{ Prefazione }
Sì, sì, lo so... avete ragione, sono una mer** secca D°°°:
Vi ho fatto attendere tantissimo per questo cavolo di capitolo!! (Non che lo aspettavate, insomma, ci sono tante bellissime altre cose da fare x°D).
Mi dispiace comunque per avervi fatto attendere così tanto, ma tra esami, partenze e cacchi vari sono riuscita a finirlo solo ora (anche perché è abbastanza lunghetto).
Che dire... RATING ROSS-- ehm... sì, a parte quello... siamo praticamente alla fine donne... non dovrete soffrire ancora molto
Comunque sia ho fatto del mio meglio, spero non risulti troppo lento o monotono (l'ho letto e riletto mille volte in tempi diversi, quindi penso che in alcuni passaggi ci siano parecchi casini, ma non potevo farvi aspettare ancora!!!).
Ricordo che è Rating Rosso D: occhio ai sensibili!!! U-U...
Vi ringrazio ancora troppo per tutti i commenti e le risposte ç\\\\ç... Dio che farei senza di voi?! <3.
Buona lettura!!
{ Just Like a Baby }
Capitolo XX:
Mini Water Melon.
Dopo il fresco della casa di Top, questo labirinto è torrido, l’aria immobile e quasi scintillante; come se i raggi solari abbiano intensificato la loro presenza su questo posto negli ultimi cinque minuti. Ma le piante dei Mini Water Melon non sembrano essere troppo turbate da questo calore improvviso, anzi forse ne ricevono anche dei vantaggi. Certi arbusti sono tanto alti da darmi un pizzico di sollievo quando passo vicino a loro, vista l’ombra che provocano.
I loro frutti sono qualcosa che non mi sarei mai immaginato di trovare in tutta la Grand Line: piccoli, dai colori vivaci, scintillanti e dalle forme più strane. Partono dai poliedri e arrivano a delle normalissime sfere, molte delle quali non superano i cinque centimetri di diametro.
Mi sono imposto di fare le cose con calma, prendere tempo e osservare ogni minimo dettaglio di qualsiasi tipologia.
Sembra che ci sia più di una specie qui intorno perché, da che mondo è mondo, sto girando da una vita, ho percorso molti muri di ringhiere verdi, e sono riuscito a scorgere per lo meno venti o trenta colori, aromi, dimensioni diversi l’uno dall’altro.
Di tanto in tanto a distinguere una tipologia dall’altra sono gli stessi muri o corridoi: cambiano loro, cambiano i Mini Water Melon. Non ho resistito all’idea di poterne assaggiare uno. La mia scelta è ricaduta subito su quello che sembrava un mandarino microscopico, dal colore viola e con degli strani ghirigori lilla. L’odore ricordava moltissimo quello delle prugne, ma non era così intenso, sembrava più un debole profumo che aleggiava nell’aria (nessuno di questi frutti, comunque, sembra avere un aroma troppo forte, ecco perché possono stare gli uni accanto agli altri senza influenzarsi). L’ho messo in bocca e in poco meno di un secondo l’amaro sapore di un liquore particolare invadeva le papille gustative, facendomi sobbalzare dalla sorpresa.
Era forte, niente che mi aspettassi, assolutamente. Ho mandato giù a fatica e ho tossito. Tra le labbra è rimasto solo un sapore granulato, amaro e molto, molto intenso.
Mi ha fatto venire voglia di mangiarne un altro. E poi un altro e un altro ancora, tutti diversi, dalla crosta più o meno croccante, a forma di piramide, ovale, sfera, parallelepipedo, cubo, tutto va bene, l’importante è che continui a metterne in bocca altri e tutti diversi. Sono una scoperta, dico davvero.
Sugli alberi, fuori da questo labirinto naturale, degli uccelli cinguettano cantando chissà quali canzoni allegre. Rendono la pace, se possibile, quasi irreale. Seppur il sole continui a non dare tregua (tanto che ho dovuto allentarmi la cravatta della camicia), si potrebbe dire che è la giornata… “
perfetta”, ma lo sarebbe davvero solo se alcuni pensieri idioti la smettessero di girare per la testa forsennati generando idee bislacche o pensieri poco intelligenti.
Allungo la mano di fronte a me, attraverso un piccolo cespuglio di foglie verdi-acqua e tiro fuori da esse, vittorioso, un Mini Water Melon cubico, di un azzurro accesso, con una striscia bianca nel mezzo a dividerlo in sei fasce. Inspiro il debole aroma (qualcosa fa ricordare il mare) prima di poggiarlo sulle labbra e addentarlo. L’involucro è duro, ma all’interno vi è una pasta gommosa che ha lo stesso sapore dello zucchero… ma non è dolce. È un perfetto mix tra sale, salsa rosa e zucchero. Detto così fa veramente schifo, ma posso assicurare che è particolare e non ci sarebbe niente di male a mangiarne uno o due di più.
Deciso, torno dentro la pianta, cercando di catturarne il più possibile. Fatto ciò mi abbasso con le mani stracolme dei cubi azzurri e li poggio delicatamente nel cesto di vimini che lascio nel centro di ogni corridoio per riempirlo mano mano. Fortuna che è grande, altrimenti già sarebbe stracolmo.
Passando il polso sulla fronte in un gesto istintivo mi rendo conto che sto grondando di sudore. Lascio scappare un sospiro senza farci troppo caso, prima di sentire qualche rumore verso sinistra. Nella quiete e calma di adesso, ogni minimo suono può essere paragonato ad un tuono di un temporale.
-Cuoco, vieni a dare un’occhiata-, la voce roca e bassa di Zoro mi fa sobbalzare. Il suo volto è rilassato, serio ma sereno. Disinteressato, perché è ovvio che lo è, a lui non piace l’arte culinaria, non piace la mia compagnia (la cosa è reciproca) e soprattutto non piacciono i campi dispersi e i piccoli, deliziosi frutti dei Water Melon. Eppure da quando siamo entrati qui dentro, da quando si è tolto gli stivali all’inizio di tutta questa storia, il suo atteggiamento sembra essersi affievolito di parecchio.
Gli insulti non sono scomparsi, ma tra noi regna un silenzio che definirei religioso, se non fossimo atei. Non riesco a capire se per “
non voglia” o per “
imbarazzo”, per così dire. C’entra forse qualcosa con quello che è successo questa mattina e ieri sera? Forse tutto ciò che si è perso in queste due settimane? Ho smesso di pensarci. Ho allontanato ogni tipo di problema che avesse potuto anche solo rovinarmi questo viaggio nel mondo del cibo, compreso lui. La sua presenza non disturba, neanche quando dice stronzate, ma non è neanche indifferente.
È come se ci stessimo puntando le armi contro, ma non ci azzardassimo a premere il grilletto. Una specie di guerra fredda.
Mi alzo, prendendo il cesto di vimini e, tenendolo stretto sul petto, lo raggiungo facendogli segno di andare avanti. In silenzio, avanziamo e attraversiamo un cortissimo corridoio alla cui fine c’è una biforcazione. Deciso, Zoro gira a destra e mi viene da chiedere se sa dove mi stia portando, visto il suo terribile senso dell’orientamento (gli ho dato il permesso di andare solo di un corridoio davanti o dietro a me. Non di più… devo ammettere che fino ad ora ha rispettato il limite, strano). Lo seguo, dando comunque un’occhiata a sinistra per tentare di riconoscere in più modi la direzione da prendere per tornare indietro… ma è inutile, ci sono talmente tanti colori e forme che è troppo difficile ricordare tutti i punti da cui siamo passati. Sospiro, prima o poi usciremo da qui, al massimo ci verranno a riprendere.
Tornando a “
ciò che devo vedere”, comunque, effettivamente il marimo ha trovato qualcosa di particolare oltremodo: delle piante di Mini Water Melon più alte delle precedenti dai frutti color del miele sono disposte su un intero corridoio, creando una zona in ombra anche abbastanza piacevole. Sorpreso, sorrido e corro in mezzo al corridoio, a circa cinque metri di distanza da lui, poggio il cesto di vimini e osservo la meraviglia di fronte a noi. Non voglio assaggiarli, questi, voglio avere la sorpresa quando torniamo alla nave.
Hanno una forma che non ho mai visto negli altri corridoi: sono piccoli fagottini morbidi e caldi, sembrano croccanti e non hanno un odore particolare, ma almeno dall’aspetto sembrano essere più che ottimi… meglio non fidarsi troppo, comunque.
-Vuoi prendere anche questi?-
Improvvisamente la voce di Zoro si è spostata alle mie spalle, basta che mi volti per mezzo giro perché venga catturato dai suoi occhi neri, eppure mi limito ad annuire. Ho il cuore che va a un battito di troppo. Sentire la presenza del suo corpo a pochi centimetri di distanza aumenta la libido in maniera prorompente. Forse troppo. Torno a dirmi che devo fare le cose con calma, quindi alzo gli occhi in alto e osservo alcuni Mini Melon dorati di particolari dimensioni, non eccessive, ma almeno sono più grandi di qualche centimetro rispetto a quelli a portata di mano.
-Prendi quelli più in alto possibile- gli dico, mettendomi in punta di piedi e allungando le braccia per poter arrivare a prenderne qualcuno con le dita, facendoli cadere e cogliendoli al volo. Il calore del corpo di Zoro non è più dietro di me, ma anzi è lontano, quasi alla fine del corridoio, esattamente dalla parte opposta alla mia, che prende con più facilità alcuni frutti. Spero per lui che colga quelli giusti.
Passano i minuti. In silenzio, ci muoviamo e cerchiamo, io con più destrezza mentre lui si arrangia come può, di prendere i Mini Melon che sembrano essere più croccanti, prima di portarli al centro del corridoio nel cesto di vimini. È un lavoro piuttosto duro e soprattutto lungo. In questo tempo immobile, mentre i raggi del sole colpiscono più il corpo di Zoro che il mio, essendo io all’ombra, con la coda dell’occhio scorgo i lineamenti del suo volto farsi sempre più infastiditi dall’afa e dal caldo opprimenti tanto che poi, alla fine, arriva a togliersi la maglietta e a gettarla a terra, fracica di sudore.
Rimane, quindi, il suo petto nudo tutto a disposizione per i miei occhi voraci che catturano ogni singolo movimento di ogni singolo muscolo, da quelli delle braccia mentre si alza per prendere i Mini Melon, a quelli della schiena, tesi e rigidi di tanto in tanto. Piccole gocce salate bagnano la sua pelle, creando delle scie scintillanti sotto la luce.
Spalancherei la bocca estasiato, se già non avessi una faccia da ebete sul viso e le labbra semischiuse, come fossi in contemplazione di chissà quale divinità. Torno al mio lavoro scuotendo la testa in maniera, spero, impercettibile, maledicendomi per essermi fatto imbrogliare da dei muscoli d’acciaio di un Dio Greco… porca troia ma a che cazzo sto pensando?!
Uno, due, tre, quattro, ne colgo cinque ancora e poi mi sposto di qualche passo per tentare di prenderne un paio in più prima di andare verso il cesto di vimini. Effettivamente ne trovo uno e provo a toccarlo, ma se mi sbilancio troppo rischio di cadere e con me andrebbero sprecati tutti quelli che ho raggruppato fino ad ora. Faccio qualche tentativo con scarsi risultati, al massimo arrivo a sfiorarli con i polpastrelli delle dita, non di più. Un vento improvviso mi fa rabbrividire.
-Lascia fare…-
Credo che la frase finisca con un “
a me”, ma il cervello va in tilt quel tanto che basta per non permettermi di ascoltare il resto del periodo, facendolo sfumare via. Una mano poco più grande della mia arriva a sovrastare le dita e i frutti a cui stavo mirando, cogliendoli con facilità dubbia. Nel ritirarsi, sfiora il dorso, percorre il braccio ancora teso e poggia i due Mini Melon sugli altri.
Quando mi volto per guardarlo, già è tornato a metà del suo percorso. I capelli sono ancora rizzati per l’elettricità e la sorpresa. L’ha fatto apposta?
Nel dubbio, vado in mezzo al corridoio verde e poggio nel cesto ciò che ho appena colto, lanciandogli uno sguardo che non è ricambiato. Torno al posto e dopo un minuto sono nella stessa situazione. Questa volta, però, non è la sua mano a sfiorare la mia, ma le sue labbra. Le sento distintamente dietro alla nuca, così distintamente che ho un lieve fremito dietro alle ginocchia… e non solo.
Mi giro, questa volta deciso a ricambiare quelle attenzioni, ma Zoro non c’è più.
-Se non riesci a prendere quelli in alto dovresti smetterla-, mi dice, facendo come se niente fosse. Eh no, stronzetto, l’hai fatto apposta, non ci sono dubbi. Dopo due minuti la stessa scena si ripresenta per la terza volta con una variante differente: questa volta non sto raccogliendo i frutti più alti, ma quelli di fronte a me; non mi cade niente, né ho bisogno di aiuto… l’unica cosa che è cambiata, l’unica cosa che lo spinge ad avvicinarsi è l’assenza, ora come ora, della mia camicia, poggiata sul cesto di vimini con la cravatta, abbandonata a se stessa.
Di nascosto, ho sorpreso il suo sguardo eccitato a guardarmi. Ho risposto con un “
Fa caldo”, come se fosse la cosa più normale dell’universo, ed è stato in quel momento, se non qualche istante dopo che, passando per portare i frutti al centro del viale, si è fermato ancora dietro di me. La sua mano destra si è poggiata sulla mia coscia, risalendola, accarezzando il tessuto dei pantaloni neri fino quasi a poggiarsi sul pacco. La reazione è stata istantanea e veloce, ma tra le gambe non ha fatto in tempo a svegliarsi un’erezione da record che già lui si era allontanato, lasciandomi insoddisfatto, interdetto e soprattutto pietrificato.
Non posso crederci: mi sta
corteggiando?
Roronoa Zoro mi sta
corteggiando? Porca puttana domani finisce il mondo.
Abbasso lo sguardo sulle mani, sporche di terra e impregnate dall’odore particolare dei Water Melon, per non ricordare a me stesso della presenza più che prorompente di un’erezione in atto. Prendo un respiro profondo. Una goccia di sudore solitaria scende sulla schiena facendomi provare brividi di freddo piacevoli ma fin troppo incitanti. Poggio il dorso della mancina sulla fronte e caccio via il sudore in eccesso, continuando a cogliere frutti.
Che ipocrisia è mai questa? Da quando ci comportiamo così? Perché non stiamo ancora scopando? Non capisco, davvero non ci riesco. Continuiamo a passare da una parte all’altra del labirinto vegetale come nulla fosse. Di tanto in tanto ci lanciamo qualche occhiata di troppo, spesso capita di sfiorarci e addirittura di provocarci. L’ultima volta ha trovato un frutto verde, tra i tanti dorati, voleva farmelo notare e io, non so con quale spavalderia, ho sfiorato con i denti la sua mano, risalendo sul polso, dichiarando poi che era “
perfetto”. Da lì, le cose sono degenerate sempre di più, ogni occasione è buona per far intendere ciò che vogliamo quel tanto che basta per non ammetterlo direttamente, e abbiamo cominciato ad esporre la “
merce più invitante sul bancone”. Ammetto di aver iniziato io quando, per posare dei Water Melon arancioni a forma piramidale, ho lasciato volontariamente in bella vista il didietro, piegandomi a novanta gradi per qualche secondo di troppo. Posso giurare di averlo sentito sospirare.
Se l’è legata al dito e si è vendicato più che dignitosamente circa cinque secondi dopo quando, tornando al punto dove mi ero fermato, non solo mi ha toccato il culo, ma ha anche infierito spingendo con il medio tra le natiche. Il cuore ha avuto un collasso e l’amico “
Bill” dei piani bassi è scattato sull’attenti come un soldatino.
Ora la cosa è palese, molto più che palese. Un corridoio fa si è tolto l’haramaki, e mentre in quello successivo io toglievo i pantaloni, lui si apriva la patta… ma continuiamo a cogliere i Water Melon, insistentemente, quasi in maniera ridicola oramai. Si vede, si
sente che siamo eccitati sino all’inverosimile, ma sembra che il gioco debba continuare ancora a lungo e comincio ad essere stanco.
Il cesto di vimini è più che satollo, gli ultimi frutti risalgono a quel corridoio di una vita fa in cui ci eravamo entrambi tolti le magliette. Lo prendo con delicatezza e lo sposto, facendo attenzione che non cada nulla e nel mentre l’occhio scende sulla mia pelle sporca, terrosa, macchiata a tratti da qualche linfa o colore proveniente dalle piante tutto intorno. Improvvisamente ho una voglia irrefrenabile di assaporare il
suo succo, di sentirlo dentro, sopra di me, ovunque. E seppur pensare una cosa del genere fa un certo effetto e colora le guance di rosso, la voglia non scompare, ma anzi si accentua sempre di più.
L’erezione tra le gambe urla furiosa in cerca di attenzioni e la colpa è tutta di quel marimo laggiù, così fottutamente immerso nel suo cogliere frutti di cui non sa assolutamente nulla.
Ora che lo guardo, noto che abbiamo una cosa in comune: il respiro accelerato. Siamo stati protagonisti, fino ad ora, di una corsa invisibile l’uno attorno all’altro, forsennata, come fossimo atleti vincenti. Non ci siamo mai spinti fino a questo punto d’esasperazione fino ad ora. Non è la nostra natura… o meglio, non è nella
sua.
Lo vedo voltarsi ed avvicinarsi, mi alzo mettendomi eretto e non appena anche lui svuota l’ultima carrellata di frutti nel cesto di vimini (facendone cadere alcuni) punta gli occhi su di me. Respira con affanno, così come me, con le labbra appena schiuse e tante piccole gocce di sudore sul collo e sul petto.
-I prossimi sono quelli di quelli di là?- è una domanda, ma è anche una specie di affermazione, mentre comincia ad avanzare in una direzione specifica.
-No-
-Di là?- si ferma e fa per tornare indietro, credendo di aver sbagliato direzione, superandomi di qualche passo. La mano si muove da sola, afferra la sua ma solo per farlo voltare.
-No- ripeto, sorpreso anche io dalla decisione con cui parlo. C’è un istante di silenzio in cui lo vedo smarrirsi, per poi riprendersi quando continuo: -Ne ho abbastanza-
Di Water Melon, ma anche di questo giochetto idiota che stiamo continuando a fare.
Lo amo. Lo voglio. Ora.
Resto qui, nella calura, sul terreno polveroso, ansimante e ardente di desiderio. E proprio quando penso che potrei benissimo esplodere da un momento all’altro, Zoro fa un passo avanti e abbassa la bocca sul mio capezzolo sinistro. Le gambe su cui ho sempre fatto affidamento, le parti più forti del mio corpo, tremano e quasi cedono. La testa gira, mi sento svenire, ma riesco comunque a gettare la testa indietro e ad ancorarmi alle sue spalle. Faccio fatica a trattenere i gemiti mentre la lingua di questo bastardo mi tortura fino all’inverosimile il petto, lasciando una scia bagnata di segni rossi. Qualche volta il contatto tra i denti e la pelle mi fa trasalire e, con uno scatto in avanti, non riesco a fare altro se non appiccicarmi a lui in maniera quasi disperata.
Passo le mani tra i capelli verdi, tirandoli ad ogni centimetro che la sua bocca percorre sugli addominali, scendendo verso il bassoventre. Non riesco quasi a stare in piedi, ma ancoro con tutte le mie forze le gambe al suolo, con un brontolio da parte della gamba destra, già abbastanza provata dagli eventi delle ultime due settimane.
Come era prevedibile, non scende fino al pene insoddisfatto che ho nelle mutande, si limita a stuzzicarlo per vie traverse, sfiorando con le labbra la zona circostante senza mai soffermarvisi troppo. Quando risale, sento distintamente la mano destra accarezzare il mio interno coscia. Con un braccio saldo dietro la sua nuca per stringerlo contro di me, faccio qualche passo indietro, finendo per scontrarmi contro le piante dei Mini Water Melon. Il contatto è duro, mi lascia scappare un lamento doloroso, ma non cado perché lo spadaccino ha avuto l’accortezza di reggermi. Scivoliamo giù più lentamente.
Divarico le gambe, lasciandogli tutto lo spazio di cui ha bisogno per poter “
lavorare” come si deve. Con mia sorpresa, però, il bastardo si limita a portare le mani sotto le ginocchia, per potermi trascinare contro il suo bacino. Nell’istante stesso in cui veniamo a contatto, ci lasciamo scappare un gemito sommesso, lieve. Zoro comincia a muoversi con una lentezza infinita, facendo sfregare le nostre erezioni ancora ben nascoste dalla stoffa delle mutande e dei suoi pantaloni, dando vita a una sensuale danza erotica. Mordo il labbro inferiore per trattenere il più possibile gli urli che salgono dalla gola, a volte con uno sforzo non indifferente, mentre comincio a muovermi, spingendo contro il suo pene imprigionato.
Credo che l’andamento sagittale del suo bacino sia la cosa più sexy che abbia mai visto
dopo le tette di Nami, s’intende. Vampate improvvise di calore colgono entrambi più che impreparati a riceverle e questo ci spinge ad avvicinarci, se possibile, ancora di più.
Finalmente mi bacia, partendo dal collo e arrivando poi alle labbra. La bocca brucia come fosse entrata a contatto con un fuoco vivo e ardente, le lingue si scontrano come succede talvolta con i denti e pian piano rimango senza fiato. I polmoni ardono, le mani fremono e si ancorano sulla sua vita, abbassandogli i pantaloni con forza, lasciandolo finalmente in mutande. Le porto sul suo culo, per massaggiarlo ma anche per aggrapparmi, perché tutta questa situazione, non so come, non so perché, mi sta prosciugando le forze.
Un tremolio generale mi attraversa, spesso la schiena s’inarca per il passaggio di una delle sue mani su di essa, sono costretto a staccarmi più volte da questi scambi di saliva continui per poter riprendere fiato.
Gli do la possibilità di prendermi subito, ma non coglie l’occasione… sembra che stia aspettando qualcosa, che abbia intenzione di fare sul serio. Mentre mi ritiro, lo guardo ansante. Non diciamo nulla, ci limitiamo a specchiarci l’uno nell’anima dell’altro, ardenti di passione. Le sue mani scivolano sui miei fianchi, arrivano alla vita e abbassano lentamente la prima parte dei boxer. Gli lecco le labbra, incitandolo a spogliarmi. Finalmente libera, poi, la mia erezione può respirare per lo meno più serenamente.
-Sei bagnato- mi fa notare tra un bacio e l’altro, come se non fossi a conoscenza della situazione. Lamento qualcosa, scontrando la lingua con la sua, spingendola infondo alla gola come fa lui con me: è una lotta a chi toglie il respiro più in fretta… e vince lui. Tutta colpa della mano destra che mi sta masturbando così lentamente da farmi impazzire e lanciare la testa all’indietro.
Alcuni Mini Water Melon cadono giù e si spiaccicano sotto i nostri corpi, impregnando l’aria di un odore dolce, forte, che avvolge tutto ciò che ci circonda.
Ogni volta che la pelle di Zoro entra a contatto con la mia, vedo la differenza di carnagione farsi ancora più netta. Lui è caffè, io sono latte. Sono schiavo di un Dio abbronzato e sexy, dai capelli d’alga, occhi di pece, labbra lussuriose e muscoli d’acciaio.
E mentre affondo le unghie nella sua schiena, graffiandola e segnandola per la milionesima volta, arriva a ciel sereno la consapevolezza di non volere nient’altro di diverso da tutto questo. Nulla vale più della libido che ci lega… e come un perfetto imbecille me ne sono scordato. Ansimo, prima di fare mie le dita che il marimo ha poggiato sulle labbra, poi succhio con avidità crescente, scuotendo il bacino nel mentre, spingendomi contro di lui.
Gli scappa un gemito che colgo velocemente: ha le guance arrossate, la fronte imperlata di sudore come del resto lo è tutto il corpo (di tanto in tanto, qualche goccia salata gli percorre il petto e, scendendo fino al ventre, cade sulla pancia, bagnandomi). Ci guardiamo. È estremamente eccitato dalla visione delle sue dita che spariscono nella mia bocca, imitando il gesto della penetrazione già reso dirompente dai nostri bacini a contatto. Gli do la soddisfazione di godere ancora per un po’, leccando anche parte della sua mano e un terzo dito. Lo mando in estasi.
Tornando con l’attenzione verso i nostri bacini, poi, ricordo che Zoro ancora sta soffrendo le pene dell’inferno in quei pantaloni… oppure l’inferno del pene, dipende dal punto di vista.
Con l’unica mano che mi resta, glieli abbasso assieme ai boxer con un movimento impicciato e per niente fluido, ma con un po’ di aiuto anche questo problema è risolto.
È stupido, idiota e soprattutto imbarazzante da ammettere, ma ha un bel pene. Non dovrei neanche pensarla una cosa del genere, ma ne sono sempre stato attratto… ha una bella forma, è della grandezza giusta e
forse sfora anche un po’ oltre la dimensione della media, un colore attraente e persino il seme è “
buono”. La sensazione che ho quando lo sento in bocca, di solito, è quella di quando si mangia qualcosa di acidulo, non necessariamente gustoso all’inizio, ma soddisfacente una volta che si è ingoiato.
È particolare; mi piace. Al contrario, non so come lui riesca ad ingoiare il mio sperma! Sono molto più… salato, in un certo senso. Sembra di star bevendo acqua di mare concentrata e biancastra, faccio fatica a baciarlo se ha il mio sapore in bocca (mi sono detto che è sempre stato un po’ per la voglia di non dargliela vinta, e un po’ per il fatto di non “
piacermi”).
Sto per stuzzicargli i testicoli e farli scontrare con i miei quando l’assenza improvvisa delle sue dita nella bocca distoglie l’attenzione e mi deconcentra. Punto di nuovo gli occhi sui suoi prima di sentire distintamente una mano allargarmi le gambe (per la felicità della mia destra, ancora ferita e cicatrizzata) e un paio di dita che tentano di penetrarmi, bagnate.
Le natiche vanno a fuoco nello stesso istante in cui l’indice allarga l’anello di muscoli dell’ano, esplorandolo con gesti circolari, ampi e profondi. Dalla bocca esce un urlo appagato e ansante che copro nascondendo la fronte sull’incavo del suo collo mentre anche il medio si fa strada dentro il mio corpo. Gemo dal fastidio e dal piacere. Vorrei già di più, mi sento inappagato, voglio sentire la sua presenza liquida e bollente dentro di me, la vorrei ora, ma stiamo ancora giocando a torturarci l’un l’altro. Scivolo sulla terra umida sottomettendomi completamente a questi trattamenti, tremando davanti al suo sguardo attento ed eccitato. Senza staccare gli occhi dai miei, si abbassa a leccare l’interno coscia, provocandomi un pizzicorio non indifferente mentre la lingua umida risale la gamba destra e si sofferma sull’enorme cicatrice.
-Ahn…!- esclamo ad un improvviso morso e al bacio che segue.
-Bastardo- lo apostrofo, portando la mano sulla ferita dolorante, coprendola come a fermare il bruciore, lui ne afferra le dita e le bacia pian piano prima di spostarle e accarezzare la cicatrice. È tutto così fottutamente strano.
La situazione, il posto, i suoi comportamenti, i
miei comportamenti. Non sono abituato a tutta questa sensualità, a questa lenta tortura corrosiva. Potrei esplodere da un momento all’altro se non ci fosse lui con il suo fare così maledettamente lento. L-e-n-t-o. E tremendamente sexy… e… uno sguardo che faccio fatica a riconoscere.
Perché mi fissa in questo modo?
Si stende vicino a me, passando di lato, poggiando le labbra sulle mie per un istante. Si stacca ma non si allontana, rimane vicino, a catturare i miei gemiti uno per uno.
-O-ohi…- bisbiglio piano, percorrendo con due dita il profilo del suo mento, risalendo fino a sfiorare le labbra premendo su di esse. Spalancate, riesco a strusciare i polpastrelli sui denti che si sbriga ad allargare per mordermi.
Senza parlare, alzo la gamba destra e la porto sul suo fianco, sospirando di sollievo e di piacere, avendo lasciato molto più spazio per farlo “<i>lavorare<i>”. Mi aiuta a tenerla ferma grazie a una mano poggiata con forza e decisione dietro al ginocchio.
Improvvisamente le sue dita non mi bastano più.
Prendo quanta più saliva mi è possibile dalla sua lingua prima di avvicinarla verso la mia apertura. Mi guarda sorpreso e improvvisamente più eccitato quando mi lamento.
-Fa spazio…-
Spingo tra le sue dita, tra le mie natiche; sono dentro.
Inizio a muovere velocemente il medio, cercando di darmi più piacere possibile, e non sembra una scelta che gli piaccia particolarmente…
-Scordati di prendere il ritmo- mi morde le labbra, scompiglia i capelli e stringe così a sé che riesco a perdere quel poco fiato che mi rimane.
-E’ il mio corpo. Ah… Ah! Ahn… dovresti essere tu a seguire me- mugugno tra un bacio e l’altro, sentendo i movimenti lenti delle dita di Zoro contrapporsi in maniera drastica rispetto ai miei, veloci e secchi. Si blocca, affondando la lingua nella bocca, e costringendomi ad assecondarlo per un’eternità. Quando ci stacchiamo, siamo ansanti molto più di quanto non lo fossimo stati due minuti fa, arrossati, eccitati all’inverosimile e continuiamo ancora a non arrivare al sodo.
-Segui me e basta-
-No-
Le sue dita spingono fin dove possono e si allargano, facendomi gemere. –Idiota-
-Stronzo-
-Cuocastro inutile-
-Marimo, basta- ansimo –Non ne posso più-
Questa è una supplica. Non sopporto tutto questo. È troppo tutto insieme, ormai non riesco più a controllare le urla e i gemiti, se continuiamo così finirò per impazzire. Mi guarda e non riesce a reprimere il desiderio come prima.
La sua erezione è in uno stato quasi peggiore del mio, perciò non conviene neanche a lui fare troppo il testardo. Con un po’ di difficoltà lo sposto, mettendomi a cavalcioni su di lui rimuovendo le dita dall’entrata più che dilatata, oramai.
Con lentezza ma decisione, mi calo sul suo pene eretto, lacerandomi in due. È così gonfio da farmi provare, per un attimo, la sensazione che no, non c’entrerebbe tutto. Mi devo ricredere quando scivola improvvisamente e allarga ancora di più il mio buco.
Urlo; tremo.
Asciugo piano le gocce salate sulla fronte e sul collo, scoprendomi un mare di sudore.
-Tutto ok?-
Che razza di domanda è?
-Sì-
Ammetto però che non ho più forze. Sono improvvisamente debole e voglioso al contempo. Mi aggrappo alle sue spalle, lui accarezza le mie cosce, poi mi masturba piano. Mi sciolgo a questo trattamento e i movimenti che faccio abbassandomi sul suo bacino, non sono né decisi, né netti, tantomeno sensuali.
Tralasciando l’esperienza accumulata nel tempo, sembra di rivivere la prima volta che l’abbiamo fatto: stessa tremarella, stessa debolezza, stessa stanchezza… stesso batticuore.
La presenza dentro di me è enorme, faccio quasi fatica a prenderlo tutto fino in fondo ad ogni spinta, ed è Zoro a dovermi aiutare, portando il bacino in su. Velocemente, lo sento riprendere in mano le redini della situazione: io gemo, graffio la pelle del suo petto e delle spalle, lui ansima sottovoce e si diverte ad aprirmi in due, lasciandomi sempre più appagato e soddisfatto.
Improvvisamente tornano a ribaltarsi le posizioni e di nuovo sono sbattuto sulla terra polverosa, con le gambe divaricate in modo osceno, un’erezione completamente bagnata e il mio compagno sopra a scoparmi.
Non avendo null’altro a cui tenermi con tutte le forze, mi ancoro a terra con le unghie, schiacciando e spremendo qualche Mini Melon caduto durante l’amplesso generale. Lo chiamo sottovoce, sentendo il suo peso poggiarsi su di me, quasi schiacciandomi.
-Zoro… ahn… ah! Ah!-
Vuoto, pieno, vuoto, pieno; sono salito su una giostra che si è rivelata essere mortalmente erotica. E mi sta bene.
Apro gli occhi, i raggi del sole m’infastidiscono ma non oso spostare lo sguardo dal compagno sopra di me, lo stesso al quale mi sto attaccando con tutta la forza che mi resta, permettendogli di fare ciò che a nessun’altro potrei mai permettere di fare. Il piacere aumenta, l’eccitazione sta per raggiungere il completo appagamento, tra i gemiti e le preghiere, passo le dita tra i suoi capelli, attirandolo a me con la forza, strappandogli un profondo bacio subito ricambiato, che ci accompagna fino all’orgasmo.
L’ultima spinta è
la spinta; quella che ho atteso dall’inizio di questo gioco idiota.
Mi riempie di calore, piacere, seme, mentre mi riverso sui nostri ventri gocciolanti di sudore. Piccoli pallini bianchi oscurano per un attimo solo il cielo, costringendomi a chiudere gli occhi e a staccarmi da lui per prendere fiato.
Avevo dimenticato quanto fosse bello e appagante fare… sesso con lui. Di come mi sentissi sfinito dopo anche solo una sveltina, di quanto potessi dipendere da questo infantile modo di amarmi… a modo suo.
Si poggia su di me, come fa sempre in situazioni del genere, e ansima piano sull’incavo del collo, facendomi rabbrividire. Sento il solco della cicatrice sfiorarmi il petto lentamente, tra un respiro profondo e l’altro.
Il mio torace, al contrario, è completamente impazzito: si gonfia e sgonfia fin troppo velocemente, il cuore sbatte così forte sulla cassa toracica da farmi sussultare ogni volta con un tono più alto di un’ottava, ma soprattutto fa male. Un male cane.
-Ehi-
La sua voce è vicinissima alle mie labbra, sento il suo peso gravare di meno sul mio corpo e ne deduco che si sia alzato almeno un po’. Schiudo gli occhi, protetti dall’ombra che Zoro proietta su di me; lo guardo.
-Ehi…!-
Che vuoi?
Che c’è ancora?
Perché quella faccia preoccupata?
-Oi…-
È tutto ciò che esce dalle labbra. Si avvicina, accarezza la fronte, le guance, scivola sul mio mento con le dita e poi sul collo. Lo lascio fare, dischiudo le labbra per respirare meglio, troppo stanco per ribellarmi a una qualsiasi sua azione.
Lo sento esercitare una lieve pressione sulla giugulare per più di qualche secondo senza staccarmi gli occhi di dosso.
-Cos…?-
-Ti senti bene?-
Chiede di nuovo, accarezzandomi i capelli. Scuoto la testa in un gesto lento e stanco, poggiandomi su di lui.
-No…-
No; certo che no. Non posso stare bene dopo che mi hai aperto in due, non posso stare bene dopo tutto quello che mi hai fatto passare e tantomeno posso stare bene dopo aver capito che mi sono innamorato di te. Idiota, che cazzo di domande fai?!
Chiudo gli occhi di nuovo, godendomi delle lievi carezze quasi dovute e piccoli baci portati dal cuore fino alla guancia.
Mi stringe avvolgendomi con le braccia.
-Resta-
Bisbiglio, temendo che neanche mi abbia sentito. Devo ricredermi.
-Sì-
Le punte dei suoi capelli solleticano la pelle, il suo profumo di uomo pizzica le narici e la sensazione di bagnato e appiccicaticcio avvolge entrambi i corpi abbandonati sulla terra, sotto la calura, sopra i corpi di tanti Mini Water Melon. Resta davvero, sta volta.
Il calore mi culla e protegge da tutto ciò che ci circonda… e non potrei volere niente di meglio.
End Part XX