Total Wrestling Corporation!

Posts written by Yuumeboo

  1. .
    CITAZIONE
    « Okay, non pensavo fosse una cosa seria. »

    « La è se la vuoi te. »

    Di nuovo, silenzio. Il lottatore annuì.

    « Va bene. »

    Kai sbuffò, per poi sorridere. Spinse la sigaretta sul posacenere, spegnendola.

    Pechino, Settembre 2011

    « A destra! DESTRA! »

    Kai, davanti a lui, gli indicò un vicolo e ci si tuffarono, continuando a correre. La pioggia batteva sulle sue spalle, schiena, petto, braccia. Era ancora in tenuta da combattimento, non aveva fatto nemmeno in tempo a rivestirsi. Faceva freddo, ma in quel momento non sentiva niente se non la pura adrenalina della fuga.

    « Ci hanno visti svoltare! »

    « Lo so! »

    I due passarono oltre un cassonetto, e insieme lo rovesciarono completamente per bloccare per quanto possibile il vicolo alle loro spalle. Sentirono uno scoppio, e abbassarono istintivamente entrambi la testa, riprendendo a correre. Riusciva solo a pensare a quanto erano stati stupidi a non aspettarsi un agguato, dopo tutte le minacce ricevute. Non avevano nemmeno un’arma. Quelli che aveva potuto sistemare corpo a corpo, li aveva sistemati. Ma un pazzo con la pistola, quello no. Un altro scoppio.

    « Cazzo! »

    Svoltarono di nuovo a destra, solo per ritrovarsi in una strada senza sfondo. Solo una parete. Nessuna via d’uscita. Kai imprecò più volte. Il lottatore, invece, si voltò nella direzione da cui erano arrivati. Cercava di poter calcolare, in modo confusionario, qualsiasi variabile. Come schivare quel proiettile. Chiuse gli occhi, cercando di controllare il respiro. Acuì l’udito. I passi del loro aguzzino che si avvicinavano velocemente. Eccolo.

    « Sta’ giù, Kai. »

    Poteva sentirlo… e riuscì a vederlo girare l’angolo. Caricò prima dello sparo e lo schivò, abbassandosi, per poi caricare su l'aggressore. Un mafiosetto qualsiasi, di basso rango. Chissà cosa gli era stato promesso, se li avesse ammazzati. Lo sollevò di peso per poi buttarlo a terra. L’uomo lasciò andare la pistola che scivolò a pochi metri di distanza, e si girò a pancia in giù, cercando di gattonare verso di essa. Il ragazzo fu più veloce di lui, e lo colpì con la ginocchiata in corsa alla tempia più veloce che potesse sferrare. Se avesse potuto decapitarlo con quel colpo, lo avrebbe fatto. Rotolò per terra, ma subito si voltò all’indietro verso il loro aggressore. L’aveva tramortito, decisamente. Probabilmente era svenuto. Alzò dunque lo sguardo verso il fondo del vicolo, e solo in quel momento capì. Che il proiettile che aveva evitato, non aveva certo fermato il suo corso. E, alle sue spalle, c’era solamente Kai.

    « No! No, no, no, no, no! »

    Il ragazzo era accasciato contro il muro, una strisciata di sangue sopra di esso. Si premeva e copriva con le mani un punto poco sotto l’addome. Corse verso di lui, scivolandogli per terra davanti.

    « Kai! Merda, merda, chiamo un’ambulanza, resisti! »

    Kai non riusciva a parlare. Sanguinava anche dalla bocca. Il ragazzo gli toccò la guancia con una mano, e i loro sguardi si incrociarono per un attimo. Doveva prendere il cellulare di Kai. Lo aveva nella tasca. La sbottonò.

    « Ora- ora, ora li chiamo e ti facciamo portare all’ospedale, non ti- »

    Prese il cellulare e rialzò lo sguardo sull’amico. Non lo guardava più.

    « Ehi- non- »

    Il collo di Kai si piegò in avanti, lasciando cadere il capo. Teneva lo sguardo fisso. Vuoto. Oltre di lui.

    « Ti prego. »

    ________________



    “Hai un nuovo messaggio in segreteria telef-”
    Seduto sul letto di una stanza d’ostello, il ragazzo portò il cellulare all’orecchio. La voce era quella di Jiaying.

    « Ciao, sono sempre io. Non rispondete da almeno una settimana, sono preoccupata da morire. Spero davvero che non vi sia successo niente. »

    Lasciò cadere il telefono sul materasso, per poi affossare il volto sulle proprie mani. Respirò a fondo, nel tentativo di mantenere la calma, mentre la sua testa ripercorreva quella stessa scena a ripetizione. Il fiato si fece sempre più corto, la testa più leggera, mentre una fitta lancinante colpì il suo addome. Scosse il capo diverse volte, nel tentativo di liberarsi da quello stato - non riuscendoci, si diresse verso il bagno comune per sciacquarsi il viso, evitando il suo stesso sguardo allo specchio. Di nuovo nella stanza angusta a lui predisposta, prese la decisione di dare finalmente una risposta alla sua amica. Glielo doveva. Strappò dunque qualche foglio vuoto da una vecchia rubrica telefonica all’interno di un cassetto, e iniziò a scrivere.



    CITAZIONE
    Ciao Jiaying,
    scusami davvero se non ho risposto a nessuna delle tue telefonate. Non credo lo farò, non per ora. Ma ci sono tante cose che devi sapere, una prima di tutte. Sarò già partito da Pechino quando riceverai questa lettera: resterò via per molto, non so dirti quanto, ma abbastanza da permetterti di andare avanti. Ti chiedo di non dimenticarti di Kai, l’ho lasciato vicino al distretto di Yungang - troverai le coordinate in fondo; portagli dei rododendri se riesci, erano i suoi preferiti.

    Aveva camminato per ore. E ore. E ore. Non gli interessava tenere conto dei giorni o dei chilometri percorsi, voleva solamente andarsene. In una tasca del suo borsone nero conservava ancora i biglietti del treno per tornare ad Hangzhou, ma non aveva alcuna intenzione di usarli e affrontare da solo il ritorno alla realtà, senza di lui.
    La strada di fronte al ragazzo era ancora molto lunga, circondata solamente da erbacce secche e qualche cartello stradale; il Sole di fine estate, ancora lontano dal tramontare, picchiava intensamente - per questo fu la prima cosa che incolpò quando iniziò a realizzare di non sentirsi bene. Percepiva la testa leggera, ma non solo. Si percepiva come esterno a se stesso, ogni passo pesante come un macigno e allo stesso tempo impalpabile. Il mondo attorno appariva più vivido, eppure distante e protetto da una lastra di vetro, irraggiungibile. Spaventato dalle nuove sensazioni decise di mettersi a sedere sul lato della strada, quasi inciampando nel farlo. Respirò profondamente, nel tentativo di recuperare lucidità e controllo.

    CITAZIONE
    Non sarebbe potuta durare a lungo questa faccenda, avrei dovuto prevederlo. Mi sarei dovuto accorgere della merda in cui ci siamo immischiati, avrei dovuto tirarlo fuori. Ma ho trattato la mia vita come una foglia, caduta da un albero, che scivola lungo il corso di un fiume. In pace, quando possibile, ma solo in attesa di essere travolta. Non sapendo cosa scegliere delle strade che mi erano state proposte, ho preferito non scegliere affatto. Affidarmi a qualcosa che sapevo di riuscire a fare bene. Ho preso una via di fuga facile dalle responsabilità che mi erano state date.

    Arrivò a Xi'an intorno a inizio novembre, periodo dei primi freddi e degli alberi cangianti. Il lungo tragitto aveva iniziato a smagrirlo e sentiva giorno per giorno calare le energie. Mangiava poco, sempre controvoglia. Si trascinò senza farsi notare verso le strade di quartiere, passando il più possibile da vicoli che in passato aveva percorso quotidianamente. Nessuno lo avrebbe riconosciuto. Giunto all'uscio di un'abitazione semi-rustica venne colto da una forte pressione al petto: gli tornarono in mente tutte le volte in cui dovette mentire sulla sua situazione, tutte le volte in cui gli venne chiesto di tornare a casa. Tornò in mente il ragazzo che era partito oramai sette anni prima, il ragazzo che sarebbe dovuto essere. Se fosse rientrato in casa avrebbe dovuto inevitabilmente spiegare la realtà dei fatti, cosa a cui non era affatto pronto. Indietreggiò e riprese a camminare.

    CITAZIONE
    Perché la violenza è facile. Pensavo che avrei potuto mandare avanti la mia vita con qualche pugno, un occhio pesto, i muscoli un po’ indolenziti. Pensavo davvero che avrei guadagnato abbastanza da poter sistemare me e Kai, almeno per un po’. Allenare il corpo è facile. Chiunque può farlo. Allenare la mente non è mai stata cosa mia. Ho fallito nell’essere una persona affidabile per chi mi circondava. Non esiste il guerriero silenzioso che risolve i problemi di tutti. E nemmeno i suoi.

    Nocche sanguinanti. Digrignò i denti, senza pensarci troppo. Alle sue spalle, l’albero che aveva appena preso a pugni, con i segni impressi nella corteccia. Adesso si stava distruggendo le braccia, continuando a fare flessioni. Cento. Centouno. Centodue. Non aveva bisogno di pensare, perlomeno. Non poteva permetterselo. Aveva capito che, per allontanare da sé i sensi di colpa, doveva evitare a tutti i costi di restare fermo: ciò aveva subito significato andare oltre i limiti del proprio corpo, ignorandone volontariamente i segnali e allenandosi fino allo stremo. Non che gli interessasse più prendersi cura di sé stesso, aveva perso rispetto per la propria persona. Non aveva alcun riguardo per quell’inutile, fallimentare esistenza.

    CITAZIONE
    Ho bisogno di andarmene, Jiaying. Non so dove. Non so come. Ho bisogno di cambiare completamente. Ho bisogno di diventare una persona meritevole di definirsi tale. Se non ce la facessi, non avrebbe senso esistere. Non avrebbe senso aver perso Kai. Non avrebbe senso niente. Non credo ci incontreremo di nuovo, ma spero che possa succedere, prima o poi. In ogni caso, ho lasciato sul tuo conto i soldi che avevo da parte. Non mi servono più. Tu puoi farci qualcosa di buono, sicuramente.

    Il giovane si aggirava per le vie di Dongguan, la quale stava anticipatamente preparandosi ai festeggiamenti del Capodanno lunare: le decorazioni rosse e dorate rallegravano quella mattinata altrimenti uggiosa, evidenziando tuttavia il suo aspetto emaciato e quasi spettrale. Aveva passato la notte in una lavanderia a gettoni aperta ventiquattr’ore, venendo cacciato in prima mattinata dai proprietari. Parte degli ultimi risparmi era stata spesa sulla giacca a vento cerulea che stava indossando, troppo leggera per reggere il gelo di fine gennaio. Un alone nero ricoprì rapidamente la sua intera visuale, mentre la gravità lo schiacciò sul cemento. Invano fu il tentativo di sorreggersi a una ringhiera.
    Si risvegliò confuso, abbagliato dalle forti luci al neon. Infastidito da un freddo pungente rivolse lo sguardo al suo braccio sinistro, notando l’ago e il tubicino per infusione intravenosa. Solo a quel punto realizzò di essere in una stanza d’ospedale. Seduto su una sedia accanto al suo letto, un uomo era impegnato a prendere appunti su un taccuino - interrompendosi non appena si accorse che il ragazzo si era svegliato.

    « È per caso il medico? »

    « No, sono quello che ti ha trovato per strada stamattina. »

    Il viso del signore, pur iniziando a far trasparire i segni del tempo, appariva disteso - venendo però tradito dai radi capelli ingrigiti. Portava in quel momento un maglione ambrato e un completo consunto nero, in pendant con gli spessi occhiali squadrati. Nel frattempo il convalescente si fece forza e si sedette sul letto, poggiando la schiena al cuscino.

    « Mi hanno detto che dovrebbero dimetterti entro stasera. »

    « Come mai mi ha aiutato? »

    « Che domande sono, eri a terra in condizioni preoccupanti. Sei stato fortunato che abbia chiamato i soccorsi per tempo. »

    Il ragazzo non replicò, interdetto.

    « Hai un posto in cui stare? »

    Il giovane scosse la testa.

    « Capisco. »

    L’uomo si toccò il mento con la mano destra, alzando lo sguardo con aria pensierosa.

    « Posso ospitarti per qualche notte, finché non troverai una sistemazione più stabile. »

    « Dice sul serio? » chiese, sgranando gli occhi.

    « Certamente. Dovrei chiedere a mia moglie, ma sono sicuro che sarà d'accordo. »

    « Perché lo fa? »

    « Mi sembra la cosa più etica e morale che possa fare, in questa situazione. »

    Porse la mano al ragazzo in modo che potesse raggiungerla.

    « Comunque sono Li Sun. E dammi del tu per favore, non sono così vecchio. Qual è il tuo nome? »

    Seppur con iniziale esitazione, l’infermo strinse la mano a colui che lo aiutò.

    « He Zhili »

    CITAZIONE
    Ti voglio bene, Jiaying. Mi dispiace. Prenditi cura di te e, ancora, non abbandonare Kai. Grazie di tutto.

    Zhili

    I due parlarono a lungo, sia in ospedale che nei giorni successivi. Scoprì che Li Sun era un monaco buddhista, addetto anche alle pubbliche relazioni del suo tempio. “Roba moderna”, disse. Zhili spiegò di aver ricevuto a sua volta una formazione monastica in passato, e venne invitato a entrare a far parte di quello specifico tempio di Dongguan. Non completamente sicuro, ma senza troppe alternative, accettò.

    ________________



    Seoul, Aprile 2015

    L’allenatore era un vecchio nome della scena coreana. Non troppo di successo, non troppo sconosciuto. Era riuscito a farsi assumere in qualche giro importante, a un certo punto della sua carriera, ma semplicemente come un lowcarder, un nome buono solo per far risaltare qualche americano in cerca di vittorie. Poco male, tutta esperienza. Orecchie ben aperte nel backstage, quelle gli erano valse il tutto. Ciò che aveva imparato, ora poteva trasmetterlo. Scorreva la lista di nomi, chiamandoli uno a uno. Aveva dovuto cacciare una ragazzina dalla palestra pochi attimi prima, non allenava certo bambine, ma non è che avesse davanti troppo di meglio. Ai suoi occhi, parevano tutti troppo mingherlini, troppo spaventati. Arrivò, in fondo alla lista, a un nome straniero.

    « Yì Lì Xu? »

    Il gruppo di aspiranti wrestler davanti a lui si aprì, rivelando una figura in fondo al gruppo. Era evidentemente già allenato, con il fisico già predisposto. Seduto sulle gradinate, ad occhi chiusi e gambe incrociate, con una guancia appoggiata contro un pugno. L’atleta cinese aprì gli occhi e fece un mezzo sorriso. Quello era il suo nome. Il nome che si era scelto.

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    November 30th, 2021
    Cincinnati (OH)

    L’orologio segna le 5:46 del mattino. Una notte passata stranamente insonne. Di solito, non era lui quello della coppia a non riuscire a dormire. Aveva scritto ad Aelita, chiedendole di incontrarsi quella stessa mattina fuori dall’albergo. La vide arrivare, con aria confusa e preoccupata.

    YLX: Ehi, Lita.

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  2. .
    Louisville, KY
    November 5th, 2021 - 7:13pm


    Il camerino dell’arena è ampio, ben illuminato, con il parquet in faggio usurato dai numerosi ingressi precedenti a quello di due figure a noi note.

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    Difatti, seduti di fronte alla toletta con specchio e luci, ci sono Yì Lì e Aelita che conversano: il primo, ancora in abiti civili, segue un tutorial dal cellulare per acconciare i capelli della ragazza in un tradizionale chignon cinese; ella, nel frattempo, rifinisce l’elaborato trucco tenendo cura di non sporcare l’hanfu rosso che indossa.

    AE: Comunque, sai che te la cavi? Sei bravo.

    YLX: Bravo, addirittura?

    AE: Sono seria. Dove hai imparato?

    L'atleta si rivolge alla tag team partner tramite il riflesso dello specchio.

    YLX: Ti avevo parlato del mio amico Kai, no? Voleva diventare parrucchiere, tra le tante cose, ma non ha mai preso l’idea sul serio, e nel frattempo sono diventato la sua "cavia" diciamo: mi ha conciato in mille modi e colori, e nel mentre ho più o meno imparato qualcosa.

    Xu fa una smorfia imbarazzata, intanto che riordina le ultime ciocche di capelli.

    YLX: Ti dico solo che ho avuto i capelli verdi per due settimane.

    L’ex-ballerina sobbalza teatralmente dallo sgabello.

    AE: Adesso voglio vedere le foto, però!

    YLX: Non ti azzard-

    Il ragazzo cinese non fa in tempo a replicare che l’amica afferra il telefono dal tavolo e scorre l’applicazione della galleria, fino a trovare gli scatti in discussione. La Yurasova scoppia in una fragorosa risata.

    AE: Ma sei adorabile!

    Xu sospira divertito, arrossendo.

    AE: Vediamo un po’ che altr… Oh!

    YLX: Cosa?

    Yì Lì si affaccia per indagare il motivo di tale reazione: una vecchia fotografia lo ritrae appoggiato con la testa sulla spalla di un altro ragazzo, anch’esso dai tratti asiatici e dalla capigliatura ramata a spazzola. Entrambi appaiono alticci e il flash esalta i rossori degli occhi e delle guance.

    AE: È lui Kai?

    YLX: Già.

    L’imbarazzo dell’atleta cinese permea la stanza. Aelita porta la mano alla bocca, stupita.

    AE: Non pensavo foste così vicini.

    Risata nervosa di Xu.

    YLX: Già, è capitato. Eeeeeee, io andrò a cambiarmi, pardon.

    La Yurasova inclina la testa in segno di perplessità, mentre il suo amico raccoglie il suo borsone dalla panca in legno e si dirige verso i bagni.

    AE: Ho sbagliato qualcosa?

    Il ragazzo si gira per un istante, sorridendole appena.

    YLX: Nah.
  3. .

    Open Door


    Aelita's Apartment, NYC


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    Le note dei Bombay Bicycle Club, provenienti dalla playlist di Aelita tramite una cassa Bluetooth, accompagnano questa mattinata di metà luglio. Il leggero vento estivo smuove le tende in tulle del soggiorno appena riordinato, mentre il diffusore di essenze emana un rilassante aroma alla lavanda. La ragazza, in tenuta informale ed estiva, è seduta sul divano a gambe incrociate, la coperta piegata a pochi metri da lei. Preso un profondo respiro, si lascia cadere all’indietro sullo schienale: negli ultimi tempi sta imparando a sentirsi meno in colpa nel chiedere aiuto. Certo, la imbarazza ancora avere Yì Lì a sistemarle la casa quando lei non ci riesce, ma lui pare farlo volentieri.

    YLX: Okay, ho fatto.

    AE: Grazie, sei un tesoro.

    Xu alza un angolo della bocca, rimettendo al suo posto l’aspirapolvere.

    AE: Prenditi una birra dal frigo. O due. O quante ne vuoi. Te le meriti.

    YLX: Non sarebbe male, ma sono anche le undici del mattino, Lita.

    La russa alza le sopracciglia.

    AE: Oh… giusto.

    YLX: Come ti senti?

    L’atleta cinese si siede vicino a lei. Aelita apre la bocca per iniziare a parlare, ma esita e non emette alcun suono per qualche secondo. Si morde il labbro inferiore, poi annuisce.

    AE: Così così. Un po’ meglio. A casa le cose si stanno un po’ aggiustando, pare.

    YLX: Mh mh. Vuoi parlarne?

    La russa annuisce di nuovo,leggermente.

    AE: Mia madre ha accettato di andare in terapia. Per il controllo della rabbia e quelle cose lì, sai.

    Xu si gratta il mento.

    YLX: Beh, è positivo.

    AE: Sì. Ho sempre un po’ d’ansia. E poi ci sono le questioni mie e…

    La bionda si stringe nelle spalle, guardando in basso.

    AE: Lo sai. Autostima e… insomma, vincere un po’ non risolve magicamente tutto, capisci che intendo.

    La giovane ex ballerina fa un risolino nervoso, e si gratta una guancia con il dito indice.

    AE: Ho paura di sbagliare. Non ho mai vinto nulla, non ho mai gestito responsabilità così grandi, non so se sto facendo bene. È la prima volta che il mio lavoro mi porta davvero successo, per mia volontà.

    Yì Lì annuisce, pensieroso.

    YLX: Beh, sono ovviamente di parte, ma trovo tu stia facendo un buon lavoro.

    Aelita accenna un sorriso, senza alzare lo sguardo.

    YLX: E anche gli altri pare sembrino favorevoli. Montoia, la Williams, stiamo anche tessendo dei buoni rapporti. Sta andando bene. Ma è chiaro che il wrestling non ti curerà, Lita.

    La nativa di Perm chiude gli occhi e annuisce ancora una volta, con convinzione. Xu esita per un attimo, titubante, poi però si volta verso l’amica.

    YLX: Tu ci hai pensato?

    La russa si volta finalmente verso l’amico, con aria interrogativa.

    AE: Mh?

    YLX: Una terapia, seria. Dovremmo avere abbastanza soldi adesso per potertela permettere.

    Aelita rimane con la bocca semichiusa, di nuovo guardando un punto fisso indefinito.

    YLX: Ehi, io-

    AE: No, hai ragione. Uhm… beh, è un po’ improvviso, ma è uno di quei pensieri che mi rimane in sottofondo e non ho mai il coraggio di affrontare, quindi…

    La giovane si passa una mano fra i capelli e fa un piccolo sorriso, rialzando gli occhi azzurri sul tag team partner.

    AE: … va bene. Ma! Tu non paghi per la mia salute.

    YLX: Sicura? Alla fine non è-

    AE: No! Fai già tanto. Giusto…

    La giovane arrossisce leggermente.

    AE: … mi puoi aiutare a cercarne uno e… non so, accompagnarmi? Almeno la prima volta.

    Xu ridacchia.

    -------

    La sala d'attesa è quieta, se non per il ronzare delle luci al neon e il ticchettio dell’orologio da muro. Il muro stesso è bianco e azzurrino, e dona alla stanza un’aria abbastanza rilassante e armoniosa. Davanti al divanetto dove sono seduti Xu e Aelita, c’è un tavolino di vetro con varie brochure, riviste e biglietti da visita. I due, tuttavia, li ignorano.

    YLX: Tutto okay? Sei pronta?

    Aelita sbuffa, annuendo nervosamente.

    AE: Sì, dai. Sì.

    YLX: Questa è la cosa giusta. Avrai più aiuto qui di quanto ne troverai mai da me o a lavoro.

    AE: Lo so.

    I due rimangono in silenzio per qualche attimo.

    AE: Ehi, Lì.

    YLX: Sì?

    AE: Grazie.

    Una voce arriva da fuori dalla stanza.

    ???: Yurasova?

    AE: Ci sono!

    La russa si alza di scatto, e sorride all’amico, che le fa l'occhiolino sorridendo tranquillo. Lancia uno sguardo al tavolino e, senza farsi vedere dall'amica, prende un biglietto da visita e lo mette nella tasca dei pantaloni. Aelita prende un respiro profondo… e oltrepassa la soglia.
  4. .

    June 7th, 2021 - 7:51 PM
    Venice Beach, Los Angeles


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    Da uno dei tanti lidi nei pressi della spiaggia è in corso una festa, dalla quale provengono un forte vociare e musica da serata; il Sole, vicino al tramonto, dora i riflessi del mare e l’intero ambiente. Allontanandoci dalla vita mondana, possiamo notare tre ragazzi conosciuti.

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    Lilith Williams è in piedi, sul bagnasciuga, davanti ad Aelita e a Yì Lì Xu, che invece sono seduti. I tre conversano amabilmente, ridacchiando a una battuta dell’atleta cinese, mentre bevono distrattamente una bottiglia di birra Corona a testa. Tutti e tre sono in costume da bagno, con la russa che indossa un pareo color turchese, e la Williams tiene il TWC World Women’s Championship in spalla. Prende un sorso, ridacchiando un po’ dopo.

    LW: D’accordo ragazzi, vi lascio un po’ da soli. Quando ripassate dal bancone mettete pure tutto sul mio conto.

    La giovane si volta e alza le braccia mentre si allontana, tornando verso la festicciola del lido, dove ad aspettarla c’è in lontananza una Viola Vixen con le mani sui fianchi.

    LW: Offre la casa!

    Momento di silenzio, mentre i due neo-campioni di coppia si guardano. La russa arrossisce leggermente e cerca di camuffarlo sorseggiando la restante birra.

    YLX: Beh, non credo avrò mai tutti quei soldi, dunque apposto così?

    AE: Mi sa che queste daranno una mano.

    Risponde Aelita indicando le loro cinture, stese sul telo a stampa tropicale.

    YLX: Vero questo. Cheers.

    I due partner fanno un brindisi, con le bottiglie che si scontrano leggermente. Yì Lì nota a quel punto che esse sono quasi vuote, perciò le indica.

    YLX: Vuoi che vada a prenderne qualcuna?

    AE: Magari dopo.

    La ragazza porta la mano sinistra alla testa, aggrottando la fronte.

    AE: Avrei davvero dovuto mangiarci qualcosa sopra.

    YLX: Dai, dopo ripassiamo dal buffet.

    Entrambi i ragazzi finiscono la propria birra, posando le bottiglie sul telo.

    AE: Ehi, se posso… vorrei...

    Xu rivolge lo sguardo all’amica, annuendo come cenno a far proseguire.

    AE: Insomma, bene o male sai della mia vita prima di arrivare al wrestling. Io di te so… spezzoni. Non saprei collegarli.

    La russa esita.

    AE: Se ti va di… raccontare qualcosa, senza pressione. Dimmi tu.

    Xu tamburella una mano sul telo, con un mezzo sorriso.

    YLX: Hai ragione, sì, è che non mi va di rovinare l’atmosfera. Okay, dunque…

    Il cinese si passa una mano sul mento.

    YLX: … ti basti sapere che la maggior parte di quello che ti ho raccontato, è successo dopo che ho visto un mio caro amico… beh, morire. Davanti a me. Il viaggio, quello che ti avevo accennato, l’ho fatto dopo questa cosa.

    I due rimangono in silenzio.

    YLX: Non è una storia molto felice, ma prima o poi te la racconterò per bene. Solo, non ho mai voluto legarmi a nessuno, dopo quello. Sono passati… diamine, quasi dieci anni, a questo punto. E poi.

    Il cinese sorride alla russa.

    YLX: Ho conosciuto te.

    Aelita, che è solitamente molto pallida, arrossisce improvvisamente.

    AE: … Oh.

    YLX: Perdonami, ti ho messa in imbarazzo?

    AE: No, no.

    La russa sorride e abbassa lo sguardo, attorcigliandosi una ciocca di capelli attorno al dito indice.

    AE: Sono solo contenta di averti aiutato, senza saperlo.

    YLX: Beh, lo fai. Dai, adesso andiamo a divertirci. Ti va?

    Xu si alza, prende i titoli, e porge ad Aelita il suo. L’ex ballerina lo prende, mettendolo in spalla, poi prende la mano del compagno di tag, che la aiuta a rialzarsi. I due, dunque, si dirigono indietro verso il lido, mentre il sole inizia a scomparire sulla linea dell’oceano.
  5. .

    Krizis



    Servizio di segreteria telefonica, il num-

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    Xu sospira: è la terza chiamata senza risposta. Il Sole, coperto da nubi sparse, lascia intendere siano le prime ore del pomeriggio. L’atleta e Aelita Yurasova si erano dati appuntamento nei pressi di un parco per allenarsi, tuttavia la ragazza non si è presentata e sembra star evitando qualunque contatto - comportamenti a lei insoliti. Di conseguenza Yì Lì si incammina verso l’abitazione dell’amica, non lontano dal punto di partenza, a cui era già capitato di fare visita durante alcune uscite informali; superata la stazione della metropolitana, il ragazzo cinese riconosce la panetteria dopo la quale è necessario svoltare, trovandosi di lì a poco dinanzi alla palazzina interessata. Salite le scale rimane sorpreso nel vedere la porta lasciata socchiusa, ma egli bussa ugualmente.

    YLX: Lita?

    Nessuna risposta giunge dall’interno. La preoccupazione già presente permette a Xu di aprire la porta ed entrare nell’appartamento: le persiane filtrano la luce esterna, rendendo la stanza a malapena illuminata; il caratteristico ordine della giovane è assente, con bottiglie d’acqua lasciate sul pavimento e piatti accumulati sul tavolo davanti alla TV.

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    Ella è rannicchiata sul divano, completamente avvolta in una coperta ponderata nonostante la temperatura primaverile, ed è rivolta verso lo schienale, dando le spalle a Xu.

    YLX: Ehi, Lita.

    Aelita non accenna alcuna risposta.

    YLX: Scusami per l’intrusione, ma ho trovato aperto e mi sono preoccupato.

    AE: Mh.

    YLX: Stai… stai bene?

    La Yurasova si mette faticosamente a sedere, poi alza lo sguardo verso l’amico. Scostando i capelli dal volto rivela il rossore degli occhi e delle gote ancora umide. Accenna debolmente un sorriso, non riuscendo a mantenerlo a lungo.

    AE: Ehi. Scusami se ho dato buca.

    YLX: È…

    Il ragazzo si avvicina, abbassandosi per mettere cautamente una mano sulla spalla all’amica.

    YLX: È tutto okay, non preoccuparti. Cos’è successo?

    Aelita distoglie lo sguardo.

    AE: Niente di nuovo.

    YLX: Non ti ho mai vista così, in un anno.

    La Yurasova fa una risatina nervosa.

    AE: Sono brava a mascherarmi.

    YLX: Che ti succede? È un po’ di tempo che sei nervosa. E… insomma, adesso questo.

    A quell’affermazione la ragazza esita, le parole stentano ad arrivare. Dopo qualche attimo allunga il braccio, raccogliendo da terra una boccetta arancione semitrasparente. L’etichetta elenca nome, principio attivo e dosaggio. Dando una migliore occhiata, Xu riconosce il medicinale come ansiolitico.

    YLX: Da quanto tempo le prendi?

    AE: Un anno e mezzo, credo. Non ricordo esattamente.

    YLX: Non l’hai mai detto.

    AE: Non credevo fosse necessario. Me la stavo cavando.

    Xu annuisce lentamente, sedendosi nel frattempo accanto all’amica.

    YLX: Non è un problema, non ti giudico. Ma non so ancora che è successo.

    Aelita morde leggermente il labbro sinistro, alla ricerca del modo migliore in cui esprimersi.

    AE: Ho avuto una, una- депрессивную кризис.

    L’ex ballerina espira sonoramente.

    AE: Perdonami. Cerco una traduzione.

    La giovane prende il telefono da sotto la coperta. Dopo qualche attimo, mostra lo schermo al compagno di tag, aperto su Google Translate: “crisi depressiva”.

    AE: Speravo di non doverlo imparare in inglese.

    YLX: E… è successo per qualche motivo? Se non ti disturba parlarne.

    Aelita annuisce, poi si copre il volto con le mani, tenendo i gomiti appoggiati contro le ginocchia, la schiena ricurva in avanti.

    AE: Allora… mia madre è sempre stata difficile da trattare. Lei è permalosa e- e scorbutica. Ha fatto del male a Denis dopo un litigio. Lei è così. Non si è mai saputa controllare.

    La russa esita, volgendo lo sguardo a terra.

    AE: Loro non lo sapevano, però. Suo padre l’ha portato via dagli zii, lei adesso è da sola. E Denis…

    YLX: Che cos’ha, che gli ha fatto?

    AE: Nulla, nulla! Solo qualche… livido.

    Xu sbuffa, passandosi una mano sui capelli.

    AE: È più una questione… психологическая- ah, dannazione!

    La giovane riprende il telefono, scrivendo sul traduttore per poi mostrarlo a Yì Lì: “psicologica”.

    YLX: Okay, ho capito.

    Aelita si stringe nelle spalle.

    YLX: Comprendo perché tu non ne volessi parlare, di casa tua. Dev’essere stata dura.

    AE: Non preoccuparti per me. Sono arrabbiata, più che altro, perché non posso fare niente per lui.

    YLX: Vuoi andare da lui?

    La Yurasova scuote la testa.

    AE: Non sarebbe giusto nei confronti del lavoro che stiamo facendo. Ma...

    Xu circonda le spalle dell’amica con un braccio.

    YLX: Cerca di stargli vicina nel modo in cui riesci. Sono sicuro che ha bisogno di te.

    La ragazza annuisce.

    YLX: Sappi che ci sono per te, quando ne hai bisogno. Non c’è bisogno di nascondere le giornate storte.

    Xu sorride, e si alza.

    YLX: Ti pulisco la stanza.

    Aelita ricambia timidamente il sorriso.

    AE: Grazie.

    YLX: пожалуйста (Prego).

    La Yurasova ridacchia.
  6. .
    Un brano pop leggero viene riprodotto dagli altoparlanti, sommerso dai tipici rumori di un negozio di alimentari: il cigolio delle ruote dei carrelli, il vociare dei clienti, i segnali acustici dei registratori di cassa. In uno dei reparti, quello dedicato agli ingredienti per dolci, Aelita Yurasova e Yì Lì Xu osservano gli scaffali.

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    Il primo, impegnato a controllare con scrupolo la lista, indossa una t-shirt bordeaux e dei jeans neri, abbinati alla giacca di identico colore e tessuto; la ragazza, contrariamente alla sua tendenza formale, veste un maglioncino in cotone bianco e una salopette in denim con stampa floreale, mantenendo i capelli in una treccia laterale.

    AE: Cosa manca?

    L’atleta cinese si gratta una guancia con la mano libera.

    YLX: Credo semplicemente del lievito, adesso.

    Aelita si guarda intorno, per poi afferrarne una confezione e aggiungerla agli altri ingredienti nella sua sacca in tela beige.

    AE: Tutto fatto!

    Xu sorride bonario.

    YLX: Sei sicura?

    La russa ricontrolla la sacca.

    AE: Credo, credo di sì?

    YLX: Di fare un dolce, intendo. Non ce n’è bisogno.

    AE: Mi va, davvero! Non possiamo lasciare inosservato il tuo compleanno! Anche se manca qualcosa…

    Xu alza un sopracciglio, mentre la Yurasova si dirige verso gli elementi decorativi. Il ragazzo la raggiunge, e la russa le mostra due candeline del numero “8”.

    YLX: Uh, quello è il mio anno di nascita.

    Aelita sogghigna.

    AE: Ah sì? Non l’avrei detto.

    Xu soffoca una risatina.

    YLX: Non sono così vecchio.

    La russa fa una linguaccia all’amico, poggiando le candeline e prendendo quelle corrette, due a forma di “3”.

    AE: Gli anni di Cristo.

    YLX: Mi hai appena paragonato a Gesù?

    AE: Magari con gli occhi a mandorla?

    YLX: Ti stupirei.

    Xu sorride enigmatico. Aelita gli tira un pugnetto.

    AE: Okay, eri un monaco, non sei letteralmente Gesù.

    YLX: Va bene, va bene. Andiamo a pagare prima che puntino un fucile verso un cinese e una russa che parlano di religione cristiana.

    I due ridacchiano, dirigendosi verso le casse. La ragazza si occupa di posare gli articoli sul nastro trasportatore e riporli nuovamente nella borsa, incespicata dalla rapidità dell’addetta, mentre Yì Lì pensa all’acquisto e alle chiacchiere di cortesia. All’infuori del supermercato, in cammino verso l’appartamento del festeggiato, inizia a squillare un telefono. Aelita, riconoscendo la suoneria, sfila il proprio dalla borsa e controlla il numero che la sta chiamando.

    AE: È… mio fratello? Non mi chiama mai.

    La Yurasova fa cenno al suo amico di attenderla mentre risponde: la conversazione in lingua nativa parte con allegria, spegnendosi gradualmente con il suo proseguimento. Xu, sentendo Aelita che alza la voce, assume un’aria preoccupata e prova ad avvicinarsi, tuttavia la giovane si allontana di conseguenza. La telefonata dura un paio di minuti, dopodiché la ragazza riattacca e tenta di ricomporsi.

    AE: Ehi, eccomi. Ci sono stati problemi a casa… sai, a Perm’.

    YLX: Oh, mi spiace. Sicura di non voler tornare al tuo appartamento?

    AE: No, no, tranquillo… Niente di grave.

    YLX: Okay. Ma non farti problemi a parlarmi, se c’è bisogno.

    AE: Non preoccuparti, davvero.
  7. .
    CITAZIONE
    [...] tuttavia le circostanze gli impedivano di gioirne. Non era quel tipo di persona.

    « Questa è l’ultima volta. »

    Smise presto di prometterselo. Detestava ammetterlo, ma quella libertà lo soddisfaceva più di ogni altra cosa, dandogli la direzione che continuamente cercava. Come consigliatogli, si era lasciato andare e non desiderava tornare indietro.

    Il caldo asfissiante di inizio luglio non gli impedì di portare a casa un’altra vittoria. Accolse l’acclamazione e sorpresa del pubblico, lanciando un’occhiata fugace all’avversario rantolante sul pavimento: di stazza robusta e capigliatura militare, era considerato un pezzo grosso nel circuito locale, conosciuto per i suoi montanti; non fu una sconfitta schiacciante, al contrario l’incontro sembrava procedere in suo favore, tuttavia l’arroganza gli impedì di prevedere i colpi che lo mandarono al tappeto.
    Il ragazzo recuperò la sua maglietta da una delle ringhiere in acciaio che circondavano l’area, su cui si sorresse mentre rimuoveva le fasciature alle mani. La chioma corvina, inizialmente raccolta in una piccola coda, era scapigliata e copriva parzialmente i punti di sutura applicatigli attorno al sopracciglio destro. Indossata la t-shirt grigia (en pendant con i pantaloncini verde oliva) raggiunse a braccia aperte l’arbitro designato per la serata, raccogliendo la busta con un’enfasi e confidenza sconosciute fino a qualche mese prima.

    Fuori dal magazzino lo aspettavano Kai - intento a fumare una sigaretta - e la loro amica Jiaying: karateka da più tempo di entrambi, non sapeva cosa provare in quelle circostanze, se preoccuparsi o meno per loro. Quella sera in particolare vestiva totalmente di nero, gli occhi grigi evidenziati dalle guance perennemente arrossate; al contrario delle aspettative altrui, l’essere stata rifiutata romanticamente dal peldicarota non inficiò la loro amicizia.
    Il primo lo salutò con una violenta pacca sulla schiena, mentre lei si limitò a un timido cenno di mano. Sorprendentemente, esistevano persone meno loquaci di lui.

    « Ehilà, sei andato alla grande! »

    « Che ti aspettavi? » stuzzicò il lottatore.

    « Ma vaaaa’, quello scarsone? »

    « Mica ti ha fatto il culo più volte? » chiese con ingenuità la giovane.

    « Ssh! »

    Si alzò un riso generale, disturbato dall’incursione dell’avversario appena citato, seguito da una schiera di seguaci.

    « Ehi, tu. »

    Jun Da, con ancora evidenti in volto i segni della sconfitta, si avvicinò al trio.

    « Non pensare che non mi sia accorto dei tuoi giochini di merda »

    « Ma quali giochini, smettila di rosicare. » fu la risposta spontanea di Kai, ponendosi faccia a faccia con l’uomo tarchiato - il quale non fece che spintonarlo.

    « Zitto. »

    Il ragazzo dalla chioma scura si frappose tra la coppia di amici e il gruppo di Jun Da.

    « Lasciali stare. » Era evidente fosse livido. « Sai benissimo che ti ho battuto pulito. Ammettilo e vattene. »

    I due sfidanti si guardano in cagnesco, mentre i restanti presenti indietreggiano. A cedere, infine, fu il più anziano - non senza fastidio.

    « Se continui così avrai presto delle visite. »

    Detto ciò, chiamò a sé i suoi sgherri con un cenno e si allontanò dalla scena.

    ___________________________________



    Il piccolo appartamento, investito dai raggi solari, non riusciva a liberarsi dall’afa pomeridiana nemmeno con le finestre spalancate e un ventilatore attivo. Kai, con la macchinetta per capelli in mano, era concentrato a tagliarli al suo amico - come previsto da una scommessa persa da quest’ultimo.

    « Li adorerai. »

    Spense il rasoio elettrico.

    « Eeeet voilà! »

    Il ragazzo alzò la testa e guardò il suo riflesso nello specchio: la moicana non era esattamente il taglio che si sarebbe immaginato, tuttavia non voleva fare un dispiacere al socio “in affari”.

    « Come ti sembrano? »

    Il lottatore piegò leggermente il capo, osservandosi meglio, per poi alzare un angolo della bocca.

    « Li detesto, grazie mille. »

    Kai ridacchiò, per poi nuovamente impugnare la macchinetta.

    « Posso fare di peggio se vuoi. »

    « Passo. »

    « Vai, fumo un attimo e partiamo con la tinta. »

    Mentre il peldicarota uscì dal bagno, l’altro amico raccolse le numerose ciocche di capelli dal pavimento con scopa e paletta, gettandole infine in un cestino. In soggiorno si imbatté inevitabilmente nella confusione lasciata da Kai, che da due settimane - in seguito allo sfratto dai genitori - aveva deciso di occupargli il divano. L’aveva invitato lui, ma solo per qualche giorno. Raggiunse dunque l’amico sul balcone

    « Una cosa, Kai. »

    Il coinquilino rivolse uno sguardo interrogativo, in segno di ascolto.

    « Sei messo bene anche tu, i soldi li hai, perché non cerchi una casa? »

    « Nah, perché mai? »

    Il silenzio pervase il piccolo balcone, interrotto dal rombo di automobili.

    « Cosa intendi? »

    L’imbarazzo pervase l’altro ragazzo, non aspettandosi di dover spiegare.

    « Ehm. Sì, insomma, noi... »

    Altro silenzio. Kai si strinse nelle spalle.

    « Voglio dire. »

    « Okay, non pensavo fosse una cosa seria. »

    « La è se la vuoi te. »

    Di nuovo, silenzio. Il lottatore annuì.

    « Va bene. »

    Kai sbuffò, per poi sorridere. Spinse la sigaretta sul posacenere, spegnendola.

    « Allora, colore? Dovrebbe essermi rimasto del porpora. »

    Sguardo beffardo da parte del coinquilino.

    « Ti faccio bello per il match a Pechino. »
  8. .

    Home



    A quindici gradi Celsius sotto lo zero, con il Sole ormai tramontato da un paio d’ore, i lampioni e le decorazioni luminose di Natale erano l’unica guida in mezzo alle strade innevate di Perm’.

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    Di ritorno da un’uscita amicale, Aelita Yurasova prestava particolare attenzione a non scivolare per via del ghiaccio: portava un cappotto e degli stivali scamosciati neri, in contrasto con la vivace sciarpa a quadri e i capelli biondi raccolti in un fermaglio.
    Gli auricolari erano collegati al walkman regalatole quasi due settimane prima, in riproduzione l’album “Beneath The Skin” del gruppo islandese Of Monsters and Men. Canticchiava sommessamente, alternando in maniera goffa voce femminile, maschile e cori.

    And I run from wolves, ooh
    Tearing into me
    Without teeth



    Non era contenta di rimettere piede in casa, quella palazzina brutalista era così pregna di ricordi da farla stare male, ma l’avevano espressamente invitata e non voleva trascorrere altre feste da sola. Percorse le scale fino al secondo piano, dove un’insegna riportava i cognomi Фомин - Юрасова. Interruppe la musica, recuperò le chiavi dalla borsa e aprì la porta.

    « Sono tornata. »

    L’ingresso e soggiorno dell’appartamento erano tappezzati di iconografia cristiano-ortodossa e mobilio antico, quasi a coprire la carta da parati color khaki. Mikhail, il compagno di sua madre, la salutò con la sua solita gentilezza dalla cucina, da dove proveniva un forte odore di maiale arrosto e patate. L’aveva trovato simpatico sin dagli inizi, forse complice la sua maestria culinaria: tutti gli consigliavano di aprire un ristorante in città, eppure preferiva separare lavoro e passione per non detestare entrambi; ancora non capiva cosa potesse vedere un uomo così premuroso in una donna scorbutica come Beatrisa, sua madre, intenta allora a lavorare all’uncinetto una matassa di lino bianco. Dall’ultima volta che si erano viste aveva preso ulteriore peso e applicato con scarsi risultati una tinta bordeaux, la quale non faceva altro che evidenziare i segni del tempo sulla sua cute.

    « Dove sei stata? » le chiese lei, senza alzare lo sguardo dal centrino che stava cucendo.

    « Te l’ho detto, sono andata a trovare Emiliya e Karolina. » rispose mentre tolse cappotto e stivali, per poi prendere posto accanto all’interlocutrice su un vecchio divano floreale.

    « Chi, le due lesbiche? Ti hanno convinta a cambiare ancora sponda? »

    « Prima di tutto, smettila. Secondo, non mi sono mai piaciute le ragazze. Mi ero solo tagliata i capelli. »

    « Come dici tu. » Beatrisa interruppe il lavoro e guardò finalmente la ragazza. « Piuttosto, ho incontrato Floriana a Messa, domenica scorsa. La figlia dei vicini, quella del quarto piano. Sai che ha partorito tre mesi fa? »

    « Beh, buon per lei. » rispose Aelita, sapendo già dove sarebbe andata a parare la conversazione.

    « Potresti prendere il suo esempio e darmi qualche soddisfazione, una volta tanto. »

    « O potrei non farlo. Ho altre ambizioni. » replicò incrociando le braccia.

    « Hai venticinque anni, dovresti essere più matura di così e smetterla di fare la puttana in Amer- »

    « Scusami!? »

    « Sto parlando. Pensavo di averti insegnato del buonsenso, Anastasiya, ma sei sempre stata irrecuperabile. Dopo tutti i sacrifici che ho fatto… »

    La giovane Yurasova sbatté le mani sulle cosce e si alzò, in segno di esasperazione. Era risaputo che non sopportasse essere chiamata col secondo nome.

    « Ci vediamo dopo più di un anno e devi per forza trovare una scusa per litigare? »

    « Stai facendo tutto da sola. »

    Aelita sentiva le lacrime affiorare e il volto scaldarsi, la voce invece raspava faticosamente. Detestava arrabbiarsi.

    « Io provo a sopportarti, eh. Ogni volta penso di essere stata troppo dura con te, ma appena apri bocca ti riconfermi la solita stronza. »

    « Non di nuovo, per favore. » Mikhail abbandonò temporaneamente i fornelli, ancora con grembiule e guanti da forno addosso: si ritrovava spesso a dover mitigare i toni, quando madre e figlia erano insieme. Ad Aelita dispiaceva alzare la voce in sua presenza, non aveva fatto niente e dopotutto era sua ospite. Respirò a fondo e decise di non andare oltre.

    « Scusa. »

    A quel punto si allontanò dal soggiorno, ignorando gli insulti borbottati dalla donna. Entrò nella sua vecchia cameretta con tale impeto da spaventare Denis, suo fratello acquisito di tredici anni: capelli cenere e occhi cerulei come il padre, indossava un pantalone contraffatto dell’Adidas e una felpa viola brandizzata TWC - regalatagli proprio dalla sorella in occasione delle festività.

    « Piano! Che succede? » domandò il ragazzino, mettendo freneticamente in pausa la partita di un qualche sparatutto.

    « Niente di nuovo, solo mamma. »

    La ragazza si asciugò occhi e gote, mentre dalla cesta accanto alla stufa elettrica sbucò pigramente Yankee, il piccolo San Bernardo adottato qualche mese prima; intenerita dal cucciolo si accucciò per dargli qualche carezza, nonostante il suo lato egoista non facesse altro che suggerirle fastidio.

    « Un po’ ti invidio, sai? Casa sembra più vivibile. »

    Nessuna risposta.

    « Ho detto qualcosa di sbagliato? »

    « No, hai ragione. Sembra. »

    « Cioè? » interrogò allarmata, temendo il peggio. « Devi dirmelo se succede qualcosa. »

    « Non succede niente. Hanno aspettative più basse nei miei confronti e si sono arresi, tutto qui. Non puoi prendertela con un incapace. »

    Il ragazzino iniziò a ridacchiare forzosamente, smettendo quando vide di non essere stato seguito. Non tutti apprezzavano quel suo umorismo autocritico.

    « Non dire così, dai. » fu la risposta. Nuovamente il silenzio permeò la stanza. Aelita cercò di cambiare argomento. « Come sta andando il tuo canale Youtube? »

    « Twitch. » la corresse lui. « Bene comunque, adesso mi seguono centodieci persone e stanno diminuendo gli insulti. »

    « Non dovresti avvertire qualcuno per cose del genere? »

    « Nah, Internet funziona così. Spero di migliorare ancora. »

    La ragazza, con la sua scarsa presenza online, era sorpresa dalle conoscenze del più piccolo. Due bussatine sulla porta interruppero la conversazione, annunciando la cena. Denis scattò per dirigersi a tavola, non prima di rivolgersi alla sorella maggiore.

    « Vuoi che porti il piatto di qua? »

    « Tranquillo, arriverò a breve. Grazie però. »

    Si sorrisero a vicenda, dopodiché - rimasta sola - la Yurasova si sdraiò sul letto. In pochi attimi venne raggiunta da Yankee, che allegramente iniziò a pretendere spazio e coccole. Lei preferiva i gatti, più eleganti e meno rumorosi, tuttavia quella compagnia non le stava affatto dispiacendo. Raccolse dal comodino il suo telefono e per un po’ scorse passivamente i messaggi. Osservando le foto di gruppo appena inviatele, venne sorpresa da una notifica.

    <[Hey! Come va? ]



    Si erano sorprendentemente sentiti poco, lei e Xu, durante quelle settimane.

    [ Tutto ok, da te? ]>
    [ Non è tardi? ]>
    <[ Sono appena le dieci, mamma ]



    I due amici iniziarono a conversare del più e del meno, aggiornandosi sulle rispettive condizioni; a tal merito la ragazza sviò le domande concernenti la famiglia.

    <[ Ora però devi togliermi un dubbio ]
    <[ Come cavolo si pronuncia ы? ]


    Aelita inviò una nota vocale in cui illustrava la corretta pronuncia del grafema. Dopo qualche istante ricevette un audio di risposta, tanto sbagliato quanto buffo, che la fece ridere fragorosamente.

    [ Non esattamente 😅 ]>
    <[ Era così tremendo? ]
    [ Sì! ]>



    Dalla cucina giunse la voce di Beatrisa, in quel momento più simile a un gracchiare:

    « Se non ti muovi do il tuo piatto al cane. »

    « Sto arrivando! » replicò a voce altrettanto alta. La prossima volta avrebbe decisamente prenotato una stanza d’albergo.
  9. .
    Kennedy International Airport, 5:43am



    L’aeroporto di New York, nonostante siano le prime ore del mattino, è affollato dalla miriade di persone che parte e rientra per le feste. In una caffetteria nei pressi del tabellone orario siedono Aelita e Xu.

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    La prima, più scombinata del solito, sorseggia nervosamente un infuso in vista del suo volo di nove ore, mentre il secondo - più abituato a viaggiare - è impegnato a combattere il sonno tra caffè e una breve ricerca sul suo telefono.

    YLX: Sssì. Tra Perm’ e Xi’an ci sono tre ore di fuso. Avrei giurato fossero di meno, sa-

    Alzando lo sguardo, nota la ragazza picchiettare la tazza in ceramica e gli occhi vagare con irrequietezza.

    YLX: È così ogni volta?

    La Yurasova annuisce convinta.

    YLX: Tranquilla. Respira.

    Aelita chiude gli occhi ed esegue, inspirando dal naso ed espirando dalla bocca, interrompendo gradualmente i movimenti provocati dall’ansia. Xu la guida per le prime volte, dopodiché decide sia meglio porre la concentrazione su altro.

    YLX: Sai, oggi è il 21 dicembre. In buona parte dell’Asia, Cina compresa, si festeggia il solstizio d’inverno e l’allungarsi delle giornate. Un po’ mi dispiace non arrivare in tempo per il Festival, ma conoscendo la mia famiglia prolungheranno fino a venerdì per includere il Natale e finire gli avanzi. Un anno sono riusciti a rifilarmi i ravioli all’uovo addirittura per il viaggio di ritorno.

    L’amica esala in segno di sollievo.

    YLX: Va meglio?

    AE: Decisamente.

    Aelita sorride e viene ricambiata. Al che Yì Lì Xu, simulando sorpresa, sgrana gli occhi.

    YLX: Giusto! Stavo per scordarmene.

    Dopo aver frugato nel suo borsone senape, consegna un sacchetto rustico all’europea, i cui occhi si illuminano allo scoprirne il contenuto: le è stato appena donato un walkman per CD e una copia fisica dell’album “All My Demons Greeting Me as a Friend”, uno dei suoi preferiti che però mancava alla collezione.

    AE: Oddio, non dovevi- Dove cavolo l’hai trovato- Come facevi a saperlo- Grazie-

    In mancanza di parole, la Yurasova si alza e abbraccia d’impulso il suo amico. Dopo qualche istante, tuttavia, metabolizza l’azione appena compiuta e torna con rigidità al suo posto. Nonostante il volto paonazzo, tenta di rompere l’imbarazzo.

    AE: A-adesso però mi fai sentire un po’ in colpa, dato che il mio è decisamente più modesto.

    Aelita porta la borsa sulle sue gambe per controllare dove sia il regalo.

    AE: Allora. Ha bisogno di contesto. Mi hai detto che sei stato in giro e tutto, ti eri pure stabilito a Seoul per qualche anno e, insomma, hai imparato un po’ di lingue e... va beh, tieni.

    La ragazza dunque estrae un piccolo quaderno dalla copertina in cuoio sintetico turchese: al suo interno sono trascritte con grafia curata le basi dell’idioma russo, partendo dall’alfabeto cirillico e le espressioni più comuni. La prima pagina è bianca, se non per una dedica che recita:

    Per il prossimo viaggio ☺
    - Lita



    Xu sfoglia con interesse le pagine, senza riuscire a camuffare il sorriso che pian piano si allarga.

    YLX: È davvero bello. Grazie.

    AE: Non gongolare, adesso.

    Xu annuisce, e ripone con cura il quaderno. L’atleta cinese controlla l’orario dal tabellone.

    YLX: Ci siamo quasi.

    AE: Volevo chiederti una cosa, comunque.

    La russa distoglie lo sguardo, grattandosi una guancia con l’indice.

    AE: Ti prego di non prenderla nel modo sbagliato. Ma...

    Il ragazzo ricompone la propria serietà, probabilmente intuendo il filo della discussione.

    YLX: Dimmi.

    AE: Mi pareva di aver capito che “Yì Lì Xu” non è il tuo… insomma, il tuo vero nome. E mi chiedevo quale fosse. Se non è un problema, ovviamente.

    Seppur con iniziale esitazione, Xu sorride ad Aelita e procede a rivelarle il nome all’orecchio.

    AE: Z-

    Yì Lì mette il dito indice sulle labbra della russa, poi sorride.

    YLX: Ssh.
  10. .

    THE MONOLITH

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    Membri: Yì Lì Xu & AELITA
    Codici: #EAC117 & #3DB2D8

    Theme song: Glass Animals - Tokyo Drifting


    Signature: Howlite Shot (Ushi Goroshi + Sliding Lariat)

    Glass Forger (Knee Strike + Superkick)

    Obsidian Storm

    Meteor Shower (Double 450° Splash)

    Finisher: Steel Impact (Lawn Dart + Knee Strike)

    Edited by °Kid is Alive° - 26/12/2020, 00:04
  11. .
    CITAZIONE (Yuumeboo @ 14/6/2020, 13:50) 
    « Senti, vogliamo uscire? C’è un posto che potrebbe piacerti. »

    « Che posto? » chiese confuso l’ex monaco.

    « Tu fidati. » rispose Kai ammiccando.

    « Non lo rendi rassicurante. »

    « Dovresti rilassarti, sul serio. Ne hai bisogno. »

    Il ragazzo sospirò, alzando le spalle, e seguì il suo amico.

    I due amici camminarono per quelli che sembrarono venti minuti: dovettero allontanarsi un bel po’ dal centro di Hangzhou e attraversare la zona industriale; i vari tentativi di chiarimento furono trattati con elusività. D’un tratto il peldicarota si fermò, indicando all’altro ragazzo di fare lo stesso.

    « Siamo arrivati. »

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    Davanti a loro si presentava un capannone alquanto fatiscente, probabilmente uno stabilimento manifatturiero in disuso. Il solo, fioco, punto di illuminazione proveniva dall’interno, così come qualche schiamazzo ovattato.

    « Sicuro sia questo? Sarebbe meglio- »

    « È questo, è questo. » rispose Kai con un ghigno, che senza esitare troppo si accinge ad aprire la piccola porta laterale dell’edificio. « Ci divertiremo. »

    La mente del più pacato era già arrivata a conclusioni spiacevoli, eppure non previde lo scenario postosi di fronte.

    Ma che...

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    Sgranò gli occhi al vedere lo spazio gremito di gente, chi più giovane e chi meno, accerchiata intorno a due uomini intenti a lottare; urla di incoraggiamento provenivano dal pubblico, mentre entrambi si distruggevano a vicenda con pugni e prese scomposte.
    Kai, d’altro canto, mostrava confidenza e sembrava conoscere molti dei presenti.

    Dove cazzo mi hai portato!?

    « Nel posto giusto. »

    « Non sembra affatto il posto giusto. »

    « Qui si combatte per davvero, se ne sbattono delle tradizioni e di quelle cazzate. »

    L’ex monaco mostra una smorfia pregna di interdizione e contrarietà.

    « Ti ho visto sul tatami. Meriti di meglio rispetto a quel buco di palestra. Devi soltanto scioglierti. »

    La risposta all’amico venne sommersa da un tonfo a terra e un boato da parte della folla: uno dei due lottatori, il più maturo e tarchiato, è stato messo al tappeto da un gancio sinistro alla mascella; il suo avversario, un uomo poco più giovane e slanciato, alza il pugno destro in segno di vittoria, nonostante gli evidenti ematomi sul viso e sul petto scoperto.

    « È che non vieni mai messo alla prova. Non hai mai da affrontare davvero qualcuno, dico bene? »

    « Non ti azzard- »

    Prima che potesse replicare, Kai lo spinse in avanti, dentro al cerchio. Gli occhi di tutti si puntarono su di lui, compresi quelli del lottatore che aveva appena vinto l'ultimo scontro.

    « Ah, un nuovo arrivato che si fa avanti così?! »

    « No, ecco, io- »

    « Fatti sotto, stronzetto rachitico! »

    Il malcapitato commesso aggrottò un sopracciglio. Non gli piaceva essere insultato, e non apprezzava le mancanze di rispetto, nonostante la situazione. Con lo sguardo, fulminò Kai, che nel frattempo se la rideva in prima fila, poi facendo un breve sospiro, si sganciò la felpa, gettandola a terra. Il lottatore, davanti a lui, alzò le sopracciglia, con un mezzo sorriso, probabilmente stupito e compiaciuto. Il ragazzo alzò le braccia in guardia, l'uomo fece lo stesso, e i due iniziarono a studiarsi per qualche secondo, finché il ragazzo non fu il primo ad avvicinarsi, provando a colpire con un jab destro. L'uomo lo schivò facilmente, e lo centrò con un diretto preciso alla mandibola, facendolo ricadere all'indietro. Si alzò una risata generale, mentre qualcuno contava i secondi a terra del giovane. Quest'ultimo, passato un attimo di shock, digrignò i denti e si rimise in piedi, voltandosi. Il conto s'interruppe, facendo ricominciare la lotta. Il giovane iniziò a essere più mobile e colpì con dei calci il lato del ginocchio destro dell'avversario, mantenendosi a debita distanza dai suoi pugni. La strategia sembrò funzionare, perché i ripetuti colpi iniziarono a infastidire l'uomo, che quindi gli bloccò la gamba. In quell'istante, il ragazzo scattò: sfruttando la gamba trattenuta, saltò in avanti con l'altra, afferrò il capo dell'uomo e gli tirò una ginocchiata in pieno naso, travolgendolo e probabilmente spezzandoglielo, a giudicare dalla schizzata di sangue successiva. L'uomo piombò a terra. Il ragazzo fece una smorfia, e per sicurezza gli tirò un pestone sulla nuca.

    « Contate pure. »

    L’improvvisato arbitro riuscì questa volta a terminare il conto, dando di conseguenza la vittoria al nuovo arrivato - che, nella sorpresa generale, venne acclamato. A raggiungerlo per primo fu il suo amico, il quale lo accolse con una forte pacca sulla spalla.

    « Visto? Sapevo che saresti andato bene! »

    « Vaffanculo. »

    Poco dopo aver fatto il giro dello stabilimento, l’arbitro tornò dal ragazzo con delle banconote raccolte in un elastico di gomma.

    « Questi sono tuoi, comunque. »

    « Ah. Grazie. »

    Perplesso dalla situazione si allontanò insieme a Kai, con il secondo che si mise con entusiasmo a contare il compenso, entrambi seduti sul bordo di un marciapiede secondario.

    « 7200… 7500... Sono 8000 yuan, cazzo! »

    « Stai scherzando. » rispose incredulo, facendoseli passare.

    « Per niente. »

    Il secondo conteggio fu una conferma: erano 8000 yuan, esattamente due volte la quota di affitto mensile. Era consapevole che un’entrata aggiuntiva gli avrebbe dato una mano, tuttavia le circostanze gli impedivano di gioirne. Non era quel tipo di persona.

    « Questa è l’ultima volta. »

    Edited by °Kid is Alive° - 9/11/2020, 16:32
  12. .
    CITAZIONE (_Daylily_ @ 16/11/2019, 21:50) 
    Mentr'egli si guardava intorno a scoprire la città in cui viveva, un'insegna attirò il suo sguardo: dalla tintura rossa e sbiadita, essa recitava "Shotokan Dojo". L'ex monaco venne incuriosito dalla presenza di una palestra giapponese in quella zona: affascinato generalmente dalle arti marziali, conosceva per nomea la disciplina del karate, ma non pensava ci fossero scuole anche fuori dalle metropoli. Notò che le luci al suo interno erano accese, di conseguenza vi entrò senza rifletterci troppo.

    Gli odori che prevalevano nella palestra – o meglio, nello scantinito adibito come tale - erano quelli della polvere e del tatami in gomma; sulle pareti verdognole, illuminate da alcuni neon freddi, erano appese vecchie fotografie e medaglie, mentre i numerosi trofei erano adagiati su delle mensole.

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    Approssimativamente verso le otto e mezzo di sera si era appena conclusa l'ultima lezione della giornata – e nel frattempo che alcuni allievi discutevano delle prossime gare con l'assistente, lo spogliatoio venne preso d'assalto dai restanti karateka.
    In mezzo a forti chiacchiere e uomini in déshabillé, il nuovo arrivato fu rapido nel rivestirsi e ripiegare in ordine il proprio karategi; dopo un accenno di saluto, si diresse verso l'uscita dalla palestra, fermandosi poco prima ad aspettare Kai Guo, il quale si ritrovava a parlare con il proprietario e istruttore.

    ___

    La loro prima interazione fu sempre nel dojo, qualche mese prima: il novizio venne affidato a lui, appena più esperto, in modo che potesse imparare le basi senza rallentare l’intero gruppo. Stranito dalla sua poca loquacità, disse spontaneamente:

    « Certo che sei strano forte. »

    Di risposta il neo atleta fece spallucce, provocando un risolino.

    « Su dai, mettiti in guardia e prova a seguirmi. »

    ___

    Tra i due amici si era stabilita l’abitudine di uscire a bere dopo ogni allenamento del venerdì, nello specifico in un pub di stampo irlandese vicino al centro città - talmente pieno da poter permettere loro, il più delle volte, di uscire senza pagare. Era un locale poco illuminato, ma la tinta ramata di Kai riusciva a saltare ugualmente all’occhio, specialmente in contrasto con la capigliatura scura e corta della sua controparte; sul loro tavolo, tre boccali vuoti.

    « Allora, riuscirai ad andare a Wuhan? »

    « Dicono che non sono ancora pronto. »

    Dopo un sonoro sbuffo, Kai iniziò ad imitare l'accento nipponico del maestro.

    « "Dovresti prima imparare a comportarti decentemente". »

    Risero entrambi.

    « Oddio, non sei esattamente il più pacato lì dentro. »

    « Come se servisse in combattimento. »

    Borbottò Guo, che finì in un unico sorso la restante birra nella pinta.

    « A proposito di calma fra’, non mi hai ancora spiegato per bene ‘sta storia del monastero. Ti hanno trovato in una foresta di bambù o cose simili? »

    Il ragazzo rispose con un’espressione stranita.

    « Suonava meglio nella mia testa. »

    « Decisamente. »

    Lieve sospiro.

    « Comunque potrei dirti che sono stato sempre attratto dall’ascetismo, ma mentirei: in parte ovviamente credevo di esserlo, ma la realtà è che volevo andarmene da Xi’an. Non volevo badare ai miei. Sembrava essere la via di fuga più semplice e l’ho presa. Tutto qui. »

    Il peldicarota annuì, con lo sguardo appesantito dall’alcol ma comunque concentrato.

    « Cioè, non è stato tremendo - non per i primi due-tre anni almeno. Adesso però mi sento di nuovo al punto di partenza, senza ancora sapere cosa cavolo combinare. »

    « Capisco… secondo me cuccheresti parlandone. » fu il primo commento dell’amico, seguito da un sogghigno. Passato qualche attimo sgranò gli occhi, colpito da un’illuminazione.

    « Senti, vogliamo uscire? C’è un posto che potrebbe piacerti. »

    « Che posto? » chiese confuso l’ex monaco.

    « Tu fidati. » rispose Kai ammiccando.

    « Non lo rendi rassicurante. »

    « Dovresti rilassarti, sul serio. Ne hai bisogno. »

    Il ragazzo sospirò, alzando le spalle, e seguì il suo amico.

    to be continued (2/?)

  13. .
    È tardo pomeriggio e siamo all'interno di uno Starbucks, dove universitari, turisti e freelancer bevono caffè ascoltando musica pretenziosa. Seduti ad un tavolo possiamo trovare due volti noti.

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    AELITA, vestita con un cardigan color panna e dei jeans attillati marroni, è intenta a sfogliare frettolosamente un quaderno degli appunti riempito di scarabocchi; Yì Lì Xu, seduto accanto a lei, porta un maglioncino verde smeraldo e dei pantaloni grigi, con il ciuffo legato indietro. Il cinese cerca di aiutarla nello della grammatica inglese, mentre le loro tazze semivuote di tè si sono ormai raffreddate. Dopo qualche borbottio in lingua straniera, la giovane chiude sonoramente il quaderno, sorridendo nervosamente.

    AE: Per oggi smetto di farti fare il babysitter. Tanto, conoscendomi, finirò lo stesso per comunicare a gesti.

    Il ragazzo accenna un sorriso, divertito dall'affermazione.

    YLX: Ma no, figurati. Grossomodo sono riuscito ad impararlo parlando, ma non conosco buona parte della teoria. E poi le parole si pronunciano abbastanza a caso.

    AE: Vero? Non ci capisco nulla.

    Leggero sospiro da parte della russa.

    AE: Grazie per l'aiuto, comunque.

    La Yurasova controlla l'orario dal suo cellulare, per poi aprire una nota con sopra una lista.

    AE: Sai, dovrem-

    La conversazione viene interrotta da un uomo in divisa.

    Barista: Scusate ma sta iniziando a crearsi la coda, se non consumate sono costretto a lasciare il posto ad altri.

    AE: Sì, stavamo per andarcene.

    I due si alzano, raccogliendo frettolosamente libri, giacche e borsoni. Lasciato il bar, Xu imposta sul navigatore le coordinate della palestra in cui dovranno allenarsi.

    YLX: Dicevi?

    AE: Dicevo, dobbiamo ancora decidere un nome.

    YLX: Vero. Hai già pensato a qualcosa?

    La ragazza riprende la lista dal cellulare.

    AE: Più o meno, dipende un po' su cosa vogliamo puntare. Finora ho appuntato "Kicks from the East", "No Fists Just Kicks" e altri che non mi convincono.

    YLX si gratta la guancia, chinando il capo di lato.

    YLX: Uuuuhm... non so, io ci penserei.

    AE: Okay, sono brutti. Ricevuto.

    AELITA elimina il file di testo dal cellulare e il discorso cade nel nulla, con gli atleti che camminano semplicemente seguendo le indicazioni stradali. A rompere il silenzio, dopo qualche minuto, è Yì Lì Xu.

    YLX: Che ne dici di "Monolith"?

    AE: Eh?

    YLX: È una specie di masso gigante, l'avevo letto in un libro qualche anno fa. Odissea nello Spazio, forse? Comunque ricordo fosse un blocco unico di roccia e boh, lo trovo calzante. Ti convince?

    Seppur esitante, la giovane risponde imitando il cinese.

    AE: "Uuuuhm... non so, io ci penserei."

    YLX: Che, ci sei rimasta male?

    AELITA fa spallucce, ridacchiando imbarazzata.

    AE: No, no. Il nome è interessante però! Teniamolo in considerazione.
  14. .

    Camera 212 dell'Ambassador Hotel, Oklahoma City.



    L'orologio affiso al muro segna le ore 00.44 in una stanza in penombra, illuminata dalle luci esterne e una piccola abat-jour. Seduto all'estremità laterale del letto possiamo vedere Yì Lì Xu, questa volta con un'aria più crucciata e distaccato dalla sua usuale fermezza.

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    In particolar modo notiamo come la preoccupazione coinvolga tutto il suo corpo, dalla gamba destra quasi tremolante, alle sue sopracciglia aggrottate fino ad un respiro leggermente affannato. Ad un certo punto si lascia cadere sul materasso, senza però riuscire a distendersi né tantomeno a riposarsi. È la prima volta in cui si sente così agitato da nove anni.

    ______________________________________________________

    Hangzhou, Cina orientale.

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    La città era tanto caotica quanto affollata, i venditori ambulanti si mischiavano agli impiegati d'ufficio e ai molteplici turisti. In uno dei numerosi vicoli secondari, nel retro di un piccolo negozio, un ragazzo sedeva sopra un cassonetto dell'immondizia, con un telefono all'orecchio destro; accanto a lui degli avanzi di cibo preconfezionato.

    - Sto bene. Ma non credo tornerò presto a Xi'an.
    - Non ti vediamo da tanto, però.
    - Lo so, hai ragione, ma-

    Il giovane venne interrotto dalla vista di un uomo, il quale gli fece cenno con la mano di interrompere la conversazione.

    - Devo rientrare a lavoro adesso. Ne parleremo a tempo debito.
    - Va bene. Ti aspettiamo.

    Egli chiuse la telefonata e controllò frettolosamente lo schermo: 22 ottobre 2010, ore 12.35. Scese dal bidone, vi gettò le scatole vuote e si diresse infine verso quello che era il suo capo.

    - Scusi l'attesa - disse il ragazzo, inchinandosi lievemente.
    - Non preoccuparti questa volta, giusto presta attenzione all'orario la prossima.

    Il proprietario, un signorotto robusto di mezz'età, aveva preso in simpatia il nuovo assunto: fu l'unico che, ascoltando i suoi trascorsi, decise di dargli un posto di lavoro nell'attività familiare. Aveva presto imparato a non dare peso alle noie della sua mansione, alla ripetitività o tantomeno allo scarno stipendio che gli spettava (permettendogli di pagare l'affitto di un monolocale e poco altro). D'altra parte, il ventiduenne si percepiva come un pulcino appena uscito dal nido. Non aveva mai effettivamente vissuto le numerose realtà del mondo, le stesse che lo spinsero a lasciare prima casa e poi il tempio; fare esperenza di tutto ciò che aveva idealizzato lo lasciò spiazzato, spaesato, senza un vero scopo. Aveva raggiunto l'indipendenza che sperava, ma a quale costo?

    La fine del turno arrivò assieme all'inizio dell'imbrunire e il giovane, non prima di aver aiutato con le pulizie, intraprese il cammino verso casa. L'idea di passare un'altra serata a leggere libri e lamentarsi della stanchezza non lo allettava particolarmente, dunque decise di rinviare quanto più possibile quel momento allungando il tragitto. I negozianti abbassavano le saracinesche, mentre i ristoranti emanavano forti fragranze e musiche. Mentr'egli si guardava intorno a scoprire la città in cui viveva, un'insegna attirò il suo sguardo: dalla tintura rossa e sbiadita, essa recitava "Shotokan Dojo". L'ex monaco venne incuriosito dalla presenza di una palestra giapponese in quella zona: affascinato generalmente dalle arti marziali, conosceva per nomea la disciplina del karate, ma non pensava ci fossero scuole anche fuori dalle metropoli. Notò che le luci al suo interno erano accese, di conseguenza vi entrò senza rifletterci troppo.


    to be continued (1/?)

  15. .



    « Con Gymnopédie di Erik Satie, Aelita Anastasiya Yurasova! »

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    Il sipario si apre e rivela una platea in visibilio, con i volti oscurati dalla forte illuminazione calda. Gli applausi vengono interrotti da una dolce sinfonia di pianoforte. Ad entrare in scena è una giovane donna adornata con nastri bianchi legati ai polsi e un lungo abito in tulle dello stesso colore; pallida, con lunga chioma bionda raccolta in uno chignon, uno sguardo concentrato. Ella, a tempo di musica, inizia a comporre meticolosamente figure sul palco attraverso la danza, risultando leggiadra, quasi eterea.

    « Mi chiamavano sempre col nome intero. Aelita Anastasiya... suonava così altisonante, come tutto ciò che circondava quei teatri. Non era in quel modo che volevo crescere. »



    La ragazza è adesso in abiti sportivi su un ring, intenta a combattere un'anonima avversaria - anche lei dai tratti poco riconoscibili. Lo scontro è dinamico, confusionario, con entrambe le parti che sferrano e subiscono colpi.



    « Da adesso in poi le cose cambieranno. »



    In rapida alternanza queste immagini si susseguono a quelle dello spettacolo ad un incalzante ritmo climatico tra calci, piroette, plié, sottomissioni... fino a quando il conto dello schienamento non raggiunge il 3. Suona la campana, annunciando la conclusione e vittoria del match. Con le braccia alzate, Aelita esulta e gode dell'acclamazione da parte dell'arena.

    « Ecco dove appartengo. »



    A fine rappresentazione, la ballerina torna alla realtà: è inginocchiata a terra, contemplante il cielo, appare in lacrime ma rasserenata. La ribalta viene ricoperta di rose rosse, mentre i fari si spengono e l'inquadratura sfuma verso il nero assieme al brano.



    AELITA - COMING THIS FRIDAY AT INDOOR WAR



    Edited by _Daylily_ - 16/10/2019, 17:00
15 replies since 28/2/2018
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