Il rifugio dello scrittore

Posts written by Xarthin

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    Welcome home.
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    Welcome

    Intendi dire che punti a scrivere qualcosa di simile a una light novel, no?
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    Mille grazie a tutti per il tempo e attenzione e in particolare a Gemma per il
    breve editing.
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    Grazie Ulgo e Allen.

    Penso proprio che il filone felino diventerà uno che svilupperò.

    Adesso il difficile sarà ottenere un simile feedback anche nella
    produzione sugli umani (che sanno assai più complicarsi la vita).

    Stay tuned for Phase 2.

    Ulgo: Come ti ho detto a voce mi sono basato su una teoria che
    ritiene che i gatti ci vedano come "grandi gatti" laddove i cani
    riescano invece a percepire la differenza di specie.

    Ovviamente nessuno è ancora mai entrato nella testa di un gatto,
    tantomeno io. Quindi va preso con un pugno di erba gatta.
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    Qualche tempo fa avevo scritto un racconto su uno dei miei gatti per sfizio e l'avevo inviato a una mia amica che è volontaria presso il gattile della mia città. Con mia sorpresa ha avuto un notevole successo tra le "gattare" che mi hanno così chiesto di scrivere una breve storiella per la "Festa del Gatto". Ed ecco il risultato. Inizio a pensare che queste storie feline potrebbero costituire un filone più leggero della mia produzione da affiancare alle mie storie umane più "serie".



    Un rumore. Drizzo le orecchie. Qualcosa si avvicina: passi come frutti troppo maturi che cadono a terra. E il respiro un po’ in affanno di un passero col gozzo troppo pieno per levarsi in volo.

    Non c’è dubbio. E’ proprio lei: la grande gatta.

    Entra dalla corteccia squadrata che delimita la mia porzione di tana nella grande colonia. Si volta verso di me, mostrando i denti.
    Spalanco le fauci in uno sbadiglio. Grossi gatti senza coda che camminano sulle zampe posteriori. A volte fatico ancora a crederci. Ma accettare la realtà è come sputare una palla di pelo. Da’ fastidio, ma poi ci si sente meglio.

    “Ehi Allen, amore. Come stai? Ancora in gabbia?”

    Si avvicina al nido di rametti lucenti in cui sono rinchiuso. Tra le zampe stringe una di quelle coperte che fanno quel delizioso rumore di foglie secche quando ti ci butti sopra. Si tengono tutte le cose più divertenti per loro, questi gattoni.

    La grande micia si scrolla di dosso la pelliccia, rivelandone un’altra del colore del latte. Potersi mimetizzare a piacimento, come quelle lucertole strabiche che ho visto una volta dentro al grande acquario luminoso. E’ affascinante.

    La gatta scocca una occhiata alla mia ciotola. “Ma non hai mangiato niente? C’era anche la medicina dentro!”

    Vuole quella roba? Si accomodi. Conosco quell’odore di cimice umida. L’ultima volta che l’ho sentito era nella tanta di un grande gatto bianco che me l’ha cacciata in bocca. Sono crollato addormentato come un micetto dopo la poppata, e al mio risveglio mi sono sentito più leggero sotto la coda. Da allora i richiami delle gatte in primavera mi lasciano più indifferente del tubare di un piccione.

    “Su, da bravo Allen. Fuori dalla gabbia!”

    Il nido si apre e mi stiracchio a dovere. E’ ormai da trenta ciotole che sono stato catturato e iniziavo a sentirmi come un ratto in una tana di marmotte. E a dire il vero ho pure il pelo di una marmotta. Che disastro!

    “Bravo, fatti bello che oggi vengono a vederti per l’adozione. Magari vorranno davvero un bel micione morbido come te”

    Smettila di accarezzarmi! Sai quanta fatica ci vuole per…. proprio lì! Un po’ più forte. Ora a destra… Ehi dove vai? E i grattini sotto il mento?
    “Buongiorno! Prego, entrate!”

    Altri due gatti senza coda? Da dove sono sbucati? Come ho fatto a non accorgermene? Ah, già, le coccole. Non ha artigli, questa specie di mici, ma sa come metterti fuori combattimento.

    I due nuovi arrivati sono una grossa gatta col pelo bianco sulla testa e un gattino. Gattino per modo di dire, visto che sarà il doppio di me. Come riescono a diventare così grossi, è un mistero. Forse è il latte. O forse si strafogano come un cane che ha saltato un pasto. I cani: gente senza senso della misura. Non c’è poi da stupirsi se poi ululano tutto il tempo per il mal di pancia!

    “Questo è Allen. L’abbiamo trovato due settimane fa. E’ sterilizzato e microchippato. E’ buono, coccolone…”

    “Veramente noi pensavamo a un gatto un po’ più giovane.”

    Qualcosa non va? Perché mi stanno guardando come l’ultima crocchetta rimasta nella ciotola?

    “Ma mamma! Io voglio un gattino!”

    “Non fare i capricci, Michele. E staccati un po’ da quel telefonino!”

    “Anche mia figlia è sempre a giocare con lo smartphone.”

    “Ormai ne sono dipendenti!”

    Il gattino sembra l’unica a non essere interessata a me. Ha gli occhi piantati su un sasso nero che stringe tra le zampe. Lo sfioro: troppo liscio per potersi rifare gli artigli.

    “Ehi… micio. Dai, lasciami stare!”

    Non ci posso credere. Quel sasso ha una specie di coda che oscilla a destra e a sinistra. A sinistra e a destra. A destra e a sinistra.

    “Lascia stare il mio cellulare!”

    Guarda come si arrabbia. Deve essere davvero prezioso. Forse è pieno di erba gatta. Dai fammi vedere, fammi vedere.

    “Mamma!”

    Un tonfo mi attraversa le orecchie e scatto indietro, col cuore che corre come topolino messo all’angolo.

    “Cosa c’è Michele, insomma?”

    “Mi ha fatto cadere il cellulare!”

    “Il cellulare, sempre il cellulare! Guarda come hai spaventato quel povero micio!”

    La gatta bianca allunga una zampa verso di me. Che cosa vuole? Oooh, sì. I grattini sotto il mento! E non dimentichiamo dietro le orecchie!

    “E’ cattivo! Io voglio un gattino!”

    “E invece penso proprio che questo micione faccia al caso nostro. Lo adottiamo.”
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    Benvenuta Shinigami.

    Riguardo al discorso della nostra "identità", probabilmente ciò che consideriamo "noi" è solo il risultato finale
    di usare una lente di ingrandimento nella casa degli specchi.
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    “E poi sbuca dalla folla questo ragazzotto che pretende di vendermi una barba finta egiziana a venti shekel. Venti! Senza neppure trattare un po’ sul prezzo! Roba mai vista! Diglielo anche tu, Jabar, ragazzo mio!”

    “Ah, certo signor Aziel. Un vero scandalo.”

    “Mai visto, vi dico! Allora gli propongo di vendermela a cinque, e quello tira su a venticinque. E allora io rilancio a otto e lui risponde con trenta. Alla fine riesco a chiudere la cosa a dodici. Lui è sul punto di pagarmi… quando io gli dico che quella barba gli starebbe proprio bene con un bell’abito di seta. E alla fine cinquanta mi sono beccato!”

    Jabar si stropicciò gli occhi; almeno la stanchezza gli dava un buon modo di nascondere il fatto che li stesse roteando: “Vado a controllare il carico, padrone.”

    “Mh? Sì, sì, buona idea. Vai pure.”

    Jabar si allontanò dal cerchio stretto intorno al fuoco. I mercanti avrebbero continuato a scambiarsi storie fino a che il vino non avrebbe preso il posto dell’esperienza e le risate non avrebbero attirato un branco di iene.

    Scambiò un cenno di saluto con le guardie che disegnavano strisce nella polvere in cerca di possibili minacce.

    “Ehi gente, c’è il piccoletto. Perché non ci porti un po’ di vino?”

    “Potrei pensarci, in cambio della tua lancia.”

    I denti della guardia scintillarono alla luna: “Ah ah ah! Finiresti schiacciato! E poi dovremmo ripagarti per nuovo al samaritano!”

    Che ridessero pure. Un giorno avrebbe sollevato la spada su un campo di battaglia e avrebbe mandato alla carica centinaia di bastardi come loro.

    Sollevò il telo che proteggeva il carico: porpora fenicia rossa come il sangue; lino egiziano candido come le nuvole. E cosa diceva sempre il padrone su tutti quegli altri colori?

    “Il mercante d’arcobaleno…” Lo chiamavano così, a casa. Non c’era nessuno che al villaggio non conoscesse Aziel, il samaritano, e che non avesse lavorato per lui almeno una volta. L’avevano fatto i suoi amici, la mamma, suo fratello. E adesso era toccato a lui. Ancora per poco…



    “Oh, Jabar. Non ti ho visto entrare. E’ a posto, il carico?”

    “Non manca nulla, padrone.”

    “Bene, bene. Non che non mi fidi di quei ragazzi, ma quando passi la vita a cercare di infilzare i ladruncoli possono venirti certi pruriti alle mani.”

    Padron Aziel si distese su un nido di cuscini con la smorfia di chi avesse appena ricevuto una pugnalata: “Oooh. E così imparo a voler fare le ore piccole alla mia età.”

    “Vi serve altro, signore?”

    “No, ti ringrazio. Cercherò di dormire, adesso. E dovresti farlo anche tu. Anche se immagino che sarà difficile, domani saremo finalmente a Gerusalemme.

    “Già…”

    “Sei un bravo ragazzo. E un gran lavoratore. Mi dispiacerà molto perderti.”

    Lo pensava davvero? O era sincero come quando diceva a ogni suo cliente che fosse il migliore?

    “Se non avete più bisogno di me…”

    “No, resta. Domani è il tuo gran giorno e devi essere in forze. E non ti presenteresti certo bene a palazzo con un raffreddore.”
    Dormire nella sua tenda. Non glielo aveva mai consentito prima: “Io… grazie.”

    “Oh, suvvia. Non devi ringraziarmi. Sai come mi chiamano: il buon samaritano. Spero davvero non diventi un vizio di famiglia. E domani perderò un membro della mia grande famiglia.”

    Non doveva piangere. Un guerriero non piangeva. Mai.

    “Ma tutti devono seguire i propri sogni, vero Jabar? Su! Mettiti a dormire ora.”
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    Questo è un progetto che, per certi versi, mi è davvero caro. Il remake della prima storia che postai sul forum, e che fu la prima storia che scrissi dopo uno iato di quasi una decade. Visto che il risultato finale sarà un po' lunghetto ho pensato di pubblicarla a "puntate" qui. Spero che sia di vostro gradimento.


    “E Golia, il gigante, rise di Davide che lo affrontava armato solo di una fionda, mentre lui cingeva la spada e impugnava la lancia. Ma il signore degli eserciti era al fianco di Davide. Quando Golia lo caricò, urlando come un bue infuriato, Davide prese dalla sacca una pietra di fiume…”

    Chana mulinò un dito nell’aria; i bambini lo seguirono con lo sguardo di gattini ipnotizzati dal volo di una mosca.

    “Ma poi Davide vince, vero?”

    Chana sorrise: “Ma certo, che vince. E poi è diventato un grande re del nostro popolo. E sapete come lo è diventato? Ascoltando la mamma e andando a letto presto!”

    “Ma…mamma!”

    “Come hai detto? Non ti sento se sbadigli così, Aaron. Da bravi, su! E’ ora della nanna.”

    “Ma non è giusto. Jabar è ancora a giocare fuori…”

    “Jabar è grande ormai e può stare alzato di più. E poi non è andato a giocare lui, ma a controllare il gregge.”

    Ormai grande. Ma quando un figlio poteva mai dirsi davvero grande? In cuor suo era certa che anche sotto la criniera, una leonessa avrebbe potuto riconoscere il musetto che aveva cercato il suo latte.

    Prese la coperta e la stese sui bambini. Si stava facendo corta; le dita dei piedi di Aaron iniziavano ormai a sporgere dal fondo. L’indomani sarebbe dovuta andare dal mercante samaritano e rimediare un pezzo di scarto. O qualcosa di meglio, magari offrendosi di fare le pulizie nel negozio a fine giornata.

    Era ora che spegnesse la lampada e andasse a chiamare dentro anche Jabar. Le ultime luci del tramonto erano ormai spalmate sull’orizzonte. E dire che le aveva promesso di rientrare prima del tramonto.

    Uscì dalla porta e fece il giro della capanna. “Jabar? Jabar! Dove sei?” Il suo petto iniziò a tendersi come la corda del pozzo quando attingeva l’acqua. Dove poteva essersi mai cacciato a quell’ora?

    “Sono qui, mamma.”

    Che il signore fosse lodato. “Ti sembra questa l’ora di rientrare? Mi avevi promesso che saresti sempre tornato prima del buio!”
    “Mi dispiace. E’ colpa di questo agnello. Si era allontanato dal gregge e… se l’avesse preso uno sciacallo, o un lupo. Dici sempre che non possiamo permetterci di perderne uno…”

    Allungò le mani per abbracciarlo e l’agnello si divincolò dalla stretta di Jabar.

    “Ehi dove scappi tu! Mamma? Cosa fai!”

    “Il mio ometto…”

    “Mamma, dai! Sono già grande!”

    Ma certo che era grande. Per quanto cercasse di negare l’evidenza, la testa che fino a qualche anno prima si nascondeva dietro le sue gambe ora le raggiungeva già l’ombelico. “Su, entriamo in casa.”



    “Che cosa c’è Jabar? I tuoi fratelli già dormono.”

    Jabar abbassò gli occhi, mordicchiandosi il labbro. “Ecco… Mi racconti una storia?”

    Chana ridacchiò: “Non avevi detto di essere già grande?”

    “Ma io voglio… la nostra storia.”

    La loro storia. Quella storia. Era da anni che non gliel’aveva più chiesta. Chana si sedette su una stuoia e gli fece cenno di mettersi sulle sue ginocchia. Che male poteva mai esserci a farlo rimanere piccolo ancora per un po?

    “La nostra storia inizia tanto tempo fa a…”

    “Gerusalemme!”

    Gli scompigliò i capelli: “Se la sai già allora perché dovrei raccontartela?”

    “No, no! Scusami, racconta!”

    “Bene. A quel tempo vivevo nella grande città di Gerusalemme assieme a una.. amica.” Soltanto pronunciare quella parola le provocava la sensazione di qualcosa di viscido che le risaliva la gola fino alle labbra. Come aveva potuto?

    “E’ lì che hai conosciuto papà, vero? Un guerriero! Il più coraggioso!”

    Baciò la testa di Jabar; il naso; le guance. Sì, un padre avrebbe potuto davvero essere fiero di un figlio come lui: “Era il terrore dei nemici, sempre il primo in battaglia, e sempre l’ultimo a ritirarsi. E era… un uomo gentile e…”

    “Lui ti voleva tanto bene, vero mamma?”

    Gentile? Sì, forse lo era stato. E un guerriero? O forse un ricco mercante. Un grande ministro. No, probabilmente solo un semplice vasaio o uno stalliere. Ma che importanza poteva avere? Chiunque fosse stato, le aveva lasciato un tesoro. Un tesoro che non si meritava.

    “Mamma?”

    “Io… sì tesoro?”

    “Papà è morto, vero?”

    “Sì… in battaglia, combattendo per il re. Prima che tu nascessi. Io e la mia amica, partorimmo la stessa notte. Ma il suo bambino nacque morto. E allora pensò di sostituire il suo figlio morto… con te.”

    “Era cattiva!”

    Era malvagia. Un mostro. Proprio come lei. Che sostituiva un padre con un altro: “Al mattino ci svegliammo e io trovai il corpo del mio bambino vicino a me. Era freddo. Ma io sapevo che tu non eri morto, anche se lei lo diceva. Cominciammo a lottare, a gridare, a strapparci i capelli fino in strada. Le guardie ci separarono. E ci portarono dal re.”

    “Re Salomone.”

    Scosse la testa. Non avrebbe certo potuto raccontargli degli insulti lanciati per strada fino dentro al palazzo del re. Ancora si chiedeva come avessero potuto evitare la prigione: “Anche davanti al re quella donna continuò a sostenere che eri suo figlio. Allora il re scese dal suo trono, sguainò la sua spada e la diede a uno dei suoi soldati”, strinse Jabar a sé respirando il profumo dei suoi capelli, “E ordinò che il bambino… che tu Jabar, fossi diviso in due.”

    “Ma dai… mamma. Non è successo… niente.”

    Niente. Come invidiava il modo con cui lui riusciva a parlare con distacco di quei momenti. Ma per lui una spada cos’era, se non altro che un giocattolo. E la morte; la morte era solo una caduta da cui ci si rialzava con un ginocchio sbucciato.

    “Mamma. Da grande… voglio essere un guerriero. Come…papà…”

    “Allora mi gettai a terra. Piansi e supplicai che ti prendesse lei. Purché tu fossi vivo.”, Nelle sue vene, ne era certa, scorreva il sangue di un guerriero Il coraggio di un guerriero. Mentre lei era solo una vigliacca. E una bugiarda. Che una volta stava per cedere il suo tesoro più grande senza combattere, “E allora il grande re si fermò. E ti restituì a me, dicendo che solo una madre avrebbe rinunciato a suo figlio per salvarlo.”

    La testa di Jabar scivolò sul suo petto. Chana spense la lampada e si stese a terra, stringendogli la mano. “Fine. E la fine è meglio dell’inizio.”
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    Welcome back.
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    Ti ringrazio per aver letto Show, e ancor di più per avermi fatto notare questo:

    Volendo essere pignoli fino in fondo mi sorge un dubbio... come può il gatto comprendere il significato delle parole dell’uomo, quando il viceversa non funziona? Secondo me sarebbe stato perfetto se il gatto avesse associato suoni o gesti che conosce a significati che ha interpretato nel corso del tempo passato assieme.
    Si tratta di una piccolezza, però data la puntualità dei commenti precedenti sulle questioni principali, mi sentivo di aggiungere qualcosa su cui riflettere.


    E' un punto che terrò in considerazione per il futuro, visto che pensavo di svilupparmi anche nel genere "felinoletterario" con un piccolo progettino che ho in mente.
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    Mi capita spesso di discutere con un amico in proposito di "pop culture",
    ed essendo lui un "potterista" della prima ora finisce spesso con l'usare
    J. K. Rowling come paragone di successo di molte serie.

    Una cosa che ripete spesso, e che mi fa riflettere, è come nel mondo di
    oggi sia oramai "impossibile" replicare il grande successo mondiale della
    Rowling. In parole povere è impossibile oggi "sfondare" a simili livelli
    con un libro.

    La sua tesi è che questo genere di successo si è chiuso con gli anni novanta,
    un'epoca in cui la gente "leggeva di più perché la letteratura aveva assai
    meno media con cui dover competere" e di cui primi del 2000 erano una sorta
    di "coda". Se la Rowling pubblicasse oggi probabilmente farebbe ancora
    successo, ma non così "detonante" come quello che ebbe all'epoca, salvo
    nel caso in cui Harry Potter non fosse scelto come base per una serie di Netflix
    (e qui lui citava il caso di Game of Thrones).

    Ora, io mi trovo parzialmente in accordo con lui su alcuni punti e in disaccordo
    con altri, ma sarei curioso di sentire pure la vostra al riguardo.

    Fire away!
  12. .
    Vabbè forse stiamo andando troppo off-topic.
  13. .
    Yoroshiku.

    Pure nel mio caso anime e manga sono stati la mia "porta" al mio interesse
    verso il Giappone, che però ha poi più virato verso l'ambito storico.

    Ricordo ancora quando a Venezia ci fu una conferenza di Go Nagai e lui spiegò
    da dove ebbe l'idea per i suoi "robottoni giganti".


    CITAZIONE (albacremisi @ 9/10/2019, 19:14) 
    Piacere, io invece ho appena pubblicato un fantasy in stile anime. Siamo colleghi quindi.

    Esiste il fantasy stile anime come genere?
  14. .
    Dalla mia (assai limitata) esperienza credo che con i pareri/recensioni si debba usare una filosofia
    che si sente spesso in ambito aziendale: "Tutti utili, nessuno indispensabile"

    Ogni opinione che ricevi deve essere per te come un indizio per un detective. Nessun
    investigatore dichiarerebbe chiuso il caso dopo aver trovato un solo indizio; ne cerca
    sempre il più possibile, li intreccia, li confronta e così ottiene poi la chiave per risolvere
    il caso.

    Se vuoi davvero scrivere un testo che "piaccia" allora devi raccogliere più pareri possibile
    sulla tua scrittura e analizzarli, tenendo conto che nessuno di questi è assolutamente
    obbiettivo (regole di buona scrittura, grammatica e sintassi a parte spesso il giudizio
    che abbiamo di un'opera dipende anche dai nostri gusti, esperienze pregresse, visione
    del mondo ecc. Tieni però molto conto di punti che più lettori ti fanno notare, perché
    è molto probabile che quelli siano allora problemi "oggettivi"), così avrai man mano una idea
    più chiara del "caso" della tua scrittura.

    finisca stroncato totalmente dalla critica.

    Non so cosa punti a scrivere, ma a meno che tu non voglia fare un monologo post-modernista
    che faccia riflettere il lettore sugli impatti esistenziali dell'avunculogratulazione meccanica, puoi
    star sicuro che la "critica" te lo stroncherà XD.

    Punta a piacere al pubblico, perché la critica (se intendiamo quella che da' i Nobel) troverà
    sempre qualcosa da stroncare. E' il suo mestiere.
  15. .
    Visto che spesso anche Martin si paragona alla Guerra delle Due Rose, Robert ha fatto come Enrico VII: aveva meno pretese al trono del suo cavallo, ma aveva più soldati, più denaro e più gente pronta a seguirlo dei due pretendenti legittimi messi assieme.

    Come disse Rabutin "La provvidenza è dalla parte dei grossi battaglioni".

    Poi beh, ci sono anche stati casi di forze più esigue che hanno sconfitto eserciti più grandi, ma grossomodo le risorse stanno alla base della guerra e non per nulla Sun Tzu consigliava di minare la base economica dell'avversario per "vincere senza dare battaglia".


    Riguardo a Tolkien e Aragorn penso che spesso la gente dimentichi come Tolkien si basasse su una tradizione epica antica che non stava troppo a farsi domande su ogni singolo dettaglio. Martin stesso ha appunto ammesso che la sua opera riflette un'epoca più "smaliziata" e "scientifica" rispetto a quella che produsse un Parsifal o un ciclo dei Nibelunghi, sulla cui base Tolkien ha elaborato la Terra di Mezzo.

    Ad ogni buon conto non penso che esista un modo "giusto" o "sbagliato" di scrivere un fantasy. Penso che l'High Fantasy alla Tolkien e il "Grim Fantasy" alla Martin (o affini, perché esistono tanti altri autori che scrivono come lui se non addirittura meglio) possano convivere e imporre un solo modello come "corretto" è controproducente.

    Semmai quello che ogni autore di fantasy che si rispetti non dovrebbe mai fare è giustificare scelte dettate dalla propria pigrizia con un "è fantasy, quindi tutto è plausibile".
466 replies since 1/6/2016
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