Capitolo 5
Weekend.
Agognato, amato, atteso weekend.
Era stanca.
Non avrebbe mai pensato che insegnare fosse così faticoso.
Era, comunque, più appagante di quello che aveva immaginato. I ragazzi l’avevano accolta bene e stavano lavorando velocemente; stava recuperando le lacune con i ragazzi più grandi e mettendo solide basi con quelli del quinto anno.
C’erano ragazzi dell’ultimo anno del tutto negati per la materia, ma non li avrebbe abbandonati a loro stessi, avrebbe puntato molto sulla teoria e meno sulla pratica della divinazione.
Sedeva alla sua scrivania anche quel giorno. Il gatto che ogni tanto veniva a trovarla non si era fatto vivo, Jim era spento da qualche ora e lei si stava godendo un po’ di quiete mentre mescolava un mazzo di tarocchi. Severus le aveva proposto un piccolo ufficio separato, ma aveva lavorato sodo per realizzare l’aula perfetta, attraversata dalle energie giuste e ne avrebbe approfittato.
Si era svegliata piena di energie e con le mani che prudevano dall’esigenza di leggere le carte, così si era recata in classe appena finita la colazione, impaziente di iniziare.
Solitamente, quando si sentiva così, c’era qualcosa di grosso che doveva sapere.
Aprì le carte davanti a lei e ne scelse tre a caso, come faceva sempre quando voleva una risposta rapida o quando aveva fretta.
Sette di bastoni.
La Temperanza.
Il Diavolo. - Oh. – mormorò stupita – Con chi devo litigare?
Fece per girare una quarta carta quando la porta dell’aula si aprì.
La prima cosa che notò fu il vestito: un tailleur Chanel rosa pallido, una borsa firmata che probabilmente le sarebbe costata un anno di stipendio, scarpe alte col tacco, una pelliccia mollemente appoggiata sul braccio, gioielli vistosi… un caschetto biodo platino a una faccia che avrebbe riconosciuto anche in mezzo alla folla.
Affilata, tesa, truccata in modo magistrale per nascondere l’età.
- Portia. - sibilò il nome come un insulto, un veleno da cui non vi è antidoto, una maledizione ben più forte di quelle che ti mandano ad Azkaban senza il biglietto di ritorno.
La donna la fissò come se non valesse nulla, come se la sua sola presenza fosse un insulto per tutto il mondo.
- Dovevo vederlo coi mei occhi. – pronunciò malefica, poggiando la costosa pelliccia su un banco – Sei davvero
tu l’insegnate di Divinazione.
- Conosci qualcun altro col mio nome? – domandò ironica.
- Sai perché sono qui?
- Oh sì.
- L’hai visto nei tuoi preziosi tarocchi?
- No. Ho ricevuto le tue lettere. Tutte e dieci.
Portia fece una smorfia e si avvicinò alla scrivania, il suono dei tacchi rimbombò per l’aula.
Forse voleva essere intimidatoria, ma Anathema conosceva molto bene Portia Vaughan.
Erano state compagne di Casa e purtroppo di dormitorio, per sette anni.
Si era interrogata spesso sulle decisioni del Cappello Parlante; in sette anni aveva conosciuto Grifondoro che sarebbero stati meglio nella calda e materna casa di Tosca; Serpeverde che avrebbero trovato più sostegno nell’alta torre di Corvonero, Tassorosso coraggiosi e leali come solo Godric e avrebbe apprezzato e poi c’era Portia.
Corvonero sul taschino della divisa, Serpeverde fin dentro l’anima.
Non si erano mai sopportate. Lei rappresentava quello che Portia detestava: povertà, mediocrità, vestiti scadenti e una dieta ricca di dolci.
Per anni l’aveva presa in giro per il suo aspetto e le sue forme rotonde.
In più era follemente gelosa del suo dono. Portia, da quando la conosceva, aveva sempre vantato di avere nella sua famiglia molti veggenti e profeti, millantava chissà quale dono della preveggenza, ma Anathema sapeva benissimo che l’unica cosa che Portia vedeva sul fondo di una tazza di tè era della porcellana sporca.
La strega appoggiò le mani ingioiellate e fresche di manicure sulla scrivania.
- Non mi hai risposto perché sapevi di essere in torto, vero?
- A dire il vero. – precisò con una smorfia – Speravo che ignorandoti avresti smesso di infastidirmi.
- Sono un genitore preoccupato.
Anathema si alzò dalla sedia, puntò le mani sulla cattedra e si piegò verso di lei.
- Regina non ha il dono, Portia. Così come non ce l’hai tu. Fattene una ragione.
- Non sai con chi stai parlando! – sbottò indignata la donna.
- Io ti conosco molto bene Portia Vaughan. Ti sei sposata con Ibram Schroede, il ragazzo con cui uscivi ai tempi della scuola. Un nome altisonante per un matrimonio altisonante. Ho riconosciuto tua figlia non appena ha messo piede nella mia aula. Mi è sembrato di rivedere la tua faccia ossuta dopo anni, ma questo non cambia quello che ti ho detto prima. E la tua famiglia ricca non mi spaventa.
- Sei solo invidiosa.
- Di te?
- Parlerò col Preside Piton.
- Fa pure, ma mi ha dato lui il permesso di allontanare i ragazzi che non erano adatti al mio corso.
- Regina è molto scossa.
- Regina è solo dispiaciuta di aver perso un corso che attirava le attenzioni della madre.
Portia rizzò la schiena e alzò in mento in segno di sfida.
- Conosco il Ministro Kinsley!
- Anch’io. – rispose una voce profonda alle sue spalle.
Anathema allungò il collo oltre la spalla della secca Portia e sorrise. Severus era alla porta, braccia incrociate al petto, sopracciglio sollevato e sguardo duro.
Dietro di lui si intravedeva Gazza.
- Preside Piton… - balbettò improvvisamente intimidita Portia.
- Signora Schroede, mi sembrava di aver già risposto alla sua lettera di protesta qualche giorno fa. Le avevo esplicitamente scritto che non tollero che qualcuno minacci gli insegnanti di questa scuola.
- Sono qui per fare gli interessi di mia figlia!
- Sono certo di questo. – concesse – Ma sono altrettanto certo che voglia che Regina segua la strada più adatta alle sue potenzialità.
- Senz'altro…
- Mi risulta che sia una buona pozionista e un’abile creatrice di incantesimi.
- Sì.
- Il professor Vitius ha indicato a Regina i corsi più adatti alle sue capacità.
- Mia figlia non finirà chiusa in un ufficio al Ministero.
- Oh non mi preoccuperei di questo. – fece eco Anathema alle sue spalle girando due carte – Regina passerà davvero poco tra gli uffici del Ministero. Seguirà le orme di sua madre. Tacchi alti e vestiti babbani firmati compresi. – sollevò lo sguardo e le lanciò un’occhiata – Salutami Ibram quando tornerai a casa. – abbassò lo sguardo riordinando le carte – E anche suo fratello Joseph.
Tornò a guardarla in tempo per vederla sussultare ed afferrare con un gesto nervoso la pelliccia abbandonata sul banco.
- Sei solo uno fenomeno da baraccone. – sibilò velenosa – C’è un motivo se quelle come te sono sole. Tornatene al circo.
Si voltò di scatto e si incamminò verso la porta ancora occupata dalla figura del Preside.
- Scriverò al Ministero! – minacciò – Non capisco come una scuola così rispettabile possa assumere insegnanti tanto discutibili.
Severus la fissò per un lunghissimo minuto, poi si spostò di lato.
- Signor Gazza. – pronunciò con voce ferma – Si assicuri che la signora Schroede raggiunga il cancello principale senza problemi; sappiamo che alle scale piace cambiare.
- Certo, Preside Piton. – gracchiò la voce del vecchio custode – Mi segua, signora Schroede.
Restarono in silenzio sentendo il rumore dei tacchi di Portia che sbattevano con violenza sul pavimento del corridoio.
Anathema sistemò il mazzo con gesti calmi.
- Hai appena insinuato che Regina Schroede tradirà il suo futuro marito con suo fratello?
- No. – rispose lei picchiettando il mazzo sul tavolo – Con sua
sorella.
Sollevò lo sguardo incontrando il sopracciglio alzato del mago.
Si alzò con un gesto veloce e aprì il cassetto della scrivania afferrando un mazzetto di salvia bianca. Afferrò la bacchetta e incendiò la punta del mazzetto. Non appena il fumo bianco e denso iniziò a liberarsi in piccole spirali agitò il mazzetto per spegnere il fuoco.
Con gesti ampi delle braccia fece volare il fumo profumato per tutta l’aula.
- Cosa stai facendo? – domandò Severus sventolando la mano davanti al viso per disperdere il fumo che l’aveva colpito.
- Brucio della Salvia Bianca. – spiegò – Secondo i Nativi Americani serve per purificare un’ambiente dalle influenze negative e Portia… - continuò indicando la porta – è come una nuvola nera che distrugge ogni equilibrio che ho faticato a creare.
- Posso restare o rovino anch’io i tuoi equilibri?
- Puoi restare. – acconsentì mentre passava la salvia sull’infisso della porta – Apri un paio di finestre, per favore.
Eseguì l’ordine senza commentare. L’odore della salvia si stava diffondendo per tutta l’aula.
- Mi ha chiamato
fenomeno da baraccone! – borbottò indignata osservando il fumo che si liberava – Quella… quella… argh! Non trovo l’insulto giusto!
Mosse le braccia con foga, cercando di placare il nervoso che sentiva sottopelle. Sentiva l’impulso irresistibile di inseguire Portia e dar fuoco a quel tailleur rosa cipria con il suo mazzetto di Salvia Bianca.
In quel caso le influenze negative sarebbero state estirpate dalla radice.
Chissà se i Nativi Americani avevano mai pensato a questo uso alternativo della salvia bianca.
Si sentì toccare una spalla e lanciò un’imprecazione sorpresa.
Persa nel suo monologo mentale pieno di insulti verso Portia aveva scordato della presenza del mago.
- Stai bene? – le domandò Severus con le mani alzate, come se potesse usare quel mazzetto bruciacchiato come una bacchetta.
- Sì! – sbottò – Sto bene. Sono solo… arrabbiata…
- Non ti ho mai visto arrabbiata. – valutò inclinando il capo – Neppure da ragazza.
- Nessuno mi aveva mai dato del
fenomeno da baraccone!
Con delicatezza le prese la salvia fumante dalle mani, fece apparire una ciotola di metallo e la mise dentro lasciandola bruciare piano senza correre il rischio di dare fuoco a tutta l’aula.
- Non sei un fenomeno da baraccone. – la rassicurò – Sei capace, gli studenti frequentano volentieri le tue lezioni e non perché è un corso semplice, ma perché li coinvolgi, li interessi, apri le loro menti e il loro… terzo occhio… - si bloccò – si chiama così, vero? - Anathema ridacchiò e annuì. – Quindi al diavolo quello che pensa Portia Schroede. Sono io il Preside di questa scuola, giusto?
- Giusto.
- Bene. Ora mi dica, professoressa Shipton. Cosa potrebbe risollevarle l’umore?
Le labbra della strega si allungarono in un sorriso che contagiò i suoi occhi, l’intero corpo, l’anima e anche quella del mago che la guardava rendendosi improvvisamente conto che qualcosa nel suo petto aveva ripreso a battere più forte del normale.
- Bignè al cioccolato.
* * * *
Aveva lasciato Anathema in biblioteca, entrambi fin troppo carichi di zuccheri dopo la sosta nelle cucine.
Si era allontanato a passo veloce incrociando un gatto nei corridoi.
Lo seguì con lo sguardo e un sopracciglio alzato fino a quando non lo vide entrare nella biblioteca dalla porta socchiusa. A Madama Prince non avrebbe fatto piacere.
Accantonò il pensiero del gatto non appena varcato il portone del castello.
Percorse con passo deciso la strada fin troppo conosciuta, costeggiò il sentiero lungo il lago; presto il freddo avrebbe fatto gelare la prima parte dell’acqua. Poi sarebbe arrivata la neve.
Gli piaceva la neve.
Arrivò alla tomba bianca senza neppure accorgersene.
Aveva bisogno di pensare.
Lontano dal castello.
Dalle sue aule.
Specialmente da quella di Divinazione.
I suoi pensieri erano confusi, disordinati e ingarbugliati. Un nodo difficile da districare.
Gli zuccheri in corpo non aiutavano a calmare i nervi.
Sospirò massaggiandosi la radice del naso e chiudendo per un istante gli occhi neri.
- Avrei bisogno di un aiuto. – mormorò al marmo – O forse no. Se avessi voluto un aiuto avrei chiesto al tuo stupido quadro. Lui mi avrebbe risposto. – sospirò di nuovo – Forse non sono pronto a sentire quello che ha da dirmi.
Osservò la pietra bianca, un blocco unico che simboleggiava l’uomo tutto d’un pezzo che era stato Albus.
Chi aveva pensato a quella tomba non aveva mai visto Silente ubriacarsi al compleanno di quello che era stato l’unico amore per tutta la sua lunghissima vita.
Lui aveva avuto quella sfortuna, conosceva lati del vecchio preside che avrebbero fatto impallidire chiunque. Forse solo Aberforth non si sarebbe sorpreso.
Le volte in cui si era sbronzato con il vecchio si potevano contare sulle dita di una mano, e si svolgevano sempre nello stesso modo: lui che trovava Albus già alticcio in presidenza, una bottiglia a metà e due in attesa di essere aperte. Lui che beveva quasi sotto costrizione e, alla fine della terza bottiglia, entrambi che biasciavano parole a caso su quanto faccia schifo essere innamorati.
Marmo bianco: purezza dell’animo dell’uomo.
- Chi ha creato questa non sa quello che hai fatto in nome dell’amore, vero Silente? Di candido
tu non hai proprio nulla. Però è giusto che gli altri ti ricordino così. Un
eroe senza macchia serve sempre in una storia.
L’etichetta
eroe ce l’aveva cucita addosso pure lui che gli piacesse o meno, ma lui non era senza macchia.
Era un dannato quadro di Jackson Pollock in bianco e nero.
Voltò la testa verso la scuola. Il sole era alto in un cielo così perfettamente azzurro da essere quasi accecante. Accarezzò con lo sguardo il profilo della scuola e non riuscì ad evitare di soffermarsi più del solito sulla torre più alta.
Là dove tutto era finito e iniziato.
Là dove ora c’era anche il ricordo di una sedia da campeggio, un margarita con troppa tequila e una visione dove veniva respinto.
Tornò alle cucine, dove il suo cuore si era fermato più di una volta quel giorno: intento a fissare una strega troppo golosa che emetteva mugugni viziosi ad ogni boccone, che si era leccata la cioccolata dalle dita senza vergogna e pulito le labbra con la punta della lingua. Il tutto ignara del suo guardo improvvisamente affamato.
Non di cibo.
Gemette frustrato e tornò a fissare la tomba.
Pensieri deprimenti per raffreddare un corpo che si era reso conto di essere ancora vivo dopo anni di letargo.
- Avevo promesso che non sarebbe più accaduto. – mormorò – Mentre fissavo quella parete al San Mungo e salutavo per sempre Lily. Avevo promesso che certe sensazioni… certi sentimenti… non avrebbero più influito sulla mia vita. Ho amato fino a consumarmi, Silente. Tu lo sai. Tu l’hai visto.
Dopo tutto questo tempo? Che domanda stupida gli aveva posto quella volta nello studio, con la luce fioca del suo patronus che ancora gli illuminava lo sguardo.
Chissà se era ancora in grado di evocarne uno. Non ci aveva più provato.
- Eppure, sono ancora qui. – continuò il suo monologo senza nessuno ad ascoltarlo, probabilmente non era importante che qualcuno lo ascoltasse. Lui doveva solo ascoltare sé stesso. – Problema molto simile. Donna differente. Non imparo mai dai miei errori, vero?
Immagini legate al capitolo 5
Portia Schroede
Anathema che purifica l'aula
Severus davanti alla tomba di Silente