Posts written by O' Tir a Cir

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    nome pg: Olga Ivanovska
    fazione: pro
    dov'è: ULTIMA SETTIMANA — NORMALE
  2. .
    Olga Ivanovska
    MATRICOLA
    Rogue lame mortali

    Coltello
    accetto le conseguenze delle mie azioni
    qui finisce il mio agire e inizia il mio silenzio
    sono nel pieno delle mie facoltà mentali (nzomma, sono vicina al TSO)
    prendo i pe per: gruppo II (credo)


    Edited by O' Tir a Cir - 5/4/2024, 22:21
  3. .
    Sarebbe stato carino entrare nella testa di Leonard per carpire i suoi pensieri, per seguire quel flusso apparentemente illogico, eppure così lineare. Certo, vedersi trascinato in qualità di cadavere in assenza di sacco sarebbe stato difficile da digerire, ma almeno poteva dire di essere stato un po’ sbattuto.
    “Lapo è…” un sospirò drammatico interruppe la frase, lasciando che la lingua schioccasse sul palato. “Come posso dire…” cercava le parole, l’ex Grifondoro, scartando ogni aggettivo gli venisse in mente. Non voleva dare un’impressione sbagliata, sembrare quasi ingrato nei confronti di quel Vittorio Emanuele che sapeva come essere croce e delizia. E, vi dirò di più, aveva rischiato grosso con lui.
    Lo aveva sentito quel brivido lungo la schiena nel momento in cui aveva aperto gli occhi, quella paura sottopelle che gli aveva attanagliato lo stomaco per qualche istante, convinto che la persona che occupava l’altro buco delle manette fosse proprio “… Lapo.” Confermò, con più enfasi, sperando che l’altro cogliesse il poco sottile riferimento all’Elkan dei tempi d’oro. “Ma niente di ché, più che amico, direi che è mio cugino.” Aggiunse allungando le punte delle dita dei piedi, sentendo tutti i muscoli indolenziti allungarsi e stirarsi sotto il suo comando. Portò il braccio libero dietro la testa, sotto la nuca, per studiare meglio il ragazzo con cui condivideva la vasca. C’era qualcosa che non tornava, ma non sapeva dire esattamente cosa, come se gli stesse tenendo nascoste informazioni importanti, come la chiave d’accesso per decriptarlo.
    “Oppure potremmo ricordarlo insieme.” Perché per essere in quelle condizioni, non poteva non essere stato epico. “Più che soddisfatto, dovresti ritenerti molto, molto fortunato.” Ammiccò, continuando a studiare il ragazzo, la testa poggiata sul palmo della mano. Lo osservava sfacciato, perché diversamente non sarebbe stato nel suo stile. Voleva divertirsi, il Nott, bramava e inseguiva gli eccessi, qualsiasi cosa in grado di scardinare ogni convenzione sociale.
    Allungò la mano, le dita che sfioravano la stoffa della cravatta. “Vogliamo fare il bis?” Non si guardò neanche, Ciruzzo, ormai l’attenzione virata su quel piccolo indumento. Chiedeva, provocava solo per il gusto di farlo e per poter, di fatto, provare ad avere il controllo di qualcosa. Aveva la sensazione che non tutto fosse a posto, come se ci fossero elementi fuori posto, pezzi di un puzzle che non combaciavano perfettamente.
    Non doveva neanche chiedere, l’altro, perché le mani dell’ex Grifondoro erano già sui bottoni tirati, sfilandoli con estrema lentezza e attenzione dalle asole provate. “La cravatta la teniamo.” Sottolineò mentre faceva scorrere il cotone e le mani sulla pelle che man mano andava a scorprisi.
    Era lascivo, perché era tutto ciò che sapeva di poter essere, la sua comfort zone.
    “I calzettoni li lasciamo per il dessert?” Domandò mentre assecondava la scelta dell’altro, alzandosi finalmente in piedi, la mano stretta attorno alla cravatta che la tirava appena, un cenno silenzioso al compagno di seguirlo in quell’esplorazione che si sarebbe volentieri evitato.
    “Il sole non ti sembra un po’… troppo luminoso?” Domandò fissando la finestra per qualche istante, prima di tornare a osservare l’altro.
    “Ezra.”
  4. .
    "La cervicale."
    Fu tutto quello che riuscì a dire, la voce ancora impastata di sonno, muovendo il capo lentamente.
    "Quella merda di Lapo."
    Continuò con nonchalance, muovendo piano i muscoli anchilosati, le gambe quasi formicolanti e poco reattive.
    "Un festino della madonna, oserei dire." Aprì gli occhi, posandoli sul proprietario di quell'unica voce che riusciva a percepire. Si muoveva piano, Ciruzzo, le tempie che pulsavano quasi al ritmo del sangue che correva nelle vene. "Nessun rimpianto?" Domandò scivolando piano in direzione del ragazzo. "Sono quasi deluso tu sia ancora vestito. Non sono abituato." Soffiò lascivo, mentre con eleganza allargava le gambe, lasciando che una andasse oltre il bordo della vasca.
    "Che ne dici di esplorare un po'?"
    Cosa? Beh, che dire, le opzioni potevano essere molteplici.
  5. .
    La prima cosa, appena percepì il suo corpo, fu dolore.
    Una lunga, lancinante, fitta che sembrava spaccarle la testa a metà.
    Si portò la mano al viso e la sentì più pesante del solito, quasi ne stesse sollevando due. Il materasso sotto di sé era diverso, ma non sconosciuto, quasi i suoi muscoli si fossero riadattati facilmente a una superficie su cui si erano già posati.
    C'era qualcosa di strano, di diverso nell'aria, una quiete sconosciuta.
    Non c'era puzza di bruciato, in primis, ma non c'era neanche il miagolio dei gatti, il raspare delle loro unghiette contro il legno della porta per reclamare la loro dose quotidiana di croccantini.
    Coccole no, mai, perché non era nel loro stile.
    Non c'erano i rumori di Londra ad accompagnare il suo risveglio e, soprattutto, non c'era lo sbuffare silente di Hyde, quello sguardo giudicante in grado di trapassare anche una parete.
    Poi... una voce.
    "Ti sembro un Toto?" Domandò, non sapendo di cosa l'altro stesse parlando, aprendo un occhio e fissandolo come si fissa qualcuno prima di aver preso una tazza gigante di caffè.
    "Che hai combinato?" Continuò aprendo anche l'altro occhio, fissando il volto da cui proveniva quella voce. Spostò le iridi chiare lungo le pareti della stanza, studiandone i dettagli.
    "Ma io sono già stata qui." Strinse piano le palpebre, prima di sgranarle e portarle nuovamente sul ragazzo accanto a lei.
    "IO NON FIRMO." Si ritrovò in piedi sul letto, la voce più alta di 10 ottave. "NON POTETE TENERMI QUI." Continuò a guardarsi attorno, quasi terrorizzata. Portò la mano libera sulla manetta, provando a liberarsi. "HO GIÀ DETTO DI NO." E si stava scaldando la Weasley, mentre provava a rompere quelle manette facendo sbattere l'acciaio prima contro il muro e poi contro la testiera del letto, prima di provare a togliersele con i denti. "Chi ti ha mandato qui?" Puntò il dito contro il petto del ragazzo. "Quanto ti hanno pagato?" Continuò con foga, ribaltando una poltroncina nel mentre che si avvicinava alla porta. "Mi sentiranno, certo che mi sentiranno." Era livida in volto, i capelli di un vermiglio che urlava battaglia e la forza di un leone in gabbia. Si trascinò il ragazzo giù dal letto, noncurante delle sue eventuali lamentele.
    "HO GIURATO AD ELWYN CHE NON AVREI LASCIATO I GUNNERS E VOI MI CHIDETE QUI??? NELLA BETTOLA DEI MONTROSE???" Follia.
    Non ci avrebbe messo molto a smontare quella stanza e tutto l'hotel.
    "Ti sembro una che scopa in un posto simile??? Semmai gli do fuoco." E non sarebbe bastato neanche quello a purificarla dal male.
    Provò ad aprire la porta e... si ritrovò nuovamente sul letto.
    Urlò frustrata la prima, la seconda, la decima volta e tutte quelle in cui si ritrovò in un punto diverso di quella stanza ormai messa a ferro e fuoco dalla sua furia.
    "Ti sta bene il toppino glitterato."
    Una piccola tregua, come il sorriso che le spuntò sulle labbra. Esausta.
    "Per chi lavori?"

    arriverò con il giusto account e schema, ma sono da telefono e non mi fa accedere se non con Ciruzzo.
    Paura, eh?
  6. .
    Ginevra Linguini non aveva colto un dettaglio estremamente particolare: a parte Giacomino, nessuno dei suoi cugini amava particolarmente condividere del tempo con lei al bar dello sport.
    Sia chiaro, la adoravano ed era ancora una di loro (nonostante avesse fatto rapire il pupillo di casa e avesse quasi rovinato il Natale all’intera famiglia), ma c’era in corso una scommessa su chi l’avrebbe fatta crollare prima. Ahimé, non sarebbe stato Ciruzzo a rivelare maggiori dettagli sul punto, ma l’obiettivo era proprio riuscire a farle venire una crisi e non c’era modo migliore di farlo se non prestandosi come aiutanti in quell’impresa che aveva più tratti affini al concetto di totalitarismo che di familiare.
    Gin continuava la sua dittatura ignara del piano malefico degli altri, così concentrata nel godere della sua posizione da Gestapo da non essersi resa conto della loro capacità di trarre vantaggio in ogni situazione. Al momento la Linguini poteva dormire sogni tranquilli, ma non sarebbero durati a lungo, non con loro in giro e pronti a dare sempre spettacolo. Era nella loro natura e ci potevano fare ben poco.
    Allungò le lunghe dita da eccelso pianista verso la ciotola di tarallini e ne prese un paio, lo sguardo fisso sul volto della cugina. Continuò a studiarne i lineamenti anche quando lanciò in aria uno dei piccoli anelli friabili, prendendolo poi al volo. Sorrise, i gomiti puntati sul bancone e la schiena sapientemente inarcata, quasi il suo corpo fosse stato plasmato per quel tipo di ambiente, con cui si fondeva in modo perfetto.
    Diede un altro sorso alla sua birra, canticchiando appena un motivetto improvvisato sul momento, la testa ad ondeggiare seguendone il ritmo, in attesa che la cugina cogliesse il senso delle sue parole.
    Ed eccola lì, la reazione che tanto stava aspettando, al punto da essere pronto a salvare se stesso, la sua birra e la ciotolina di olive dallo spietato tentacolo di Gin, prima, e dallo straccio, poi.
    “Che tecnica! Con chi la stai affinando?” Domandò sornione, osservando il lembo di stoffa e imitandone le mosse, quasi fosse uno spadaccino. “Sei diventata quasi una pro. Son curioso di vedere le rosse natiche del vincitore o della vincitrice di tale trattamento.” Tornò a poggiarsi sul bancone, succhiando provocante una delle olive. “Pensi che così vada bene o devo migliorare qualcosa?” Chiese ancora, sopprimendo una risata che stava per sgorgargli dal petto.
    “Certo che scopi, Ginevra, non lo metto in dubbio. Ma non parlavo del pavimento del tuo bellissimo Bar Spo…” Si bloccò, affilando lo sguardo e lasciando perdere l’oliva. Puntò la bottiglia di birra verso l’ombrocineta, insinuandosi in quella pausa di troppo, in quell’interruzione che nascondeva chiaramente qualcosa. “Nascondi qualcosa.” Riusciva a fiutarlo nell’aria, a sentirlo, a vederlo nei denti che andavano a premere sulle labbra morbide della cugina.
    855190“Chi.” Non era una domanda, perché in quel caso avrebbe potuto pensare che le stesse offrendo la possibilità di non rispondere. “Perché non penso proprio sia il tipello sul retro, troppo succube.”
    Portò il collo della Peroni alla bocca, soffiandoci appena sopra, meditabondo. C’era anche qualcosa di nuovo e di diverso nel locale che gli stava sfuggendo e questo non gli piaceva affatto.
    “Amo, immagini molto, molto male.” Nel dirlo le poggiò una mano sulla spalla, dandole una pacca leggera, poi un’altra e un’altra ancora, cercando di farle capire l’enorme cazzata che aveva appena detto.
    “Cosa c’entra? È una questione di reazioni e gestione delle situazioni.” Rispose piano, come stesse parlando ad una bambina speciale. “Non lo dico io, ma la scienza. Sei sempre così tesa e nervosa che altrimenti non si spiega… Ammesso non ci sia qualcun altro a stuzzicare ogni tuo nervo.”
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    Gryffindor, VI
    19 y.o., Italian
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    Ciruzzo Linguini
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    Boulevard of broken dreams, Green Day
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    nickname: o' tir a cir
    gruppo: neutrale
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    nickname: Messier_43
    gruppo: wizard
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    CIRUZZO LINGUINI
    SORTA MOTHERFUCKA
    Grab my glasses, I'm out the door, I'm gonna hit this city (let's go)
    Before I leave, brush my teeth with a bottle of Jack
    'Cause when I leave for the night, I ain't comin' back
    Quell’evento rappresentava un cerchio che si chiudeva, avrebbe finito il suo percorso scolastico a Hogwarts così come lo aveva iniziato: con un prom.
    Ora, vorrei dire che aveva pensato al suo outfit, che aveva già un’idea di come si sarebbe presentato, ma non rispecchierebbe a pieno la verità. Il Grifondoro, infatti, aveva passato tutto il tempo a perfezionare la macchina di Lego per Giacomino, a incantarla affinché potesse andarlo a prendere… per poi passare il resto delle sue giornate a smontarla, pezzo per pezzo, imprecando contro i francesi.
    Poteva accettare tutto, e aveva accettato la roulette russa con cui alla fine erano stati accoppiati, ma non l’oltraggio alla sua famiglia.
    Voi direte: eh, ma Giacomino è mezzo francese! Eppure, questo non cambia il fatto che è più terrone del resto dei cugini, in maniera molto più soft e pacata, contenuta, ma restava sempre il principino di Canosa.
    Le ore prima del prom, dunque, le aveva trascorse con la testa calata nel suo baule, alla ricerca di qualcosa da poter usare per dormire.
    Nudo, purtroppo, non lo avrebbero fatto entrare. Aveva provato a corrompere i professori con burratine e stracciatelle fresche di giornata, ma non avevano sortito l’effetto sperato.
    Prese un lungo, lunghissimo, sorso dalla fiaschetta di limoncello che teneva a portata di mano – aka sul comodino di Giuliano, magari riusciva a farlo pure ubriacare prima di scendere – e guardò il suo riflesso allo specchio, scompigliando un po’ i capelli per ottenere quell’effetto da ho appena alzato la testa dal cuscino. Strinse un po’ le cinghie di pelle che gli fasciavano il corpo – e che mettevano in mostra piercing e tatuaggi - e sistemò gli orli dei boxer affinché rivelassero abbastanza e dissipassero ogni dubbio su chi avesse il culo più bello della scuola. Toccare per credere.
    “Yo!” Sorrise, con un cenno del capo alla Motherfucka, prima di avvicinarsi a lei. Le stava simpatica, trasgressiva e ribelle il giusto, una su cui si poteva contare quando il mood della serata era quello di divertirsi. La fissò per qualche istante, sbattendo piano le palpebre, allungando ancora di più la curva delle sue labbra, cogliendo si fosse già portata avanti con il lavoro.
    “Amo, è meglio che non te lo dico quello che ho portato io.” Le fece l’occhiolino, perché, davvero, non era il momento di rivelare tutte le sue carte, ma sarebbe stato ben contento se Sorta avesse attinto dalle sue scorte per rallegrare il suo post serata.
    “Ti dirò…” portò un dito fresco di manicure – inutile dire che aveva litigato con le matricole su come stavano usando la lima, al punto da minacciarli, togliergli l’attrezzo e finire la manicure da solo mentre chiacchierava con le altre povere vittime, cercando di captare il gossip ancora prima si manifestasse – e si picchettò il mento. “… quanto vuoi menare con i cuscini? Perché qui possiamo fare fronte comune con i miei cugini e contro francesi.” Ci sarebbe stato davvero da divertirsi, soprattutto in infermeria.
    “Beviamo.” Confermò prendendo a braccetto Sorta e dirigendosi verso il tavolo delle bevande.
    GRYFFINDOR
    VII YEAR
    LINGUINI
    TIK TOK KE$HA
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    HTML
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    </tr>

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    <td>pv: jennifer lawrence</td>
    </tr>

    <tr>
    <td>profilo: [URL=eharriverà]ophelia ramsey[/URL]</td>
    </tr>

    <tr>
    <td>altro: [URL=eh arriverà]pinterest [/URL]</td>
    </tr>
  10. .
    Speriamo che funzioni.
    Un sorriso spezzò la linea delle sue labbra mentre levava il bicchiere in direzione della ragazza. Non avrebbe funzionato e questo lo sapevano entrambi. Avrebbe lenito il dolore o la sofferenza per un po’, solo per farlo tornare più forte di prima una volta tornati sobri. Aveva scoperto fin da piccolo i lati oscuri dell’alcol, aveva visto gli effetti su sua madre e sugli uomini che avevano l’onore di tornare a casa con lei.
    Ricordava ancora, il Nott, quelle notti passate in un angolino, a fingere di dormire per non far arrabbiare nessuno. Sentiva ancora nel naso l’odore di sigarette, alcolici scadenti e sesso improvvisato su un divano, su un materasso o dove lei riteneva fosse più opportuno. Non aveva mai provato a dimenticare perché, se lo avesse fatto, sarebbe stato come rimuoverla dalla propria vita, e non era ancora pronto.
    Era diventato un bambino difficile uno di quelli che sapeva troppo, che aveva visto troppo, che aveva sentito troppo. Non c’erano favole della buonanotte per lui, non c’erano abbracci al suo risveglio.
    Nonostante ciò, voleva essere visto, voleva essere ascoltato, voleva essere notato da quella donna che avrebbe dovuto amarlo più di ogni altra cosa al mondo, più della sua arte, più delle notti brave, più del sesso occasionale con amanti sconosciuti, cimeli di ogni città in cui decideva di restare abbastanza a lungo da creare il suo giro, da avere la sua rete di contatti.
    “Mese.” Confermò aspirando piano, portando indietro la testa quando fu il momento di lasciare che il fumo uscisse dalle sue labbra. “Perché se penso a tutto il resto, non basterebbe l’intera fornitura di questo locale.” A farlo ubriacare, a dargli qualche ora di sollievo.
    Si era detto che non era come Lapo, che non avrebbe cercato nell’alcol e nelle droghe un rifugio dai suoi problemi. Si era detto che sarebbe stato migliore, perché sprecare soldi in quei vizi non avrebbe aiutato a trovare una soluzione, a parlare con sua madre, a mandarla definitivamente a fanculo.
    Mise l’accendino in tasca e diede un lungo sorso al contenuto del suo bicchiere, quasi a sottolineare l’entità delle sue parole.
    “Eviti cose o persone?” Domandò guardandola negli occhi per la prima volta da quando era lì, scivolando nella sua direzione, arrogandosi il diritto di poterla disturbare, di occupare per qualche minuto la sua vita.
    “Perché un bicchiere potrebbe non bastare.”
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    Ezra Nott
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    Boulevard of broken dreams, Green Day
  11. .
    C’erano momenti in cui Ciruzzo brillava per il suo estro, altri in cui brillava e basta.
    Questo era uno di quelli in cui stava per dare il meglio di sé.
    Attese paziente nel cortile interno del Castello che gli Special finissero le lezioni di quel giorno, lucidando gli ultimi mattoncini di quell’opera d’arte. Appena lo vide, fece segno a Gigio di far partire la canzone per attirare la sua attenzione. Le note di tempi ormai andati si diffusero man mano nell’ambiente circostante, una melodia che loro non erano più abituati a sentire, le orecchie ormai sature di un altro inno che aveva ormai iniziato a far loro compagnia nei pomeriggi domenicali.
    Una volta colto lo sguardo del cronocineta, sollevò il cartellone che aveva preparato solo per lui: “🏎GIACOMINO, WANNA MAKE VROOM VROOM AT THE PROM WITH ME???🏎”. Il tutto mentre era a bordo della sua Ferrari F-23 costruita da lui personalmente, lego dopo lego, iastima dopo iastima.
    Non era molto, ma sicuramente sarebbe riuscita a non andare a muro come una monoposto del cavallino rampante qualunque.
    Fece scendere gli occhiali da sole sul viso e, sguardo verso la cinepresa: “It’s Ciruzzo, bitch.”
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    Ezra Nott
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  12. .
    Non festeggiava la fine della guerra, non quella sera e neanche quelle successive. Non festeggiava il ritorno a casa dei sopravvissuti, di chi ce l’aveva fatta. Non festeggiava il nuovo governo, il nuovo ordine mondiale.
    Non gliene fregava un cazzo, a Ciruzzo, di quello che accadeva attorno a lui, non in quel momento.
    Sapeva solo che poteva non tornare a casa, che il suo coprifuoco fosse finito, che potesse tornare a vivere, lontano da lei.
    Canosa non era mai stata così asfissiante, non per lui.
    Ci era cresciuto, era lì che aveva vissuto i momenti più belli della sua infanzia, quelli che lo avevano formato. Era lì che ogni anno aspettava di rivedere i cugini, lì che faceva le corse con Giacomino, lì che andava a chiacchierare con le vecchie della cittadina insieme a Gigio. Era lì che aveva iniziato a fare gli scherzi a Gin e Lux con Lollo e Remo, lì che avevano provato a lasciar solo Lapo nei campi.
    Lei, invece, non aveva alcun diritto di essere nella villa, di far ritorno a casa.
    Sapeva che l’invito di Nonno Lino era per tutti, ma non avrebbe mai pensato che vi avrebbe risposto.
    La vide arrivare da lontano e sentì lo stomaco precipitare. La vide salutare tutti con uno di quei sorrisi in grado di stregare l’intero universo, con i suoi vestiti Bohemien e il portamento di altri tempi.
    Lui era rimasto lì, in un angolo del cortile, incapace di fare un passo nella sua direzione. Non la odiava, eppure provava sempre quel desiderio infantile di essere notato. Voleva essere il suo primo abbraccio, il suo primo convenevole, il primo e l’ultimo volto da cercare quando entrava o usciva da una stanza.
    Era suo figlio, cazzo, e non aveva neanche quello.
    Tornò nella sua stanza, in silenzio, il bucato ancora da stendere abbandonato nel giardino, ripetendosi che, quella volta, non avrebbe accettato nessuna scusa.
    Le aveva viste le zie, erano lì prima ancora che facessero ritorno da Hogwarts, preoccupate per l’incolumità dei suoi cugini, ognuna a modo suo, ognuna con le sue caratteristiche.
    Lui era andato da nonna Rosetta, perché era l’unica madre che aveva conosciuto, e le aveva chiesto se avesse cambiato rossetto, perché in quel caso nonno Lino avrebbe fatto meglio a preoccuparsi. Una battuta, l’ennesima, per colmare il suo vuoto.
    Ed era stata lei a intercedere per lui quando aveva chiesto di tornare, nei tempi morti, quando non c’era pericolo per la villa, a Londra per controllare il suo negozio, per stare al passo con gli ordini, per portare avanti la sua attività.
    Quello che Ciruzzo non sapeva, era come fosse finito davanti una porta diversa da quella del suo locale, incerto se bussare, una delle poche prime volte che gli era ancora rimasta da spuntare. Perché il loro non rapporto non funzionava così, perché stava cambiando il loro schema senza avere neanche il permesso di farlo.
    E ci era ritornato, una seconda volta, mettendo da parte ogni tentennamento, con una scusa, la più banale, cercando in quella casa la sua personalissima fuga.
    Ed era ritornato ancora, questa volta senza dar tempo all’altro di aprire la porta, perché c’erano convivenze che lo stavano spingendo al limite e lui voleva solo smettere di pensare. Perché Poor non avrebbe fatto domande e lui non avrebbe dato risposte, o giustificazioni. Non lo avrebbe costretto a mentire.
    Celebrava l’essere di nuovo libero dalle ombre del suo passato. In un uno dei peggiori bar del mondo magico? In uno dei peggiori bar del mondo magico.
    Aveva vissuto per strada e a Tor Bella Monaca, per non dire per le strade di TBM quando sua madre metteva l’orgoglio davanti alle necessità di un bambino, ma questo è un altro discorso, uno di quelli che al momento non voleva affrontare.
    “Quello che ha preso lei.” Disse avvicinandosi al bancone, facendo l’occhiolino al barista mentre si accendeva una sigaretta. Data l’età, avrebbe fatto scommettere a Crez che anche lui aveva avuto modo di conoscere sua madre. Rientrava ampiamente nei suoi gusti: petto largo, tatuaggi, viso imbruttito dagli hooligans del quartiere, grezzo come pochi.
    Poggiò la schiena contro il legno, aspirando piano e porgendo alla ragazza il suo clipper rosso Ferrari. “Anche tu qui per dimenticare?”
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  13. .
    Erano molte le cose che Ciruzzo non capiva, ma una tra queste spiccava su tutte: Ginevra Linguini.
    Ok, forse non è proprio una cosa, quanto una persona, ma il Grifondoro di certo non badava a queste sottigliezze. La osservava muoversi nel Bar dello Sport – il suo regno – come una Gestapo qualunque, sbraitando ordini a destra e a manca, rigidamente orgogliosa e fiera, e minacciando di morte chiunque non fosse in grado di asciugare decentemente i bicchieri, peccando nell’arte di farli brillare senza quella presenza decisamente fastidiosa del pulviscolo invisibile che solo i suoi occhi da ninja dei cristalli riuscivano a vedere.
    Ovviamente non era così con tutti, c’erano delle eccezioni e, manco a dirlo, riguardavano Lapo e Giacomino. Non ci dilungheremo in questa sede su chi dei due sia il preferito di tutti i cugini Gin e chi si becca tutta la melma. Gli altri, invece, navigavano a vista, lavorando con tentacoli puntati alle natiche, pronti a schiaffeggiarli alla prima burrobirra spillata male. Anche qui… un po’ kinky, ma era sicuro che qualcuno decisamente apprezzasse il metodo punitivo della Linguini.
    Eppure, Ciruzzo non si capacitava di come la fiorentina potesse essere così diversa da lui. Erano nati nello stesso anno, quello che doveva essere uno dei migliori della loro generazione… capite perché le cose non gli tornavano? Lui era… beh, lui era fantastico, stupefacente, affascinante, carismatico, bellissimo, magnifico, spettacolare, eclettico, eccentrico e meravigliosamente italiano. Ginevra aveva decisamente bisogno di una mano e chi meglio di lui poteva dargliela? Gin probabilmente gliel’avrebbe spezzata, ma quel giorno si sentiva un buon samaritano, sapeva che il mondo aveva bisogno di lui e non si sarebbe certo tirato indietro.
    Distese le lunghe gambe, accompagnando il movimento stiracchiando anche le braccia, scoprendo volutamente l’addome per quel pubblico invisibile che avrebbe beneficiato di tutto il suo splendore. Portò lo straccio sulla spalla, come un vero barman, e si recò dietro il bancone, attendendo con pazienza che la cugina finisse di urlare insulti incomprensibili ai più al garzone che aveva osato far cadere il pacco con le conserve di nonna. Onesto? Si era sentito male anche lui, sia per la salsa che non avrebbe mai esaltato un piatto di pastasciutta, sia per l’anima di quel povero ragazzo che stava per incontrare il creatore dopo aver vissuto l’inferno d’ombra in terra.
    Ciononostante, continuò a osservare in silenzio la scena, fingendosi invisibile quel tanto che bastava per non essere incluso in quel particolare monologo.
    Una volta rientrato il pericolo, si chinò dietro il bancone, aprendo il frigo e prendendo due Peroni ghiacciate.
    “Sei troppo nervosa, non ti fa bene al cuore.” Iniziò aprendo un pacchetto di taralli e mettendoli in una ciotola da affiancare a quelle di olive rigorosamente celline e patatine. “Dovresti rilassarti un po’ di più, differenziare i tuoi interessi.” Stappò le due birre e ne porse una alla cugina, inclinando la testa di lato per studiarla meglio.
    “Toglimi una curiosità…” continuò dopo qualche istante di silenzio e un lungo sorso dal sapore annacquato di casa. “… ma tu, almeno ogni tanto, scopi? Perché non si direbbe.”
    E lui, certe cose, le capiva al volo.
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    Boulevard of broken dreams, Green Day
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    è così Ciruzzo che non so da dove partire AHAHAHAHAHAHAH
    OH MEO DEO E' TUTTO BELLISSIMO, CON LE VARIE CENSURE!!! Poi dalle 21 in poi non lo ferma più nessuno!
    Grazie Ari ç___ç/
    Scusa se non l'ho visto prima, ma sono riuscita ad entrare sul forum solo per la lezione ç_ç/
  15. .
    Benvenuta!
    Io sono Babbi e ho il dono di distruggere ogni codice mi passi tra le mani. Non scherzo quando dico che ci metto più a sistemare (i danni fatti) lo schema role che scriverne il contenuto. È bello non essere soli in questo malvagio mondo fatto di css e html!

    Ci si becca in giro, cià
72 replies since 13/7/2021
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