Posts written by Vanclau

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    Ehilà, bencenutissima! Io sono Vanclau, anche se qui tutti mi chiamano Gian (dal mio nome, Gianclaudio) u.u Non mi dilungo troppo nel presentarmi perché ci sarà tempo per conoscerci sul forum u.u

    Mi fa piacere che trovi il forum fantastico e spero ti troverai bene qui con noi ^
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    CITAZIONE
    «Certo che potevi anche evitare di prendere le redini del discorso!» Akiko dovette urlare con quanto più fiato aveva in corpo per farsi sentire durante l'ennesimo balzo tra un edificio all'altro. Cominciava a odiare quel modo di spostarsi e forse anche quella Servant che sembrava aver dato l'idea a Leia di riprovarci. Almeno la maga non sembrava prossima allo svenimento.
    Fermatesi su uno degli edifici più vicini al campo di battaglia, la Servant adagiò Akiko a terra e gli occhi attraverso la maschera sembravano avere un'espressione divertita.
    «E così saremmo rimasti in un silenzio imbarazzante» commentò. «Ti conviene ringraziare chi ha iniziato questa battaglia, almeno non hai dovuto mostrare tutta la tua inesperienza.»
    Akiko si sentì lievemente offesa da quelle parole, ma cercò di non darlo a vedere. Evidentemente senza troppi risultato, considerando come Leia le posò una mano sulla spalla.
    «Forse sono troppo dura con te, lo so; comunque alla fine è un bene se gli altri iniziano a sottovalutarti.»
    «Allora tu...»
    «Sei la mia Master; indipendentemente da come andrà a finire questa storia, che si vina o si perda, sono disposta a mettere in gioco la mia vita per te, nanerottola.»
    La coppia iniziò a incamminarsi verso il limitare dell'edificio. «Potresti anche evitare quel soprannome, però...»
    «A me sembra un dato di fatto»
    «Se ti fidi di me al punto da mettere in gioco la vita, me lo dici il tuo Vero Nome?»
    Ormai erano arrivate sul bordo del palazzo. La distanza era ancora troppa perché Akiko vedesse bene cosa stava accadendo alla luce della luna, ma ciò non sembrava preoccupare minimamente Leia.
    «Non è solo una questione di fiducia, Master. Spero tu possa capirmi.»
    Akiko annuì, stringendosi a Leia che effettuò un ulteriore balzo verso un edificio più vicino. Da quel che le si leggeva negli occhi, sembrava perplessa dalla situazione. «Non è una battaglia tra Servant, anche se non capisco cosa stia accadendo» concluse, incontrando l'approvazione di Akiko che ora poteva vedere quegli esseri aggredire alcuni che sembravano effettivamente essere dei Servant con i loro Master. La maga si preparò alla battaglia, ma Leia la fermò con un cenno della mano. «Siamo noi Servant a combattere per i nostri Master.»
    Questa volta, forse la prima in assoluto da quando aveva incontrato Leia, fu Akiko a sorridere con fare sprezzante. «So benissimo che di non essere all'altezza di un Servant, che nessun Master potrebbe esserlo, ma io non sono un mago che può fare solo da supporto.» A quello parole seguì una lieve luce che andò a disegnare alcune righe luminose sul dorso della mano destra di Akiko; quando scomparvero, la Master stava stringendo una katana tra le dita. «E quelli non sono Servant.»
    Leia sembrò ridacchiare, difficile dirlo con la maschera. «Una Master che si atteggia a Saber? La cosa potrebbe farsi interessante» Leia fece apparire la propria arma, gettandosi alle spalle il mantello da viaggio e scoprendo la faretra che portava dietro la schiena. Vedendola per la prima volta senza quella copertura, poté notare come i lunghi capelli neri sembravano quasi brillare alla luce della luna; indossava quella che a tutti gli effetti sembrava un'armatura di bronzo, ma che alla fine copriva solo in determinati punti come il seno, le spalle e l'inguine, lasciando scoperta la pelle ambrata dove in alcuni punti figuravano delle cicatrici che sembravano dei piccoli morsi di un qualche animale. Nonostante lo avesse già intuito dal suo modo di comportarsi, più che una Servant Akiko si ritrovò a guardare quella che era una vera e propria donna guerriera. Da dietro la maschera, gli occhi sembravano bramare la battaglia.
    «Apriamo le danze, Archer!» disse Akiko, osservando la prima ombra che sembrava averle notate e raggiunte con un balzo.
    La freccia già incoccata, Leia attese prima di scoccarla lasciando che Akiko si lanciasse contro di essa eseguendo un fendente dall'alto verso il basso che andò letteralmente a tranciare l'essere in due, partendo dal punto in cui la lama gli si era conficcata tra la spalla e il collo. Mentre questo si apriva iniziando a svanire, Archer scoccò facendo passare la freccia nell'apertura generatasi tra le due parti del nemico e colpendo la seconda ombra che le stava raggiungendo, ancora sospesa in aria nell'eseguire il balzo. Il proiettile le si conficco nel collo, dove in un corpo umano si sarebbe trovata la giugulare. Akiko balzò indietro, mettendosi in guardia da possibili altri attacchi. La sua Servant poteva colpire i nemici dall'alto, dunque avrebbero fornito qualcosa di simile al fuoco di copertura, ma ciò significava che la maga avrebbe dovuto essere la combattente che la difendeva dagli attacchi ravvicinati.
    Comunque, l'unico pensiero di Akiko dopo aver visto quanto avevano creato lei e la sua Servant fu: "Diamine che combinazione!"

    Error 404
    STATS
    NOTE DI BATTAGLIA
    Slot Attacco: 2  Slot Difesa: 2  Slot Joker: 1  Cariche: 0

    Slot Joker: Evocazione katana
    Slot Attacco 1: Fendente verticale di Akiko contro nemico d'ombra
    Slot Attacco 2: Freccia di Leia alla gola di del secondo nemico d'ombra
    Slot Difesa 1: In guardia con la katana, ha una posizione più avanzata di Archer, ma leggermente spostata sulla destra
    Slot Difesa 2: /

    Coded by ¬SasoRi
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    Capitolo Quarto
    Creazione Infinita

    Archer non avrebbe saputo dire per quale ragione avesse deciso di proteggere quei tre. La sua vista per fortuna lo aveva aiutato a vedere all’interno di quella nebbia e il suo corpo si era mosso praticamente da solo. “Forse non sono cambiato così tanto come pensavo” pensò dopo aver scalciato via Jack ed essersi messo a protezione di Rin, che intanto aveva già applicato alcuni incantesimi di guarigione ai due Servant e al Master.
    «Fai attenzione, Archer!» La preoccupazione di Rin era comprensibile, ma non sarebbe stato quello a fargli cambiare obiettivo. Doveva battere Assassin.
    «Non ti fidi più del tuo Servant?» la schernì con un sorriso abbassando le sue lame. Anche con la sua vista da Archer non riusciva a scorgere la figura del suo nemico, ma trattandosi di una classe come Assassin la cosa non lo sorprendeva.
    «Nessuno ti ha invitato.» La voce da bambina del Servant sembrava provenire da ogni direzione, ma ciò non era possibile.
    “L’aspetto è quello di una bambina, ma i suoi tratti…” I pensieri di Archer iniziarono a formarsi uno di fila all’altro, finché non raggiunse una semplicissima conclusione. «Capisco. Questo è il tuo Noble Phantasm.»
    Archer chiuse gli occhi, cercando di localizzare gli spostamenti di Assassin basandosi solo sull’udito, finché un suono diverso non lo raggiunse. Gli occhi aperti di colpo, parò il nuovo assalto portato alla sua destra con una delle due lame, provando a contrattaccare con l’altra prima che la Servant sparisse nuovamente nella nebbia. Ebbe la sensazione di sfiorarne le carni, ma a parte un piccolo rivolò di sangue non sembrò aver inflitto ferite troppo gravi.
    Quando si preparò nuovamente all’attacco successivo, la figura di una bambina sconosciuta apparve davanti a lui. In lei non percepiva la presenza di un Servant. Cosa stava accadendo?

    «Ma che cosa?» Rin si stava guardando intorno, senza riuscire a comprendere il senso di quelle visioni. Tutto intorno a lei si era improvvisamente fatto buio, le figure dei tre che stava aiutando scomparse insieme a quella di Archer. «Che sia il Noble Phantasm di Assassin?» chiese all’oscurità nella quale sembrava sprofondata.
    Provò ad alzarsi e andare avanti senza avere la certezza della direzione presa, le immagini di numerosi bambini che apparivano uno dopo l’altro come a volerla fermare. Le loro urla riempivano le orecchie della ragazza che senza accorgersene era caduta in ginocchio, cercando di non sentirle. «Smettetela! Vi prego, basta!» Ciò che sentiva erano urla di dolore, rabbia, disperazione, grida che sapevano di morte.

    «Non vi preoccupate, mi occuperò io di proteggervi.» Atalanta guardava le immagini di quei bambini senza neanche chiedersi cosa fosse appena successo. Dentro di sé sapeva di aver combattuto contro Jack lo squartatore e di essere stata separata dagli altri, ma la vista di quei piccoli volti disperati avevano riportato alla mente i ricordi del passato e quel che aveva promesso di fare. Lei aveva sempre combattuto per difendere il sorriso dei bambini, era la sua ragione di vita e tale era rimasta anche dopo essere stata evocata con il titolo di Archer of Red.
    «Archer, sai bene che tutto questo non è reale!» La voce di Ruler era sicura di quell’affermazione, ma Atalanta non sembrava volerne sapere di ascoltarla.
    «Non ti permetterò di far del male a questi bambini!» La Servant impugnò il proprio arco, rivolgendolo verso Ruler.
    Solo grazie a quel Noble Phantasm si erano resi conto della vera identità del Servant evocato come Jack lo Squartatore. Le anime dei bambini morti durante quegli anni, i poveri e gli indifesi della strada che avevano preso le sembianze di un Servant evocato durante la Grande Guerra. Nonostante ciò, però, Archer of Red non sembrava rendersene conto e Ruler poteva capirla un poco. Distruggere quelle anime andava contro ciò in cui aveva sempre creduto anche quando era in vita. La faceva soffrire, ma doveva dare a quei bambini il riposo eterno cui erano destinati. Non avrebbero più sofferto come sembravano star facendo in quel momento, ne era sicura, ma invece Atalanta non sembrava rendersene conto.
    «Come puoi dire proprio tu di volerle distruggere nonostante il nome importante che porti! Rispondimi, Jeanne D’Arc!»
    Per tutta la vita Ruler, Jeanne D’Arc, aveva combattuto per liberare la Francia guidata dalla voce di Dio, aveva mostrato la sua bontà e volontà di proteggere gli altri, ma ora non poteva più tirarsi indietro. Lei era il Servant evocato dal potere stesso del Graal Maggiore, il Ruler che doveva regolare la Grande Guerra del Graal e Assassin of Black andava fermata a ogni costo. Non le faceva piacere l’idea di distruggere quelle anime, ma se non l’avesse fatto le conseguenze sarebbero state peggiori. «Non puoi salvarli, Archer of Red» provò a farla ragionare. «Non possono più essere salvati.» Gli occhi le si inumidirono dalle lacrime al solo pensiero di spazzare via quelle anime.
    «Non te lo permetterò!» La sicurezza di Atalanta parve riversarsi in quell’unica freccia ancora incoccata nell’arco, che saettò rapida verso Jeanne colpendola a una spalla. Ruler però si limitò a una semplice smorfia di dolore senza arretrare di un passo, la sua convinzione che non sembrava voler vacillare. Stava per affrontare Atalanta, quando una misteriosa luce rischiarò le tenebre e un solo grido risuonò sopra le urla delle anime.
    «Unlimitade Blade Works!»

    Le immagini di quei bambini smossero qualcosa nel cuore di Archer, una consapevolezza che credeva di aver dimenticato. A differenza di quanto accaduto nella Quinta Guerra, durante quell’evocazione non sembrava aver dimenticato la sua identità, il suo Vero Nome. Gli eventi che aveva costellato la sua vita ancora fin troppo vividi in lui, riemersero come immagini in quell’oscurità. Il fuoco che vide da bambino, la distruzione cui suo malgrado fu testimone, i sentimenti che credeva di aver abbandonato dopo essere stato evocato come Servant.
    Intorno a lui quell’oscurità era piena di grida di terrore che già in passato aveva sentito, le ricordava fin troppo bene.
    «Questo Noble Phantasm sembra rivelare ciò che è la vera natura di Jack lo Squartatore» commentò tranquillo rivolto ai due che gli stavano accanto. Non sapeva chi fossero ma erano dello stesso gruppo che poco prima aveva salvato, un ragazzo dai corti capelli castani e gli occhi rossi e un Servant in armatura con i capelli rosa legati in una stretta coda.
    «Ma questi bambini…» Il Servant sembrava visibilmente sconvolto.
    «Non possiamo aiutarli» sentenziò Archer con tono severo. «Queste anime non appartengono più al nostro mondo.»
    «Non è giusto.» Il Master dai capelli castani sembrava contrariato da quella risposta.
    «In questo mondo, il concetto di giustizia è fin troppo relativo e astratto. Aiutare tutti è impossibile, i paladini della giustizia in grado di farlo sono solo fantasie.» Archer si guardò intorno. «Possibile che tu non ti accorga come queste siano anime ormai perse in quest’oscurità?»
    «Un modo deve esserci! Non possiamo lasciare che…»
    Archer si voltò di scatto, fulminando il Master con lo sguardo. Il ragazzo parve spaventato e non aggiunse altro. «Se davvero vuoi aiutarli, l’unica cosa che puoi fare e non dimenticare i loro volti! Ricorda chi sono, ricorda le loro morti e non saranno costretti all’oblio di questo mondo senza luce!»
    I due lo guardarono senza dire niente. Alla fine fu il Servant a prendere la parola. «Ma tu chi sei?»
    «Un Servant di classe Archer. Un uomo che in vita si credeva possibile di salvare tutti.» Archer si rabbuiò. «Aiutare tutti è impossibile, possiamo salvare solo i vivi e chi ci è vicino.» Sorrise. «Però possiamo non dimenticare chi muore, ricordarli e raccontare le loro storie. Se davvero vuoi salvare queste anime, ragazzo, non dimenticarle e non lasciarle cadere nell’oblio. Anche se non conosci i loro nomi o come hanno vissuto, ricordati sempre che in un determinato tempo sono esistite e così le salverai.»
    Archer diede loro le spalle. Un tempo non avrebbe mai parlato così, ma forse gli eventi della Quinta Guerra lo avevano cambiato più di quanto lui stesso credesse. «Ora bisogna spazzare quest’oscurità» disse infine. «Unlimitade Blade Works!»

    «Ho percepito un Noble Phantasm.» Saber al suo fianco si mise in guardia. «In questa città si sono radunati fin troppi Servant.»
    Shirou si guardò intorno. La nebbia sembrò stare per diradarsi e finalmente la visibilità stava aumentando secondo dopo secondo. Sin dal loro arrivo, il luogo sembrava una vera e propria città fantasma e a ogni passo temevano di incontrare qualche nemico. Rin li aveva informati della possibile posizione di Assassin e avevano deciso di raggiungerla, mentre Waver raggiungeva il castello degli Yggdmillenia per indagare sulle misteriose parole di Kotomine. Non avevano ancora trovato i loro amici, ma la Servant pareva essere sulla difensiva sin dai primi passi mossi in quella città.
    «Puoi riconoscerli?» le chiese titubante.
    «Uno potrebbe essere Archer, ma degli altri non ho idea di chi siano.»
    Archer dunque aveva già ingaggiato battaglia contro un nemico a loro ignoto, forse Assassin, ma chi erano gli altri Servant? «Forse dovremmo provare a contattare Rin» propose tirando fuori il cellulare e provando a chiamare l’amica. Il cellulare squillò a vuoto per alcuni secondi prima che la linea cascasse.
    «Ti ho trovato, Servant!»
    L’urlo fece voltare entrambi verso un punto ben preciso e dalla nebbia emersero due figure, un uomo e quello che doveva essere un Servant in armatura completa che non lasciava neanche un’apertura. L’elmo, bianco come il resto della corazza, pareva munito di un paio di corna e la voce quasi distorta dava comunque l’impressione di essere femminile. Il Master era invece un uomo alto dai lunghi capelli castani e gli occhi dietro un paio di occhiali da sole, vestito quasi interamente di pelle nera.
    «Sicura sia un Servant?» disse l’uomo con fare dubbioso. «Credevo avessimo incontrato ormai tutti i Servant di questa Guerra e lei mi è nuova.»
    La ragazza in armatura annuì. «Non ci sono errori, è sicuramente un Servant però…» Si tolse l’elmo, rivelando un volto giovanile circondato da lunghi capelli biondi tenuti legati.
    Shirou rimase a bocca aperta, osservando prima la misteriosa Servant e poi Saber, senza sapere cosa poter dire. La somiglianza tra quelle due era incredibile.
    «Non mi aspettavo di rivederti in questo mondo, Mordred» disse Saber mettendosi in guardia mentre l’altra partiva alla carica senza alcun preavviso.
    La spada di colei chiamata Mordred impattò contro l’arma ancora invisibile di Saber, producendo scintille e permettendo alle due di guardarsi molto da vicino. La rabbia negli occhi di Mordred era qualcosa di innaturale.
    «Ben trovata, Artoria Pendragon.» Quelle parole furono seguite da una luce che preannunciò l’apparizione di Excalibur nelle mani di Saber. La lama dorata di lei e quella di Mordred produssero uno stridio che per un istante Shirou pensò gli avrebbe fatto sanguinare le orecchie. Non pensava né di poter vedere tanto sgomento negli occhi della sua Servant né potesse esistere tanta rabbia come quella che vedeva negli occhi di Mordred in quel momento.

    Il Noble Phantasm di Archer spazzò via l’oscurità nella quale lui, Rin, Ruler, Sieg, Rider of Black e Archer of Red erano piombati. Le voci delle anime si affievolirono e il mondo iniziò lentamente a cambiare trasformandosi in una landa desolata il cui paesaggio era interamente costellato di spade di differenti forme e grandezze conficcate nel terreno. Davanti al gruppo, Jack lo Squartatore sembrava sorpreso.
    «Come puoi aver resistito al mio potere?» Assassin of Black fece un passo indietro, pareva impaurita.
    «Tu sei l’unione delle anime di quei bambini morti tanto tempo fa, la loro volontà è sopravvissuta fino a oggi prendendo il Vero Nome di Jack lo Squartatore, del quale si è sempre ignorato l’aspetto.» Archer estrasse una di quelle spade, un’arma dalla lama lunga e sottile con l’impugnatura a due mani. «Ma pensavi davvero di intimorirmi con un simile giochetto?»
    Più il tempo passava più la paura negli occhi di Assassin si ampliava. «Ora verrai sconfitta.» Archer scattò in avanti, la spada impugnata saldamente nelle mani e pronta a calare ma un urlo interruppe quell’attacco, seguito da una figura femminile dai capelli e le vesti verdi che con il proprio arco aveva fermato la lama.
    «Archer of Red!» La voce di Ruler raggiunse i due. «Cosa stai facendo?»
    «Non permetterò che questi bambini muoiano!» Archer of Red strinse i denti. «Ho giurato che avrei protetto il sorriso di tutti I bambini, non verrò meno alle mie parole!»
    «Idiota, vuoi davvero salvare questa Servant?» Archer provò a fare pressione con la spada contro l’arco di lei, riuscendo almeno in parte a farla indietreggiare.
    «Non lascerò che soffrano ancora!» La determinazione di Archer of Red, per quanto fuori luogo secondo Archer, lo colpì.
    «Allora lascia che ponga io fine alle loro sofferenze! Lascia che raggiungano l’altro mondo in pace anziché essere legati qua come Servant e non soffriranno più!» Archer le diede un calcio per allontanarla ma Atalanta piroettò all’indietro incoccando una freccia a scagliandola contro l’uomo. Il proiettile venne evitato per un soffio con un salto ma una seconda freccia lo prese alla mano disarmandolo.
    Atterrando, Archer estrasse due spade impugnandone una per mano e preparandosi ad affrontare l’inaspettata avversaria. Non era presente tra i tre che aveva salvato e sembrava rispondere alla classe di Archer, dunque doveva essere celata alla sua vista dalla nebbia causata da Assassin. «Folle, credi davvero di potermi battere all’interno del mio Noble Phantasm?»
    «Ho giurato» ripeté lei in quella che ormai sembrava una vera e propria cantilena. «Ho giurato e non mi tirerò indietro!»
    «Archer!» la voce di Rin lo raggiunse. «L’oscurità! Guardala!»
    Archer osservò meglio Atalanta e notò solo in quel momento un’aura oscura aleggiare intorno a lei, un potere che non credeva possibile potesse esistere. Non pareva aver avuto altro effetto se non quello di incrementare la rabbia e la frustrazione nel cuore della Servant, ma proprio ciò poteva renderla molto più pericolosa. «Dunque è questo quello di cui parlava Waver Velvet» commentò. «Il potere del Graal Oscuro!»
    L’oscurità non sembrava aver ancora preso completamente il sopravvento su Archer of Red, ma non poteva prolungare ulteriormente la battaglia o il suo Noble Phantasm si sarebbe esaurito. Doveva concluderla in fretta, sistemare sia Atalanta sia Jack. Si lanciò nuovamente all’attacco con entrambe le spade, deviando un’ulteriore freccia scoccata dall’arco di Atalanta e colpendola con il piatto dell’altra lama, prima di dirigersi da Jack. Quest’ultima stava ancora a terra, quasi tremante di paura e in quel momento aveva davvero le sembianze di una bambina.
    «Non voglio morire…» disse in un sussurro. «Ti prego, no!» Archer le stava davanti, la spada sollevata sopra la testa, pronto a dare il colpo di grazie.
    Atalanta si rialzò, prendendo nuovamente la mira e provando a scoccare una freccia ma prima che potesse farlo Jeanne D’Arc le si parò davanti disarmandola. «È finita, Archer of Red. Sai che non puoi salvare quelle anime.»
    La Servant ormai stava piangendo a dirotto, impotente mentre l’aura oscura intorno a lei continuava ad aumentare. Ciò che fece traboccare quel vaso di disperazione fu l’ultimo urlo prima che la lama di Archer calasse a colpire Jack, ponendo fine alla vita della Servant.
    Atalanta guardò nella loro direzione, osservando il piccolo corpo di Assassin iniziare lentamente a svanire, le guance di Jack rigate dalle lacrime e le labbra che si muovevano lentamente in una singola parola il cui unico ascoltatore fu l’uomo in rosse. Nessuno poté vedere la lacrima che scese sulla sua guancia e nessun’altro poté udire quella singola parola.
    «Grazie.»
  4. .
    Capitolo Terzo
    Chiamata per la Romania

    Forse era stato troppo semplice dire di “provare a chiedere a Shinji e Sakura”. Shirou aveva iniziato a maturare quel pensiero dopo che per l’ennesima volta il cellulare di Shinji stava continuando a squillare senza che qualcuno rispondesse. Anche provare a passare a casa non sembrava servito a nulla se non ad avere la conferma che Sakura sembrasse non sapere niente né del fratello né dell’apparizione dei Servant.
    «Quindi non abbiamo altre piste da seguire qui a Fuyuki.» Waver e Shirou si trovavano in un piccolo locale poco distante dal Parco di Shinto, sia Saber sia Rider erano accanto a loro informa spirituale così da non essere visti. «Hai provato a sentire Tohsaka?»
    «I motivi della ricomparsa di alcuni Servant non sono chiari, ma pare abbia scoperto qualcosa su una certa Grande Guerra del Graal anche se non le è ancora chiaro cosa sia.» Shirou si voltò a osservare il parco visibile da una delle vetrine del locale. Lui viveva là un tempo, prima che quel luogo fosse devastato dall’ultimo scontro della Quarta Guerra. Ricordava fin troppo bene la morte causata dalla battaglia, come se fosse successo appena il giorno prima; se una singola Guerra di sette Servant poteva causare tutto quello, una “Grande Guerra” cosa avrebbe portato?
    «La Grande Guerra del Graal» ripeté Waver pensieroso.
    «Sa qualcosa signor Velvet?»
    «Per favore, chiamami solo Waver.» L’uomo si aggiustò gli occhiali. «Non so niente di preciso, ma se la Grande Guerra ha qualche collegamento con l’apparizione dei nostri Servant, allora potremmo avere qualche problema.»
    «Forse dovresti dir loro tutto, Waver.» La voce di Rider sorprese Shirou, che per un istante si era quasi dimenticato della presenza del Servant.
    «Rider ha ragione.» Waver finì la sua tazza di the, iniziando il racconto di come durante la Terza Guerra, avvenuta all’incirca durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale, il Graal fosse stato rubato da un Master dell’epoca appartenente alla famiglia degli Yggdmillenia. Shirou quella parte già l’aveva sentita da Rin prima di incontrare l’uomo, ma quindi non si spiegava il perché dello scoppiare di altre due Guerre se il Graal non c’era più. «Non ci sono certezze in merito e per questo motivo speravo di potermi confrontare con uno dei Matou, ma se le mie supposizioni sono esatte furono le tre famiglie principali, Matou, Einzbern e Tohsaka, a fare in modo che avvenisse la Quarta Guerra ma senza il Graal Maggiore, rubato dagli Yggdmillenia, serviva qualcos’altro che ne prendesse il posto. Non ho idea di cosa sia stato usato, ma c’è la possibilità che si sia così generato un qualcosa che potremmo definire Graal Oscuro.»
    «Kiritsugu se ne era accorto, per questo mi ordinò di distruggerlo dieci anni fa.» La voce di Saber espresse lo stesso pensiero che si era già formato nella mente di Shirou; anche loro avevano avuto modo di vedere come il Graal per il quale stavano combattendo fosse corrotto.
    «Il Graal Oscuro però è sopravvissuto all’interno di Gilgamesh» continuò Waver. «E non abbiamo la certezza che sia andato veramente distrutto quando avete vinto l’ultima battaglia. La Grande Guerra del Graal è un conflitto indetto dall’Associazione Magica per riprendersi il Graal Maggiore, dove sette Master evocano i propri Servant e combattono contro un’altra squadra di sette Master e sette Servant. Non avrei voluto crederci, ma c’è anche la possibilità che l’Assassin che abbia inseguito Illya fosse in realtà un membro di una delle due squadre della Grande Guerra.»
    «Quindi potremmo essere stati tirati in ballo nella Grande Guerra del Graal.»
    «Sì Emiya e questo non mi piace. Sicuramente non siamo membri di nessuna delle due fazioni, dunque l’unica possibilità è che sia stato il Graal Maggiore a permetterci di essere nuovamente dei Master.»
    «Anche il Graal Oscuro potrebbe avere questo potere.» Anche se Shirou non poteva vederla in volto, dalla sua affermazione trapelava una preoccupazione innaturale per una come Saber.
    «Non avrebbe avuto motivo per farlo.» Waver sembrava sicuro. «Se davvero l’unico obiettivo del Graal Oscuro è far espandere la propria corruzione, al massimo gli sarebbe servito evocare esso stesso un proprio Servant, come un Ruler, nel quale trovare riparo e fonte di potere.»
    Shirou concordò con Waver. Troppe incognite c’erano ancora e più risposte sembravano trovare più numerosi erano i nuovi quesiti.
    Quando il telefono squillò, parte dell’aria tesa scesa su di loro sembrò svanire. Il ragazzo non riconobbe il numero apparso sul display, ma una strana sensazione iniziò a impadronirsi di lui. «Pronto?» disse con voce tremante.
    «Emiya Shirou.» Riconobbe all’istante quella voce, un suono che difficilmente avrebbe potuto dimenticare dopo gli eventi della Quinta Guerra.
    «Kotomine Kirei» disse in un sussurrò, attirando su di se gli occhi di Waver e quelli invisibili di Saber e Rider. «Che cosa vuoi?»
    «Immagino tu abbia tante domande in questo momento. Non ho le risposte che stai cercando, ma so dove potresti trovarle. In Romania, luogo dove si sta svolgendo la Grande Guerra del Graal ma fai attenzione, questo conflitto non sarà come i precedenti.»
    «Che cosa vuoi dire? Cosa sai tu di tutta questa storia?» Shirou aveva iniziato a urlare senza rendersene conto e fu solo quando vide il volto di Waver che si accorse di come i presenti nel locale si fossero voltati verso di lui. «Rispondi» disse abbassando il tono di voce.
    «Non so molto più di te, Emiya Shirou, ma in Romania in questo momento le due squadre di Servant stanno combattendo la Grande Guerra, dunque là potrai trovare di certo più informazioni piuttosto che restare a Fuyuki.» Kotomine non aspettò neanche una risposta da parte del ragazzo che chiuse la chiamata.
    «Kotomine Kirei era il Master di Assassin durante la Quarta Guerra e quello di Lancer nella Quinta, non sarebbe strano se anche lui avesse di nuovo un Servant» disse Waver dopo aver sentito il resoconto della breve chiamata ricevuta da Shirou. «So dove si trova il castello degli Yggdmillenia, quindi faremo bene a organizzarci subito per andare in Romania.»
    Shirou annuì. «Avviserò Rin di raggiungerci. Forse è proprio per questo che siamo stati richiamati in battaglia, anche noi dobbiamo prendere parte alla Grande Guerra del Graal.» Il ragazzo aveva sperato di non dover più affrontare simili battaglie, gli scontri con Caster, Rider, Assassin e Berserker ancora fin troppo vividi nei suoi ricordi, fino ad arrivare alla lotta contro Gilgamesh, l’ottavo Servant sopravvissuto fin dalla Guerra precedente.
    «Shirou, se il nostro destino è quello di combattere, non mi tirerò indietro.» La voce di Saber al suo fianco ebbe il potere di tranquillizzarlo un poco.
    Il ragazzo strinse il pugno poggiato sul tavolo. «Andiamo.»

    L’uomo sorrise. Tutto si stava muovendo come programmato, senza alcun intoppo. Squadra Rossa e Squadra Nera continuavano a darsi battaglia senza sospettare di nulla e con i loro problemi interni, il potere del Santo Graal che li attirava come una luce poteva attirare una falena.
    «È tutto anche troppo semplice, neanche Ruler sembra essersene accorta» disse con un tono di voce da cui traspariva malcelato entusiasmo. Si voltò verso la ragazza dietro di lui, seduta con la schiena poggiata alla parete. Gli occhi vacui di lei lo fissavano come se non lo vedessero per davvero ma lo attraversassero da parte a parte. «E con te sarà tutto ancora meglio, Matou Sakura.»
    Sospirò, senza aspettarsi una qualche risposta da quel guscio vuoto. Avere il potere di un membro della famiglia Matou gli sarebbe tornato utile al momento opportuno, ne era certo. «Ora sono proprio curioso di vedere quale sarà la vostra mossa, Master di Saber, Archer e Rider» commentò.
    L’uomo però non si accorse di un’ombra che si stava allontanando non vista dalla zona, una figura che di umano pareva avesse soltanto le sembianze. Come fosse completamente avvolto nell’oscurità se non per una sorta di maschera raffigurante un teschio bianco che gli copriva metà del volto, il Servant raggiunse il tetto di un edificio nelle vicinanze.
    «Dunque questa Guerra avrà dei risvolti imprevisti. Ottimo lavoro, Assassin.» Il Master che lo attendeva stava sorridendo, seduto sul bordo dell’edificio con le gambe che penzolavano pericolosamente nel vuoto sotto di lui. «Archer, Saber e Rider si sono mossi, Berserker è stato catturato dalla Squadra Rossa e noi siamo qui. Ora non rimane che trovare Lancer e Caster. Sarà tutto molto interessante.» L’uomo si alzò. «Anche se non credo sarà così facile, quel tipo è pericoloso.

    Rin stava ancora a Londra quando venne contattata da Shirou. L’idea che Kotomine fosse riapparso dal nulla con quelle informazione non le piaceva, l’idea fosse una trappola si stava facendo sempre più strada in lei.
    «Però è l’unica pista che abbiamo» le disse Archer come avesse intuito i suoi pensieri. «E se davvero è diventato nuovamente un Master, potrebbe essere nostro alleato considerando come dobbiamo allearci con Saber, Rider o Berserker.»
    «Forse hai ragione ma non posso dimenticare cosa accadde la scorsa volta.» Rin non si fidava di Kotomine e nulla avrebbe potuto farle cambiare idea.
    «Sono quegli occhi che mi hanno convinto delle tue qualità di Master, Rin.» Non poteva vedere Archer al suo fianco, ma ebbe l’impressione che stesse sorridendo. «Qualche idea di dove incominciare le nostre ricerche?»
    Rin si guardò intorno. Giunta in Romania, aveva appreso dei recenti omicidi di maghi ad opera, presumibilmente, di Assassin e voleva seguire quella pista. Se non si stava sbagliando, dopotutto, erano sulle tracce della stessa Servant che aveva inseguito Illya ed era l’indizio più concreto che potessero desiderare. Se quell’Assassin faceva parte di una delle due fazioni in lotta per il Graal Maggiore, doveva interrogarla.
    «Gli ultimi omicidi sono avvenuti in questo paesino, ma questa nebbia non permette di vedere niente!» si lamentò.
    «Aspetta.» Archer si materializzò al suo fianco. «Percepisco alcuni Servant, sembra stiano lottando tra di loro.»
    Rin guardò prima il suo Servant, poi nella direzione che stava fissando tanto intensamente ma per colpa della nebbia l’unica cosa che riusciva a scorgere era una figura indistinta di una ragazza.

    Combattere in quelle condizioni non era semplice. Nonostante la sua classe dovesse essere superiore alle altre, con una visibilità praticamente nulla non riusciva a veder arrivare gli attacchi di Assassin of Black.
    «Ruler!» Il richiamo allarmato di Rider of Black le fece evitare per un soffio l’attacco del Servant nemico, ma Assassin non sembrava voler arrendersi e scomparve nuovamente nascosta dalla nebbia. Aveva l’aspetto di una bambina, ma quegli sguardi così carichi di furia omicida erano degni del leggendario assassino di Londra che non fu mai catturato.
    Facendo qualche passo indietro si ritrovò schiena contro schiena con Rider of Black. Poco dopo la figura di Sieg si unì a loro. Degli altri presenti, non proprio alleati ma neanche veri e propri nemici in quel frangente, nessuna traccia.
    «Come combattiamo in queste condizioni?» si lamentò Rider of Black, la spada in pugno che fino a quel momento era riuscito a fendere solo quella specie di impenetrabile nebbia magica.
    «Aspetta Sieg!» Ruler si voltò verso il ragazzo dai corti capelli castani e gli occhi rossi, che aveva già alzato la mano su cui figurava il simbolo nero delle Magie di Comando. «Non sai cosa potrebbe succedere se finisci le Magie di Comando e non abbiamo la certezza di poterla sconfiggere così!»
    «Però non possiamo rimanere ad aspettare il suo attacco.» Gli occhi di Sieg trasmettevano una determinazione che Ruler non pensava potessero appartenere a quel ragazzo lanciato nella mischia contro la sua volontà. Anche se fino a quel momento si era battuto per la propria sopravvivenza, affrontando innumerevoli pericoli, non riusciva a credere fosse cresciuto tanto. «Ho deciso di combattere usando il mio potere per proteggerti, non voglio arrendermi adesso!»
    «Il mio Master ha ragione!» annuì Rider. L’armatura vestita dal Servant mostrava i segni di quella battaglia di logoramento che stavano affrontando, dove il pugnale di Assassin aveva colpito con una rapidità e una precisione quasi letali.
    «Il nostro avversario è il leggendario assassino Jack lo Squartatore» disse loro Ruler. «Se non siamo sicuri di batterlo non possiamo farci cogliere impreparati o per noi sarà la fine.»
    Un movimento troppo rapido per un essere umano allertò i sensi dei tre, facendoli voltare in un’unica direzione dalla quale la piccola figura di Assassin apparve pronta ad attaccare nuovamente. Ruler impugnò la propria spada per proteggersi ma prima che le due lame impattassero una nuova figura emerse dalla nebbia impugnando due lame corte e parando l’affondo di Assassin.
    «Jack lo Squartatore?» L’uomo sembrava sorridere mentre dava loro la schiena coperta da una lunga veste rossa. «Penso di capire il perché sia così brava a sfuggire anche a qualcuno come Berserker allora.»
    «Chi sei?» Rider abbassò la spada, la sorpresa era palese nei suoi occhi per l’aiuto insperato. Anche Ruler non riusciva a capire, poiché chi li aveva appena protetti non era umano ma un Servant.
    «Servant Archer?» disse in un sibilo. Eppure in quell’Archer c’era qualcosa che non riusciva a comprendere. Oltre al fatto che aveva già incontrato entrambi gli Archer della Grande Guerra, quel Servant aveva anche una particolarità incredibile per lei che era il Servant evocato dal Graal Maggiore stesso. Non riusciva a scorgere il suo Vero Nome.
    «State bene?» La voce di una ragazza che stava sopraggiungendo di corsa da loro strappò Ruler a quei pensieri. Palesemente, si trattava della Master di quel misterioso Servant.
    «Non so cosa stia succedendo qui» disse Archer dando un calcio a Jack e allontanandolo. «Però di una cosa sono certo, questo Assassin potrebbe avere le risposte che cerchiamo. Rin, occupati delle loro ferite, ad Assassin ci penso io.»
  5. .
    Capitolo Secondo
    Riunione

    L’ultima volta che Shirou era stato a casa di Rin la Quinta Guerra era ancora in corso, ma nulla sembrava cambiato da come la ricordava. Come ci si poteva aspettare dalla residenza di una delle più importanti famiglie di maghi, la villa mostrava uno sfarzo eccessivo e che almeno in parte cozzava con quello che era poi il carattere dell’unica rimasta ad abitarci.
    Tohsaka Rin stava bevendo una tazza di the quando il giovane entrò nella sala da pranzo affiancato da Saber. Ancora gli riusciva difficile credere che il suo Servant fosse tornato e proprio non riusciva a comprendere cosa potesse significare, così aveva subito contattato Rin nella speranza potesse dargli qualche informazione in più venendo a conoscenza che qualcosa di ancor più incredibile era accaduto. Saber non sembrava essere l’unico Servant ad aver fatto la sua apparizione.
    A conferma di ciò che Rin gli aveva detto per telefono, in piedi alla destra della ragazza stava un uomo con le braccia conserte vestito con una lunga giacca rossa sopra un’armatura nera. La carnagione abbronzata faceva uno strano contrasto con gli occhi dorati e i capelli bianchi, ma il tutto non stonava affatto con quella che era l’aura di sicurezza emanata dal Servant di classe Archer, lo stesso usato da Rin durante l’ultima Guerra.
    «Tra poco dovrebbe arrivare anche Ilya» annunciò Rin guardandolo. «Mi ha chiamato poco prima di te dicendo di avere notizie importanti.»
    Shirou annuì prendendo posto alla lunga tavola posta al centro della stanza. «Ha chiamato anche me, sembra che non solo Archer e Saber siano tornati. Anche Berserker.»
    Archer avanzò verso Saber. «Sai cosa stia succedendo?» le chiese quasi ignorando volutamente Shirou.
    Saber scosse la testa. «Le mie informazioni purtroppo non credo differiscano dalle tue, Archer.»
    Rin e Shirou si guardarono un istante prima di osservare entrambi interrogativi i loro Servant. Fu Saber a prendere la parola. «Come già sapete, quando veniamo evocati i nostri ricordi dovrebbero riguardare tre cose importanti: la storia del mondo, la lingua parlata e la Guerra.» La Servant si sedette accanto a Shirou. «Per i primi due punti non ci sono problemi e anzi entrambi abbiamo le memorie della Quinta Guerra che abbiamo combattuto, io anche della Quarta affrontata al fianco di Kiritsugu.» Guardò per un attimo Shirou, poi riprese la sua spiegazione. «Questa volta però è differente, non percepisco Archer come mio nemico in questo conflitto e non ho neanche informazioni riguardo a quella che invece dovrebbe essere la Sesta Guerra. Immagino che per te sia lo stesso.» L’ultima affermazione fu fatta osservando Archer, il quale annuì.
    «Speriamo Ilya abbia più informazioni» disse quindi Rin.
    Non dovettero attendere molto l’arrivo di Ilyasviel von Einzbern, un’altra dei partecipanti alla Quinta Guerra, Master di Berserker e prima loro nemica poi dopo la sconfitta del suo Servant loro “amica” anche se Shirou non era certo potessero proprio definirla così. Il rapporto tra i tre, comunque, non era più belligerante nonostante tutto.
    La cosa che stupì i presenti, però, fu l’arrivo di altre due persone inattese oltre a Ilya. L’assenza di Berserker poteva essere spiegata dalla natura stessa del Servant ma sia Shirou sia Rin, come i loro Servant, ignoravano l’identità di coloro che si presentarono come Waver Velvet e Rider.
    «Sembra che ora siamo tutti» esordì proprio Waver sistemandosi meglio gli occhiali. «Immagino anche voi vi stiate facendo domande su cosa stia succedendo, vero?»
    Gli altri annuirono.
    «Non ho risposte precise, dieci anni fa io fui uno dei partecipanti della Quarta Guerra insieme a Rider.» Guardò il suo Servant. «Persi quando venni sconfitto dall’Archer di quel tempo.»
    Saber si irrigidì. «Non mi aspettavo di rivederti, Re dei Conquistatori, ma immaginavo fosse stato Gilgamesh a batterti.»
    «Neanche io mi aspettavo di rivedere te, Re dei Cavalieri!» Rider proruppe in una sonora risata dandole una pacca sulla schiena. «E questa volta non saremo nemici!»
    «Che vuoi dire?» Rin si rivolse a Rider.
    «L’istinto di un Servant. Non so perché tu, Waver e questi altri due siete stati scelti come Master, ma so per certo che non saremo nemici. Questa non è una Guerra o comunque non lo è nel senso che conosciamo noi.» Rider rise di nuovo.
    «Ci sono per certo un Berserker, un Archer, un Saber e un Rider, quindi dovrebbero esserci anche Lancer, Caster e Assassin da qualche parte.» Rin abbassò lo sguardo sulla tazza di the ormai freddo, ancora piena per metà, osservando il proprio riflesso. Tante erano le domande che le stavano sorgendo, quasi nessuna con una risposta ben precisa. «Potrebbero essere coinvolti altri partecipanti della Quarta o della Quinta Guerra.»
    «Però Kotomine che era il Master di Lancer è scomparso» fece notare Shirou. «Invece il Master di Assassin era un Servant stesso, Caster, mentre il Master di Caster è…»
    «Morto» concluse per lui Rin. «Lo so.»
    «Della Quarta Guerra invece rimango praticamente solo io» comunicò loro Waver. «Se dovessimo contare solo i vecchi Master di Lancer, Caster e Assassin, quest’ultimo era il Servant di Kotomine Kirei che come avete detto è scomparso. Lord El Melloy, Master di Lancer, dopo aver combattuto contro Emiya Kiritsugu non è più nelle condizioni di essere un mago e sfortunatamente non ho mai conosciuto il Master di Caster.»
    «Il Master di Caster era un assassino, credo stia scontando il carcere a vita» comunicò loro Saber, attirando su di sé gli sguardi dei presenti. «Beh, ho sconfitto io Caster nella Quarta Guerra.»
    «Quindi potrebbero esserci tre nuovi Master di cui ignoriamo l’identità» sentenziò Waver. «E abbiamo già avuto modo di incontrare Assassin.»
    Ilya annuì. «Non so il suo Vero Nome, ma se non fossero arrivati il signor Velvet e Berserker ora io…»
    «Quindi non è detto che tutti i Servant evocati siano alleati?» chiese Archer.
    «Non saprei» fu la risposta di Waver. «Assassin è scappata prima che potessimo provare a parlarci ma crediamo sia la responsabile delle recenti morti dei maghi e stava inseguendo Ilya prima che le Magie di Comando apparissero, quindi forse voleva solo ucciderla in quanto maga. Il suo Master oltretutto non sembrava fosse presente.»
    «Proverò a indagare nell’Associazione Magica.» Rin bevve tutto d’un fiato il the rimasto nella tazza. «Sono sicura che almeno lì potrei scoprire qualcosa, sono pur sempre un membro della famiglia Tohsaka.»
    «Allora dovremmo provare a interpellare anche la famiglia Matou» propose Waver. «Oltre agli Einzbern e ai Tohsaka, anche loro potrebbero avere delle informazioni importanti.»
    «Dubito Shinji e Sakura sappiano qualcosa.» Shirou era rimasto in silenzio fino a quel momento, ascoltando senza intervenire. A differenza degli altri presenti, pur sapendo di avere un qualche potere magico, non era mai cresciuto come un mago. «Sakura no di certo e se anche Shinji sapesse qualcosa, non credo ce lo direbbe tanto facilmente.»
    «Tentar non nuoce» insistette Waver. «Ed è sempre meglio che non fare nulla.» Waver prese un foglio scrivendoci sopra dei numeri molto rapidamente. «Questo è il mio cellulare, chiamatemi se scoprite qualcosa.»
    I tre Master della Quinta Guerra annuirono, mentre Waver si alzò seguito da Rider lasciando gli altri con i loro pensieri. Tre Master della Quinta Guerra e uno della Quarta erano stati nuovamente chiamati a battersi in quella che sembrava essere una vera e propria Guerra per il Santo Graal, pur con qualche differenza sostanziale. Se tra di loro non erano nemici, contro chi si sarebbero dovuti battere?
    «Pensavo avessimo distrutto il Graal.» Saber diede voce ai pensieri di tutti quelli che erano rimasti. «Dieci anni fa Kiritsugu mi ordinò di distruggerlo con una Magia di Comando ma ho fallito, così come ho fallito durante lo scontro con Gilgamesh.»
    «Mi sembrava fosse chiaro che il Graal non è qualcosa che si possa distruggere facilmente o non sarebbe riapparso dopo la Quarta Guerra.» Rin si alzò. «Domani partirò per Londra cercando di scoprire qualcosa nell’Associazione Magica. Shirou» si voltò verso il ragazzo. «Puoi provare a parlare con Shinji e Sakura? Forse non sanno niente ma meglio esserne sicuri. Ilya, tu fai attenzione. Non sappiamo se Assassin proverà a finire il lavoro, meglio non abbassare la guardia.»
    Ilya sorrise. «Ora che ho Berserker al mio fianco, non ho più nulla da temere.» Shirou si ritrovò a sperare fosse davvero così.

    Ormai passata la mezzanotte, Berserker si palesò davanti a Ilya lasciando la sua forma spirituale per quella corporea. La piccola degli Einzbern temeva eventuali reazioni di Rin o del fratellone se si fosse presentata con un Servant instabile mentalmente come poteva esserlo uno di classe Berserker e aveva deciso di farlo rimanere nella sua forma spirituale; sicuramente Archer e Saber ne avevano percepito la presenza, ma almeno non avevano detto niente; Rider e il signor Velvet, invece, sapevano che anche Berserker fosse lì.
    «Tu neanche sai cosa stia succedendo?» chiese al suo Servant, il quale grugnì leggermente emettendo un suono rauco che comunque alle orecchie di Ilya sembrò proprio essere un “no”.
    Salita sulla spalla del Servant, i due cominciarono a incamminarsi quando Berserker improvvisamente si fermò osservando un punto ben preciso davanti a sé. L’espressione sembrava più rabbiosa del solito, quasi la stessa che aveva mostrato ad Assassin dopo averla salvata.
    «Chi c’è?» provò a chiedere Ilya, la paura che continuava ad aumentare.
    «Assassin» fu la risposta che ricevette, quando la figura di una donna piuttosto formosa e dai lunghi capelli neri apparve dalle tenebre. «Assassin of Red.»
    Berserker non fece neanche in tempo a reagire e l’ultima cosa che Ilya vide fu il volto della donna sorridente, prima d perdere conoscenza.
  6. .
    CITAZIONE
    Ed ecco che, oltre al già postato Armageddon, ho deciso di postare qui anche il racconto AU di Fate u.u Per ora solo al primo capitolo, ho un mese di tempo per finirlo per il contest cui sto partecipando e... Beh, almeno lo faccio leggere pure a voi u.u E niente, buona lettura e ogni consiglio per migliorarlo è ben accetto u.u

    P.S. Il titolo è provvisorio XD

    Capitolo Primo
    Sei tu il mio Master?

    Due settimane. Non gli sembrava vero fosse passato già così tanto tempo, aveva la sensazione che solo il giorno prima si trovava a quello stesso tavolo facendo colazione con Rin e Saber. Le immagini della battaglia con Gilgamesh di tanto in tanto riaffioravano tra i suoi ricordi, così come l’ultimo saluto dato alla sua Servant.
    Tornare alla vita prima della Guerra era stato allo stesso tempo facile e difficile per Emiya Shirou. Solo i diretti interessati erano a conoscenza di quanto accaduto nell’ultimo mese nella città di Fuyuki, ma ciò non poteva rimuovere dai ricordi del ragazzo il periodo più intenso di tutta la sua vita tra diversi momenti di sofferenza ma costellato anche di felicità e attimi indimenticabili.
    All’inizio si era chiesto se tutto non fosse stato solo un bel sogno, ma in cuor suo sapeva non fosse così. Oltre alle capacità magiche che aveva incrementato durante la Guerra, non poteva essersi sognato le innumerevoli emozioni provate al fianco di Saber o Rin.
    «Scusa se ti ho fatto aspettare!» Shirou si riprese da quei pensieri, alzando lo sguardo e trovandosi davanti l’altra ragione per cui era certo non si fosse trattato tutto di un sogno. Tohsaka Rin, vestita con la solita giacchetta rossa sopra la divisa scolastica, lo guardava visibilmente incuriosita. «Pensavi ancora a lei, vero?» lo punzecchiò con un sorriso divertito.
    Dalla conclusione della Quinta Guerra del Sacro Graal, Shirou si era ritrovato ad andare a scuola spesso in compagnia della ragazza, alla fine quel che avevano passato insieme non poteva essere cancellato come un colpo di spugna solo perché i loro Servant non si trovavano più nel loro mondo. Al fianco di Rin, un’altra ragazza dai lunghi capelli viola e gli occhi dello stesso colore, se ne stava leggermente in disparte, con lo sguardo fisso a guardare per terra.
    «Ciao Rin, ciao Sakura» le salutò il giovane. Gli eventi della Quinta Guerra non avevano fatto maturare solo Shirou, ma anche Rin era riuscita a prendere coraggio rivelando a Sakura di essere sua sorella e pur continuando a vivere separate le due sembravano avvicinarsi ogni giorno di più.
    Il trio iniziò a incamminarsi verso la scuola per quello che sarebbe stato l’ultimo giorno prima delle vacanze estive. Inclinando le labbra in un sorriso, Shirou alzò gli occhi al cielo. Non era stato tutto un sogno, dopotutto. Aveva davvero combattuto al fianco di Saber, sconfitto Gilgamesh e distrutto il Graal corrotto.

    Impossibile! Perché le stava succedendo tutto questo? Correre stava diventando sempre più faticoso mentre nella densa nebbia che era calata improvvisamente ormai la sicurezza di aver perso l’orientamento si faceva sempre più largo nei suoi pensieri.
    Non poteva fermarsi.
    Con il fiato ormai esaurito, Ilya si voltò un istante alle sue spalle e lei era lì, come se non avesse minimamente faticato né a localizzarla nonostante la visibilità quasi nulla né a seguirla. Camminava con fare tranquillo, l’aspetto che poteva essere quello di una normale bambina se non fosse stato per gli occhi iniettati di sangue che la guardavano divertita. Del suo vestiario non si vedeva quasi nulla, avvolta in quello che sembrava un mantello nero che lasciava libera solo la testa circondata da una corta capigliatura bianca. Gli occhi verdi stillavano un vero e proprio intento omicida, che quasi cozzava con l’apparenza di una bambina se non fosse stato per il sorriso inquietante che pareva avesse stampato in faccia.
    Per quanto provasse a sfuggirle, lei sembrava raggiungerla con assoluta facilità e ormai Ilya era allo stremo delle forze. Aveva sentito di alcuni maghi uccisi negli ultimi giorni, ma mai avrebbe pensato che pure lei sarebbe diventata una possibile vittima. Non riusciva a comprendere né le motivazioni né la vera identità della sua inseguitrice, però di una cosa era sicura.
    Si fermò, stremata, affrontando la bambina con gli occhi. «Perché?» riuscì a chiederle dopo un attimo di esitazione. «La Guerra è finita! Perché sei in questo mondo, Assassin?» Quella ormai era l’unica cosa di cui fosse certa. La bambina era un Servant, la classe era Assassin. Da quanto ne sapeva, però, il Servant Assassin della Quinta Guerra non era quella bambina dunque qualcosa doveva essere successo. Che fosse scoppiato un nuovo conflitto?
    «È troppo presto per una nuova Guerra!» urlò con quanto fiato avesse in corpo, mentre Assassin pareva ignorarla volutamente continuando la sua inesorabile avanzata.
    La sua magia si era già dimostrata inefficace. Se almeno avesse saputo il Vero Nome di Assassin poteva provare a far qualcosa di più concreto ma ignorandone l’identità l’unica opzione era stata fuggire, senza però riuscire a seminarla.
    Dopo essersi avvicinata di qualche altro passo, senza alcun preavviso, Assassin scattò in avanti con una rapidità sovrumana raggiungendo Ilya in meno di un secondo; la bambina dai lunghi capelli biondi chiuse istintivamente gli occhi, preparandosi a sentire il pugnale conficcarsi nelle sue carni; eppure, invece, l’unica cosa che sentì fu il rumore dell’impatto di qualcosa come un bastone contro il pugnale impugnato dalla Servant. Facendosi coraggio, riaprì gli occhi che le si illuminarono di felicità alla vista di quello che probabilmente era il più imponente degli uomini. La pelle completamente marrone era costellata di cicatrici, gli occhi due semplici fessure rosse e i capelli neri lunghi lasciati sciolti. Nelle mani stringeva una mazza ferrata. L’uomo ruggì nello scaraventare via Assassin dopo averla colpita.
    Ilya, incredula, finalmente riuscì a parlare. «Berserker!»
    Il Servant che era stato compagno di Ilya durante la Quinta Guerra, venendo sconfitto da Archer, la guardò un istante come a volersi sincerare che la sua Master stesse bene, prima di lanciarsi nuovamente alla carica contro Assassin che per la prima volta parve sorpresa.
    L’erede della famiglia Einzbern si guardò il dorso della mano, dove stavano lentamente riapparendo le sue Magie di Comando. Non sapeva per quale ragione, ma sembrava davvero essere scoppiata una nuova Guerra e lei era nuovamente stata scelta per parteciparvi.
    «Forse anche il fratellone e Tohsaka sono tornati a essere dei Master» disse in un sussurro.
    «Questo non te lo so dire, ma per fortuna sono arrivato appena in tempo, anche se è stato Berserker a trovarti subito.» La nebbia iniziò a diradarsi mentre Assassin pareva essersi volatilizzata nel nulla. Ilya si voltò verso la fonte della voce, rivelandosi essere un giovane uomo dai lunghi capelli neri, un paio di occhiali davanti gli occhi scuri e vestito con giacca e pantaloni neri, camicia rossa e una stretta cravatta bianca.
    Si tolse il guanto nero della mano destra, rivelandone il dorso su cui era impresso un marchio rosso. Al suo fianco, un uomo che poteva essere alto intorno ai due metri, dai corti capelli rossi e dalla muscolatura imponente sorrideva. «Waver Velvet» si presentò il moro. «Master di Rider.»

    Shirou non avrebbe saputo dire cosa lo avesse spinto nel capanno dove tutto era iniziato, quando era ancora inseguito da Lancer e dove aveva avuto modo di conoscere Saber. Tornato a casa dopo la scuola, aveva avuto una strana sensazione e prima di rendersene conto si era ritrovato a entrare nel capanno degli attrezzi della residenza Emiya. Il Cerchio Magico dipinto circa dieci anni prima dal padre adottivo, Kiritsugu, era ancora lì, sebbene il tempo lo aveva reso quasi difficile da scorgere se non si sapeva della sua presenza.
    Si inchinò, toccandolo con un modo di fare quasi rituale. Un debole sorriso gli emerse ripensando a come quel giorno Saber gli avesse salvato la vita apparendo proprio da quel Cerchio Magico. Gli mancava, ma ormai doveva farsene una ragione. I Servant non facevano parte del loro mondo, erano entità che apparivano solo per combattere la Guerra per il Sacro Graal e che facevano parte della storia o dei miti e delle leggende; terminato il conflitto, non potevano rimanere nel loro mondo.
    Mentre quei pensieri si facevano strada nella sua mente, la sua attenzione venne attirata da Avalon, lasciato poggiato poco distante a ridosso di una delle mura della costruzione. Aveva deciso di tenerlo, unico ricordo materiale di quella Guerra insieme al Cerchio Magico. Non appena le dita di Shirou sfiorarono il fodero di una delle più famose spade leggendarie, però, una luce abbagliante scaturì dal centro del capanno illuminando a giorno l’area e oscurando la luce rossastra del tramonto che si scorgeva dalla porta lasciata aperta.
    Abbagliato, Shirou si voltò sentendo la presenza di qualcuno alle sue spalle e dopo la fine di quel lampo ogni possibile esclamazione morì sul nascere. Davanti a lui, una ragazza era piegata su un ginocchio, i capelli biondi legati e un armatura a coprire una veste blu elettro. Nonostante non avesse armi visibili con sé dava proprio l’impressione di essere un cavaliere medievale.
    «Io ti chiedo» esordì lei mentre un lieve bruciore sulla mano di Shirou preannunciava l’apparizione delle Magie di Comando. «Sei tu il mio Master?»
    Shirou guardò incredulo l’apparizione, alcune lacrime di commozione che iniziarono a scendergli lungo le guance. «Saber…»
    «Sono felice di rivederti, Shirou.» Saber, alzando lo sguardo, sorrise.

    «Perché?» Rin era incredula. Non sapeva se essere felice, commossa o preoccupata davanti all’uomo che nonostante il corti capelli bianchi portati all’indietro si mostrava piuttosto giovane.
    Apparso letteralmente da nulla, la stava guardando comodamente seduto su un divano mentre la giovane maga cadde in ginocchio, gli occhi puntati per terra. «Non saprei cosa stia succedendo, ma sembra che dovremo nuovamente fare squadra insieme, Rin» commentò Archer palesemente divertito.
  7. .
    CITAZIONE
    Vi presento l'ultima creazione della mia mente bacata (?) u.u Questo racconto originale (di cui non conosco ancora la lunghezza) nasce dall'ispirazione che mi è arrivata a illuminare una lampadina che ormai credevo fulminata XD Completamente originale, potete eventualmente trovarla postata anche su siti tipo EFP o simili, ma ho voluto riproporla anche qui u.u Buona lettura!

    Prologo
    I due erano uno di fronte all’altro. Immobili come statue, si scrutavano negli occhi fin quasi a cercare di arrivare all’essenza delle loro anime, mentre la pioggia continuava a scendere copiosa inzuppando le vesti.
    «E così siamo arrivati a questo» esordì il primo, vestito interamente di nero, sollevando la mano destra armata di pistola e rompendo lo strano incantesimo che tra i due pareva essere calato, come se il tempo stesso avesse deciso di fermarsi. «Evidentemente era inevitabile.»
    «Per una volta siamo d’accordo, Luxor» fu la pronta risposta dell’altro che non lasciava trasparire la minima preoccupazione nonostante avesse un’arma puntata contro. «Sicuro sia la scelta giusta da fare?»
    Colui chiamato Luxor non rispose subito, lasciando passare alcuni secondi scanditi dalla pioggia battente sull’asfalto crepato di quella strada malmessa. «Ormai dovresti conoscermi, Dwight.» Un fulmine si abbatté in lontananza, seguito dal rombo assordante del tuono prodotto. «Sai che non rimpiango mai le mie azioni.»
    «Dunque è arrivato il momento di farla finita una volta per tutte» concluse Dwight portandosi la mano destra guantata di bianco alla cintola da cui pendeva il fodero di una spada.
    Altri fulmini, seguiti da altrettanti tuoni, comparvero all’orizzonte illuminando il paesaggio circostante, fino a quel momento avvolto nelle tenebre del temporale nonostante ancora si trovassero al crepuscolo.
    «Tu sei sicuro di essere pronto?» Luxor sorrise, la mano destra che continuava a tenere la canna della pistola rivolta a Dwight, la sinistra che andò a scostarsi una ciocca di capelli corvini dalla fronte dove, ormai zuppi d’acqua piovana, si erano appiccicati.
    «Mai stato più pronto.» Le vesti bianche di Dwight ondeggiarono lievemente sollevate dal vento. «Mi chiedo solo cosa ci riserverà il futuro da qui in avanti e se uno di noi potrà esserne testimone.»
    «Credo che entro domani l’avremo scoperto.» Il dito di Luxor iniziò a fare pressione sul grilletto, finché il colpo non esplose nel momento stesso in cui la lama di Dwight veniva estratta.

    Le due ragazze continuavano a correre, ormai esauste e zuppe per la pioggia battente, ma senza rallentare l’andatura. A ogni fulmine sobbalzavano spaventate, temendo per il peggio, mentre la loro destinazione pareva sempre più lontana, più irraggiungibile; il tempo scorreva avanti tiranno e nessuna delle due sembrava sicura di riuscire a fare in tempo.
    «Coraggio, manca poco!» urlò una delle due cercando di incitare l’altra, ma probabilmente la frase era rivolta anche a se stessa.
    L’ennesimo tuono che riecheggiò le fece di nuovo saltare dallo spavento, più vicino e violento di prima sembrava quasi lo sparo di una pistola.
    «Sono lì!» urlò la seconda indicando un punto indistinto davanti a sé, gli occhi azzurri che parevano brillarle di felicità. L’altra provò a guardare meglio, notando finalmente le due sagome che si stagliavano in quel panorama desolato, l’una vestita di nero e l’altra di bianco.
    «Luxor!»
    «Dwight!»
    I due nomi vennero pronunciati contemporaneamente dalle due senza ancora fermarsi, fino a giungere davanti a uno scenario che tolse loro il respiro.


    Capitolo Primo
    Due piume, due colori

    Crystal odiava la scuola. Non riusciva a capire come potesse esserci qualcuno che osava anche solo pensare di continuare gli studi dopo le superiori iscrivendo all’università o come imparare qualche lingua morta potesse essere d’aiuto nel periodo storico che stavano vivendo. Le uniche due lezioni che riusciva appieno ad apprezzare erano la storia, che la affascinava, e la ginnastica per la quale era incredibilmente portata, risultando migliore fisicamente di molti altri maschi suoi coetanei. L’unica cosa che la consolava mentre ascoltava disinteressata l’ennesima noiosa lezione di un ennesimo noioso giorno di scuola era che quello sarebbe stato l’ultimo anno prima di poter fare richiesta di ammissione all’Istituto coronando il suo sogno fin da quando era uscita dall’orfanotrofio.
    Istintivamente si guardò il polso destro, osservando nei minimi dettagli il piccolo braccialetto di stoffa che vi era legato ormai annerito dal tempo e in alcuni punti sfilacciato ma che per lei raffigurava il suo più grande tesoro, la prova di una promessa che aveva deciso di mantenere a tutti i costi.
    Aveva dieci anni quando si era legata quel braccialetto e sette ne erano passati dal giorno della sua adozione, ma mai avrebbe dimenticato le parole dette in quel momento.
    «Signorina Dawson.» La voce proveniva dall’ingresso dell’aula, non dall’insegnante che si interruppe nella spiegazione guardando l’orologio appeso alla parete; la sua espressione non era sorpresa, come se si aspettasse che quel momento sarebbe arrivato. Anche Crystal Dawson stava, dopotutto, aspettando quel momento. «Vostro padre è venuto a prendervi.»
    Crystal si limitò ad annuire riponendo il materiale scolastico nella cartella e alzandosi sotto gli sguardi attenti dei suoi compagni di classe, i quali parevano non volerle staccare gli occhi di dosso fino al momento della sua uscita. Quando fu fuori nel corridoio dietro alla professoressa che l’aveva chiamata, sospirò. Quello era un altro dei motivi per cui odiava la scuola.
    Suo padre, anche se adottivo, era un importante aristocratico e fin dal suo arrivo era sempre stata trattata con eccessivo riguardo dal personale, che fossero insegnanti o semplici inservienti, mentre gli altri ragazzi parevano evitarla di proposito. Alla fine, non aveva mai avuto un vero rapporto di amicizia o anche solo una vera conversazione con qualcuno in circa cinque anni che andava in quella scuola; infine, ma non per importanza, c’era il momento del rientro a casa.
    Lord Dawson la veniva a prendere personalmente ogni giorno, dai trenta minuti all’ora di anticipo rispetto la fine delle lezioni regolari e ogni volta doveva sorbirsi la sfilata per raggiungere l’uscita dall’aula; quell’anno, poi, il destino aveva voluto che il suo banco fosse nell’angolo opposto rispetto alla porta, dovendo quindi attraversarla tutta, anche se credeva fosse stato fatto di proposito. Davanti agli altri le mostravano assoluto rispetto e riverenza, ma dietro quella maschera l’odio e il disprezzo nei suoi confronti erano palpabili considerando chi fosse suo padre. Più volte si era ritrovata vittima di scherzi infantili come la sparizione delle scarpe da ginnastica, del materiale scolastico o anche solo qualche disegno sul suo banco o sull’armadietto della palestra; nonostante fosse arrabbiata per tutto ciò, cercava di fare a buon viso cattivo gioco fingendo di non preoccuparsene. L’unica volta che davvero si era fatta prendere dall’ira arrivando a colpire un ragazzo della sua classe era stata quando, dopo essersi di nuovo addormentata in classe, si era pensato bene di tagliarle il braccialetto e nasconderlo. In quell’occasione era sicura che l’insegnante avesse fatto solo finta di non accorgersene e, presa dalla rabbia, aveva colpito ripetutamente il colpevole e dovette intervenire il Corpo Armato per fermarla. Sul braccialetto ancora si poteva vedere una parte più lucida dove era stato riparato con un pezzo di scotch.
    Il solo ricordo di quell’avvenimento la faceva sia soffrire sia scoppiare di rabbia, dovendo mordersi il labbro per non urlare mentre cercava qualcosa per distrarsi, qualcosa che trovò osservando fuori dalla finestra. Fu un attimo, eppure una singola piuma nera le sembrò passare rapidamente dall’alto verso il basso, come fosse stata strappata da un uccello in volo. Dopo aver battuto una volta le palpebre per lo stupore, della piuma non c’era più traccia.
    Quando la professoressa si fermò, Crystal vide l’uomo intento a parlare al telefono. Non sembrava essersi accorto del loro arrivo e sembrava parecchio infuriato mentre urlava nell’apparecchio, quasi volesse aggredire lo sfortunato interlocutore, attirando alcuni sguardi di chi stava passando per l’ingresso della scuola in quel momento.
    Crystal odiava la scuola, ma ancor di più odiava la famiglia Dawson di cui ora portava il cognome.

    «Sybil?» Il tono interrogativo con cui stava venendo apostrofata dall’insegnante aveva una sfumatura rassegnata e la giovane non poteva dargli certo torto. Ormai tutti in classe si erano abituati al suo stare spesso distratta nonostante in generale avesse voti piuttosto buoni a scuola, ma nonostante i continui richiami per le sue distrazioni le capitava di ritrovarsi a sognare a occhi aperti fin troppe volte, di solito perdendosi il filo della lezione e quindi dovendo raddoppiare l’impegno a casa nello studio.
    Però non poteva farci niente, lei era così sin da bambina e ricordava tanto con felicità quanto con nostalgia le numerose volte che le era stato rimproverato ai tempi dell’orfanotrofio. Non che potesse lamentarsi della sua vita dopo essere stata adottata, la famiglia Price si era dimostrata incredibilmente affettuosa nei suoi confronti senza mai farle mancare niente, nonostante l’unica cosa che davvero volesse ancora non era riuscita ad averla.
    «Mi scusi» rispose mortificata cercando di ritornare attenta, ma lasciandosi sfuggire uno sguardo al braccialetto di stoffa che portava al polso e sul quale gravava una promessa. Erano ormai passati sette anni dal giorno in cui si era separata da Crystal eppure non avrebbe mai potuto dimenticare le ultime parole che si erano detto quel giorno. Si erano promesse che si sarebbero riviste, presto o tardi che fosse, perché in quanto sorelle gemelle dovevano essere inseparabili.
    A quel tempo lo aveva anche detto ai suoi nuovi genitori, ma questa era l’unica cosa che non erano mai riusciti a darle. Non perché non ci tenessero, ma la famiglia Dawson aveva adottato Crystal prima e non avevano voluto prendere una seconda figlia, solo in seguito i Price avevano adottato Sybil e in quanto erano piuttosto modesti come stato sociale arrivare a chiedere ai Dawson di poter far incontrare le due sorelle era praticamente impossibile o almeno queste erano state le spiegazioni del padre dopo aver sentito la storia di Sybil.
    «Un giorno dovrai insegnarmi come fai a dormire durante le lezioni e a prendere comunque buoni voti, vorrei riuscirci io almeno potrei fare tutt’altro a scuola!» Il ragazzo, mentre uscivano dall’edificio dopo la fine delle lezioni, stava parlando con tono incredibilmente serio, come pensasse davvero ci fosse qualche metodo particolare.
    «Mi spiace, ma mi limito a studiare molto più di voi a casa» rispose invece Sybil come fosse la cosa più normale.
    «Ragazzi, avete sentito le ultime notizie?» Il secondo ragazzo che si era inserito nella discussione si parò loro davanti mostrando il cellulare. «Forse la pace è possibile!»
    Incuriositi, tutti iniziarono a guardare lo schermo, compresa Sybil, commentando quel che diceva l’articolo sulla possibilità di terminare finalmente quel lungo conflitto.
    «Mi chiedo come fosse vivere prima della guerra» disse alla fine una ragazza.
    «Purtroppo le ultime tre generazioni sono nate a conflitto iniziato, quindi non potremo mai chiederlo a qualcuno» rispose un’altra ragazza, intristita. «E per questo tante vite sono andate perdute.»
    Il ragazzo che aveva ancora in mano il cellulare le fece un rapido cenno con la mano e quella si voltò subito verso Sybil, scusandosi, ma quest’ultima scosse la testa. «Non preoccuparti, va tutto bene.»
    Era stata la guerra a rendere orfane lei e Crystal, facendole finire in quell’orfanotrofio fino alla loro separazione, ma ormai la giovane non ci pensava neanche più nonostante nei pochi ricordi che ancora conservava dei suoi veri genitori essi erano amorevoli con lei e Crystal, quasi risplendendo di luce propria. «Hai ragione, molti hanno perso i loro cari per questa guerra, quindi speriamo finisca davvero» disse con un sorriso.
    Dopo che ebbe finito di parlare, la sua attenzione venne colta da un rapido movimento tra le fronde di un albero nel lungo viale che dovevano passare. Fu un singolo istante, ma per un attimo le era sembrato le foglie si fossero mosse pur senza un alito di vento e, infine, che qualcosa fosse caduto a terra.
    Ignorando i compagni di classe che la stavano chiamando, Sybil si avvicinò notando qualcosa che brillava ai suoi piedi. Una piuma. Una piuma bianca.

    Gli piaceva il nero. Il più forte dei colori, il più ambizioso, così tanto da non accontentarsi di essere un singolo colore ma tutti, assorbendo la luce senza rilasciarne una singola sfumatura. Per Luxor era una perfetta metafora della vita, di come non ci si doveva mai accontentare e prendere tutto il possibile. Gli piaceva il nero e gli piacevano gli umani, che comparava proprio al nero che mai si accontentava.
    Gli umani erano incredibili. Nonostante fossero così deboli, compensavano il tutto con l’ingegno e un sorprendente istinto di sopravvivenza che li rendeva capaci di opere altrimenti impossibili. La storia sin dalla comparsa del genere umano lo testimoniava e Luxor ne era stato in gran parte testimone. Anche dopo l’apparizione di Demoni e Angeli, come venivano comunemente definiti dagli umani, pur con una ben comprensibile paura di ciò che non conoscevano si erano ripresi e avevano pensato di volerne scoprire di più con svariati contatti tra le due nuove creature sensienti scoperte. Il primo contatto era avvenuto quasi per caso, anche se si trattò più di uno sbaglio compiuto sia da Demoni sia da Angeli, che invece già sapevano tutto di loro e li osservavano da molto tempo, alle volte interferendo direttamente. Voler apprendere di più, quella fama di conoscenza così radicata nella debole razza umana, tutto ciò lo affascinava e forse era proprio questo a renderlo così unico tra i suoi simili.
    Anche dopo lo scoppio dell’inevitabile ennesima guerra tra Angeli e Demoni, gli umani che per la prima volta nella loro storia si erano trovati nel mezzo avevano trovato il modo di sopravvivere e riorganizzarsi in un mondo ormai devastato come quello in cui ora vivevano.
    Le gerarchie angeliche e demoniache erano molto simili e semplici, ai suoi occhi, rispetto a quelle umane e ciò era motivo di maggior fascino per Luxor non si sarebbe mai stancato di osservarli. Angeli e Demoni dopotutto rispondevano a un singolo individuo e i loro numeri erano infinitesimali rispetto ai miliardi di umani che popolavano la Terra e nonostante le diverse fazioni, sette e gruppi in entrambe le razze, non potevano competere con le numerose nazioni umane, le loro gerarchie di comando e la loro politica. In effetti, pensava, Angeli e Demoni non avevano mai avuto bisogno di complicarsi tanto con sotterfugi e questioni politiche, anche se il semplice essersi mescolati agli umani aveva comunque dato loro una qualche idea rivoluzionaria come il Codice degli Angeli o la Catena dei Demoni, che pur con nomi diversi avevano la medesima funzione come raggruppamento di leggi in costante aggiornamento.
    Dopo lo scoppio della guerra, tale complessità politica era rimasta radicata negli umani anche con il sorgere di nuove città sui resti delle vecchie, sopravvivendo con le unghie e con i denti a una vera e propria Apocalisse e arrivando loro stessi a sviluppare capacità incredibili o, meglio dire, a risvegliarle. Aveva sentito dire che in situazioni di difficoltà un essere umano poteva arrivare a fare cose altrimenti impossibili ma tutto quanto era già accaduto aveva portato il genere umano a trovare la forza sopita in loro, capacità che già possedevano inconsciamente e che la situazione di pericolo, più l’essenza stessa di Angeli e Demoni che ormai aleggiava su tutto il mondo degli uomini, ne aveva permesso il risveglio.
    Sorridendo, si sistemò meglio sul tetto del piccolo edificio che svolgeva una funzione di istruzione, una scuola come l’avevano chiamata gli umani, chiudendo gli occhi. Quella era una delle maggiori città della zona e fungeva da punto di riferimento per la sopravvivenza umana. Ogni centro abitato era praticamente diventato una nazione a sé, ormai, ma sempre più umani continuavano a raggrupparsi per cercare una qualche organizzazione, fino al sorgere del Corpo Armato con cui Luxor aveva già avuto dei trascorsi, così come ne aveva avuti volente o nolente con i Cavalieri dell’Ala e i Guerrieri dell’Abisso; nomi molto iconici, secondo lui, ma che raffiguravano i tre principali schieramenti di umani in quel momento. I Cavalieri dell’Ala erano coloro che “combattevano per il bene”, schierati apertamente con gli Angeli, mentre i Guerrieri dell’Abisso erano quegli umani che si erano alleati ai Demoni nonostante nella storia umana i Demoni si erano macchiati di numerosi crimini nei loro confronti, semplicemente perché più numerosi e tendenzialmente la fazione più forte. Il Corpo Armato stava nel mezzo, non schierato con nessuna delle due fazioni, affermavano di “combattere per l’umanità”.
    Luxor li ammirava e disprezzava allo stesso tempo, apprezzando l’ambizione umana che non consentiva loro di lasciarsi trasportare dagli eventi alleandosi con Demoni o Angeli e li disprezzava perché avevano scelto di “tradire” la propria umanità rispecchiandosi maggiormente in una delle due razze. A conti fatti, tra i tre gruppi, il Corpo Armato era il suo preferito poiché aveva mantenuto la sua identità e ambiva a vivere rimanendo fedele a essa, al suo essere un’organizzazione di umani. Ironico, invece, era che doveva considerarli nemici al pari dei Cavalieri dell’Ala e degli Angeli.
    «Il nero è un bel colore» commentò aprendo gli occhi e osservando le nuvole che andavano a coprire il cielo. Quella notte si preannunciava tempestosa. Si alzò, dispiegando le ali piumate nere come il carbone. «È il colore dell’ambizione.» Si voltò senza mostrare la minima sorpresa. «Non sei d’accordo, Orion?»
    «Sfortunatamente non ho tempo per parlare di filosofia con te, Luxor.» Il Demone che gli era apparso davanti lo sovrastava fisicamente sia per prestanza muscolare sia per altezza, eppure agli occhi di Luxor appariva incredibilmente piccolo. Anche Orion doveva sentirsi così, davanti a lui, a giudicare dallo sguardo colmo di rispetto che gli stava riservando. In quegli occhi, però, Luxor lesse anche rammarico e rancore, come del resto accadeva sempre ai loro incontri. Orion era stato per un brevissimo tempo il diretto superiore del Demoni dai capelli corvini, ma Luxor gli si era dimostrato superiore sin da subito sorpassandolo e suscitando un sentimento vendicativo nei confronti dell’altro. La cosa non gli dispiaceva, significava che Orion era pieno di quell’ambizione che tanto gli piaceva. «Sembra che gli Angeli si preparino a un offensiva, ma la tua presenza potrebbe farli desistere.»
    «Oppure ci concederebbe una rapida vittoria.» Luxor si alzò in volo, seguito da Orion. Raggiunsero così rapidamente una quota non visibile da terra che sarebbe stato impossibile anche solo accorgersi della loro presenza in cielo, nonostante Luxor non si rese conto che l’alta velocità aveva fatto staccare una piuma dalle sue ali, che stava passando davanti agli occhi azzurri di una ragazza dentro l’edificio della scuola. «Andiamo, mi spiegherai i dettagli lungo la strada.»

    Gli piaceva il bianco. Nonostante riflettesse tutti i colori era in grado di esistere, generoso oltre ogni immaginazione. Dwight si sentiva proprio come quel colore da lui tanto apprezzato, altruista e generoso, forse ancor più dei suoi simili, forse anche troppo.
    Da sempre gli Angeli erano visti dagli umani come entità benevole, che li aiutavano nei momenti di difficoltà e, dato che in passato era davvero successo, la cosa non gli dispiaceva. Tale nomea aveva permesso agli Angeli di essere accettati meglio dei Demoni nonostante alcuni umani per paura dell’altra razza avevano deciso di servirli.
    «A volte mi chiedo se sia stato un bene o un male per gli umani apprendere della nostra esistenza» commentò rivolgendosi all’Angelo che gli stava di fianco in quel tranquillo primo pomeriggio. Le guerre tra Angeli e Demoni, considerando l’immortalità di entrambe le razze al trascorrere del tempo, erano decisamente più lunghe di quelle tra umani ed entrambi gli schieramenti avevano concetti di vita e di morte ben diversi. Spesso, quindi, capitavano anche tregue lunghe diversi anni, tanto che un umano avrebbe potuto considerarla una vera pace anche se era temporanea.
    «È inutile continuare a pensarci, ormai quel che è fatto è fatto.» L’Angelo che aveva parlato, una ragazza piuttosto minuta, volse lo sguardo al cielo. «L’unica cosa che possiamo fare è continuare a combattere per difendere questo mondo dai Demoni, come sempre abbiamo fatto.»
    «Eppure i Guerrieri dell’Abisso sono umani, ma li combattiamo.» Dwight non sapeva come comportarsi in tale circostanza. Le sue mani erano già sporche del sangue degli umani appartenenti a quello schieramento e in altre circostanze si era ritrovato a battersi con il Corpo Armato, il cui unico scopo sembrava la mera sopravvivenza senza appoggiare le due fazioni.
    «Sono traditori cui il cuore è stato corrotto dai Demoni» fu la lapidaria risposta che ricevette. «Dubito possano ancora essere considerati umani.»
    «Credo tu sia troppo severa con loro, Camie. Nella loro posizione, anche io avrei faticato a prendere una posizione.» Dwight prese un sasso da terrà, facendoselo rigirare tra le dita distrattamente. Per fortuna fisicamente Angeli, Demoni e umani si somigliavano, così erano liberi di camminare per le città e mescolarsi agli ultimi senza che questi se ne accorgessero; solo Demoni e umani particolari sembravano in grado di notare le differenze e la loro essenza angelica.
    «Sono oggettiva. A questo punto potevano rimanere con il Corpo Armato e non schierarsi, sarebbe stato meglio per tutti.» Camie sembrava irremovibile.
    Dwight sospirò. «In un certo senso noi, Demoni e umani siamo più simili di quanto possiamo credere. Forse abbiamo le nostre convinzioni, ma le linee di pensiero sono tutte differenti da individuo a individuo.»
    «Solo in questo possiamo definirci veramente simili» commentò Camie.
    Dwight lanciò il sasso tra le fronde dell’albero che aveva davanti, rendendosi conto solo in quel momento che stava passando un gruppo di ragazzini di una scuola locale e maledicendosi dopo essere stato apostrofato “idiota” da Camie che aveva già dispiegato le ali alzandosi in volo. L’Angelo la imitò affrettandosi per non essere visto, senza però rendersi conto che una singola piuma bianca gli si era staccata, planando dolcemente vicino l’albero colpito e sotto gli occhi verdi di una ragazza.



    Capitolo Secondo
    In una notte di pioggia

    La città era costruita secondo un sistema quasi piramidale, a ridosso di un’altura e interamente circondata da quattro cinte murarie concentriche. La più grande e più esterna copriva l’intero agglomerato urbano, prima linea di difesa nonché la più alta delle tre; al suo interno e fino alla seconda cinta muraria si poteva trovare la maggior parte della popolazione dove si mischiavano i poveri con la bassa e media borghesia, commercianti e artigianati, mercati e istituti scolastici; proprio lì si svolgeva la vita quotidiana della città. Oltre la seconda cinta, invece, si trovavano gli appartamenti dei membri del Corpo Armato e delle loro reclute, l’Istituto che svolgeva la funzione di una vera e propria accademia militare e altre strutture di stampo militaristico, rendendo la zona tra seconda e terza linea di mura la “zona armata” della città, nonostante solo alcune delle aree erano interdette mentre di norma ci si poteva camminare senza alcun problema. Oltre il terzo muro, invece, sorgeva l’area nobiliare, con le ville e le residenze dei vari casati ricchi della città, che supportavano economicamente il Corpo Armato e il governo cittadino grazie alle ricchezze ereditate nel tempo dai propri antenati. Raro, sebbene possibile, era far parte sia della nobiltà che del Corpo Armato anche se solitamente la vita militare veniva lasciata ai secondogeniti, anche se avere più figli non era ormai più di uso comune considerando le già esigue risorse che si possedevano di quei tempi. Di solito, se si avevano due figli, era perché nati gemelli anche se nulla vietava realmente la possibilità di avere più di un erede né tra la nobiltà né tra il popolo.
    Crystal era quasi un’eccezione a quello, nonostante fosse figlia (anche se adottiva) di un nobile aveva avuto l’occasione di entrare nel Corpo Armato da Lord Dawson. Lo stesso padre l’aveva adottata con tale intento, da quando aveva scoperto che sua moglie non poteva avere figli, ma Crystal non ne capiva appieno il motivo. Non avere eredi per una famiglia nobile non era contemplabile, difatti non erano rari i casi in cui bambini orfani entro i dieci anni, spesso anche molto più piccoli, venissero adottati dalla nobiltà che non era riuscita a ottenere un erede ma era la prima volta che quell’erede venisse scelto per far parte del Corpo Armato. La ragazza non sapeva come le cose funzionassero nelle altre città affiliate al Corpo Armato o ai Cavalieri dell’Ala e i Guerrieri dell’Abisso, ma era sicuramente la prima volta che accadeva nella città dove l’idea stessa del Corpo Armato era nata.
    Mentre si trovava nell’auto di suo padre, guardò verso la quarta e ultima cinta muraria, visibile in cima all’altura. La più piccola delle quattro, comprendeva semplicemente il Palazzo Governativo dove risiedeva il Magistrato con il suo consiglio. Non aveva mai avuto modo di vedere l’uomo che governava sull’intera città, ma aveva sentito dire fosse amico intimo di suo padre e che spesso i due si ritrovavano a parlare nonostante Lord Dawson avesse lasciato il consiglio una decina di anni prima, senza che le motivazioni fossero mai state chiare.
    «Se riuscirai a entrare nel Corpo Armato, potremo parlare di quella promessa che ti avevo fatto sette anni fa» disse d’un tratto l’uomo, destando curiosità in Crystal che non capì subito ce l’avesse con lei.
    Padre e figlia non avevano mai avuto una reale conversazione e l’uomo non si era mai neanche curato di sapere come le fosse andata a scuola, tantomeno di parlare di quella promessa che le aveva fatto il giorno dell’adozione. «Ho capito, padre» si limitò a rispondergli semplicemente.
    «Io sono un uomo di parola» continuò lui. «Se entrerai nel Corpo Armato farò il possibile per farti riunire a tua sorella.»
    Crystal annuì, appoggiando la testa al finestrino con lo sguardo verso il cielo. Avrebbe piovuto quella notte, pensò rammaricata. La pioggia non le piaceva, pioveva anche il giorno che si era separata da Sybil.

    Castel York era una delle maggiori fortezze dell’esercito dei Demoni nella zona controllata dal Corpo Armato, punto d’appoggio all’interno di quell’area nonché sede operativa del fronte contro gli Angeli. Che fosse un bersaglio appetibile, Luxor non lo aveva mai negato ma non credeva possibile un assalto degli Angeli al castello dopo le ultime sconfitte sul campo che i loro nemici avevano subito. Da quanto aveva appreso, il castello era stato eretto sopra le rovine di una città umana chiamata proprio York, da cui prendeva il nome. Costruito in tempi relativamente brevi, almeno per i Demoni, si ergeva circondato dalle vecchie rovine del centro cittadino, a sovrastare la distruzione che la città aveva subito nel corso di una delle prime battaglie scoppiate tra Angeli e Demoni. Dalla torre sulla quale stava, Luxor poteva scorgere anche quella che un tempo era stata la cattedrale della città, ormai un rudere consumato dal fuoco e dagli agenti atmosferici e di cui a malapena era rimasto lo scheletro con qualche muro che ancora miracolosamente si ostinava a rimanere in piedi. Le ali nere dispiegate, contemplava quel panorama alla luce del crepuscolo, cercando di scorgere l’avanzata dell’esercito nemico ma senza molta fortuna.
    «Le vostre informazioni sono corrette?» chiese a Orion, che gli stava un paio di passi dietro.
    «Non abbiamo motivo di dubitarne, anche se non si è chiaro il motivo di questo tentativo. Se non contiamo il Corpo Armato, questa zona è pienamente sotto il nostro controllo e dopo l’ultima sconfitta subita gli Angeli non possono essersi riorganizzati abbastanza per riuscire a eguagliare i nostri numeri in quest’area.» Orion sembrava assolutamente convinto di quella sua analisi.
    Luxor annuì, alzandosi in volo e iniziando a planare all’interno delle mura del castello, per poi dirigersi verso l’interno seguito dall’altro Demone. Come consuetudine per le costruzioni di stampo demoniaco, il castello era privo di qualsiasi ornamento sia all’esterno sia all’interno, “spartano” lo avrebbero definito gli umani, con anche le fonti di luce che scarseggiavano e permettevano di vedere a malapena a un palmo dal proprio naso; ciò non valeva per esseri come i Demoni (o anche gli Angeli) la cui vista superava quella degli umani.
    Raggiunta la Sala Grande, Luxor osservò i presenti. Molti li conosceva solo di nome, con altri aveva avuto modo di combattere fianco a fianco ma senza mai scambiare una singola parola. Sul tavolo, c’erano due mappe raffiguranti la Gran Bretagna una e l’intero pianeta l’altra.
    Avvicinatosi al tavolo, si voltò verso quello che aveva l’apparenza di un trono e sul quale era posata una sfera completamente nera che brillava debolmente a intermittenza. Qualche istante dopo, in una nube di fumo, al suo posto apparve un Demone più imponente degli altri, lo sguardo severo, completamente rivestito di un’armatura nera ornata di intarsi dorati. I presenti si inginocchiarono, tutti a eccezione di Luxor che invece non aveva negli occhi la stessa riverenza che si poteva intravedere in quelli degli altri.
    «Signore» esordì Orion, prendendo la parola con voce quasi tremante. La paura che quel Demone incuteva in lui era palpabile. «Abbiamo allestito le difese, siamo pronti a ricevere gli Angeli in qualsiasi momento.»
    Il Demone sembrò lieto di sentire quella notizia, ma qualcosa nel suo sguardo lasciò perplesso Luxor. Goliath non gli era mai piaciuto, anche se faceva parte della famiglia reale seppur attraverso un ramo minore. «Perché gli Angeli dovrebbero attaccare proprio qui?» chiese quindi avanzando di un passo e sfidando gli occhi ardenti del Demone.
    Nonostante fosse una semplice manifestazione incorporea, quando Goliath si alzò dal suo scranno si poté percepire tutta la sua prestanza fisica e la sua presenza quasi asfissiante. Non era sicuramente né il più forte dei Demoni, né il più forte nella famiglia reale, ma tra i presenti pochi potevano sperare anche solo di colpirlo, praticamente nessuno di eguagliarlo. Luxor, dal canto suo, era convinto di poter fare entrambe le cose e non aveva paura del suo fratellastro. «Fratello, dubiti forse delle mie informazioni?»
    «Dubito che gli Angeli possano avere anche solo una possibilità di riuscita. Se attaccheranno, sarà la mossa disperata di un suicida.» Luxor non aveva paura. Lo sfarzo che Goliath tendeva a mostrare gli faceva ribrezzo, così come il suo tendere a dimostrazioni di forza nei confronti dei suoi uomini. In poche parole, lo odiava. «Richiamarmi per difendere Castel York mi è sembrato inutile.»
    «Nostro Padre mi ha dato la gestione di questa zona e tu dovrai obbedire ai miei ordini.» Goliath andò al tavolo, indicando la mappa con la Gran Bretagna. «L’intera isola è sotto il mio controllo da anni e finora nessuno ha mai osato sfidare apertamente il mio potere. L’assalto a Castel York è un’offesa che non possiamo tollerare.» Chiuse la mano a pugno. «Insegneremo agli stupidi Angeli a rispettare la nostra forza, non voglio superstiti o prigionieri.»
    Luxor ghignò. «Il Corpo Armato non starà a guardare una battaglia del genere così vicino alle loro città senza intervenire, in special modo se saranno coinvolti i Guerrieri dell’Abisso o i Cavalieri dell’Ala.» Quasi tutta la Gran Bretagna ospitava città che avevano dato il loro supporto al Corpo Armato, ma nel continente europeo c’erano le sedi dei Cavalieri dell’Ala in quelle zone ancora sotto il controllo degli Angeli mentre a Castel York erano stati riuniti anche molti umani appartenenti ai Guerrieri dell’Abisso. Luxor aveva imparato a conoscere molto bene il Corpo Armato, che non considerava le altre due fazioni come nemiche e avrebbe voluto farle passare dalla propria parte. Per i Cavalieri dell’Ala c’era ancora una possibilità, pensava, ma per i Guerrieri dell’Abisso, le cui città erano sotto la tirannia dei Demoni, la questione sarebbe stata molto più difficile.
    «Allora annienteremo anche il Corpo Armato» sentenziò Goliath. «Per troppo tempo quegli umani hanno osato sfidare la mia autorità rimanendo impuniti.»
    «Nostro Padre non approverà» gli fece notare Luxor. «Pensi davvero di riuscire a tenere la Gran Bretagna se il Corpo Armato dovesse schierarsi al fianco di Angeli e Cavalieri dell’Ala? Forse è proprio questo l’intento degli Angeli con quest’attacco, spingere il Corpo Armato contro di noi.»
    Goliath lo fulminò con gli occhi. «Hai paura di qualche misero umano?»
    «Se ci tieni tanto a far vedere la tua forza agli umani del Corpo Armato, potrebbe sembrare che tu abbia paura di loro; che senza avere il pieno controllo dell’isola, temi la possibilità di perderla contro dei “miseri umani”.»
    «Come osi?» Luxor era riuscito nel suo intento, far infuriare il fratellastro che sembrava sul punto di volerlo colpire se non fosse stato una semplice illusione creata da quella sfera nera usata per le comunicazioni. Il semplice fatto che Goliath non avrebbe combattuto avvalorava la tesi che temeva davvero per la propria vita e che preferiva di gran lunga mandare a morire i suoi uomini piuttosto che essere in prima linea. Luxor, però, odiava i vigliacchi come suo fratello.
    «Vi prego di smetterla.» La voce, innaturalmente calma e priva di qualsiasi emozione, era emersa da un angolo completamente oscurato della Sala Grande e apparteneva a un Demone apparentemente normale. Alto all’incirca quanto Luxor, quindi almeno una decina di centimetri in meno di Goliath, aveva un libro tra le mani ed era vestito completamente di azzurro, con una tunica, un paio di guanti (unica macchia bianca del vestiario), stivali e pantaloni in pelle. I capelli erano di un nero più lucido di quello di Luxor e Goliath, portati anche molto lunghi al contrario degli altri due.
    «Dorian, non mi aspettavo di vederti qui.» Nei suoi confronti, Luxor non aveva lo stesso sguardo ostile che rivolgeva Goliath ma neanche si era lasciato andare a esclamazioni stupite o impaurite come avevano fatto tutti i presenti, Goliath compreso.
    Il secondo principe dei Demoni avanzò di qualche passo, con un sorriso dai mille significati e dei quali Luxor non ne comprese neanche uno. Non era il primo in linea di successione al trono, ma si vociferava fosse il più forte tra i principi. «Nostro Padre temeva poteste iniziare a lottare tra di voi, quindi mi ha mandato come semplice osservatore. Non parteciperò alla battaglia in nessun caso, ma sappiate si aspetta una vittoria schiacciante da parte vostra.»
    Goliath annuì senza riuscire a dir nulla, mentre Luxor rimase impassibile. «Quali sono i piani di nostro Padre?» chiese.
    «Non sta a me o a te conoscerli, Luxor, ma confido che tu tra tutti possa capire il motivo per cui la mia presenza qui fosse inevitabile.»
    Luxor lanciò una rapida occhiata a Goliath. «Ho capito. Ti assicuro la nostra vittoria.»
    Dorian sembrò gradire quella risposta. «Solo una cosa, fratelli.» Dorian li raggiunse al tavolo della mappa. «Luxor ha espresso un quesito interessante, la possibilità dell’intervento del Corpo Armato. Dovesse davvero palesarsi tale eventualità, nostro Padre autorizza ad agire come credete sia meglio per il controllo della Gran Bretagna e per il Regno. Ovviamente, anche io ho questa facoltà, qualora ritenessi necessario un mio intervento.»
    Mentre Goliath annuiva, Luxor cercò di percepire qualcosa negli occhi privi di espressione di Dorian, senza alcuna fortuna. Capire il Re dei Demoni era impossibile per chiunque, ma anche Dorian sapeva essere enigmatico almeno quanto il padre e la cosa al Demone non era mai piaciuta; c’era qualcosa di sinistro in Dorian, ancor più che in qualsiasi altro Demone, come se oltre al benessere del Regno, fossero altri i suoi obiettivi.
    Dorian li lasciò così, senza aggiungere altro e senza neanche una qualche parola di commiato, volatilizzandosi in una nube nera incurante del gelo che era scesa nell’intera sala. Goliath, Luxor e Dorian, tre principi dei Demoni in quel momento si trovavano vicini tra loro, sebbene molto diversi esteticamente e in quanto a forza; tre entità che superavano di gran lunga tutti gli altri della loro razza che non appartenevano a famiglie nobili. Possibile che la Gran Bretagna fosse così importante per il Regno da necessitare di tutti e tre? Luxor proprio non riusciva a capire.

    Perché rischiare tanto in un assalto a Castel York? Più Dwight ci pensava, più la risposta sembrava sfuggirgli senza comprendere appieno cosa passasse per la testa dei suoi superiori. Lui era un soldato e come tale di domande se ne sarebbe dovute fare ben poche pensando solo a obbedire, ma gli sembrava un vero e proprio suicidio. Capiva che la riconquista della Gran Bretagna poteva essere di vitale importanza, ma si trattava sempre del dominio di un principe dei Demoni, sebbene minore come Goliath; pochi tra coloro che erano stati riuniti in fretta e furia per quell’assalto potevano vantare una forza tale da poter anche solo pensare di metterlo in difficoltà. «Inoltre i nostri numeri sono davvero esigui» commentò, guardandosi alle spalle i soldati che ormai pensava fossero solo stati mandati a morire.
    Secondo le loro informazioni, Castel York poteva vantare circa mille Demoni e qualche centinaia di umani, mentre loro tra Angeli e Cavalieri dell’Ala a malapena raggiungevano le ottocento unità. Da quando avevano perso la Gran Bretagna e il Nord dell’Europa, anche ricevere rinforzi risultava fin troppo oneroso ed erano dovuti ripiegare nella vicina isola un tempo chiamata Irlanda, dove c’erano le ultime città fedeli alle truppe angeliche. Alla fine, molti avevano optato per chiedere asilo ai territori neutrali del Corpo Armato, dove erano sicuri che i Demoni non avrebbero attaccato per non rischiare di inimicarsi l’unica fazione di quella guerra a non essersi schierata.
    «Non possiamo farci niente, abbiamo i nostri ordini» gli disse Camie che gli stava volando accanto. «E poi questa volta ci sei tu dalla nostra parte, forse abbiamo qualche possibilità.»
    «Un singolo non può coprire un deficit di circa settecento unità, Camie.» Dwight non era convinto che la sua sola presenza avesse potuto fare la differenza, come invece sembravano pensarla tutti in quel manipolo di soldati. Con lui il morale era certamente migliorato e ben più di quanti si aspettasse avevano risposto alla chiamata del loro Generale, ma le possibilità di conquistare Castel York erano ancora troppo esigue.
    «Smettila di lamentarti, Dwight.» La voce del Generale, che li aveva raggiunti, fece trasalire i due Angeli. «Gli ordini erano piuttosto chiari.»
    «Scusatemi ma non riesco ancora a comprenderli» fu la risposta dell’Angelo mantenendo un tono di riverenza nei confronti del Generale. «Mi sembra solo che ci stiano mandando a morire.»
    «Dwight, Camie, venite con me.» Il Generale, senza aggiungere altro, diede disposizioni a un Angelo di prendere la testa del gruppo e guidare gli altri, prima di allontanarsi con gli altri due al suo seguito, lontano da occhi e orecchie altrui. «Dwight, sai dirmi secondo te come si vince una battaglia?»
    Sorpreso per quella domanda, Dwight iniziò a pensare a una possibile risposta. «Uccidendo o catturando chi comanda le truppe avversarie. Anche negli scacchi si vince mangiando il re avversario.»
    Camie sembrò d’accordo, ma il Generale si limitò ad annuire senza mostrare apertamente se la risposta fosse stata giusta o sbagliata. «Indubbiamente, in quel modo si può vincere una battaglia, ma secondo te cosa rende una vittoria tale?»
    Dwight non rispose, non capendo la domanda.
    «Voglio che tu e Camie pensiate a una risposta e me la diate appena ce l’avrete. Non avete un limite di tempo per farlo.»
    I due Angeli si guardarono interrogativi.
    Il Generale sorrise. «Questo significa che tutti e tre dovremo sopravvivere per forza a questa notte.» Rise. Quando riuscì a tornare serio, nei suoi occhi sembrava ci fosse una vitalità che Dwight non gli aveva mai visto da quando aveva raggiunto la Gran Bretagna. Non conosceva il Generale prima del suo arrivo e non l’aveva mai incontrato quando la Gran Bretagna era ancora sotto il dominio degli Angeli; fin dal loro primo incontro, sembrava aver sempre ritenuto colpa sua le sconfitte subite a opera dell’esercito di Goliath e la tristezza in lui era palpabile, invece dopo averci parlato un po’ sembrava aver riacquisito vigore e sicurezza. «Dwight, sicuramente già ti hanno elogiato abbastanza per le tue qualità sul campo di battaglia, dunque voglio dirti solo un’altra cosa: da quando ti ho incontrato, ho subito capito che sei un bravo ragazzo. Ricorda sempre di non fare il mio stesso errore, non avere mai rimorsi qualunque decisione tu prenda.»
    Dwight e Camie si guardarono senza sapere cosa dire.
    Il Generale continuò voltandosi verso Camie. «So che voi due vi conoscete praticamente da sempre, Camie. Anche in tempi oscuri come questi è bello vedere un’amicizia come la vostra ed è triste che Angeli giovani come voi debbano spendere le loro vite sul campo di battaglia.»
    Non disse altro, lasciandoli con troppi quesiti prima di tornare dai soldati e riprenderne la testa, mentre Dwight osservava le poche centinaia dei Cavalieri dell’Ala che seguivano da terra gli Angeli. Molti erano ragazzi appena ventenni, il più vecchio non poteva avere più di trenta o trentacinque anni. «È triste che anche umani giovani come loro debbano combattere una guerra che non li riguarda direttamente.» Le parole appena sussurrate non vennero ascoltate da Camie, che intanto lo aveva preceduto per tornare in formazione. Quella notte avrebbe piovuto, come se il cielo stesso avesse già preannunciato gli accadimenti futuri e fosse pronto a grondare lacrime.
    Sfiorando l’impugnatura della spada che aveva al fianco, appartenuta un tempo all’uomo che considerava suo padre, Dwight iniziò a seguire Camie. L’ora della battaglia si stava avvicinando.

    Un dolore al petto la fece trasalire, giunto inaspettato e con una forza tale da darle l’impressione di aver appena ricevuto una pugnalata, anche se non essendo mai stata colpita da un pugnale non poteva esattamente sapere cosa si provasse. Sybil aprì gli occhi di scatto, guardando le prime gocce di pioggia che avevano iniziato a cadere dal cielo coperto di nuvole. Aveva sempre trovato i giorni di pioggia molto tristi, ma quello in particolare aveva qualcosa di particolare che non riusciva bene a definire, come se da un momento all’altro dovesse succedere qualcosa. Sapeva benissimo che la sua era solo una supposizione senza nessun fondamento e che poteva trattarsi di semplice suggestione, ma non riusciva a togliersi quel pensiero di dosso. La piuma bianca trovata quel pomeriggio era posata sul comodino della sua camera, mentre continuava a guardare assorta l’esterno dalla piccola finestra accanto al letto.
    Ripensò all’articolo che aveva letto appena uscita da scuola, a come si diceva che poteva esserci spazio per una riappacificazione con alcune città assoggettate ai Demoni. Lei non sapeva neanche cosa fosse la pace e oltre al conflitto tra Angeli e Demoni che era la guerra principale che in quel momento si stava combattendo su tutto il pianeta, aveva vissuto in un mondo dove gli scontri tra gli umani dei tre schieramenti erano all’ordine del giorno. Però, ora, sembravano iniziati alcuni contatti tra i Cavalieri dell’Ala nel Nord Europa e i Guerrieri dell’Abisso che le cui città stanziavano nei territori degli Angeli, quindi quelli che ancora non avevano provato la tirannia dei Demoni. Sebbene fosse una speranza molto blanda, in quanto le città che vivevano con il terrore dei Demoni difficilmente avrebbero acconsentito a una pace con gli altri due schieramenti, era comunque una piacevole occasione che non si era mai verificata in passato dallo scoppio della guerra. Da quanto aveva appreso, era stato il Corpo Armato a fare da mediatore e alcune città sarebbero dunque passate sotto lo stendardo di quest’ultimo professando la propria indipendenza dai due schieramenti. Sybil era certa che gli Angeli non avrebbero obiettato, sin dall’inizio erano stati proprio loro a chiedere aiuto senza obbligare nessuno ma i Demoni invece non l’avrebbero mai presa bene e per questo le trattative rischiavano di diventare fin troppo lunghe. L’obiettivo, comunque, era quello di estraniare completamente il genere umano dal conflitto tra Angeli e Demoni, questo era scritto chiaramente in quell’articolo, per consentire un qualcosa di molto simile alla pace.
    Sospirò, portandosi una mano al petto dove aveva sentito quel particolare dolore di cui ignorava l’origine. Perché si sentiva così ansiosa? Cosa rischiava di accadere? Riuscì a ritrovare un po’ di calma solo guardando il braccialetto della promessa fatta a Crystal, ritrovandosi a volere la presenza forte e rassicurante della sorella vicino; Crystal era sempre stata la sua sicurezza, colei che la faceva sentire protetta; in quel momento le mancava come mai le era mancata negli ultimi sette anni.

    Fu Luxor il primo ad avvistare l’avanzata dell’esercito nemico. Ancora molto distanti e rallentati dall’avere tra le loro fila i Cavalieri dell’Ala, avrebbero impiegato almeno un’ora prima di arrivare e altro tempo per prepararsi a quel disperato attacco.
    «Non voglio prigionieri» sentenziò l’immagine incorporea di Goliath al suo fianco. «Non deludermi, fratello.»
    Il modo in cui apostrofò l’ultima parola non piacque per niente a Luxor, che però non disse nulla dirigendosi verso Orion che stava dando le ultime disposizioni ai difensori umani. Da quello che sentì, Luxor capì subito che i Guerrieri dell’Abisso sarebbero diventati carne da macello, sacrificabili. Strinse i denti, mordendosi la lingua per non dire niente, non sapendo se Dorian fosse celato da qualche parte in ascolto. Orion era pur sempre un nobile, mentre lui pur appartenendo alla famiglia reale dei Demoni rimaneva comunque un semplice “protetto” del re, non aveva legami di sangue con nessuno dei principi, né con il sovrano in persona. L’unica cosa che gli aveva fatto guadagnare il rispetto di cui godeva, difatti, era la sua forza che eguagliava quella di molti nobili e principi.
    Impugnò la pistola che lo aveva sempre accompagnato negli ultimi secoli, soffermandosi sul piccolo sigillo che si intravedeva in rilievo sul calcio. Quello era l’unica cosa che lo avrebbe potuto aiutare a identificare le sue origini, l’unica cosa rimastagli della sua scomparsa famiglia. Nelle biblioteche del Regno non aveva mai trovato niente di simile, né tra le famiglie nobili né in quella reale, come se la sua famiglia fosse stata interamente cancellata dalla storia dei Demoni. Doveva per forza essere nobile, solo la nobiltà aveva simili sigilli, ma oltre a ciò non sapeva nient’altro. «Lord Goliath ricorda che non dobbiamo far prigionieri» annunciò dopo aver finito di sentire il discorso di Orion, pieno di frasi come “ricordatevi che state dalla parte dei più forti” e “gli Angeli e i Cavalieri sono nulla paragonati a noi”, con alla fine il suo classico “sentitevi onorati di dare la vita per i gloriosi Demoni, un onore che spetta a ben pochi umani fortunati”. Quelle frase, in particolare l’ultima, fece ribollire il sangue a Luxor se ripensava a quanti umani erano morti per la causa dei Demoni, sicuramente molti più di “ben pochi fortunati”.
    I tempi di attesa furono all’incirca quelli che Luxor aveva pronosticato. Mentre la pioggia continuava a battere incessantemente inzuppando l’uniforme da battaglia nera del Demone, il suono di un corno iniziò a riecheggiare tra le rovine della città di York, seguito dal fragore di un tuono e dall’urlò inconfondibile dei soldati pronti ad attaccare.
    La mantella nera di Luxor continuò a ondeggiare all’alzarsi del vento, mentre le ali vennero dispiegate e il Demone si alzò in volo per osservare quale sarebbe stata la strategia del nemico. Le mura avrebbero fermato gli umani a terra, ma gli Angeli potevano volare come loro e per questo una barriera era stata eretta dai Praticanti per fermarli il più possibile all’esterno. Come avrebbero attaccato? La risposta non attardò ad arrivare e Luxor si gelò il sangue.

    L’assalto sarebbe incominciato a breve, tutti sembravano fin troppo tesi e Dwight poteva ben comprendere che per molti umani doveva essere la prima vera battaglia. Scese a terra, mentre il Generale incitava gli Angeli rimasti in volo. «Avete paura?» chiese a un ragazzo che non aveva più di vent’anni.
    Quello annuì, senza dire niente. Dwight non riusciva a capire se negli occhi del giovane stava vedere ammirazione o paura, forse entrambi.
    «Non è sbagliato avere paura, è un sentimento che ci comunica la nostra vita.» Alzò la voce in modo tale che anche gli altri Cavalieri potessero sentire. «L’importante e non farsi dominare da essa, ma essere noi a controllarla. In una battaglia c’è sempre un vincitore e un perdente, c’è sempre chi sopravvive e chi muore, questa è la guerra, è inutile negarlo.» Fece una breve pausa, guardando a uno a uno gli occhi di quegli umani. Gli piaceva parlare agli umani, più di quanto gli piacesse fare i discorsi ai suoi simili. «Ma ricordatevi che oggi non dovete combattere per uccidere i Demoni o i Guerrieri dell’Abisso, non dovete combattere per conquistare Castel York dalle grinfie di Goliath, non dovete combattere sotto lo stendardo degli Angeli! Voi siete umani, voi oggi combattere per riconquistarvi la Gran Bretagna che i Demoni tiranneggiano!»
    Dwight sapeva bene che non era del tutto vero quanto stava dicendo. I Cavalieri dell’Ala, per quanto fossero uno schieramento umano, combattevano al fianco degli Angeli e se davvero Castel York fosse caduto, il dominio britannico sarebbe potuto passare sotto gli Angeli, non certo tornare agli umani, ma in quel momento doveva trovare un modo per motivarli o sarebbero sicuramente morti tutti. Forse catturare Castel York neanche sarebbe bastato, c’erano altre fortezze nell’isola e dubitava di trovare Goliath tra le fila nemiche, ma poteva essere comunque un passo importante per un’eventuale riconquista. L’unica cosa che gli dava ancora da pensare era la strategia da adottare, di cui il Generale non gli aveva ancora parlato. Come avrebbero attaccato? Durante il tragitto aveva posto tale domanda all’Angelo, ricevendo come risposta soltanto un “vedrai” più alcuni semplici ordini. Lui non avrebbe seguito alcuna strategia, il suo unico compito era di trovare chi comandava le truppe nemiche e ucciderlo o catturarlo, facendo arrendere i difensori. Demoni e Angeli erano molto timorosi e rispettosi della forza altrui, se qualcuno era in grado di battere il loro comandante allora il più delle volte si arrivava alla resa. Non aveva altri ordini, poteva agire come meglio riteneva opportuno.
    «Voi oggi non siete qui per “donare le vostre vite” ma per vendicarvi di quanto i Demoni vi hanno tolto! Voi oggi avete la possibilità, con le vostre azioni, di fare un passo verso la liberazione della Gran Bretagna dalla tirannia!» Concluse il discorso sguainando la spada dal fodero bianco e sollevandola verso il cielo, con un urlo che venne imitato dai Cavalieri, un grido che risuonò come un sol uomo mentre il corno degli Angeli cominciava il suo lamento, un lamento che per Dwight sapeva fin troppo di morte, sangue e guerra.
    Il Generale lo raggiunse complimentandosi con lui per come aveva parlato ai Cavalieri, indicandogli infine la fortezza. «Contiamo su di te, portaci alla vittoria, Dwight.»
    Dwight annuì, la pioggia che batteva incessante riempiendogli le orecchie e scivolandogli addosso sulle vesti da battaglia completamente bianche. Né Demoni né Angeli avevano in realtà uniformi loro, a differenza degli umani che erano vestiti tutti uguali con le divise dei loro schieramenti, ma Dwight tendeva a trattare quegli abiti come se fossero la sua divisa. Glieli aveva lasciati lo stesso uomo a cui era appartenuta la spada che stava impugnando. Si scostò una frangia bionda dalla fronte, pronto al segnale, che puntualmente arrivò dopo che le disposizioni date dal Generale agli umani. L’attacco era iniziato e Dwight in quel momento capì, rabbrividendo come mai aveva fatto in vita sua mentre aveva già iniziato ad avviarsi verso la fortezza.




    Capitolo Terzo
    Bianco contro Nero

    Luxor non riusciva a credere ai propri occhi. Mentre osservava ciò che si stava svolgendo sotto di lui, di tanto in tanto volgeva lo sguardo intorno provando a capire se poteva esserci dell’altro che in quel momento gli stava sfuggendo. Gli Angeli erano bloccati fuori dalla barriera, provando a sfondarla con le armi o i loro poteri senza avere molto successo, derisi dai Demoni sui bastioni che a volte li incitavano a ritentare con grida di scherno; gli umani, invece, erano… Completamente allo sbaraglio! La barriera eretta copriva solo la parte superiore della fortezza per impedire agli Angeli di entrare, mentre le mura rimanevano scoperte e proprio contro di essere gli umani si erano lanciati in un vero e proprio attacco suicida sotto i colpi degli arcieri difensori che stavano compiendo una vera e propria carneficina.
    «Che cosa significa?» ruggì Luxor frustrato. Quello non era il modo di agire degli Angeli. I Demoni mandavano a morte i propri alleati umani, era sempre stato così eppure… Riprendendosi dallo stupore, osservò Orion che stava dando altri ordini agli arcieri e fu in quel momento che lo vide. Un vero e proprio lampo bianco, una velocità di volo che poteva essere raggiunta da pochi persino tra gli Angeli o tra i Demoni più forti, difficile da seguire con lo sguardo persino per lui. Non gli ci volle molto per capire di chi si trattasse e un sorriso tutt’altro che divertito gli apparve in faccia.

    «Dunque era questo il vostro piano.» Sentendo quelle parole, Dwight fermò il proprio volo. Era riuscito senza troppi problemi ad aprirsi una breccia nella barriera, volandoci all’interno prima che si rigenerasse aiutato dalla sua velocità ma senza sapere cosa esattamente doveva cercare. Conosceva l’aspetto di Goliath, ma dubitava stesse guidando lui la difesa, quindi aveva optato per una perlustrazione individuando i possibili candidati. Aveva riconosciuto un Demone nobile, Orion, che stava organizzando gli arcieri umani ma non poteva affrettare la sua decisione; quando però sentì quella voce e vide a chi apparteneva… Lui era lì. Non lo aveva mai incontrato ma aveva sentito delle storie sul suo conto, Luxor il Principe Nero.
    «Cosa intendi, Principe Nero?» Dwight lo sfidò con lo sguardo. Conosceva solo per sentito dire la forza di Luxor, ma non gli faceva paura.
    Luxor gli indicò verso il basso, fuori dalle mura. «Ora gli Angeli mandano a morire in un attacco suicida i propri alleati solo come diversivo?»
    Dwight doveva ammettere che era riuscito a penetrare dentro la barriera non visto solo perché i Demoni erano troppo intenti a schernire gli Angeli, mentre gli umani stavano pensando a sterminare i Cavalieri. Lo aveva subito capito, ma non poteva contravvenire agli ordini ricevuti. «Pensi che la cosa mi faccia felice?»
    Luxor gli si avvicinò con calma. «Forse no, ma sei complice come tutti gli altri, Diamante Bianco.» Ormai erano talmente vicini da essere entrambi a portata dell’arma dell’altro. «Evidentemente avevo giudicato male voi Angeli.»
    Dwight non ne poteva più. Gli puntò la spada alla gola, guardandolo con una rabbia malcelata. «Se uccido te, tutto sarà finito!»
    Luxor rise. «Allora provaci, non rendere vano l’aver mandato a morte tanti umani!»
    Con una velocità incredibile anche per un Demone, Luxor scansò la spada utilizzando il calcio della sua pistola e premendo il grilletto. Il proiettile partì ma anziché prendere la fronte di Dwight venne intercettato da un vero e proprio muro invisibile formato dal vento smosso dal potere dello stesso Angelo. Fu proprio quest’ultimo a partire al contrattacco con un affondo, evitato con un volteggio in aria del Principe Nero che, avvitandosi, tornò all’attacco sparando una serie di cinque proiettili. Dwight non si fece trovare impreparato, rivestendo il proprio corpo di una vera e propria armatura di vento che fermò le pallottole a mezz’aria, prima che l’Angelo partisse nuovamente alla carica con la spada, provando un fendente in diagonale, all’altezza della spalla sinistra di Luxor; questi intercettò la lama della spada con il calcio della sua pistola, ghignando. «Tutta qui la forza del grande Dwight Diamante Bianco?»
    «Stavo per dire la stessa cosa di te, Luxor Principe Nero.» Con una piroetta i due si staccarono. Luxor andò fuori dalla portata della lama di Dwight, mentre quest’ultimo continuava ad avere il corpo avvolto nella sua armatura che rendeva inutile la pistola del nemico.
    I due stavano per partire nuovamente all’attacco quando un fulmine si abbatté sulla barriera aprendo un varco abbastanza grande da permettere l’ingresso degli Angeli prima che si rigenerasse. «Sembra che Camie abbia deciso di fare sul serio» commentò Dwight.
    «Come se ciò possa bastare a conquistare Castel York» fu la pronta risposta di Luxor. «E mi basterà ucciderti per porre fine a questa battaglia.»
    «Buffo, stavo per dire la stessa cosa io.» Più il tempo passava, più gli umani sotto le mura venivano uccisi, così Dwight si lanciò nuovamente contro Luxor.

    Luxor riusciva in qualche modo a prevedere gli attacchi di Dwight, ma anche l’Angelo sembrava riuscirci e così la situazione di stallo che si stava andando a formare proseguiva senza che nessuno dei due fosse realmente in vantaggio. Nessun colpo di spada aveva ancora raggiunto il Principe Nero, così come nessuna pallottola era riuscita a raggiungere il corpo del Diamante Bianco protetto da quella maledetta armatura di vento. Però era anche vero che né l’uno né l’altro avevano ancora tirato fuori i loro veri poteri, anche se Luxor dubitava ormai che tra i due ci fosse uno così nettamente più forte dell’altro da poter vincere facilmente; conosceva bene le capacità di Dwight pur non avendolo mai affrontato sul campo di battaglia.
    Dopo una piroetta in aria per evitare l’ennesimo fendente, ricaricò rapidamente la pistola e infondendo nel primo proiettile parte del suo potere lo sparò mirando alla spalla destra del Diamante Bianco, ma anche questa volta la pallottola si fermò senza raggiungere il bersaglio, sebbene il colpo doveva essere stato abbastanza forte da far vacillare la difesa di vento. Ispirato da quell’evento, Luxor si diede una spinta con le ali indietreggiando di colpo e sparando altri due proiettili in rapida successione, entrambi caricati con il suo potere verso lo stesso punto. Dwight non fece in tempo a reagire e le pallottole impattarono sulla sua armatura che diede l’impressione di essersi incrinata; quello era il vantaggio che stava aspettando. Anche gli ultimi tre colpi del caricatore vennero sparati caricati magicamente, con Dwight che sembrava essersi sbilanciato per la sorpresa. Il primo infranse definitivamente l’armatura che copriva la spalla, il secondo venne in qualche modo evitato ma il terzo, sparato leggermente più a sinistra rispetto agli altri due, centrò il bersaglio facendo zampillare sangue dalla ferita del Diamante Bianco. Luxor non fece però in tempo a gioire che un dolore lancinante alla gamba sinistra gli fece capire di aver abbassato la guardia. Un pugnale gli si era conficcato sulla coscia, poco sopra il ginocchio.
    «Credevi davvero che la spada fosse la mia unica arma?» lo schernì Dwight che però non sembrava capace di mascherare il dolore provocatogli dalla ferita, come del resto non ne era stato capace il Principe Nero.
    Con un ringhio, Luxor si estrasse il pugnale dalla coscia gettandolo sotto di sé, mentre si preparava a un’altra offensiva. Ci stava mettendo troppo, doveva concludere in fretta quello scontro; l’idea di quel che stava avvenendo fuori dalle mura e la presenza di Dorian lo inquietavano più di quel che volesse ammettere. Anche Dwight sembrava intenzionato a far finire il tutto più velocemente possibile.

    Non poteva perdere altro tempo o troppe sarebbero state le vittime di quella dannata battaglia. Oltre agli umani, anche gli Angeli ora stavano subendo le loro perdite e il tutto si stava traducendo in un vero e proprio massacro. Tirando un profondo sospiro, impugnò la spada con entrambe le mani concentrando tutta la sua energia. L’armatura di vento si annullò completamente, con l’aria che iniziò a volteggiare intorno alla lama e alle sue ali, mentre un’aura oscura aveva iniziato ad avvolgere gli ali e la pistola di Luxor; quello sarebbe stato l’ultimo attacco. Entrambi con questo pensiero, si lanciarono l’uno contro l’altro lanciando un grido all’unisono. Più veloci di prima, furono due veri lampi, uno bianco e uno nero, che fermarono per un istante la battaglia sottostante sotto gli sguardi attoniti di tutti i presenti che solo in quel momento si resero conto di ciò che stava accadendo sopra le loro teste e solo Camie riuscì a scorgere uno scorcio di quello che stava accadendo, sentendo una profonda fitta al petto. Anche la pioggia sembrò arrestarsi in quel singolo istante, mentre i due duellanti si incrociavano e la spada calava seguita da cinque colpi di pistola in rapida sequenza. Solo Camie poté vedere la lama del Diamante Bianco colpire l’ala nera di Luxor e i colpi del Principe Nero impattare contro l’attaccatura dell’ala di Dwight. In quel singolo istante la battaglia si era arrestata, tutti rimasti con il fiato sospeso, mentre un Dorian visibilmnete divertito osservava la scena con un sorriso.
    «Credo sia meglio se vi ritiriate, ora» disse il secondo principe dei Demoni rivolgendosi al Generale che gli stava alle spalle. «Altrimenti morirete tutti.»
    «Non accetto consigli da un Demone.» Il Generale armato di lancia si preparò al combattimento.
    «Allora hai scelto la morte tua e dei tuoi uomini.» Dorian sorrise.
  8. .
    fID03TP
  9. .
    Narrazione privata di una side story che vedrà coinvolti i tre PG che attualmente ho sul forum divisa in più parti (tipo un mini racconto u.u) anche se al momento ho pronta solo la prima parte u.u Buona lettura!


    Parte Prima - Il Volantino Misterioso

    Akiko
    Tetsuya
    Eichi
    «Non capisco cosa si provi a correre dietro una palla» fu il commentò sconsolato della ragazza che aveva alzato gli occhi al cielo. «Che si tratta di essere in dieci o in ventidue, per me sarebbe inconcepibile provare a praticare sport simili.»
    Sakurai Tetsuya e Dazai Eichi si guardarono palesemente divertiti da quell’affermazione, interrompendo la loro sfida e raggiungendo la panchina sulla quale Kamiya Akiko stava seduta. Erano ormai trascorsi alcuni giorni da quando Tetsu si era ritrovato a trascorrere quelle piacevole giornate in compagnia dei due ragazzi, dividendosi tra lo studio e le spiegazioni sulle Anormalità, alle quali volle partecipare anche Dazai che si era messo in testa di voler essere il primo membro del non ancora fondato club di basket, arrivando anche a proporre ad Akiko di diventare la loro manager o qualcosa del genere.
    «Per caso pensi di essere in un qualche anime sul calcio?» era stato il commento divertito di Tetsu.
    «Beh, qualcosa di simile alle tecniche speciali c’è, quindi potrebbe funzionare!» La risposta di Dazai aveva spiazzato sia il quasi sempre composto Sakurai Tetsuya sia Kamiya Akiko, che tendeva ad avere sempre l’ultima parola.
    «Se non sbaglio tu pratichi kendo» disse Tetsu rivolgendosi alla ragazza che gli stava seduta alla sua sinistra.
    Akiko annuì. «So che in questa scuola c’è un club di kendo.»
    «E perché non ti ci sei iscritta?»
    La giovane Kamiya si guardo il palmo della mano destra. «La prima volta che ho utilizzato la mia Anormalità, la spada di luce è sprigionata contraria al mio volere, semplicemente perché mi trovavo in difficoltà.» Tornò a guardare Tetsu. «Il mio è uno sport di combattimento e per questo non posso rischiare che accada di nuovo, i momenti di difficoltà sono superiori e più pericolosi, nel mio caso, rispetto a discipline come il basket; inoltre la mia è un’Anormalità visibile, a differenza della tua, e se si attivasse per sbaglio non potrei nasconderla.»
    «Capisco.» Tetsu scosse la testa. «È un vero peccato tu non voglia praticare il kendo per questo motivo, allora.» A quelle parole fece seguire uno sguardo d’intesa con Dazai, il quale tirò fuori dalla borsa posata lì vicino un pezzo di carta.
    «Vorrà dire che questo volantino lo butteremo» disse l’amico appallottolando quel che aveva in mano e facendo come se volesse lanciarlo da lì fino al piccolo cestino rotondo distante qualche metro dalla panchina.
    Akiko, più veloce di quel che si potesse credere, scattò verso la mano di Dazai, il quale se ne accorse all’ultimo cambiando direzione del lancio e dirigendo la palla di carta verso Tetsu, che la prese al volo. «Credevo non ti interessasse il kendo» commentò con una scrollata di spalle proprio Tetsuya, restituendo la pallina di carta a Dazai con un lancio millimetri, senza che Akiko riuscisse a raggiungerla con il suo salto, complice la poca altezza.
    «Che cos’è?» chiese stizzita la ragazza, arrossendo dopo il salto per non essere arrivata fin dove Tetsu aveva lanciato l’oggetto.
    «Nulla che ti interessi, visto quel che hai detto prima, no?» Il divertimento di Tetsu era davvero malcelato.
    «Torneo di kendo tra una settimana, in palio un premio in denaro e un set professionale per il kendo.» Dazai aveva riaperto il volantino, iniziando a leggere a voce alta. «Vediamo quant’è il…» Improvvisamente il ragazzo si fermò, sgranando gli occhi sotto lo sguardo interrogativo di Tetsu. Neanche lui aveva ancora letto tutto il volantino, dopo averlo visto si era accordato con Dazai per darlo ad Akiko e non ci si era soffermato troppo a leggerlo. Il rivale di Tetsu iniziò a muovere le dita come se stesse contando qualcosa. «Ma quanti zeri sono?» fu il solo commento che riuscì a dire prima che Akiko, approfittandone, glielo strappasse dalle mani iniziando a leggerlo da cima a fondo, con Tetsu e Dazai che apparvero alle sue spalle ora incuriositi.
    Fu Dazai il primo a parlare. «Sapete cosa significa?» disse con un filo di voce. «Kamiya, devi partecipare! Diventeremo ricchi!»
    «Non ho mai visto un premio tanto alto per una competizione che non è neanche regionale…» Akiko sembrava la più sorpresa di tutti.
    «Allora hai deciso di partecipare?» Tetsu le posò una mano sulla spalla. «Hai già dimostrato di saper controllare la tua Anormalità, non accadrà niente.»
    «Posso chiederti una cosa, Dazai?» Akiko si voltò verso il più alto dei due ragazzi. «Perché “diventeremo ricchi”?» Gli occhi di Akiko sembrano più divertiti del solito. «Al massimo dovrei essere io a diventare ricca!»
    «Perché ti ricorderai dei cari amici che ti hanno trovato quel volantino» fu la risposta pronta di Dazai Eichi.
    «E da quando noi saremmo “cari amici”?» Lo sguardo della giovane si posò su Tetsu. «Al massimo potrei dividere 80/20 con Tetsuya, visto che mi sta insegnando quel che sa sulle Anormalità.»
    “Solo il venti percento?” pensò Tetsuya ironicamente, ma non formulò mai a parole quella frase, limitandosi a una scrollata di spalle. «Rassegnati, sembra che ormai abbia deciso» commentò con un sorriso verso l’amico.
    Dazai sembrava stesse per mettersi a piangere.

    «Sei davvero sicuro non succederà niente?» la domanda di Akiko arrivò più tardi di quanto Tetsuya avesse previsto. Rimasti soli, i due ragazzi si trovavano all’interno della palestra con il campo da basket, dove Akiko aveva deciso di allenarsi per il torneo. Ormai il sole stava tramontando e preso sarebbe sopraggiunta la notte. Akiko aveva deciso di allenarsi là per evitare di essere vista da qualche membro del club di kendo, ancora non era sicura di volerci entrare dopotutto e voleva evitare eventuali richieste del genere nonostante in cuor suo avrebbe voluto provare.
    «Di solito sei molto sicura di te, cosa ti sta succedendo?» Tetsu le si avvicinò prendendo un asciugamano e detergendosi il sudore dalla fronte. I due formavano una strana coppia, con lui in tenuta da basket e lei in tenuta da kendo.
    «Beh, tutto questo è un mondo completamente nuovo per me, credo sia normale avere qualche dubbio.»
    «Hai ragione, ma non per questo devi dubitare delle tue capacità. Anch’io ci capivo poco quando ho scoperto di possedere il mio Falcon Eye ma alla fine ci si abitua; il bello di noi esseri umani è la nostra adattabilità in fin dei conti!»
    Akiko fece un cenno di assenso con la testa. «Certo che il premio in denaro è veramente alto, mi chiedo chi abbia organizzato il torneo.»
    «Sul volantino non si faceva neanche riferimento a una qualche quota di iscrizione» ammise Tetsu pensieroso. «Come faranno a pagarlo?»
    «Non lo so, ma credo scopriremo tutto il giorno del torneo, ora è inutile stare a pensarci troppo e mi sono riposata abbastanza.»
    Akiko riprese il proprio shinai, pronta a fare di nuovo qualche esercizio, ma Tetsu la fermò. «Esercitandoti da sola non risolverai molto, hai bisogno di un avversario!»
    La ragazza era perplessa. «L’ultima volta che mi hai fatto da avversario ti ho battuto subito e non hai fatto una bella figura, dubito potresti essermi d’aiuto.»
    Tetsu sembrò imbarazzato. «Hai ragione ma volevo provare e ricordati che mi hai promesso di darmi qualche lezione!» Akiko annuì. «Comunque, credo tu debba davvero esercitarti con qualcuno per prepararti al meglio al torneo. Se ti trovo qualcuno con cui fare pratica mi fai un’altra promessa?»
    «Quale?»
    «Metterai da parte tutti i tuoi dubbi e ti iscriverai al club di kendo!»
    Akiko si costrinse ad annuire suscitando un sorriso compiaciuto sul volto dell’amico ma i due ignoravano ancora troppe cose sul torneo e nessuno poteva immaginare quel che sarebbe accaduto di lì a una settimana.
  10. .
    Nome: Kaori/Eiko
    Cognome: Kurosawa
    Sesso: Femmina
    Soprannome: Principessa - Tale soprannome le è stato dato come nomignolo inteso in senso dispregiativo per via del suo solito modo altezzoso di comportarsi, anche se i pochi che riescono a sopportarla la chiamano così intendendolo come un titolo onorifico.
    Età: 17
    Data di nascita: 23 Aprile (Kaori)/15 Maggio (Eiko)
    Segno: Toro
    Interessi: Passa intere ore a leggere e si diletta nella scrittura e nel praticare musica, in particolare adora suonare il pianoforte. Interesse particolarmente bizzarro, inoltre, è il suo collezionare occhiali da vista.
    Mentalità: Minus
    Classe: 10 - 2
    Club: //
    Occupazione: //
    Prestavolto: "Mash Kyrielight" di Fate/Grand Order

    INFORMAZIONI
    Kaori/Eiko Kurosawa
    Basterebbe descrivere una sola delle due sorlle per descrivere anche l'altra, nonostante non fossero gemelle infatti si assomigliavano molto sia nella corporatura che nei tratti del viso, con veramente poche differenze tra di loro, se non che Kaori era appena un paio di centimetri più bassa, sul metro e cinquanta, ma una differenza difficilmente notabile senza misurarla direttamente. Capelli corti di un particolare colore simile al rosa incorniciano un volto dalla carnagione molto chiara sul quale spiccano due grandi occhi dalle iridi viola; non ha problemi di vista seri, ma quando torna alla sua vera identità tende a mettersi gli occhiali che solitamente usava solo per leggere.
    ASPETTO
    Avendo finto per anni di essere Eiko, la personalità di Kaori si è talmente incasinata da non ricordare più chi sia la vera se stessa e ciò l'ha portata a una sorta di sdoppiamento dell'identià, fondendo in sé entrambi gli aspetti caratteriali, molto diversi tra loro. Come Eiko, quindi, si mostra nei panni di una ragazza carismatica, sicura di sé. estroversa e sprezzante, alle volte anche un poco altezzosa in quanto Eiko mostrava il proprio lato dolce solo alla sorellina. In queste vesti mostra anche una particolare intelligenza e prontezza di pensiero, oltre ad avere quasi sempre la risposta pronta.
    Molto diversa dalla sorella maggiore, Kaori è invece una ragazza timida e impacciata, facile all'imbarazzo che viene accentuato dalla carnagione pallida quando arrossisce. Certe volte sarebbe capace di non spiccicare parola se non viene esortata a farlo e spesso incespica anche solo nel parlare normalmente, così tanto che tende a mordersi la lingua fin troppo spesso. Odiava il lato altezzoso di Eiko e, non trattandosi il suo di un semplice sdoppiamento della personalità, tende a ricordare tutto quel che succede quando finge di essere la sorella finendo con il provare una profonda vergogna ogni volta.
    Punto in comune tra le due identità è la propensione, di tanto in tanto, a parlare allo specchio come se le due sorelle stiano conversando.
    CARATTERE

    BACKGROUND
    Kaori ed Eiko, due sorelle molto simili tra loro fisicamente ma così diverse nel carattere, una diversità palese sin da bambine. Nonostante si passassero solo circa un anno di differenza, infatti, la maggiore tra le due (Eiko) aveva sempre mostrato una personalità tanto estroversa e allegra quanto seria e determinata. Erede di un'importante famiglia giapponese, Eiko era stata istruita fin da subito in diversi istituti privati e dai migliori insegnanti, rivelandosi una studentessa eccellente mentre imparava anche quella che secondo gli esigenti genitori era anche l'etichetta che doveva mostrare in pubblico. Sotto gli insegnamenti del padre, però, pian piano il sentimento di oppressione iniziò a maturare in lei facendole chiudere sempre più il proprio cuore, rendendo il volto allegro mostrato in pubblico solo una maschera di quello che in realtà era il suo animo turbato. Dall'altra parte, Kaori poté crescere in quasi completa libertà nonostante il carattere timido e introverso, quasi completamente ignorata dai genitori che rivolgevano tutte le attenzioni alla sorella; eppure, nonostante non avesse la stessa oppressione patita dalla sorella, le mancava ciò che realmente sembrasse desiderare, l'amore della propria famiglia.
    Prima del compimento dei dieci anni di Eiko, le due sorelle erano sempre state affiatate con la maggiore che più volte si ritrovava a essere l'unica che sembrava interessata a prendersi cura della minore, ma le continue pressioni da parte della famiglia iniziarono a chiudere il cuore della bambina e a renderla più scostante e quasi intrattabile, facendo al contempo maturare in Kaori un sentimento di avversione nei suoi confronti e in quelli della famiglia, dalla quale non riceveva l'amore da lei desiderato.
    La scoperta della propria anormalità fu inizialmente un faro di speranza per Kaori, avere qualcosa che invece a Eiko mancava poteva finalmente darle le attenzioni volute ma ben presto si scoprì incapace a controllare il proprio potere aumentando il distacco con i genitori, in special modo con il padre, che sprezzante le disse quanto fosse inutile possedere qualcosa che non si sapeva controllare. D'altronde per l'uomo il controllo su ogni cosa, dal Gruppo Kurosawa che aveva ereditato alla propria famiglia, era sempre stato tutto.
    L'oscurità che aveva iniziato a far nascere nel proprio cuore crebbe per altri tre anni fino al raggiungimento del suo apice quando, ormai tredicenne, rimase figlia unica. Senza neanche accorgersene, negli anni successivi al tragico evento, avrebbe continuato a darsi perennemente la colpa della morte di Eiko pur non avendo avuto un ruolo in qualche modo attivo in quanto accadde. Alle volte le era però capitato di avere pensieri del genere "se mia sorella non fosse mai esistita" o "se Eiko sparisse e io fossi l'unica figlia dei Kurosawa", ipotesi che venivano immediatamente scacciate ogni volta che anche solo sfioravano la mente della piccola ma quando il tutto si tramutò in realtà iniziò il conflitto interiore nella mente di Kaori tra il senso di colpa e un sentimento non ben definito ma al quale in seguito avrebbe potuto attribuire il nome di sollievo. Già, poiché lei rimaneva l'unica erede della famiglia e finalmente avrebbe avuto le attenzioni tanto desiderate dei genitori. Lei non ha che vaghi ricordi del giorno del funerale di Eiko, ma pare che non abbia versato una singola lacrima per la sorella scomparsa. Le dinamiche dell'evento, poi, furono abbastanza semplici, un mero incidente d'auto che aveva coinvolto suo padre e la bambina, ma l'uomo se l'era cavata con ferite non troppo grave pur riportando una paralisi a una gamba che l'avrebbe costretto per sempre a camminare con l'ausilio di un bastone.
    Dalla scomparsa di Eiko, come Kaori aveva immaginato, tutte le attenzioni e le aspettative dei genitori ricaddero su di lei la quale smise di essere se stessa prendendo il posto della bambina defunta, idea avuta dal padre che nel Gruppo Kurosawa sapeva quanto tutti ammirassero Eiko e così ufficialmente a morire fu Kaori quel giorno. A oggi sulla tomba della bambina, infatti, compare il nome Kurosawa Kaori. Iniziando a fingere di essere Eiko, la piccola Kaori dovette in tempi da record apprendere tanto il modo di comportarsi quanto recuperare tutti gli studi arretrati fatti in quegli anni dalla sorella, lasciandosi alle spalle la timidezza e la riservatezza che da sempre l'avevano caratterizzata, finché la sua stessa identità non andò perduta convincendosi di essere la persona che stava interpretando finché non venne ammessa al Liceo Hakoniwa. Lo sdoppiamento della sua personalità divenne sempre più accentuato con il trascorrere degli anni arrivando a una netta divisione tra due differenti Kaori. La se stessa del passato, timida, introversa e impacciata e l'attuale Kaori che finge di essere Eiko, estroversa, senza peli sulla lingua, a volte sprezzante e un po' troppo altezzosa, proprio come stava diventando prima di venire a mancare.

    zeHlsP5
    EXP: 7
    Numero di poteri: 1
    Abilità: Nonostante abbia chiuso il proprio cuore e quando è Eiko si mostri piuttosto sprezzante e altezzosa, riesce a mantenere un forte carisma sia con la sola presenza sia con le sue parole. (BONUS: +3 all'animo)

    BATTLE DATA

    ~Demonic Armor (Biologica):~
    Una vera e propria armatura, che rende l'Anormalità di Kaori prettamente di tipo difensivo nonostante comprenda un incremento della forza fisica. La più grande particolarità del suo potere, però, è che pare abbia una volontà propria rimuovendo dalla ragazza ogni limite inconscio che si potrebbe essere posta autonomamente, sia di carattere morale sia fisico. È proprio ciò a rendere l'armatura pericolosa tanto per lei quanto per chi si trova sulla sua strada, poiché si tende a utilizzare una forza nei colpi superiore a quella che normalmente si utilizzerebbe, portando allo stremo il corpo e rischiando anche di autolesionarsi; dopo un certo periodo di tempo, variabile e che dipende in particolare dal numero di utilizzi consecutivi a breve distanza l'uno dall'altro ma anche dallo stato d'animo di Kaori, in generale comunque dopo circa una mezz'ora, il solo indossare l'armatura può causare enorme sofferenza fisica e psicologica, ma la stessa volontà di combattere dell'Anormalità impedisce a Kaori di fermarsi autonomamente se non ha un forte shock emotivo o se non esaurisce le proprie energie. Più tempo l'armatura riveste il suo corpo più è concreto il rischio che l'armatura si fonda con esso, aumentando di pari passo forza, velocità e dolore fisico e psicologico all'utilizzatore, esistendo anche il rischio concreto che prenda il sopravvento sostituendosi al corpo di Kaori e prendendo il sopravvento sulla sua mente.
    L'armatura può anche essere evocata in singoli pezzi (come ricoprendo solo un braccio o una gamba) e in tal caso mantiene tutte le particolarità positive e negative, ma solo la parte coperta potrebbe muoversi contro il volere della ragazza.
    ANORMALITA' 1°
    Sviluppi: Qui vanno inseriti, invece, gli sviluppi del potere che avete inserito qui sopra, specificando il numero degli stessi e anche quelli che avete già sbloccato e quelli che invece sono ancora da sbloccare.

    Coded by ¬SasoRi




    Forza: 51 S/E
    Velocità: 38 N/S
    Intelligenza: 38 N/S
    Riflessi: 38 N/S
    Resistenza: 51 S/E
    Animo: 19 N/B
    Mente: -5 Tenue (+2 punti intelligenza)

    Abilità Passive: //
    STATISTICHE
    CARTA FICTION
    Carta Demonic Armor: Kaori riveste la propria armatura con scariche elettriche ad altro voltaggio incrementando notevolmente la resistenza e potendo causare danni da ustione se viene toccata direttamente. Tale potere ha però un enorme problema, che cambia a seconda del momento in cui viene utilizzato: se prima della mezz'ora dall'attivazione dell'Anormalità, azzera il tempo necessario alla stessa per iniziare a causare dolore alla ragazza; dopo la mezz'ora potrebbe portare l'armatura a iniziare il processo di controllo del corpo di Kaori.

    Coded by ¬SasoRi


    Edited by Vanclau - 26/3/2020, 05:01
  11. .
    Per tutta la durata della conversazione, Akiko si era sentita totalmente fuori luogo, quasi come fosse una bambina a una conversazione tra adulti alla quale non poteva partecipare. Aveva già supposto che la sua Servant fosse in qualche modo abituata ai combattimenti e alla guerra, pur non conoscendo ancora il suo passato, e sembrava quindi del tutto naturale che le strategie da adottare le scegliesse Leia che godeva di una maggiore esperienza, ma anche l'altro Master sembrava così diverso da come la stessa Akiko si sentiva. In un Paese e in un tempo dove la guerra per le "persone comuni" doveva sembrare un concetto molto distante, dove non c'era bisogno di studiare tattiche militari o esercitarsi per diventare soldati, il Master che avevano incontrato le stava dando l'impressione di essere ben più preparato di lei e pronto a quel conflitto.
    La strategia venne decisa proprio da Leia e dall'altro Master, andare dalla coppia che avevano percepito e affrontarli in uno scontro due contro due per testare le capacità sia degli avversari sia dei possibili alleati, proposta che venne accolta dai loro interlocutori immediatamente.
    Felice di non essere subito piombata in uno scontro, ma di aver avuto anche modo di conoscere e parlare pacificamente con un altro contendente, Akiko iniziò a pensare che se fossero vissuti in un altra epoca, o non fossero stati maghi e Master, forse avrebbe anche potuto andare d'accordo con gli altri contendenti se erano tutti come il ragazzo con il quale stava pacificamente prendendo un caffé come fosse una sua vecchia conoscenza e non un futuro nemico con il quale avrebbe dovuto poi scontrarsi. La ragazza sapeva che qualsiasi alleato sarebbe poi diventato un nemico, non si faceva illusioni e lo stesso sguardo che per un attimo le rivolse Leia glielo ricordo: tutte le alleanze in una Guerra del Sacro Graal alla fine erano destinate a rompersi. Solo una coppia poteva aggiudicarsi il premio finale e alla fine, se entrambi fossero arrivati fino all'atto finale del conflitto, si sarebbero dovuti scontrare inevitabilmente.
    Fu l'improvvisa apparizione di una quarta figura, femminile anch'essa, a far trasalire Akiko strappandola a quei pensieri. Per un attimo si era dimenticata dell'inevitabile presenza dell'altro Servant che, dunque, era sempre stato là in forma spirituale, ipotesi che mise i brividi alla giovane pensando che fino a quel momento era stata osservata senza che lei lo sapesse, essendole passato di mente la possibilità che invece si era dimostrata vera. Leia, dal canto suo, doveva già aver intuito che l'altra Servant fosse sempre stata al loro fianco e per un attimo la maledisse per non averle detto niente.
    Leia anche si era voltata a guardare nella direzione verso la quale l'altra Servant puntava, imitata da Akiko che rimase a bocca aperta davanti all'immagine della chiazza nera che inglobava un intero edificio. Qualcuno si era mosso prima di loro, una battaglia doveva già essere cominciata...
    «La Guerra dovrebbe rimanere segreta agli umani» commentò Leia senza nascondere una lieve sorpresa. «Non vi è alcun beneficio nel mostrare così le proprie capacità tanto agli umani quanto ai Servant non coinvolti nella battaglia che si sta sostenendo.» Sembrava perplessa. «Concordo più con la tua Servant che con te» aggiunse infine tornando a guardare gli altri due. «Preferirei evitare vittime innocenti se possibile.»
    Akiko annuì. «Anche io e...» Per un attimo aveva pensato di chiedere a Leia cosa la preoccupasse tanto, ma ricordandosi di non essere sola con lei accantonò quella domanda per un altro momento. «Allora andiamo!»
  12. .
    CITAZIONE
    Akiko fissava il ragazzo con ancora un pizzico di imbarazzo per quanto successo praticamente di fronte ai suoi occhi. Non era stato il modo migliore per presentarsi a un altro partecipante di quella guerra e pur se era da solo cominciava a sentirsi come se fosse al primo giorno in una nuova scuola. Chi aveva davanti era un mago e probabilmente il suo Servant sicuramente non si trovava troppo distante, forse addirittura al suo fianco in forma spirituale, con l’unica rassicurazione di avere Leia a coprirle le spalle. Un po’ invidiava la sicurezza della sua partner in quella situazione, dove senza esitare aveva preso la parola come se stesse parlando a un amico di vecchia data e non a un possibile nemico. In vita sua, Akiko aveva sempre cercato di non avere incertezze, di fare quel che ritenesse giusto in ogni circostanza e il suo carattere era sempre stato forte e deciso, eppure la sola consapevolezza di trovarsi in una guerra tra spiriti eroici di altre epoche tanto potenti la faceva sentire come una ragazzina spaurita.
    «Non posso darti torto» fu la risposta di Leia all’affermazione dell’altro Master. «Ma pur cambiando d’abbigliamento non posso privarmi della maschera, quindi sarebbe stato inutile.»
    Dopo essersi seduta, la Servant si voltò verso Akiko, come ad aspettare una qualsiasi sua decisione e, deglutendo per la tensione che sentiva farsi strada nel petto, anche la ragazza raggiunse il tavolino prendendo posto; nonostante fossero solo loro tre, però, Akiko sapeva che sarebbe stato più opportuno contare come quarta presenza il Servant che ancora non si vedeva fisicamente. Fu spontaneo per lei chiedersi che aspetto potesse avere, se aveva deciso di non mostrarsi per un fattore legato all’abbigliamento, alle sue fattezze fisiche o semplicemente per non dare nessuna informazione su di sé ad altri e rimanersene nascosto fino all’ultimo.
    Akiko ordinò due caffè alla cameriera chiamata dal giovane, riuscendo anche a rilassarsi un poco con una lieve occhiata divertita dopo aver visto la faccia della donna che in un primo momento aveva scrutato Leia con fare incuriosito. Non doveva capitare spesso di trovare qualcuno bardato in quel modo da quelle parti e in generale nell’intero pianeta.
    Senza prendere ancora la parola, ragazza e Servant ascoltarono attentamente le parole dell’altro Master e Akiko si ritrovò a concordare con quel punto di vista, che d’altronde era piuttosto simile a quello di Leia. «Finché non ci siamo incontrati ammetto che non sapevo cosa aspettarmi da un altro Master» ammise Akiko iniziando a bere il caffè appena portato dalla cameriera, dopo che quest’ultima si fosse nuovamente allontanata. Con la coda dell’occhio, notò anche Leia che non sembrava minimamente intenzionata neanche a prendere in mano la tazzina, chiedendosi se fosse per la maschera (che non aveva aperture all’altezza della bocca) o per un altro motivo ignoto. «Però devo anche ammettere che mi aspettavo di incontrare qualcuno più improntato a voler subito combattere piuttosto che parlare, dopotutto questa è una guerra, anche se approvo il tuo punto di vista.»
    Leia si voltò verso di lei e l’espressione degli occhi le suggerì che stava sorridendo ironica, essendo stata la stessa Servant la prima a dire che poteva essere controproducente cercare subito qualcuno da eliminare dalla guerra e quindi scoprire le proprie carte sin dall’inizio.
    «Raccogliere informazioni sui propri nemici e sui possibili alleati sarà senz’altro utile.» Questa volta a intervenire fu Leia. «Ma direi di dirigerci contro la coppia di Servant. Non mi piace l’idea di affrontare qualcuno in inferiorità numerica e se combattesse solo uno di noi due l’altro terrebbe nascoste le proprie capacità, rendendo inutile la tua proposta.»
    Il tono di Leia era deciso, ma avendo avuto a disposizione più tempo dell’altro Master per conoscere la sua Servant, Akiko notò che in quella sicurezza c’era dell’altro tenuto ben celato, una sorta di dubbio che sembrava assillarla. Non era neanche certa se lo percepisse per via del legame che condividevano o proprio perché stava imparando a capirla un poco, ma effettivamente sembrava quasi preoccupata e titubante. Se solo Akiko fosse stata più brava a matematica, avrebbe già potuto capire che il conteggio dei Servant percepiti quella notte aveva raggiunto il nove.
  13. .
    Up!
  14. .
    Nome: Eichi
    Cognome: Dazai
    Sesso: Maschio
    Soprannome: //
    Età: 18 anni
    Data di nascita: 30 Aprile
    Segno: Ariete
    Interessi: Praticare sport in generale, sebbene provi una grande passione solo per il basket. C'è chi dice di averlo anche visto leggere ogni tanto qualche manga, ma non è chiaro se ciò sia vero o se si possa dire che gli piacciano manga e anime; di certo comunque non è un gran lettore di qualsiasi cosa non abbia almeno un'illustrazione. Non ha veramente altri interessi, ma ogni tanto gli piace avere un sottofondo musicale quando deve concentrarsi su qualcosa, che sia lo studio o i costanti allenamenti fisici.
    Mentalità: Special
    Classe: 3 - 7
    Club: Essendosi trasferito da poco, al momento nessuno
    Prestavolto: "Hikaru Zaizen" di Prince of Tennis

    «Abilità»
    L'abilità consiste in quello che riesce meglio al vostro personaggio. Ovviamente non deve essere qualcosa di straordinario e superumano, ma piuttosto qualcosa di abbastanza normale e caratteristico per il vostro personaggio.
    DATI
    Aspetto: Alto sul metro e novanta, Eichi possiede un corpo dalla muscolatura ben delineata e quasi imponente, con un volto incorniciato da corti capelli corvini e un paio d'occhi scuri. I molti anni durante i quali ha praticato sport, in particolare il basket, lo hanno aiutato a sviluppare per bene i propri muscoli e a dargli il suo fisico attuale, non proprio mingherlino. I tratti del viso sono duri e pur non essendo un tipo particolarmente rissoso se lo si dovesse incontrare senza conoscerlo bene potrebbe non fare la migliore delle impressione, tant'è che in passato altri avevano anche solo paura di rivolgergli la parola solo dopo aver visto la sua stazza e il suo sguardo, come fosse un vero e proprio bullo di scuola, anche se la realtà è ben diversa.
    Solitamente veste in tuta, quando non ha la divisa scolastica, o jeans, t-shirt e scarpe da basket.
    Carattere: Come già detto, Dazai non è un tipo rissoso se non lo si provoca apertamente, ma se dovesse succedere non ci pensa due volte a "buttarsi nella mischia"; si potrebbe dire quindi che di solito non è mai lui a iniziare le risse, anche se solitamente gli piace concluderle. A parte ciò, nonostante i tratti duri del viso, alla fine è un ragazzo piuttosto buono che si prodiga sempre nell'aiutare chi è più debole di lui, cosa che spesso lo ha portato a prendere le difese di chi veniva malmenato nella sua scuola, aiutato dalla corporatura con la quale gli è capitato di nascere e allenata nel corso degli anni in diversi sport. Il suo amore per il basket, infatti, è arrivato in un secondo momento dopo aver iniziato diverse discipline per mantenersi in allenamento arivando alla conclusione che se era nato con un simile corpo doveva utilizzarlo per difendere chi non poteva farlo da solo (motivo per cui inizialmente coltivava anche l'idea di entrare in polizia), ma dopo aver iniziato a ciocare a basket non si è più allontanato da quella strada arrivando a desiderare di entrare nei campionati professionistici e, magari, un giorno andare a giocare in America.
    Gli piace molto scherzare, divertirsi alle sale giochi, mangiare e non disprezza anche qualche bicchiere di birra di tanto in tanto, nonostante non sia ancora maggiorenne. Non è proprio una cima a scuola, e siccome spesso gli capita di continuare ad allenarsi fino a tarda notte gli è spesso capitato di addormentarsi in classe.
    Prova una profonda rivalità nei confronti di Tetsu sul campo da basket, che fuori si tramuta in amicizia e rispetto reciproco, anche se desidera superarlo almeno una volta pur non avendo alcuna Anormalità. A tal proposito, comunque, non si sente inferiore a nessuno anche senza poteri, arrivando a pensare che deve semplicemente faticare di più per poter essere competitivo contro Tetsu.
    DESCRIZIONE
    Dazai Eichi
    BACKGROUND
    Nato con una corporatura un po' fuori norma per un bambino nipponico, sin dall'infanzia gli è stato complicato stringere veri e propri legami con i suoi coetanei, ragion per cui almeno inizialmente erano rare le volte che usciva di casa quando non doveva andare a scuola. Ciò era dovuto principlamente alla paura che inconsciamente incuteva negli altri per colpa della sua stazza, ma con il passare degli anni si abituò a quella situazione smettendo di preoccuparsene e arrivando alla conclusione che il motivo per il quale aveva un simile corpo era per difendere gli altri. Iniziò a pensarlo dopo aver assistito a diversi episodi di bullismo nella sua scuola, portandolo a praticare alcuni sport per tenersi in allenamento finché non conobbe il basket innamorandosene. Con la sua altezza e la sua muscolatura, infatti, divenne in poco tempo il migliore della sua squadra portandola infine alla vittoria del campionato con una netta differenza di abilità rispetto a tutte le altre scuole.
    La passione per quello sport andò aumentando giorno dopo giorno, ma allo stesso tempo anche la voglia di trovare qualcuno che potesse in qualche modo tenergli testa, che potesse essere una vera e propria sfida per lui, ma non sembrava ci fosse qualcuno del genere tra i giocatori che si ritrovò ad affrontare l'anno seguente. Certo, era felice delle vittorie ottenute con i suoi compagni, contento di vedere sua sorella Kaede a ogni partita a fare il tifo per lui e a esultare a ogni canestro fatto, ma senza un degno avversario Dazai Eichi si sentiva completo solo a metà.
    Dopo aver vinto le semifinali contro gli stessi avversari affrontati nella finale dell'anno precedente, ormai nessuno metteva più indubbio che si sarebbero riconfermati campioni, ma Kaede propose lo stesso a Eichi di andare a vedere insieme l'altra semifinale. Prima della semifinale vinta, infatti, Eichi si era confidato con lei rivelandole il desiderio di voler conoscere un avversario degno di tale nome nel basket, e che sperava di trovarlo nei secondi classificati dell'ultimo campionato; cosa che però non era accaduta.
    Dazai ancora non sapeva il motivo della proposta di Kaede, ma le due semifinaliste erano la terza classificata dell'anno prima e una che veniva definita la "cenerentola" del campionato, poiché l'ultima volta (che era anche la loro prima partecipazione) avevano perso malamente al turno preliminare. Nessuno avrebbe potuto pensare che quella squadretta potesse arrivare così lontano, né che avessero avuto possibilità di vincere la finale o anche solo arrivarci, e anche Dazai la pensava in tal modo, attribuendo il loro percorso alla semplice fortuna. Kaede, però, non era così convinta in quanto aveva seguito quasi tutte le partite del torneo, e nell'assistere alla vittoria della Shinkyo Academy guidata da un prodigioso giocatore del primo anno anche Eichi si dovete ricredere. Nell'osservarlo giocare, capì infatti che poteva aver trovato il suo rivale, Sakurai Tetsuya.
    L'unica cosa che lo lasciava perplesso era il suo modo di giocare, che sembrava essere più fine a se stesso che per la squadra, come si sentisse superiore agli altri, ma doveva ammettere che era un vero e proprio talento, riconfermatosi nella finale. Quella fu la prima partita durante la quale Eichi si trovò in difficoltà, venendo infine sconfitto da Tetsu e la sua squadra per appena quattro punti.
    L'anno seguente, Eichi e Tetsu si affrontarono nuovamente nella finalissima, e nonostante il repentino cambio nel modo di giocare di Tetsu (questa volta ben più altruistico e fine al gioco di squadra) la vittoria andò nuovamente alla Shinkyo seppure di appena un punto di distacco.
    Dopo quella partita, Dazai si decise ad andare a parlare con Tetsu in privato per chiedergli come mai avesse cambiato modo di giocare, e per conoscere colui che lo aveva già battuto due volte. Ormai aveva compreso come Tetsu fosse il fulcro del gioco dei suoi avversari, e nonostante i compagni de giovane playmaker non fossero proprio scarsi con lui in campo miglioravano notevolmente il proprio gioco; inoltre, aveva notato come i movimenti stessi di Tetsu, dalle due semifinali che aveva visto e dalla precedente finale che avevano giocato, fossero cambiati.
    Fu così che Dazai apprese dell'Anormalità del suo rivale, arrivando a sfidarlo per poter confrontarsi con quella particolare abilità in un uno contro uno, finendo con il perdere seppur di poco.
    Da quel giorno, Dazai intensificò i propri allenamenti per poter competere con Tetsu, stringendo con quest'ultimo un rapporto di rivalità nel campo e amicizia fuori, finché non seppe che si sarebbe trasferito in un'altra scuola dopo aver ottenuto una borsa di studio. Deciso a voler ancora confrontarsi con lui, anche Dazai Eichi decise di iscriversi all'Hakoniwa Academy.

    POTERI
    EXP: //
    Numero di poteri: //

    «Nome potere»
    ----

    Coded by ¬SasoRi





    Forza: 26 - N/A
    Velocità: 16 - N/B
    Intelletto: 12 - N/C
    Riflessi: 16 - N/B
    Resistenza: 16 - N/B
    Animo: 26 - N/A
    Mente: +5 Positiva (+2 punti Animo)

    Abilità Passive: //
    STATISTICHE
    «Carta NOME ANORMALITA'»
    ---

    CARTA FICTION

    Coded by ¬SasoRi


    Edited by Vanclau - 14/8/2019, 15:43
  15. .
    CITAZIONE
    Non sembrava dovesse accadere niente fuori dall’ordinario quella sera. Akiko e Leia avevano camminato per diversi isolati, la prima semplicemente girovagando e guardando di tanto in tanto qualche raro passante mentre la seconda scrutava tutto dalla propria forma spirituale, vigilando sulla possibile presenza di altri Servant o Master.
    Akiko doveva ammettere che non erano una brutta coppia, dopotutto. Lei, vestita in maniera piuttosto casual con jeans, scarpe da ginnastica e maglietta blu e rossa, non spiccava troppo quella sera e riusciva a guardarsi intorno senza alcun problema; Leia, di contro, nella sua forma spirituale non si faceva notare per quel suo abbigliamento non proprio contemporaneo e la maschera, potendo vigilare sulla propria Master, tenerle un po’ di compagnia con la sua sola presenza e cercare di percepire altri Servant. Messa da parte la complicità che stavano aumentando in quella loro ricerca, però, tanto nell’aspetto quanto nel carattere non erano poi così simili e più punti del carattere dello Spirito Eroico rimanevano incognite per la maga. Sicura di sé, sembrava avvezza alla tattica e non del tutto estranea alla guerra, mostrando un modo d’essere forte e deciso, di chi aveva già visto altri campi di battaglia; Akiko fino a quel giorno si era sempre vantata di non avere vere e proprie insicurezze, era stata un maschiaccio sin da bambina e la risolutezza nelle proprie convinzioni non le mancava, ma al confronto di Leia si sentiva decisamente più piccola e insicura, e lo dimostrava il fatto di non aver ancora ben capito come si sarebbe dovuta comportare all’incontro con la prima coppia di Master e Servant che avrebbero dovuto affrontare; sapeva, però, che più il tempo passava più quell’incontro si avvicinava.
    «Domani dovremmo pensare anche a comparti dei vestiti» disse d’un tratto Akiko rivolgendosi alla Servant.
    «Non ne vedo l’utilità» rispose la voce di Leia proveniente da un punto indefinito alla destra della Master.
    «Non posso portarti in giro sempre nella tua forma spirituale, mi sembra di parlare da sola, e con quegli abiti di certo non passi inosservata.»
    «Non passerei inosservata neanche con vestiti moderni, ricordi la maschera?»
    Akiko dovette dare ragione a Leia. «E allora come possiamo fare?»
    «Fermati.»
    Al perentorio e inaspettato ordine di Leia, Akiko arrestò il proprio passo davanti la serranda abbassata di un negozio di telefonia. Per strada non sembrava esserci nessuno e Leia riapparì al suo fianco, lo sguardo che non lasciava trasparire alcuna emozione fissato sulle vetrine.
    «Che intenzioni hai?» Akiko le si avvicinò di più per poter seguire la linea dei suoi occhi, puntati su una scatola sulla quale erano raffigurati un paio di auricolari Bluetooth.
    «Questi potrebbero fare al caso nostro» concluse la Servant alzando la mano chiusa a pugno.
    «A-aspetta!» sibilò la maga afferrandole il braccio, pur sapendo che in uno scontro di forza bruta Leia le sarebbe stata sicuramente superiore sia per la differente stazza sia per la sua stessa natura di Spirito Eroico.
    «Hai detto che ti sembrerebbe di parlare da sola, ma con questi potresti fingere di stare al telefono, no?»
    «È vero ma possiamo aspettare anche domani che il negozio sia aperto, non c’è motivo di rubarli!»
    «Tu voltati dall’altra parte, la colpa del furto sarà solo mia.»
    «Ma così io sarei tua complice!» Akiko non riusciva a capire come Leia potesse parlare così facilmente di rubare qualcosa.
    La Servant sospirò. «In tempi di guerra bisogna sapersi arrangiare e prendere quel che si puù, di norma, ma se proprio dobbiamo aspettare fino a…»
    Akiko non si rese subito conto che lo sguardo di Leia si era spostato in un’altra direzione, chiudendo gli occhi sollevata. «Rubare è comunque sbagliato, e qua stiamo parlando di un conflitto tra sette coppie non certo Stati o Popoli come sarai abituata tu.» Senza sapere il Vero Nome della Servant, il suo passato o cosa raccontava la sua leggenda, non poteva parlare in maniera più specifica, però era sempre più convinta che la sua compagna avesse affrontato almeno una guerra nel proprio passato; quale, però, non avrebbe saputo dirlo. «Ma mi stai ascoltando?» chiese poi rendendosi infine di Leia che aveva diretto la propria attenzione altrove.
    La Servant si portò un dito davanti la maschera, in corrispondenza di dove si sarebbero dovute trovare le labbra, come a indicarle di fare silenzio.
    «Ero troppo presa dalle nostre discussioni e non me ne ero accorta, ma sembra che le acque si stiano smuovendo finalmente. Abbiamo almeno tre gruppi diversi di Master e Servant.»
    Akiko si fece più attenta. «Vuoi attaccarli?»
    «Non ancora e non prima di aver stabilito le nostre possibilità di vittoria. Non riesco a distinguere le loro classi, ma un gruppo è piuttosto numeroso, mentre un altro sembra essere composto solo da due coppie.»
    «Sono consentite le alleanze nella Guerra?» chiese dunque Akiko cercando di capire dove i gruppi si trovassero seguendo gli occhi di Leia, ma Akiko non vedeva proprio niente se non i palazzi dall’altro lato della strada. La Servant doveva averli solo percepiti e non visti direttamente.
    «Nella Guerra ci sono poche ma semplici regole, come il non farsi scoprire dagli umani o il non attaccare Ruler, il Servant che amministra e regolamenta la Guerra; nulla vieta di stringere alleanze provvisorie con altre coppie, è pur sempre una strategia di battaglia.»
    «Provvisorie?»
    «Anche se ci si allea, alla fine la coppia che ottiene il Graal e solo una, per questo le alleanze possono essere un’arma a doppio taglio. Forse ti danno un vantaggio contro chi non vuole allearsi, ma il rischio di essere pugnalati alle spalle è alto e la fiducia è difficile da ottenere o dare in simili circostanze.»
    Akiko annuì, capendo cosa Leia volesse dire. In effetti, allearsi con altri Master e Servant poteva essere un rischio sia per la possibilità di affezionarsi troppo all’altra coppia sia per la non remota possibilità di un tradimento per ottenere il Graal. «E del terzo gruppo che mi dici?»
    «L’ho chiamato tale, ma in realtà è solo una coppia. Gli altri però non stanno combattendo, quindi potrebbe esserci qualcuno che sta mascherando la propria presenza anche se in tal modo… Un attimo!» Leia sgranò gli occhi, come colta da una strana consapevolezza. Per la prima volta, comunque, Akiko notò un qualche stupore in lei.
    «Che succede?»
    «Niente, devo essermi sbagliata» concluse rapidamente lei con un tono che non ammetteva repliche, lasciando la Master palesemente perplessa.
    Akiko però non aggiunse altro, cambiando in parte discorso. «Cosa facciamo?»
    «In un gruppo di Servant le possibilità di finire in inferiorità numerica sono troppo alte, e va calcolata anche l’ipotesi di arrivare e ritrovarsi nel fuoco incrociato di una battaglia; le due coppie non sappiamo che intenzioni abbiano, possono volersi alleare o combattere, e i rischi sono gli stessi che ho detto poco fa. La scelta più logica sembra scontata, dunque, no?»
    Akiko annuì. «E cosa dovremmo fare, poi?»
    «Lasciamo che siano gli eventi a deciderlo, ma credo che conoscere il proprio nemico sia essenziale ora.» Leia le porse una mano. «Se dovremmo combattere, combatteremo; se dovremmo fuggire, fuggiremo; intanto, andiamo a conoscere uno dei nostri avversari e vediamo che tipi sono Master e Servant»

    Per un attimo il vuoto allo stomaco le aveva fatto perdere i sensi e quando riaprì gli occhi urlare venne naturale alla maga nell’osservare il vuoto sotto i propri piedi e l’asfalto avvicinarsi sempre di più, finché l’impatto con la terra non parve inevitabile. Smise nuovamente di guardare, preparando all’impatto che… Non arrivò come si aspettava.
    Sentendosi improvvisamente tirare per collottola della maglia, i piedi si adagiarono dolcemente sull’asfalto senza produrre quasi alcun suono. Tornata a guardare, Akiko non si rese subito conto di dove si trovava e si voltò di scatto verso la sua Servant. «La prossima volta potresti anche avvertire! Credevo di morire!» le inveì contro urlando.
    Leia incrociò le braccia. «Se tu non ti fossi agitata dopo il salto non saresti caduta.» Il tono di voce era derisorio, come si stesse prendendo gioco di Akiko.
    «Quando hai detto che dovevamo muoverci rapidamente certo non mi aspettavo il dover da un teto all’altro! Chiunque si sarebbe agitato!»
    «Non mi dire che soffri di vertigini.» La Servant sembrava stare per ridere.
    Akiko arrossì. «Non soffro di vertigini! Solo non mi aspettavo di saltare così in alto e…»
    «E hai avuto talmente tanta paura che prima ti sei dimenata come una neonata e poi quando sei caduta per il tuo dimenarti hai anche perso i sensi per lo spavento, l’ho notato.»
    Ormai Akiko era diventata più rossa di un pomodoro maturo. Non disse altro, voltandosi di scatto e camminando a passo sostenuto, continuando a “tenere il broncio” per tutta quella situazione, ma si arrestò immediatamente notando come Leia non la stesse seguendo.
    «Comunque siano andate le cose, abbiamo raggiunto la nostra destinazione» sentenziò Leia, raggiungendo infine la Master. Entrambe stavano guardando nella stessa direzione, l’ingresso di un bar ancora aperto con alcuni tavoli all’esterno dove stava seduto un ragazzo con un auricolare all’orecchio e un caffè davanti.
    Akiko avrebbe voluto chiedere a Leia come doveva comportarsi, ma non voleva neanche mostrarsi insicura dinnanzi a qualcuno che poteva essere un nemico pronto ad attaccarle all’istante, quindi non parlò. Il rossore, però, anziché diminuire per la scoperta del Master, non fece altro che aumentare sulle guance di Akiko poiché tutta la scenetta di poco prima era avvenuta proprio davanti ai suoi occhi.
    «Bene, la prima figuraccia di questa Guerra è mia dunque» sussurrò avvilita.
    «Buonasera, ti dispiace se prendiamo un caffè con te?» esordì invece Leia con sicurezza, avvicinandosi al Master.
    Akiko si chiese dove fosse il suo Servant, sentendosi quasi come se avesse un bersaglio dipinto dietro la schiena.

    Arrivo un po' burrascoso (?) da Tab e il suo Servant XD
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