socchiusa. Solo a destinazione raggiunta lasciò la presa, poggiandosi pigro contro la parete in attesa. L’eterno sorriso a pungolare gli angoli delle labbra, perché qual era la sua specialità. «manette» le sue, della polizia; era capitato spesso. «nodi» per evadere, principalmente, ma una passione recente che lo obbligava a bloccare i suoi avversari anziché ucciderli; terribile e sconsigliato. «armi» manganelli, asce, tirapugni, pistole, coltelli, davvero tutto quello che passava il convento, non era schizzinoso. «o quello che mi ha dato il signore dio» indicò il proprio corpo. Le mani, i piedi, i denti – giocava sporco, ed il combattimento mongolo restava la sua specialità. «sono flessibile» e lo era davvero, con una capacità di adattamento invidiabile.
    Inumidì le labbra, osservandolo di sottecchi. Sospirò, incrociando serafico le dita dietro la schiena, lasciando che gli angoli delle labbra si curvassero di poco verso l’alto. Quasi triste, Kai. «non penso ti piacerebbe» Morire, intendeva.
    Probabilmente.
    squid
    criminal
    24 y.o.
    good girl era (side a)
    upsahl
  6. .
    We do our best vampire routines
    As we suck the dying hours dry
    24 y.o.squid
    kaito
    kageyama
    Battè ripetutamente le ciglia scure all’uomo, allargando il ghigno mentre quello mormorava scuse guardando ovunque eccetto che nella direzione della donna. Ma ci pensavate mai che nel 2023, il genere maschile ancora non era in grado di guardare una specie femminile senza sentirsi moralmente obbligato a posare lo sguardo sulla scollatura? Comprendeva l’appeal e la tentazione, ma dannazione, non erano animali, e la logica doveva pur vincere sulle pulsioni più basse e meschine della psiche umana. Se ce la faceva un Kaito Kageyama, poteva davvero farcela chiunque, considerando la precarietà della sua bussola morale. Ricambiò il sorriso della donna, ammiccando gentile nell’offrire il proprio bicchiere per un simbolico brindisi. Lo sguardo di Kai, più umile ma non meno immorale di quello del suo predecessore, piuttosto che studiare le forme della sua interlocutrice, scivolò a cercarne collane e bracciali, perché quella era la persona che era. Immaginava che orologio e portafoglio dell’altro potessero bastargli per un paio di giorni, e non era che a quell’evento mancassero persone di buon cuore (ed ignare.) disposte ad offrirgli una cena o due, ma era difficile scivolare via dall’abitudine di controllare ogni possibilità. Non significava, necessariamente, che avrebbe fatto uso delle sue conoscenze – curiosità scientifica, capito?
    «È un artista o solo un appassionato di arte?»
    Era forse una delle prime persone lì dentro che non possedeva un… come lo chiamavano da quelle parti? Accento posh, o come Kaito amava definirlo, egocentrismo sociale. Era sinceramente convinto che neanche gli inglesi si capissero fra loro, con quella tendenza a schiacciare le parole sul palato e sputarle sempre solo a vocali e versi di gola. Reclinò il capo sulla spalla, rotolando la domanda con sguardo pensoso e riflessivo. «Non la giudicherei se mi confessasse che si è ritrovato in questo posto quasi per sbaglio, successe anche a me la prima volta» Un altro paio di secondi di buffering, a scomporre le parole per dar loro un senso. Poi abbassò lo sguardo sul proprio outfit, che se poteva passare inosservato ad una prima occhiata – quella che Kai tendeva a concedere alle persone – certo non poteva non destare un minimo di sospetto a chi si soffermava a guardarlo. Sbuffò una risata divertita, avanzando del passo necessario per mettersi al fianco della donna e guardare l’opera che sembrava averla interessata.
    «un… curioso?» replicò, sopracciglia corrugate nel cercare il termine adatto con cui esprimersi. «non capisco l’arte visiva» indicò con un ampio cenno del braccio, attento a non far tintinnare la propria refurtiva, le opere esposte nella sala. «ma è interessante sapere come...» il verbo “interpretare” era sconosciuto al Kageyama, che umettò le labbra con lo champagne e le curvò poi verso il basso. «le vedono gli altri» concluse, un movimento con la testa verso la tela strappata di fronte a loro. Offrì un mezzo sorriso languido, la mano sinistra portata al cuore dove mimò il gesto di strimpellare le corde. «suono» così, per darsi un contesto creativo che potesse giustificare la sua presenza ad un evento simile che non fosse derubarne gli ospiti. «ma in effetti. Avrei potuto essermi perso» si strinse nelle spalle, tamburellando l’indice sul vetro. «tutte le strade sono uguali» (citazione testuale di Sara in qualunque città lei si trovi, cos’è la quarta parete, ciao Silvia!!&&) Concesse una morbida occhiata di sottecchi per farsi perdonare la critica alla città, tornando a bere un sorso. Ma poteva prenderne quanti voleva, di quei flute? C’era un limite, se non dato dalla coscienza di ciascuno? Aveva partecipato ad eventi simili, ma solo in quanto Kageyama, e nessun Kageyama – figurarsi quello che all’epoca era stato il prescelto alla successione! - conosceva il termine limite. Tutto gli era dovuto e concesso. Malgrado la discendenza, Kai era sempre stato più plebe che cortigiano, il che gli aveva permesso di mantenere un minimo di integrità - perlomeno su quello. Su tutto il resto, era sempre stato unhinged come non sembrava. Sollevò l’indice indicando il quadro di fronte a loro, girandosi per guardare la sua interlocutrice e studiarla mentre osservava l’opera. «lei cosa vede?»
    Just another sad soul with this life I lead
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    MA TOPOLINA, NON DEVI SCUSARTI DI NULLA TI PARE çç anzi scusa te, come ti capisco, tornare a lavoro mi ha davvero tolto ogni gioia di vivere, quindi mood. MA CE LA FAREMO, BACI BACI.
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    ma a me che frega della vita. ( Tachipirina e) dico due.
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    back from the grave.mp3
    big guns
    - neoni
    silver screen
    - Foreign Figures, Jonny T
    van horn
    - saint motel
    kageyama
    kaito
    sheet
    power
    aesthetic
    headphones
    august '23 -- renèe
    july '23 -- nolwenn
    june '23 -- ryu
    april '23 -- chouko
    xmas 22 -- kovu

    Still got my number, still got my name Tell everybody I’m back in the
    game
    info
    cugino ma in realtà bro: ryu
    boss: lapetto linguini e nolwenn se non ha rimpianti (.) ma dai chi può resistere alla campagna pubblicitaria con i dinosauretti?
    collega: ty più limorto che lìmore
    amici: ne ha? nella sua delulu era forse sì
    beh di sicuro eravamo amici: renny
    2043 parents: il mongolo (della mongolia.) jarden
    2043 bros: ryu + grey + chouko + barbie + zac + reggie (+ mac e twat kindish)
    2043 zii: nate + idem + gemes

    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
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    kaito kageyama
    genghis khan
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    Dondolò pigramente sul posto, reclinando il capo per cercare di raddrizzare l’immagine davanti a sé. Diede poco spazio al volto del nuovo arrivato, gli occhi scuri a scivolare per abitudine sugli abiti, notando fossero di fattura troppo buona per uno dei soliti disagiati che non potessero permettersi di pagare l’entrata. «Sì, proprio quello» Sollevò - o abbassò? - infine lo sguardo a cercarne il viso, sopracciglia arcuate ed una curva scettica a piegare le labbra nell’imitazione di un sorriso. Indugiò qualche istante sull’angolo della mandibola e la linea del naso, fermandosi poi sugli occhi chiari. Ebbe un istante, ed uno soltanto, in cui l’espressione si fece più seria e riflessiva, riconoscendo in quelle righe qualcosa di familiare.
    Kaito Kageyama non era interessato alla politica. Non in generale, figurarsi quella di un mondo che non l’aveva mai voluto: non avrebbe saputo riconoscere il Ministro; uno dei suoi adepti, era fuori discussone.
    (Ed a Gigi i rompicapi erano sempre piaciuti, guancia sul palmo della mano ed occhi neri a studiare le micro espressioni di Renèe Beaumont Barrow alla ricerca del Motivo Del Giorno per cui il BB fosse provato – perché provato lo era sempre; dalla nascita, narrava la famiglia leggenda.)
    «se non hai meglio di niente da fare» Kai era: intrigato. Dal tono arrogante, le spalle dritte come se il biondo avesse avuto dei diritti pur entrando dalla porta sul retro, e fosse lui quello ad aver frainteso la situazione e dover in qualche modo redimersi. Se non aveva niente di meglio da fare…? Sul posto di lavoro? Arcuò maggiormente le sopracciglia, invitandolo con il proprio (raro) silenzio a proseguire. Avrebbe dato il beneficio del dubbio a chiunque – era una creatura che si annoiava in fretta, e quella aveva tutte le premesse per essere una parentesi alquanto divertente; Lapino l’avrebbe perdonato – ma doveva ammettere con se stesso, sospiri profondi, di essere prevenuto: i like my men sad and pathetic, you wouldn’t get it. Aveva l’aria di qualcuno con un piede nella fossa, e l’altro a tamburellare in attesa di entrarci, il tutto in un pacchetto troppo costoso che Kaito Kageyama non poteva permettersi. Ne adorava ogni centimetro. «potresti farmi vedere dov'è, sono sicuro che ci teniate alla customer experience» Lo guardò. Lo guardò e basta per un paio di secondi, un po’ per tradurre la frase fra sé, ed un po’ perché l’aveva capito benissimo e lo trovava davvero… qualcosa. Da quale assurdo, e meraviglioso, universo arrivava, per pensare di poter fregare il sistema ed avere perfino la guida turistica al proprio fianco a supportarlo nelle sue tristi scelte di vita? Kai puntellò la lingua contro la guancia, studiandolo con un sorriso ferino ed occhi a mezzaluna. «da morire Facendo pressione con le gambe, contrasse gli addominali per tornare sul proprio piano – fisico ed astrale – per poi issarsi sulla ringhiera, e saltare direttamente al piano sottostante, invadendo appena gli spazi personali del Milord.
    Era più alto di lui, come pressochè chiunque sulla faccia della Terra, ma il Kageyama compensava i centimetri in altezza con un carattere esuberante che tendeva a riempire tutto lo spazio rimanente. Era anche abbastanza agile da limare le differenze in qualsiasi tipo di scontro, quindi nulla poteva cancellare l’espressione sicura di sé dal giapponese: sapeva che avrebbe potuto fargli il culo, se avesse voluto.
    Ma voleva?
    Thinkin.
    Avrebbe dovuto. Sarebbe stato anche del tutto lecito a farlo, vista la posizione compromettente in cui l’aveva trovato. Invece, quello che sollevò sul biondo fu un mezzo sorriso divertito, gli occhi a brillare nella fioca luce della scala. Portò una mano sul cuore, offrendo un mezzo inchino al chiaramente principe arabo appena giunto in incognito sui loro lidi per cercare moglie – inventare storie era sempre stata una delle sue parti preferite - indietreggiando nel mentre d’un passo per evitare di colpirlo accidentalmente con una testata. I danni collaterali piacevano poco al Kageyama; li preferiva intenzionali, e per quelli, c’era sempre tempo. «kaito kageyama, qui per servirla» non ci provò neanche a nascondere il timbro derisorio della propria voce, ma ammorbidì il colpo con una languida occhiata di sottecchi, ed una piroetta con cui gli offrì il braccio sinistro. Glielo indicò anche, a scanso di equivoci: se quello era il modo in cui voleva giocarsi la sua trionfale entrata di scena, così fosse. Kai più che felice di assecondare i pensieri intrusivi di chi lo circondava. Per il momento.
    [Lapo in background: are we ….getting banned…. From england….]
    «non ho di meglio da fare, perché il mio meglio» Gomito sul bancone di un qualsiasi locale dei bassifondi, bicchiere di rum stretto nel palmo, e le peggiori frasi cringe da rimorchio tutte sulla punta della lingua: sei tu. Vi dirò, funzionavano più di quanto gli si desse credito; puntare sulla simpatia non deludeva mai. Comunque: non erano in un bar dei bassifondi, e Kai non stava cercando di abbordarlo <s>(probabilmente). Ahimè, quando aveva detto di voler prendere sul serio quel lavoro, era sincero. «sono i clienti» concluse quindi, con l’usuale sorriso a metà, guidando il Pallido Milord oltre le scale.
    Si fermò. Guardò la rampa successiva, la lingua a guizzare rapida sui denti.
    Poteva sempre portarlo di sopra e insaccarlo di botte. Non li avrebbe sentiti nessuno, non quando erano così impegnati, e Kaito avrebbe risolto diversi problemi. Esitò, lo sguardo a saettare ancora sul Principe. Doveva annoiarsi davvero molto, perché sospirò piano e proseguì all’interno del bordello. «esigenze particolari, o uno vale l’altro?» domandò, ampliando il sorriso. Aveva tutta l’intenzione di accompagnarlo davvero in bagno, e poi spintonarlo fuori da qualche finestra? Sì. Forse. Chissà. Magari avrebbe trovato una scusa per tenerselo tutta la sera. Braccia in più facevano sempre comodo < 3
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    Kai faticava a capire l’inglese, figurarsi l’italiano. Era rimasto sulla soglia del Mr Worldwide per ben cinque minuti, sopracciglia corrugate e labbra sporte all’infuori, cercando di comprendere cosa, l’omuncolo moro, andasse sbraitando al suo impassibile capo. Continuava a picchiettarsi il petto, l’altro; a muovere le mani davanti a sé, portarle sotto il mento, e spalancare gli occhi scuri, il braccio allungato verso l’entrata del locale. Lapo Linguini, dall’ultimo degli scalini che portavano al bordello, guardava il – cugino, gli era sembrato di capire – con quello che gli aveva detto essere il tipico Sguardo Del Nord, qualunque cosa volesse dire. Gli occhi scuri del Kageyama saettarono dall’uno all’altro, cercando di capire se dovesse fare… qualcosa. In qualunque altro contesto, avrebbe preso sotto braccio il ragazzo, e l’avrebbe accompagnato gentilmente all’uscita, ma sapeva che la famiglia fosse intoccabile. Era stata una delle prime cose che il Linguini, seppur con quello che avrebbe definito arrendevole rimpianto, gli aveva detto quando aveva firmato il contratto, una delle clausole da buttafuori slash pr slash fra tm sai cosa, fai quello che capita con cui era stato assunto.
    Qualcosa che Kaito capiva, integrato nel suo DNA in ciascuna delle sue vite: prima la (fffffff)amig(gggggg)lia, poi tutto il resto.
    Quindi.
    Piegò curioso il capo sulla spalla, spostando infine la propria attenzione sul torinese. Al Kageyama le gerarchie non piacevano, rispettarle ancora meno, ma visto com’era andata a finire la prima volta, poteva provare a fare un eccezione – senza contare che il suo direttore, gli piacesse abbastanza da non suscitargli istinti violenti ed infantili: non era cosa da poco. - e seguire le regole. Avrebbe atteso un … cenno. Un gesto. Qualcosa. Si appuntò mentalmente di stilare una lista di parole che potessero usare per interpretare momenti come quelli; potevano prendere una delle schedine che offrivano gratuitamente nella stanza del BDSM, trovava che le safeword fossero utili in più contesti che solo in quello sessuale (o forse tutti i contesti erano un po’ sessuali se eri abbastanza coraggioso e stupido, due delle sue qualità migliori; mah). Battè le palpebre, le dita a scivolare sotto la camicia dai colori decisamente offensivi, ed i polpastrelli a sfiorare dubbiosi il metallo incastrato nella vita dei pantaloni. Doveva…? Colse il side eye del Linguini, e si fermò a metà gesto, aprendo l’altra mano per mostrarsi innocuo. No, certo, non avrebbe tirato fuori il manganello, per chi l’aveva preso, aveva capito …. (non aveva capito). Vittorio Emanuele Linguini roteò gli occhi verso una nuova galassia sconosciuta, scosse impercettibilmente il capo, e si spostò con un sorriso (derogatory e affectionate) per far passare l’altro. Fu solo per principio, e perché era fondamentalmente una testa di cazzo, che resistette un istante in più sul percorso di Romolo verso il portone del bordello, ma visto che era un bravo dipendente, gli sorrise. Una schiera di denti appuntiti, premuti gentilmente gli uni sugli altri, ma comunque un sorriso - ed anche mezzo inchino, già che c’era.
    Era proprio cambiato.
    Cresciuto, maturato. La versione migliore di se stesso, eccetera eccetera. Da quando era trionfalmente approdato in Gran Bretagna, era riuscito a mantenere un profilo basso. Bassissimo. Non aveva ucciso nessuno, non era stato arrestato neanche una volta, ed aveva istigato solo un paio – o una dozzina; o un po’ di più – di risse nei bar. Certo, capitava che si vedesse costretto dalle circostanze a spezzettare un figlio di puttana o due, ma senza rancore. Gli piaceva essere sottovalutato solo quando era utile esserlo, altrimenti vaffanculo, doveva dimostrare il contrario per principio. Di nuovo, era sempre stato così. I brutti vizi non si perdevano mai, a quanto pareva; neanche nei viaggi nel tempo che avrebbero dovuto riscrivere la storia. Ammiccò al Grande Capo quando gli passò a fianco per tornare all’interno del locale, e gli sembrò di sentire un facciamolo bere, così lo sbattiamo fuori; forse l’aveva solo immaginato, perché quando si volse incuriosito verso di lui, l’altro si strinse solo nelle spalle, seguendolo a ruota verso il MWW.
    Kaito Kageyama aveva un lavoro. Ufficiale. Con un contratto (perchè il Nord non lavora con il favore delle tenebre, cit testuale, noi i nostri dipendenti li sfruttiamo con gli straordinari). Suo padre, bastardo che era, non avrebbe mai creduto ai suoi occhi se l’avesse visto in quel momento.
    … O forse sì, visto che aveva trovato lavoro in un bordello. Magari l’avrebbe anche finalmente riconosciuto come sangue del suo sangue, notando le somiglianze nello scegliersi la compagnia. Beh, non un suo problema: a Kai quel lavoro piaceva, i suoi colleghi gli piacevano, i clienti (non sempre, ma Lapo gli aveva lasciato abbastanza carta bianca in merito a quelli che non lo facevano) tollerabili, e la paga era buona. Pubblicizzava il locale per le strade, infilando biglietti da visita del bordello al posto dei portafogli che si intascava, esattamente come quelli che lasciavano i cartellini sulle auto parcheggiate; accompagnava i clienti presso le stanze prenotate; faceva i necessari vibe check a Ty, controllando che fosse vivo e non in una spirale di terrore in un angolo del suo ufficio; si assicurava che tutti si comportassero correttamente ed in maniera rispettosa; portava la merenda alle gentili fanciulle, fanciulli, in between, e non più così fanciulli, che lavoravano nei vari settori; quando il locale chiudeva, alle prime luci dell’alba, suonava offrendo musica live di un certo spessore (Taylor Swift) per augurare dolci sonni a tutti.
    In pratica era la versione sexy di Maria Teresa di Calcutta. Quella non razzista e nazi tendente, per intenderci. «kai?» «mh?» Si fermò, piroettando sul posto per osservare il volto della ragazza egiziana spuntato da una delle tende a tema. «abbiamo finito l’olio» ma ancora. «pompage?» «le articolazioni...» eh, sì. Annuì, perché capitava di frequente.
    Davvero molto di frequente. Infatti il Kageyama si fermò al centro della stanza, battendo rapido le ciglia, valutando di spedire qualcun altro nei loschi anfratti del bordello – quella parte di locale dove lanciavano tutto quello che non gli serviva. Un luogo di perdizione che definire magazzino sarebbe stato offensivo verso tutti i magazzini del mondo. Un antro buio, e oscuro, e pieno di terrori. Tornò quasi indietro proponendo di usare lo sputo, abbastanza certo che al signor Clarke potesse piacere comunque, ma - nuova era, ok? Nuova era - inspirò profondamente, sistemando la camicia nel superare anche l’ultima tenda, e raggiungere le scale. Non c’erano passaggi segreti magici, grazie a Dio; sarebbe stato alquanto imbarazzante chiedere ogni volta a qualcuno di aprirgli la porta, di conseguenza sapeva avrebbe trovato il modo di scassinarla o sfondarla, ed a Lapo non sarebbe piaciuto.
    Forse. Magari sì... L’assicurazione avrebbe pagato? Thinkin.
    Schioccò la lingua sul palato, salendo la rampa che l’avrebbe portato a – un rumore. Era arrivato al pianerottolo, e Kai being Kai, si affacciò come una persona del tutto normale verso il piano sottostante: appendendosi con le gambe al corrimano, ciondolando di fronte alla porta di servizio con un’occhiata curiosa verso il nuovo arrivato.
    Dall’uscita dei dipendenti.
    Fece scivolare lo sguardo dall’ingresso al ragazzo, rimbalzandolo un paio di volte. Inarcò un sopracciglio, affilando un sorriso. «cercavi il bagno?»
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    Kaito Kageyama non era portato per gli abiti eleganti. Sapeva costringercisi, strizzandosi in camicie bianche ed inamidate e giacche più pesanti di quel che apparivano, e poteva perfino sembrare a proprio agio, ma non lo era. Sentiva la pelle tirare e prudere in circostanze normali, quelle in cui tali abiti erano della sua misura e di una certa classe, figurarsi quando il completo l’aveva rubato ad una tintoria, non era di marca, ed era più grande di almeno una taglia. Inspirò profondamente dentro i propri palmi, passando poi le mani sul viso e fra i capelli corvini.
    Che vita di merda.
    Se l’era cercata, quindi non se ne sarebbe lamentato. Di alternative ce ne sarebbero state almeno una dozzina, metà delle quali includevano farsi mantenere da suo cugino insieme al resto dei suoi buffi coinquilini (...forse più di metà.), ma Kai non voleva. Era il più grande, anche se di poco, ed aveva sempre covato un certo senso di responsabilità nei confronti di Ryuzaki. Voleva lo vedesse come un modello da seguire, qualcuno a cui aspirare. C’era ben poco che valesse la pena prendere come esempio, ma non voleva Ryu lo sapesse.
    Era sempre stato così, Kai. Da ragazzo, da bambino, da Genghis Khan.
    (Ah, Genghis Khan, terzogenito della gilda di Jericho e Darden. Una vita prima di cui non aveva memoria, ma di cui portava i segni in ogni gesto e sguardo. Mentre il resto della famiglia si azzuffava in un angolo di casa Jarden, Gigi creava il suo impero di giardini zen, cappellini da pescatore, droga, e merce di contrabbando: un ragazzo tranquillo, un punto di riferimento nel vicinato. Quando qualcuno aveva bisogno di qualcosa, fossero consigli o armi illegali, era la persona adatta. Il fatto che ogni tanto sentisse il bisogno di rubare la scena a Leslie o Psy nel mostrarsi uno spadaccino migliore, staccasse un dito o due a qualcuno da portare a casa come trofeo, ed amasse importunare parentame ed amici con rompi capi inventati sul momento e senza senso, era solo una marginale parte del suo innato fascino. Ma quella era un’altra storia, per un altro momento, e decisamente un Kai diverso.)
    Più del concetto di indipendenza, gli piaceva far credere di essere indipendente, finendo spesso per arrangiarsi con quel che gli capitava sotto mano. A suo favore, era molto bravo a rendere il carbone diamante, volgendo perfino le situazioni più drastiche a suo vantaggio. Kai amava definirlo un talento naturale affinato con la pratica, perché suonava meglio di rimasuglio di istinto di sopravvivenza, minchia Kaito ma ce la fai a vivere come un essere umano funzionale, santiddio; certe cose non si potevano scrivere sul curriculum. Non aveva un lavoro. Non aveva una casa. Di amici, ne aveva solo se si contavano quelli a cui cingeva le spalle da un locale all’altro del mondo magico (e non), cantando Lana Del Rey mentre infilava la mano nelle loro tasche fregando gli spicci per il drink successivo. C’era da dire che non fosse una vita monotona, esattamente lo stile che piaceva a lui. Adorava sorprendersi e reinventarsi, crearsi personaggi nuovi con cui irrompere sul palco offrendo inchini e baci al pubblico, ma quell’esistenza, sempre che così si potesse definire, aveva i suoi svantaggi.
    Tipo non sapere quando avrebbe mangiato, se l’avrebbe fatto.
    E quella, signori, signore e signorx, era la breve storia di come si fosse ritrovato costretto ad un completo raffinato, davanti ad opere d’arte che non comprendeva, in uno dei locali più esclusivi di Quo Vadis. Non il suo scenario tipo, ma uno che poteva far funzionare. Probabilmente. Passò la lingua sul labbro superiore, affinando la vista alla ricerca di potenziali vittime. Gente ricca, si intendeva – non solo non era nel suo stile rubare ai poveri, ma al contrario del ceto alto, loro si sarebbero accorti subito della mancanza di un paio o cinque galeoni - e possibilmente abbastanza ubriaca da dargli il briciolo di confidenza necessario ad invadere, anche se per errore, i loro spazi personali. Arrogante e sobrio funzionava comunque, perché la presunzione era la peggiore delle tossine. Impediva di abbassare il livello, sapete; di guardare le cose dal basso, e riconoscerle per quel che erano. Sistemò i risvolti della giacca nera, scandagliando la folla a dir poco mista del SUB. Non aveva neanche capito il tema, Kaito. Di quel tipo di arte se ne intendeva poco, era un musicista, ma apprezzava il buio, che gli avrebbe permesso di passare inosservato.
    Ironico che fosse la morte. O la vita. O entrambe: Kai, come un qualsiasi fantasma, contava sia per l’una che per l’altra categoria. Reclinò il capo sulla spalla, osservando quello che decise di catalogare come Vittima Numero Uno mentre incespicava per la stanza. Lo sguardo del Kageyama scivolò immediato sul polso, attirato dallo scintillio dell’orologio, ed iniziò a spostarsi con l’eleganza di un predatore. Dopotutto, di quello si trattava: era stato cresciuto ed addestrato perché in quel mondo mordesse, non il contrario. Il fatto che talvolta le parti si invertissero, non erano davvero affari di nessuno, soprattutto non in quel contesto. Moving on - letteralmente.
    Si ritrovò al suo fianco, e fluido spostò un piede perché si trovasse sui passi dell’altro. Quello inciampò, finendo poi per incespicare negli abiti di una donna impegnata ad osservare un’opera – sembrava il suo quaderno di quando andava a scuola, non sapeva come sentirsi in proposito – e Kai fu repentino a poggiare una mano sulla spalla dell’uomo per stabilizzarlo.
    L’altra sotto la giacca a prendere il portafoglio, già spinto oltre il polsino della propria camicia, ed ora a contatto con il proprio braccio. Lo aiutò a rimettersi in piedi, sopprimendo solo parzialmente il sorriso nel notare l’occhiata della donna. Diede una pacca sul fianco di Vittima Numero Uno, indicando la sciura all’ometto. «dalle vostre parti non si chiede scusa?» intimò, corrugando le sopracciglia, sillabando piano le parole perché, beh, chi cazzo lo sapeva l’inglese. Capiva una conversazione, ma parlare era… più complesso. Di scrivere, poi, non se ne parlava. L’accento nipponico restava pesante sulla lingua del Kageyama, che oramai aveva smesso di farsene un cruccio. Curvò gli angoli della bocca verso il basso, scuotendo il capo. Nel togliere la mano dal braccio dell’altro, fece scivolare le dita sul meccanismo dell’orologio, e si intascò pure quello – il tutto continuando a parlare, ed afferrando con la mancina un calice di qualunque cosa dessero gratuitamente!!! da bere da quelle parti. I furti migliori, erano quelli sotto gli occhi di tutti. «assurdo» scosse il capo rammaricato, offrendo un’occhiata di scuse alla donna, ed il proprio bicchiere con cui fare brindisi.
    Era sempre un buon momento per bondare su quanto fosse derogatory la specie maschile.
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    EKKIME EKKIME! SONO #EPICWIN!
    Aka sara sr (siamo in tre, le altre sono sara vj e sara jr: il bello della diretta #wat) aka davvero un ...sacco di pg, come avrai notato dalla lista delle doppie utenze coff coff perchè chiaramente ho dei :sparks: problemi :sparks: e nessuno mi ferma. Mannaggia a loro!
    CITAZIONE
    SIETE PAZZ* LA TRAMA È FIGHISSIMA.
    Mi piace un sacco!

    MA AIUTO GRAZIE???? CHE EMOZIONE????? BACINI BACINI AW!!!! è il frutto di un enorme lavoro di squadra, un patchwork di tante idee, quest, lezioni, role, perchè tutto contribuisce a crearla e renderla più ricca! e dettagliata! giusto oggi parlavamo della tratta umana se si possano o meno avere domestici umani (la risposta è: assolutamente sì, se ti interessa) e anche questo fa parte dell'ampliare il gioco, e di conseguenza la storia, e hfdskj insomma tutto bellissimo e sono sempre grata a tutti ♥ GRAZIE DI AVERCI DATO UN'OPPORTUNITà!
    dicci, cosa leggi?? io anche leggo un sacco, sono molto basic eh, leggo tutto quello che mi consiglia il booktok (tranne il monsterporn perchè non penso di essere pronta a quello) e MOOD PER LE SERIE TV! Anche io prima ne macinavo un sacco, poi... ho smesso. Chissà perchè. La vecchiaia forse.
    hai anche già finito il pg quindi non ti chiedo spoiler, ma VOGLIO SAPERE I PROSSIMI!! tanto ce ne saranno, dai, come potresti resistere, mhmh.

    BENVENUTISSIMA NYX! ti ho già detto come mi chiamo, aggiungo solo che sono vecchia e mi lamento sempre (almeno sono onesta.) se ti va ci vediao su telegram, altrimenti qui (ganga) SCRIVI SE HAI BISOGNO SENZA PROBLEMI, BACI BACI ♥
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    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©
    kai kageyama
    24 y.o. - jarden's guild - not dead yet
    Doveva dirglielo. Sapeva, Kaito, che dovesse dirglielo. Stava osservando suo cugino da un tempo che la norma avrebbe considerato inopportuno, e che nel suo cercare di passare inosservato, non poteva che renderlo allarmante, ma a nessuno importava abbastanza perché potessero giudicarlo. Non del ragazzo seduto al tavolo più lontano, spalla contro il muro, cappuccio calato sui capelli scuri; non di quello che gridava a gran voce che volesse uno, l’ennesimo, spritz, le parole a mescolarsi fra loro e calpestarsi a vicenda.
    Doveva proprio dirglielo.
    Abbassò il capo sulle proprie mani, forzando le labbra a curvarsi verso il basso per non ridere.
    Non voleva. Una parte di lui, quella più infantile e più sua, avrebbe voluto essere già seduto al fianco di Ryu, averlo accompagnato nel viaggio onirico che l’aveva condotto in quel posto specifico, sentire i venti euro di aperitivo friggere con migliaia di bollicine nelle vene. Rendere la testa leggera, e far galleggiare i problemi così che non lasciassero impronte sul pavimento. Il Kai di qualche anno prima, l’avrebbe fatto.
    Poi era morto.
    Non davvero, lasciava quelle esperienze extra corporee a chi possedeva più principi ed ideologie di lui – letteralmente chiunque, esatto – ma abbastanza realmente da aver smesso di esistere. A conti fatti, forse era più deceduto lui che un battito l’aveva sempre avuto ma era stato ormai rimosso e dimenticato, piuttosto che quelli dallo sterno strizzato diventati martiri meno di un mese addietro. Faceva riflettere; anche ridere, se eri coraggioso abbastanza da farti un paio di domande ed ignorarne le risposte. Il Kageyama strinse il labbro inferiore fra indice e medio, arcuando le sopracciglia e rischiando una breve occhiata al cugino.
    L’aveva trovato, alla fine.
    Dopo quasi sei mesi, un duro colpo alle sue doti investigative. A suo favore, era scoppiata una guerra e le sue preoccupazioni erano state altre (cercare una nuova casa disabitata dove vivere, trovare del cibo che non fosse stato già trafugato, provare a non morire in un mondo che sembrava odiarlo, se possibile, più di prima) fra cui manifestare che il clan dei Kageyama non fosse stato spazzato via dalla furia del Signor Abby. Sì, voleva distruggere il loro impero, ma con le proprie mani: quello era stato barare, ed un grosso colpo basso per Kai. Confidava che come gli scarafaggi che si erano dimostrati tutta la vita, i suoi parenti fossero sopravvissuti e stessero ricostruendo il loro regno da zero.
    Ed allora Kai avrebbe aspettato, annientandolo di nuovo. Soffiando sulle carte del loro castello una per una in un perverso gioco di di Jenga che prolungasse il dolore. Ah, il solo pensiero bastò a far sfuggire il labbro dalla presa, curvandolo in un sorriso truce.
    Guardò ancora Ryu. Lo sentì borbottare ulteriormente qualcosa di assolutamente privo di senso.
    Non era il momento migliore per rivelare al proprio cuginetto preferito che, ebbene, non fosse mai morto e papà caro avesse cercato di ucciderlo, ma neanche il peggiore. E poi qualcuno doveva proprio intervenire, ed a giudicare dalle occhiate del resto dei commensali, non sarebbe stato nessuno di loro.
    Umettò le labbra, sospirando piano. Si alzò con un grugnito, stiracchiando i muscoli tesi, assicurandosi con un gesto distratto che le armi fossero ancora tutte lì, incastrate in ogni pertugio possibile e non. Sapeva essere molto creativo riguardo il dove nascondere le proprie lame; ne aveva una incollata sul palato, piccola e discreta.
    Era sobrio, Kai. Un fatto che in qualunque altro giorno sarebbe bastato a metterlo di cattivo umore, ma che in quello specifico non poteva che esserne grato. Si avvicinò a passi lunghi e languidi al tavolo di Ryu.
    Lo superò.
    Milano, uh. Battè le palpebre una volta allo spettacolo su cui il Kageyama minore aveva posato gli occhi sino a quel momento, studiando il profilo del duomo e le figure sfocate dei passanti. Schioccò la lingua sul palato.
    Poi spostò il cartonato lontano dalla visuale del ragazzo, offrendogli il reale panorama: una stazione distrutta. Nessuna promessa di una città florida e ricca, solo binari grigi e l’usuale aria di perdizione che lambiva le banchine del treno. Addii ed arrivederci resi più drammatici del fatto che un treno, per quelle vie, non sarebbe passato per un bel po’, visto che la strada cessava di essere transitabile pochi metri dopo.
    Probabilmente neanche Milano esisteva più. Kai non si era informato.
    Rimase di spalle ancora un paio di secondi. Quando si voltò, lo fece sorridendo come se qualcosa di quella situazione fosse anche lontanamente normale. «non è da me tarpare le ali dei tuoi sogni, cuginetto, ma» soffiò l’aria fra i denti, trascinando una sedia dal tavolo vicino per piazzarla di fronte a Ryuzaki. «stava diventando un po’ ridicolo» e pagliaccio, quindi ampliò il sorriso affilando tutti i denti.
    Oh, quanto gli era mancato.
    Oh I did the same to you
    Maybe I’m the villain too
  14. .
    aw dara e mood in a nutshell


  15. .
    Aveva smesso solo un paio di secondi prima di dondolare la gamba sullo sgabello. Non un gesto nervoso quello di Kai, quanto più un segno dell’energia compressa male fra pelle e muscoli che trovava nel dondolio costante del ginocchio un parziale sollievo. Era da sempre un po’ troppo sovra eccitato, incapace di rimanere fermo non più di qualche secondo prima di iniziare a torturare quella o quell’altra pellicina delle dita, quando non grattare via lo smalto dalle unghie o tirare l’elastico legato al polso, ma da quando era ufficialmente morto, il suo corpo sembrava incapace di quietarsi dal suo stato costante d’allerta. Non mostrava nervosismo o particolare attenzione, era pur sempre un Kai, ma non significava non lo fosse. Il languido sguardo scuro si posava più spesso del dovuto sulla porta del locale, seguiva più minuziosamente i movimenti degli avventori di Madama Piediburro in cerca di armi o brutte intenzioni. Non in maniera ovvia, ma lo faceva.
    «non mi dire niente, e quelli che al supermercato pagano con tutte le monetine? ugh» scrollò il capo, come se quelle stesse monetine non fossero la sua unica fonte di reddito e non fosse perennemente felice dei vecchi che non si fidassero delle banche e girassero con i contanti. Alzò il bicchiere, che poteva permettersi solo grazie alla signora con la quale era entrato accidentalmente in collisione prima di entrare al locale, verso il suo compagno di conversazione, accennando un sorriso complice. Aveva un notevole spirito d’adattamento, il Kageyama, ed una capacità strabiliante di attaccare bottone con tutti. Davvero tutti. Dire che parlasse anche con i muri, non sarebbe neanche stata una metafora: gli oggetti inanimati ricevevano tante attenzioni dal magonò quanto le persone e gli animali.
    Si sistemò più comodamente sullo sgabello, movimenti rilassati ed allo stesso tempo precisi e calcolati. Non era mai stato un grande stratega, ma aveva imparato ad esserlo; in matematica continuava ad essere una schiappa, ma in qualche modo arrivava sempre al risultato corretto.
    O quasi. Esisteva l’arrotondamento apposta.
    Tirò il tessuto della maglietta nera sull’addome per staccarlo dalla pelle, ed infilò un dito nel colletto facendo entrare aria fra l’indumento e l’epidermide. Con il suo coinquilino condivideva, oltre all’appartamento ed una passione smodata per le armi, anche la taglia: se non era destino quello! Un incontro così dettato dal Fato che Grey, il coreano a cui apparteneva la cucina doveva si era preparato ramen precotto per mesi, non aveva saputo della sua esistenza fino a poco meno di un’ora prima. Magico. Forse scontrato sarebbe stato il termine più adatto per definire la colluttazione avvenuta con l’altro, ma Kai era un inguaribile romantico ed un impossibile ottimista: voleva credere fosse solo l’inizio di una travagliata, ma costante, amicizia destinata a durare nei secoli a venire. Non era neanche arrabbiato per il dover essere scappato dalla finestra del bagno, e molto velocemente, o per essere rotolato al vicolo sottostante con diverso graffi sulle spalle, ed un coltellino ancora incastrato nel ventre.
    E sì. Eh già. Kaito Kageyama stava facendo aperitivo da Madama Piediburro con una ferita ancora aperta e fresca nella pancia, senza possedere nulla di suo se non il sorriso sornione a curvare le labbra, e le lame che era riuscito ad afferrare prima di essere costretto ad abbandonare la sua base fino a data da destinarsi. I vestiti? Di Grey. I soldi? Dei passanti. L’anima? Al diavolo.
    Non era così che aveva immaginato la sua terza seconda vita.
    Era arrivato in Gran Bretagna a Dicembre per cercare Ryu, perché aveva bisogno di lui e sapeva che per il cugino fosse lo stesso, anche se l’altro Kageyama ancora non lo sapeva. Aveva un piano, sapete. Poco abbozzato, perché credeva nel potere dell’improvvisazione, ma aveva un piano.
    Fallito miseramente nel momento in cui, all’ultimo alloggio in cui aveva rintracciato Ryu, Ryu non c’era - anzi. Il tizio che gli aveva aperto, alto e sottile quanto una canna di bambù, quando aveva chiesto se il Kageyama fosse in casa, si era rotto. Kai era una persona piacevole, giuro, aveva sorriso e salutato agitando la mano, domandando solo umilmente se ci fosse Ryu. Aveva anche cercato la terminologia giusta su Google Traduttore, perché l’inglese non lo sapeva (punto.) così bene. A giudicare dall’espressione dell’altro, e dal colorito pallido, doveva aver fatto la domanda sbagliata.
    Chissà cosa gli aveva chiesto. Erano rimasti a fissarsi confusi un paio di secondi, uno ad attendere cercando di sembrare innocuo, e l’altro a boccheggiare sull’uscio. Avrebbe potuto rimanere lì anche tutta la notte, se al «FAAAAKEEEE» del moro, non fosse apparso un secondo personaggio che...
    Beh. Non aveva presa benissimo il quesito di Kai. Con non l’aveva presa benissimo, s’intendeva che Kai fosse molto, molto bravo a correre, e fosse sparito prima di ritrovarsi squartato in un vicolo qualunque di Londra senza un solo essere vivente a piangere la sua reale dipartita.
    Non era sopravvissuto a suo padre per quello.
    Cosa facevi quando ti ritrovavi a Londra senza (1) conoscere la lingua (2) documenti (3) un posto in cui vivere (4) dei soldi tuoi? Imparavi a sopravvivere, come i topi e gli scarafaggi.
    Kaito era un parassita. Aveva trovato un appartamento vuoto, e ci si era stabilito. Viveva di piccoli furti, e mance dei passanti alla sua musica – con una chitarra che aveva rubato; non era stato facile. L’appartamento non era più vuoto, ma insomma… Kai era un tipo sentimentale, ci si era affezionato. L’aveva tenuto in ordine per mesi, doveva pur contare qualcosa. Non aveva neanche spiato (troppo) gli effetti personali del precedente inquilino! L’idea di dover trovare un altro posto dove vivere, non gli piaceva – quindi non ci pensava, perché Kaito i problemi li affrontava così, sul momento.
    Era andato da Madama per quello. Nessuno l’avrebbe cercato lì, ed avrebbe potuto rimandare il resto ad un secondo momento. BONUS: avrebbe potuto trovare qualcuno che l’avrebbe portato a casa sua, ed almeno per la notte sarebbe stato a posto. Era bravo ad ottimizzare. «ehi erin, un altro giro!!! grazie» sorrise alla ragazza, mostrando denti affilati ma morbidi. Non era lì per mordere nessuno, era un cliente abituale dopotutto. Si alzò leggermente in piedi, spingendosi oltre il bancone per spiare il retro. «non c’è chouko oggi?» Kaito non aveva sempre strane ossessioni, ma qualche volta sì, e l’altra cameriera di Madama era una di quelle. Sara non ricorda se Chouko sappia effettivamente il giapponese, quindi lasceremo scegliere a Lia se la Mizumaki fosse l’unica anima con la quale Kai potesse effettivamente avere una conversazione di senso compiuto. Erin lo osservò, sopracciglia leggermente corrugate. Sapeva, Kai sapeva, cosa volesse dirgli, e fu rapido ad alzare le mani in segno di resa. Erin Chipmunks non faceva propriamente paura, ma il Kageyama aveva imparato a leggere fra le righe, e non voleva essere preso a testate solo perché aveva sottovalutato una ragazza carina e gentile – been there, done that. «siamo amici?» forse no, ma non sapeva come dirle che sentisse avessero qualcosa senza farlo passare per un qualcosa che non era. Un interesse platonico, una scintilla metafisica a legarli da un altro piano astrale. Boh, gli piaceva e basta, mica doveva tutto avere uno sfondo sessuale, no? Lo sguardo di Erin scivolò sui palmi rivolti verso di lei, le ciglia a sfarfallare sulle iridi nocciola. «quello è sangue?» Kai guardò. Portò un dito alle labbra, leccando il liquido dalla pelle. «nah, succo!» decisamente sangue.
    kaito
    kageyama

    He lived like a devil and died like a saint
    So in the end they were singing his name
    He was that beautiful kind of deranged
    Haunted and strange, couldn't be saved
    23 y.o.
    squid
    (2043: genghis khan)
20 replies since 12/1/2023
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