Mare aperto, xx febbraio 253 DN
[Al Presente]
Ricorda ogni istante, quando chiude gli occhi.
Lo ricorda, come se stesse accadendo di nuovo, qui e ora, tanto che trattiene il fiato finché i polmoni non bruciano e lotta con le palpebre, che vogliono e non vogliono aprirsi: neanche loro sanno se strapparla dall'incubo, o continuare a scrutare nell'orrore, a cercare ciò che ha perduto, nelle sue memorie.
Ciò che allora non ha visto.
Sua la colpa, tutta sua, sua grandissima colpa.
[27 Gennaio 253 DN]
Le dita rivestite di lattice scivolano sulla pelle madida d'olio. Non conosce quella sostanza, non è tra quelle adoperate all'ospedale; la pelle d'oca si estende alle braccia, senza che lei avverta più di un vago brivido di freddo... le labbra si arricciano sui denti, la mascella si serra, come se quel liquame immondo potesse strisciarle in gola, anche solo nel toccarlo.
L'odore stesso del fluido la repelle e la attrae allo stesso tempo, o forse quel sentore di fiori di campo è solo il grido di agonia delle narici bruciate dal tanfo. Quella roba le dà alla testa peggio del cloroformio. Adesso anche le dita sembrano percepire del calore, dove di certo non può essercene. Un
“Bah” - a mezza bocca le brontola da sotto la maschera, non sa nemmeno lei indirizzato a cosa: al disgusto, alla situazione sgradevole o all'orrido spettacolo di chirurgia plastica che sta lentamente venendo alla luce, sotto gli strati nerastri che lordano la pelle del corpo inerte.
Niente rigor mortis, nessun segno di decomposizione.Su quel corpo hanno eseguito dei numeri da circo che non spiegherà né a Jiro, né ad Arata, né alla Fujimoto o a chi per loro; mostrando uno stomaco di ferro, Hinokawa si affianca a lei nell'ispezione, sospirando in un modo che in un angolo della sua mente registra come
strano, ma a cui non ha tempo di prestare adeguata attenzione.
“Occhio alle contaminazioni” - le ricorda bruscamente, col tono seccato dell'impiegato pubblico costretto a ripetere per l'ennesima volta la medesima trafila.
Il metallo dello stetoscopio tintinna contro la porcellana, mentre fissa dubbiosa e perplessa l'inserto di metallo sul capo della Bella Addormentata e sente il sangue abbandonare ogni capillare del viso, mentre dal profondo di quelle membra morte un suono famigliare ed alieno raggiunge le sue orecchie, già piene del canto delle onde e degli uccelli marini.
Per poco non fa un salto all'indietro, quasi si strappa di dosso lo strumento per gettarlo in mare, come se quel pulsare ritmico potesse in qualche modo infettarla a sua volta.
Questo è... Non crede di capire. Forse non vuole. Una mano accanto a lei si protende dove non avrebbe mai dovuto allungarsi.
“HO DETTO DI NON TO--” - abbaia esasperata, senza garbo né cerimonie, ma è tardi: sotto il suo sguardo inorridito il metallo sembra prendere vita. Anche il suo corpo si muove da solo e arretra con foga, le braccia allargate cercano a tentoni la persona che meno vorrebbe essere lì; lo stetoscopio le pende dal collo, come un amuleto inservibile, le mani ancora avvolte nel lattice grondante l'icore nerastra di cui anche quel corpo è ricoperto.
A R A T A
Non ha nella mente che quel nome, non osa voltarsi a cercare il suo viso di bambino perso nell'incubo.
La realtà si è rattrappita, concentrata sulle membra di quell'essere che non può né vuole chiamare
umano, né tanto meno
vivente.
Ciò che sarebbe avvenuto da lì a poco, tuttora non sa - o non vuole - spiegarlo, nemmeno a se stessa.
Si sforza di epurare i fatti dalle fantasie postume: a quel punto... Arata si è mosso. Deve essersi mosso. Forse, si è mosso. La realtà è che non l'ha visto, non lo stava guardando; ricorda di aver captato un movimento rapidissimo - qualcosa di nero, come una frusta, saettare nell'aria. In quel momento ciò che restava della kunoichi morta ammazzata ha smesso di gemere, senza allontanarsi dalla sua postazione accanto alla botte; se potesse fidarsi dei suoi occhi e della sua memoria, direbbe che tutto fosse originato dalla sua direzione... ma di fiducia ormai non ne ha più, nemmeno un briciolo.
TOC, TOC
Sussulta.
Apre gli occhi.
Il panorama ormai noto della stanzetta di legno si materializza nel suo campo visivo, prendendo momentaneamente il posto dell'incubo in cui si aggira da giorni. È quell'uomo che si fa chiamare Pantegana. Dice di scendere, che gli farà strada, che c'è gente del suo Villaggio che vuole vederlo.
Ogni volta che le rivolge la parola, non riesce a non chiedersi se davvero chi l'ha ripescata dal mare abbia rispettato la maschera e la sua riservatezza, mentre era incapace di opporsi, o se piuttosto non stiano tutti recitando a loro volta.
Quanto all'annuncio... non riesce a crederci, o meglio: nessun sentimento affine al sollievo emerge dalla matassa di colpa, rabbia e paura che le si è annidata nell'animo.
Colpa, rabbia e paura le sono compagne da quando ha aperto gli occhi, esausta, stordita dalla febbre e incrostata di sale marino, rudemente avvolta in una coperta ruvida e bigia che non avrebbe stonato in un dormitorio dell'esercito; le informazioni circa il suo ritrovamento spaventosamente scarse, riassumibili in breve dicendo che era da sola al momento del ritrovamento, che l'assenza completa di frantumi di fasciame non lasciava pensare ad un naufragio e che l'avrebbero portata in un luogo sicuro, in attesa di metterla in contatto con altri shinobi della Nebbia che - a detta loro - si trovavano in zona.
Quale zona, chiedete?Una delle meno confortevoli dell'intero Continente, dopo Suna, s'intende.
Avrebbe avuto tutto il tempo per farsi passare il malanno prima di toccare terra: la nave cargo che l'ha ripescata non avrebbe fatto deviazioni, nemmeno per uno dei Sette. Nuibari non ha mai lasciato il suo fianco, debitamente assicurata al suo cavo metallico, e nulla avrebbe potuto farla vergognare di più, dell'essere tratta in salvo come un gattino mezzo annegato in un torrente, per poi essere agevolmente identificata come uno dei membri di spicco del Villaggio.
Abbandona l'angolino in cui trascorre buona parte del suo tempo rannicchiata, si alza con scarso entusiasmo e si incammina a piedi scalzi nel corridoio, seguita a ruota dall'ometto dalla voce roca.
Se avessero voluto ammazzarla, l'avrebbero fatto mentre era priva di sensi; stessa cosa vogliasi dire per l'eventualità di essere venduta per ottenere un riscatto dal Villaggio ma dopotutto, ammazzarla o venderla non è l'unica maniera di guadagnare sulla sua pelle. Kirigakure avrebbe contratto un grosso debito con questa gente, per via del salvataggio, debito che avrebbe certamente appianato con piacere, al momento opportuno.
Scende le scale senza fretta, i piedi nudi che producono tonfi leggeri sui gradini. Gradualmente, la sala da pranzo appare in fondo alla rampa.
Nessun essere umano in vista nello scorcio visibile dalla sua posizione; il tavolo da pranzo al centro della stanza, tuttavia, sembra essere stato abbandonato da poco. Sente una sensazione fastidiosa strisciarle lungo la schiena: sospetto, allarme, tensione. Fastidio.
È stanca. Stanca, di brancolare nel buio, isolata dal mondo e aspettarsi il peggio ad ogni passo. Terribilmente stanca.
Qualcosa sibila nell'aria e sfiora la sua gola, freddo e affilato.
Una voce le intima di non muoversi.
Il suo corpo non manifesta la minima reazione, salvo un leggero aumento della frequenza cardiaca.
A dire il vero, adesso che ci pensa, c'è qualcosa che potrebbe accrescere la sua vergogna.Il cuore accelera.
Già. Eccola lì, la cosa. L'espressione dura di Yuzora, la sua voce tagliente, gli sguardi di tutta la sua squadra addosso... squadra intatta, nessuna perdita. Il cuore le prende a craniate lo sterno, mentre sente le forze racimolate abbandonarla di colpo. Sente la bocca secca e le mani fredde.
“Jorogumo a rapporto, signore” - esala, mentre un cappio invisibile le strangola la gola in una morsa di contrizione.
Vuole essere certo di chi sia, dice. Quasi preferirebbe che Harada lo ammazzi e basta.
Cosa gli dovrebbe dire? Che la Missione è fallita ancora prima di toccare terra? Davanti al Pantegana, poi?
... beh, diciamo che il Pantegana oramai ci sarà arrivato da solo.“Solo la morte può separare l'Ago dal Tessitore, e il sigillo ne è testimone” - snocciola con tono monocorde la cosa più patetica che potesse inventarsi. Kobayashi l'ha legata a Nuibari mediante un Sigillo ormai sbiadito, ma ancora attivo e visibile, specie se irrorato con un po' di chakra; di sollevare le braccia e scoprirlo però non ha intenzione: deve esserci ancora una parte di lei che non ha ancora voglia di morire sgozzata.
Che sia maledetta.