Ex Libris Forum - Libri, Recensioni, Novità letterarie e Gruppi di lettura

Posts written by Penn

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    Un grigio scuro scuro, ho sofferto a leggerlo. E anche la reazione di Sissy mi ha lasciato interdetta. Doveva essere un momentaccio per Simenon!
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    Nato a Tavanasa, frazione di Brigels nel Cantone dei Grigioni nel 1978, Arno Camenisch è uno scrittore e poeta svizzero.
    Si è diplomato all'Istituto letterario svizzero di Bienne dove vive e lavora. Scrive in tedesco e romancio nella variante sursilvana.
    Ha esordito nel 2005 con il romanzo Ernesto ed autras manzegnas scritto interamente in romancio al quale ha fatto seguito una trilogia grigionese composta da Sez Ner, Dietro la stazione e Ultima sera scritti in un pastiche linguistico che mescola svizzero-tedesco, sursilvano e italiano.
    Le sue opere sono tradotte in italiano da Roberta Gado ed Elisa Leonzio.

    Romanzi
    Dietro la stazione (Hinter dem Bahnhof, 2010), Rovereto, Keller, 2013
    Ultima sera ( Ustrinkata, 2012), Rovereto, Keller, 2013
    La cura (Die Kur, 2015), Rovereto, Keller, 2017
    L'ultima neve (Der letzte Schnee, 2018), Rovereto, Keller, 2019
    Anni d'oro (Goldene Jahre, 2020), Rovereto, Keller 2023

    (Wikipedia)

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    Keller, 124 p. – traduzione Elisa Leonzio
    Da 51 anni, Margrit e Rosa-Maria gestiscono il loro chiosco con pompa di benzina e insegne al neon. È il punto di riferimento per l'intero paese. Da Margrit e Rosa-Maria sono passati tutti e loro hanno visto di tutto: auto eleganti e vecchi ciclomotori, il Tour de Suisse, celebrità, truffatori che volevano fregarle e star del cinema. Ma i loro preferiti sono gli amanti e i freschi innamorati. Margrit e Rosa-Maria posano sul bancone ciò che i loro clienti desiderano e ricambiano ascoltando i loro desideri più intimi. Arno Camenisch racconta con grande ironia e grande amore un mondo che cambia – ma fino a quando Margrit e Rosa-Maria gestiranno il loro chiosco con insegne luminose e pompa di benzina, il mondo rimarrà un posto meravigliosamente bello e luminoso.
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    Camenisch in questo romanzo ci racconta del tempo che passa, delle cose che cambiano intorno a noi e lo fa attraverso la voce di due donne che hanno gestito per 50 anni una stazione di servizio in una valle piuttosto remota della Svizzera.
    E’ di fatto una lunga chiacchierata tra le due con occasionali innesti di vecchie foto o di articoli di giornale, che contribuiscono a ricreare i fatti salienti e le cose che hanno visto in tutto questo tempo: dai momenti gloriosi, come il passaggio del giro di Svizzera, o la famosa discesa con gli sci nel film di 007 girata nella valle vicina, ai momenti drammatici come la terribile inondazione quando “il Reno si era trasformato in un drago marrone…”, e le valanghe che hanno trascinato via le case, ma la maggior parte dei ricordi riguarda la vita di tutti i giorni, i vicini, i piccoli scandali e gli immancabili pettegolezzi. O le abitudini che scompaiono come il chewing gum che per decenni non mancava mai nella tasca, in borsa o in bocca e a un certo punto voilà, come direbbero le due, sparito.
    E’ che finché ci sono queste due sorelle a ricordare, il passato (r)esiste ancora. Sono estremamente fiere di quello che hanno fatto, due donne sole, che sono riuscite a mettere in piedi e tirare avanti un’attività, che si presumeva prevalentemente maschile, anche grazie a piccoli gesti femminili, accortezze che si trovano nelle piccole botteghe di paese e che hanno permesso loro di avere una clientela affezionata, oltre ai clienti di passaggio.
    Si sentono pioniere, e in effetti hanno una modernità che supporta questa loro convinzione. E in tutto il loro raccontare e raccontarsi emerge il profondo legame verso la loro terra e la grande resistenza che ha permesso loro di essere ancora lì dopo tutti questi anni.
    Camenisch ha un linguaggio tutto suo, con una punteggiatura estremamente creativa, come una sorta di flusso di coscienza. In realtà è un chiacchiericcio, intercalato da parole straniere spesso storpiate, espressioni dialettali e frasi-litania “si raddrizza gli occhiali dalla montatura dorata” o “questo nostro bel chiosco” e ogni tanto da qualche sottile, ma a volte anche più esplicito, doppio senso. Perché sono anche molto buffe le due, come lo sanno essere le donne arrivate a una certa età.
    Questo volumetto di poco più di 100 pagine, che ci scorre davanti come un vecchio cinegiornale, tra sagge ovvietà in cui ci si riconosce, ricordi di cose che furono e qualche risata, alla fine lascia un segno che sa di buono.
    Autore che non conoscevo, sicuramente da seguire.

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    Mondadori, 216 p.
    Il 20 settembre 1943 alle quindici e trenta un manipolo di ufficiali nazisti varca la soglia di palazzo Koch, elegante sede della Banca d'Italia. Fra loro c'è il tenente colonnello delle SS Herbert Kappler, comandante dello spionaggio hitleriano. I tedeschi presentano le loro richieste al governatore Vincenzo Azzolini: vogliono l'oro della Banca d'Italia, tutto l'oro. In quel momento, nei suoi caveau, l'istituto di via Nazionale ne custodisce quasi 120 tonnellate. Un solo uomo, all'interno della banca centrale, decide di opporsi e organizza un sofisticato inganno per impedire ai nazisti di trafugare la ricchezza degli italiani. Si chiama Niccolò Introna, è un dirigente di settantacinque anni, un fervente valdese che tiene sermoni alle comunità di fedeli nei giorni di festa. Durante il fascismo, Introna aveva combattuto in segreto la corruzione e il sistema cleptocratico attorno a Mussolini, documentando le operazioni del duce per trafugare il denaro pubblico. Un servitore dello Stato. Eppure, il suo nome, per le vicende finora mai raccontate e portate alla luce in questo libro, verrà volutamente cancellato e dimenticato. Federico Fubini ha avuto accesso alle circa ottantamila pagine di documenti, in parte riservati, che il funzionario accumulò per tutta la vita, e ricostruisce per la prima volta, in modo inoppugnabile, l'appropriazione di denaro pubblico da parte di Mussolini e tutta la sofferta vicenda dell'oro della Banca d'Italia. La storia di Introna, le sue lotte antifasciste, la sorda e caparbia ostilità dei suoi molti nemici trasmettono un monito che arriva con forza all'Italia di oggi.
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    La prima considerazione che mi sento di fare è che trovo veramente strano che una persona della caratura professionale, ma soprattutto morale, di Niccolò Introna sia sconosciuta ai più. Io ad essere sincera non ricordavo nemmeno l’episodio dell’oro della Banca d’Italia, che Fubini ricostruisce in modo sapiente, coinvolgendo emotivamente il lettore in questa avventura che si legge come un thriller.
    Dalla storia di questo avvenimento, di per sé interessantissimo anche nel rendere l’atmosfera di quei giorni tragici, con un paese tagliato in due, l’autore sviluppa però un tema molto più sensibile e sottile che è quello della scelta dell’individuo tra l’asservimento o la resistenza a un regime in situazioni di criticità e persino pericolo.
    Introna si erge su molti suoi colleghi e superiori nella sua ostinazione a rispettare le regole dell’istituto per cui lavora, anche quando a chiedere un’eccezione sono le massime autorità politiche. La separazione dei poteri e delle responsabilità resta un principio di diritto su cui non transige e non lo farà mai, fino alla fine della sua carriera, che per questa sua attitudine subirà una brusca battuta d’arresto.
    Il fatto che anche i suoi capi siano più morbidi (e molto più incapaci, e questo spiega perché, seppur non arriverà mai ai vertici, Introna resterà ancora per anni al suo posto) e pronti al compromesso in quel periodo turbolento, pur non essendo del tutto giustificabile, può ancora essere comprensibile. Non tutti sono coraggiosi o hanno il dono del sangue freddo. Quello che però non è né comprensibile né accettabile, è il comportamento vergognoso di molti dei politici di primo piano a guerra finita. Introna aveva avuto la colpa di rompere il patto di omertà all’interno dell’istituto, accusando il suo ex capo di non aver nemmeno tentato di salvare l’oro della banca. Il processo che si aprì nel 46 vide Introna come il giuda che per invidia aveva calunniato il suo superiore. Al di là di come andarono poi le cose, il comportamento di molti nomi illustri, e anche illustrissimi, lascia l’amaro in bocca, e spiega molte cose dei nostri tempi. In un periodo che ci viene descritto come la rinascita del paese su basi più civili e più giuste, molti scelgono da che parte stare sulla base di cosa conviene loro. Una politica di scambio, che accetta di stendere un velo sopra fatti mai chiariti, negoziando una tregua un tanto al chilo, sarà alla base di tutte le assegnazioni delle principali cariche di quegli anni.
    Introna sarà tagliato fuori da qualsiasi gioco, e non solo, cercheranno di punirlo anche dopo il pensionamento. Resteranno a conferma della sua integrità e della sua eccezionale competenza, centinaia di testimonianze sia all’interno della banca che in seno a istituzioni estere. Leggendo, ho sperato che quelle e la sua coscienza gli siano state di sufficiente conforto. A me l’ingiustizia che percorre tutto il libro ha fatto venire un groppo alla gola e un gran nervoso.
    Un grazie a Fubini per aver riportato alla luce la storia di quest’uomo che avrebbe meritato ben altro trattamento da parte del suo paese.

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    Primo episodio che leggo di questa serie e che ho trovato sicuramente molto gradevole. E’ difficile uscire dalla lettura di uno dei libri di Carofiglio con un giudizio negativo, perché tra capacità e mestiere il risultato se lo porta sempre a casa.
    Se devo trovare una debolezza, non è nella storia, dove come sempre l’elemento di umanità ha un peso che approvo profondamente, ma nei soliti stereotipi che lo scrittore inserisce nei suoi romanzi. Evidentemente ci tiene a ribadire il suo amore per la lettura, ma magari ogni tanto un maresciallo dei carabinieri – o un avvocato - meno dipendente dai libri e più portato per interessi meno rifiniti, che so? giocare a tresette con gli amici al circoletto, potrebbe essere una boccata d’aria fresca.
    Ribadisco anch’io che ciò comunque non mi impedirà di continuare a leggere i suoi romanzi.
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    CITAZIONE (Itaca @ 11/5/2024, 15:49) 
    Anche io devo ascoltarli mentre sono impegnata nel fare qualcosa, tipo cucinare o stirare, altrimenti mi addormento!

    Oddio qualche volta può anche far comodo!
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    Trovo i classici russi travolgenti, qualsiasi cosa raccontino. Non c’è mezza misura, non c’è distacco o understatement di alcun tipo. I loro sentimenti sono sempre a forti tinte anche quando, come in questa storia, la protagonista è Liza Michajlovna, una sensibile giovane fanciulla pura di mente e di cuore. Difficile resistere alla commozione.
    Per contro è impossibile evitare di divertirsi al racconto dei “cattivi” che sembrano più spudorati che effettivamente malvagi, come nel caso di Varvara Pàvlovna. O degli sciocchi, che lo sono in misura quasi incredibile, come la cugina Mar’ja Dmitrievna, forse la figura più fastidiosa del romanzo insieme al piacione Vladimir Nikolaič Panšin, la descrizione della cui pochezza è fantastica. O ancora nel caso della vecchia Marfa Timofeevna, ma qui oltre al divertimento, inevitabile data la sua sagacia, si prova anche ammirazione e rispetto.
    La storia si dipana come immaginabile sin dall’inizio, in realtà qualche colpo di scena del tipo “ma diavolo, proprio senza vergogna!” vien fuori, ma non cambia il finale.
    Indimenticabili alcuni personaggi, dallo sfortunato Lavreckij per cui si finisce per fare il tifo, al povero maestro di musica che non perde mai la speranza di lasciare un segno dietro di sè. Ma di ognuno di loro Turgenev fa un ritratto efficace e credibile, anche delle figure minori, che aiutano a comporre un affresco perfetto.
    Bella come sempre l’ambientazione, in queste dimore nobiliari dove gli ospiti entrano ed escono in tal modo che oggi si definirebbe senza ritegno ma che all’epoca era la norma. Un’ospitalità estremamente generosa, ovunque non ci fosse necessità di lesinare su alcunché.
    Come dice Brave, le cose sarebbero cambiate drammaticamente di lì a un po', al mondo sono però rimaste queste testimonianze che rendono tutta l’atmosfera di quei tempi, suggestivi benché ingiusti.
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    Letto La ladra di Mario Tobino, breve ma potente, mi è piaciuto molto.
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    Terminato lo smilzo romanzo La ladra di Tobino per il Gdl Inferno, una sorpresa!

    Ora inizio Mr Skeffington della von Arnim, che ha pazientemente atteso il suo turno...
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    Che romanzo disperato! Veramente mi ha messo addosso una desolazione unica la storia di Frank, giovane uomo che sembra odiare tutti. Le donne in modo speciale e sopra a tutte la madre, colpevole di averlo messo al mondo senza un padre presente: in un raro richiamo alla sua infanzia, dove emerge la sua diversità rispetto ai compagni, si legge la sua precoce sofferenza e il successivo disprezzo per colei che l’ha causata.
    Lo conosciamo durante l’occupazione militare del nemico in un paese infreddolito, affamato, dove se non hai gli appoggi giusti rischi di non sopravvivere. Se sei una ragazza appena piacente la soluzione è solo una, e la madre di Frank è lì per fornirla. Se sei un uomo, devi in qualche modo cavartela da solo.
    Se sei Frank, con le spalle coperte dalla madre tenutaria di bordello, potresti vivere benino, a meno che la rabbia ti divori. Nel suo caso, questo lo porterà a dover dimostrare a se stesso chi è e cosa può, compiendo atti gratuiti di inaudita violenza. O a tentare di sedurre una giovane ingenua, fine e romantica, lontana da lui anni luce, per cui prova una sorta di timida venerazione.
    Frank nel suo profondo spera che lei gli resista, forse nell’inconscia illusione di trovare in lei quella dirittura morale che non ha mai conosciuto: quando lei si dimostrerà invece soggetta alle tentazioni dell’età, vede cadere una dea. All’improvviso perde interesse e predispone verso di lei un atto turpe che sembra quasi una punizione per non essere stata all’altezza.
    In realtà la mia sensazione è che per tutto il tempo il ragazzo stia punendo se stesso per non riuscire a trovare un senso alcuno nella sua inutile vita. Lo chiarirà l’epilogo dove tutto sembra concludersi in un annientamento della ragione e in una resa al destino.
    Odiosa oltre ogni misura la figura della madre.
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    Pur essendo oramai abituata al dolore che pervade ogni singolo episodio di questa bellissima serie, e soprattutto la vita del commissario Ricciardi, questa volta dove ti giri ti giri non c’è un barlume di luce.
    Non solo il delitto centrale è particolarmente cattivo, di quelli che fanno orrore, ma anche le storie che gli ruotano intorno sono buie e disperate. Ancora di più perché sta arrivando il Natale.
    E’ una Napoli, e un’Italia, che vive nell’incertezza, che ha paura di cosa potrà succedere, mentre iniziano a trapelare le voci circa i campi di sterminio tedeschi e si parla di un giro di vite anche in Italia sull’applicazione delle leggi riguardanti gli ebrei, la qual cosa potrà avere un impatto anche su persone che conosciamo bene. Nel frattempo il fascismo continua la sua marcia, senza preoccuparsi di chi resta travolto.
    Ci sono un paio di miracoli anche questa volta, che però non riescono a dissipare l’amarezza e si chiude il libro nella speranza che De Giovanni non ci molli qui. Ché noi dobbiamo sapere!
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    SANDITON
    Sanditon è stato il break di cui avevo bisogno.
    Che peccato che non abbia potuto essere terminato! Mi sono fatta più risate in queste cento e poco più pagine! La Austen andando avanti sembra aver affilato ancor di più il suo senso dell’umorismo, graffiante senza però essere cattivo. Ci sono delle scene veramente divertenti, quasi tutte sul tema salute che, posso capire, all’epoca era centrale nella vita delle persone.
    Nonostante la brusca e precoce interruzione, ci si fa un’idea piuttosto precisa dei personaggi, di cui si riesce a capire indole e personalità. L’aver visto la serie TV ha limitato la mia immaginazione e allo stesso tempo mi ha dato una prospettiva, seppur fittizia, dato che non sappiamo che sviluppo della storia avesse in mente Jane.
    In ogni caso, seppur tronco, di Jane Austen mi va bene tutto. Credevo di aver esaurito con questo tutta la sua produzione, ma ho visto che mi manca I Watson. Poi andremo di riletture.
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    Lettura poco impegnativa, con una scrittura semplice e un’architettura molto lineare che facilita la comprensione delle vicende raccontate.
    Di Paolina Bonaparte conoscevo solo qualche cenno di massima e la famosa statua di Canova che ho avuto il piacere di ammirare qualche anno fa nella sua splendida cornice. Non sapevo che fosse così trasgressiva e capricciosa, tratti compensati, almeno a dar retta al libro, da una forza vitale e un’abnegazione nei momenti di necessità del tutto straordinarie.
    I fatti raccontati, intrecciati strettamente con la gloria e rovina di Napoleone, sono interessanti da ripercorrere, anche se necessariamente forzati in un’ottica di storia romantica. Quanto a quest’ultima, difficile sapere quanto di reale e documentato ci sia, visto che la parte romanzata sembra avere la prevalenza. In una dimensione piena di eccessi che si stenta anche a immaginare, con in più diversi inserti un po’ pruriginosi per strizzare l’occhio al mercato.
    Mentre si legge gli eventi prendono comunque il sopravvento e si arriva senza alcuna fatica alla fine del libro. Buono per rispolverare un po’ di storia e passare qualche ora rilassante.
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    Terminato il libro su Paolina Borghese, gradevole lettura non impegnativa, e in parallelo l'interessante Una stanza tutta per sé, due mondi femminili distanti nel tempo e negli intenti ma accomunati da una profonda forza di carattere.

    Messo in ascolto Dove nasce il vento di Nicola Attadio, sulla vita di Nellie Bly e in lettura La ladra di Mario Tobino per il Gdl Inferno.
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    Veramente tosto
2420 replies since 12/9/2022
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