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Achille non aveva mai avuto problemi nel trovare donne. Tantomeno nel farci sesso, visto che riusciva a portarne a letto una alla settimana, con i più vari pretesti. Ora, divenuto M 382, l’uomo avvertiva un senso di profonda mortificazione nel dover penetrare due stivali; o meglio, nel penetrare il varco lasciato schiuso dai due stivali della cancelliera, che si era accomodata su una sedia incrociando le caviglie per aiutarlo nell’impresa. In ginocchio, col guinzaglio al collo e i fianchi un po’ protesi in avanti, M 382 stantuffava e ansimava, dapprima concentrandosi nell’evitare la sensazione di bruciore che sentiva sul glande; poi, a poco a poco, percependo i commenti delle giudici spettatrici: alcune distratte, o addirittura disinteressate; altre incazzate e livide di rabbia; altre molto divertite, o persino un po’ eccitate dalla scena.
La presidente sembrava attentissima: scambiava commenti con la sua vicina e di tanto in tanto rideva: “Ma guarda il nostro Direttore…Eri un conquistatore e lo sei rimasto pure da schiavo. Così però sembri più un cane che uno schiavo, sai?”. Alla grassa risata generale delle presenti, M 382 rispose in silenzio, continuando a respirare affannosamente - il ritmo del pene invariato, gli occhi fissi sugli stivali. “Vedi? Nemmeno risponde, è assurdo” disse con forte risentimento Melania, una giudice magra coi capelli molto corti e un viso splendido; “lui in fondo sta godendo, che gliene frega? Ehi, STRONZO! Hai sentito la Presidente? Ha detto che sembri un cane, più che uno schiavo. Vuoi giustificarti o preferisci che ti stacchiamo le palle?”. E così dicendo fece cenno alla cancelliera, la quale tirò indietro le gambe e sferrò un calcio nello scroto dell’uomo, che si accartocciò a terra per un minuto intero, urlando e gemendo dal dolore. Quando si fu ripreso, M 382 fece per assumere la posizione precedente; ma mentre ancora era steso a terra, egli vide a un palmo dal viso lo stivale della giudice Melania, quella che lo aveva apostrofato: “Lecca, stronzo” la sentì ruggire. Restando carponi, M 382 cominciò a leccare la pelle della calzatura in modo alquanto timido: “Bravo…E ora, mentre lecchi, spiega alle Signore con quali criteri promuovevi o punivi le tue dipendenti donne”. L’uomo faticò un po’ a mettere insieme le idee. Allora Melania lo aiutò: prese un bastone, lo piantò sul pene eretto della bestia e schiacciò con violenza: “Dai, facciamola breve: questo era il criterio…O no?”. M 382 emise un gemito di dolore, si contorse al suolo, quindi rispose: “Sì, sì…sì era questo, il criterio era il cazzo…Non avevo capito niente, ho commesso errori gravi, pietà…”, e continuò a leccare, ora con meno timidezza. L’uditorio era soddisfatto: adesso si respirava un vero senso di rivalsa. La Giudice Melania sibilò: “Ah chiedi pietà, eh…Ma devi guadagnartela, la pietà…Perché il maschio ha perso potere e dignità: ad alcune di noi tu ricordi un cane, per altre sei uno schiavo…per me per esempio sei un verme!” e rise, voltandosi verso le altre. Il bastone premeva con una violenza inaudita su pene e testicoli; l’erezione cominciava a perdere forma, il colore dei genitali virava sul violaceo. “Pietà…Pietà, Padrona…fa male…” mormorò ancora M 382 con un filo di voce, ben differente dal tono stentoreo col quale intimava ordini in azienda, qualche tempo prima. Da un’altra sedia, a quel punto, intervenne la giudice Paola, capelli ricci, formosa ma molto femminile; indossava dei pantaloni aderenti di pelle e un giubbotto nero dal quale si intravedeva il seno: “Senti, non perdiamo la calma…Almeno, IO non la perdo, tu non so…Ahahahah…Vuoi pietà in quanto schiavo, in quanto cane, o in quanto verme? Perché guarda che non sono la stessa cosa…”. La presidente trovò la distinzione di Paola molto arguta e non attese la risposta di M 382, che peraltro piagnucolava dal dolore, sotto l’implacabile bastone di Melania: “Sì, è vero. Beh, considerato che da cane il nostro eroe si stava divertendo ed è stato retrocesso a verme, direi che per riconquistare il diritto a… far l’amore con lo stivale della nostra cancelliera, questo grand’uomo deve chiedere la pietà alla maniera dei vermi. A meno che non preferisca ancora il massaggino col bastone”. Mentre tutte ridevano, M 382 scosse la testa disperato ripetendo il flebile “No…pietà…”. “Ah vedi...” disse Melania; “ora lui chiede pietà da verme e poi, se la cosa ci piace, lo promuoviamo cane e alla fine gli facciamo fare i suoi bisogni. Ho capito bene, verme?”. Il bastone allentò la pressione quel minimo che bastava per sentire M 382 sussurrare: “Sì padrona…”, con occhi languidi che non avevano più l’ombra dell’arroganza. Quindi Melania sollevò il suo strumento di tortura e prese atto del compromesso: “Bravo…Adesso striscia sul ventre e visita, una per una, tutte le Signore, baciando loro i piedi. E a ognuna dirai: ‘sono un verme, padrona, chiedo pietà’. Ma non aiutarti con le mani, altrimenti ti faccio ripartire daccapo”. M 382 annuì tramortito. Senza esservi sollecitato disse “Grazie, Padrona”. La cancelliera gli tolse il guinzaglio; quindi lui sentì alcuni sputi sulla schiena, mentre con un paziente lavorìo della pancia e delle spalle iniziava il suo cammino di riconciliazione.[2] |